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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
Compagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia Missionaria
Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
 La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
  • 14 / 05 / 2021
    SOLENNITA\' DEL SACRO CUORE DI GESU\'
    Venerdì 11 giugno 2021... Continua
  • 14 / 05 / 2021
    SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
    Sexta-feira 11 de junho de 2021... Continua
  • 14 / 05 / 2021
    SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
    Viernes 11 de junio de 2021... Continua
realizzare il progetto di dio su di me
 
Ho accettato la sfida che mi è stata fatta da Celestina Camacho di scrivere un articolo per Vinculum. Effettivamente, da tanto tempo non ho comunicato con questo mezzo, con tutta la CM e lo faccio adesso. Sto leggendo il libro: “Um Percurso de Vida e de Pensamento” di Lúcia Correia nel quale lei comunica il suo percorso di vita e di pensiero utilizzando gli articoli pubblicati su diverse riviste ed anche su Vinculum. É molto interessante e ne raccomando la lettura. Però quello che scrivo oggi ha come punto di partenza le risposte al questionario inviato dal Consiglio Centrale alle Missionarie ed ai Familiares intorno al capitolo II° “La nostra fisionomia” (Statuto delle Missionarie) e “Il nostro programma di Vita” (Statuto dei Familiares).                La conoscenza della Compagnia Missionaria ha dato un nuovo senso alla mia vita e spiego di seguito il perché.                Sono nata da una famiglia molto religiosa ed ho frequentato alcuni collegi religiosi; ho studiato Letteratura alla Faculdade Clássica de Lisboa, dove ho presentato la tesi su un poeta di Madeira “L'opera poetica di Francisco de Paula Medina e Vasconcelos”. Ho svolto un tirocinio e ho presentato la tesi per l'esame di tirocinio “Contributo a una Psicopedagogia della Grammatica”. Poi sono andata a Parigi per frequentare i corsi della “Alliance Française” e contemporaneamente ho lavorato part-time presso una famiglia francese come “au pair”. Ritornata a Funchal ho insegnato Portoghese e Francese nelle scuole pubbliche. Mi sforzadei aulas de Português e Francês em escolas públicas. Mi sono impegnata ed ho cercato di  trasmettere la conoscenza agli studenti e far loro sviluppare le loro capacità intellettuali e umane. Dal punto di vista pastorale, ero catechista, visitavo i carcerati, ero membro dell’Azione Cattolica. Nonostante questo, non mi sentivo né felice e nemmeno realizzata.   Un giorno, un sacerdote mi chiese in confessione cosa facessi ed io ho risposto che insegnavo. Lui ha capito che mi mancava qualcosa per dare senso alla mia vita. Mi ha parlato della Compagnia Missionaria del Sacro Cuore e mi ha dato il telefono delle missionarie. Teresa Castro e Lúcia Correia sono venute a Funchal ed io ho parlato con Celestina Camacho invitandola ad essere presente. Ho trovato la mia vocazione che era l’offerta della mia vita al Cuore di Cristo per essere segno del Suo Amore per tutti noi. Nell’ “Ecce Venio” di Cristo e nell’ “Ecce Ancilla” di Maria è compendiata tutta la nostra vocazione, il nostro fine, il nostro dovere e le nostre promesse. Come missionarie del Sacro Cuore di Gesù siamo chiamate a vivere la vita di amore fino a farci comunione con Dio e con i fratelli. Come Gesù e la Madonna ci manterremo aperte al “si”. Il gruppo CM di Madeira è formato da 5 missionarie e da 7 familiares. Facciamo insieme il ritiro mensile ed alcune missionarie accompagnano i Familiares in alcune riunioni. Noi missionarie ci riuniamo ogni quindici giorni e mensilmente per i ritiri. Non sentendo bene anche se uso gli apparecchi uditivi, mi costa non partecipare attivamente come sarebbe mio desiderio. Siccome mi piace leggere, faccio il riassunto delle Encicliche del Papa: “Luce della Fede”, “Fratelli Tutti”, “Laudato Si”, di testi sullo Spirito Santo: “Spirito Santo fonte di vita e di amore”, “Lo Spirito Santo implora Abba! Pai”, “Lo Spirito Santo che ci fa dire: Gesù è il Signore”, “Lo Spirito Santo che ci consacra ed invia in missione”, “ Lo Spirito Santo che prega in noi”, “Lo Spirito Santo Consolatore”, “Non spegnete lo Spirito”. Li distribuisco al Gruppo, così come i testi inviati dal Consiglio Centrale. “Dalla Sinodalità, all’autorità del servizio” di Daniela Leggio, il riassunto della Consulta delle Responsabili di p. Renzo Brena scj. Consegno questi riassunti al gruppo delle Missionarie. Come vivo il mio si nelle circostaze attuali della mia vita? Partecipo quotidianamente alla Eucaristia nella Cattedrale di Funchal e sono lettrice nella Messa delle ore 11 del venerdì. Nella famiglia: mi occupo della mia sorella ammalata di 91 anni. Ho una cognata ed un nipote che vivono nel continente e chiedono aiuto economico. Ho 2 pronipoti (figlie di nipoti) non sposate ed ho dato loro alcuni documenti riguardanti la CM. A livello sociale appoggio economicamente una ex impiegata che è ammalata. Sono consapevole che il Signore mi chiede molto e che dò poco ma con la Sua Grazia e di Maria Sua e nostra Madre, continuo ad impegnarmi per realizzare il progetto di Dio su di me. Madalena, seconda da destra, con missionarie e familiares a Madeira
ricordo di giuseppina orlando
 
Nasce ad Angri (SA) il 12 gennaio 1949. All’età di 24 anni, il 15 novembre 1973 entra nel periodo di orientamento nella Compagnia Missionaria del Sacro Cuore, affrontando alcuni anni di formazione. Il 7 novembre 1980 emette i primi voti di castità, povertà, obbedienza diventando missionaria effettiva. Svolge la sua missione di amore e di servizio nella Chiesa e nel mondo, secondo la spiritualità e il carisma della Compagnia Missionaria del Sacro Cuore, in mezzo alla sua numerosa famiglia con passione e amore materno, nell’ospedale civile di Nocera Inferiore, per 35 anni, come infermiera professionale nel reparto di ostetricia e ginecologia oncologica e gravidanza a rischio. Per tutta la vita ricorda con gratitudine a Dio le centinaia di bimbi che ha aiutato a venire alla luce, anche impegnandosi tante volte a salvarli dall’aborto, contro il quale fa la scelta difficile dell’obiezione di coscienza. Svolge la sua missione anche in ambito ecclesiale: soprattutto nell’Azione Cattolica e nella Caritas parrocchiale; e in ambito sociale: nel Movimento per la vita e nel Consultorio Familiare. In Compagnia Missionaria è membro del Consiglio Centrale dal 1989 al 1995. Per alcuni anni è amministratrice del gruppo delle missionarie che aveva sede prima a Salerno e poi a S. Antonio Abate. Per un certo periodo svolge il suo servizio nel gruppo anche come responsabile. Come donna cristiana e come consacrata e discepola del Sacro Cuore, Giuseppina ama la vita. La vita degli altri, soprattutto dei più fragili: mamme in gravidanza, bambini, malati, persone in difficoltà, per i quali mette a disposizione sé stessa e le sue competenze e i suoi talenti. Ama anche la sua vita Giuseppina e lo dimostra donandola, anche nella sua lunga malattia; e lo dimostra combattendo con la forza della fede e con inesauribile speranza per più di tredici anni, mantenendo, anche se con grande fatica, molti dei suoi impegni, anzitutto in Compagnia Missionaria, nella quale vive una forte appartenenza con entusiasmo e fedeltà. Dopo aver percorso per tanti anni la via dolorosa con Gesù, il 7 aprile 2023, Venerdì Santo, entra con Lui nella morte per risorgere con Lui nell'eternità dell'Amore. Lucia Capriotti Lettera della Presidente per il funerale 09-03-2023 Carissima Giuseppina, Oggi le Missionarie ed i Familiares della Compagnia Missionaria del Sacro Cuore ti salutano con cuore grato per la tua donazione nella nostra famiglia, per i diversi servizi prestati alla Compagnia Missionaria e per la tua testimonianza di donna consacrata in ogni luogo dove sei stata presente. Ti ricorderemo specialmente per come hai vissuto la tua lunga e dolorosa malattia sempre in spirito di offerta, fedele al nostro carisma; molte saranno state le grazie che abbiamo ricevuto per ogni dolore offerto. Grazie di cuore cara sorella! Cara Filomena e tutti i membri della tua famiglia ricevete il nostro abbraccio fraterno e la nostra comunione di preghiera chiedendo che troviate consolazione nel Signore poiché Giuseppina oggi celebra la Pasqua insieme al nostro Dio e Padre assieme a tutti i fratelli e le sorelle che ci hanno preceduto nel Regno dei Cieli. Oggi in modo speciale risuonano le Parole di Gesù che rinnovano la nostra speranza: “Io sono la Risurrezione e la Vita; chi crede in me, anche se muore. Vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno.” (Gv. 11,25-26). Con fraterna stima. Graciela Magaldi Presidente Ha saputo amare e soffrire I miei ricordi di Giuseppina hanno radici antiche, quando con la sorella Filomena e i tre nipotini veniva spesso a far visita a mia madre. Verso mia sorella Giuseppina ha sempre conservato un affetto speciale per averla conosciuta nei primi tempi della sua scelta missionaria. Amava parlare, ricordando il passato, delle “tre Giuseppine” includendo naturalmente l’amica del cuore Giuseppina La Mura, con cui aveva condiviso i tempi della formazione nella CM. Con mia madre che, come noi figli anche lei chiamava “mammina”, c’era un’empatia naturale e una certa somiglianza per quel modo semplice, schietto, spontaneo e un po' scherzoso di raccontare, di comunicare secondo lo stile napoletano. Le visite diventavano sempre momenti di festa, di allegria. In seguito, con la mia entrata nella Compagnia Missionaria nel gruppo di Salerno, la nostra amicizia è diventata più forte, la nostra conoscenza e  le nostre condivisioni più profonde. Non mi è possibile raccogliere i ricordi che sono tantissimi anche per l’emozione che mi suscitano. Una missionaria che sapeva AMARE, che aveva dato “corpo” al nostro carisma nella concretezza della sua vita. Tre i suoi grandi amori, che si integravano, si completavano in un’unica missione : la famiglia naturale, la sua professione di infermiera, la CM. La sua famiglia naturale, come ancora molte famiglie del sud, è numerosissima. Ricordo che aveva racchiuso in una foto (le piaceva scattare foto) tutti i nipoti che io non riuscivo a contare. Per ognuno si rendeva disponibile specialmente per problemi di salute e per i parti. Molti li aveva fatti nascere lei. Ma la scelta più coraggiosa e anche difficile, condivisa con la sorella Filomena, fu di assumersi la responsabilità dei nipoti rimasti orfani, dopo la morte del padre. La professione di infermiera che esercitava con competenza e senza risparmio di energie, accettando anche turni faticosi, era un po' il suo orgoglio, il campo dove riusciva a spendere con frutto la sua passione per la vita. Aveva una grande capacità di ascolto e di persuasione verso donne confuse, sfiduciate, smarrite sotto il peso di tanti problemi familiari, per incoraggiarle nella scelta di portare avanti una gravidanza. Con cuore aperto sapeva trasmettere la fiducia nel Dio Amore, il Dio della Vita che non chiude mai le strade, anche quelle strette e prepara sempre una gioia più grande. Non so quante siano state le donne aiutate da Giuseppina, so solo che provava una grande gioia con un pizzico di orgoglio quando le incontrava felici e grate per la loro maternità. In qualche modo si sentiva una seconda mamma di tanti bimbi. Ma l’amore più grande è stato la CM. Ha sempre mostrato un forte senso d’identità e di appartenenza. Ci meravigliava durante la sua malattia la sua presenza ai ritiri di gruppo, anche dopo un giorno di chemio e provata dalla sofferenza. Aveva bisogno di respirare l’aria della famiglia CM. Come aveva bisogno, fino a che le è stato possibile, ritirarsi in luoghi di silenzio e di preghiera per ricaricarsi spiritualmente e riprendere il ritmo intenso della vita. Si potrebbe dire una donna “contempl-attiva.” Aveva capito che per essere donne attive bisogna essere contemplative. La malattia La sua malattia si è manifestata subito dopo il raggiungimento della pensione. Si può dire che non ha lasciato mai gli ospedali, che sono diventati così il primo “luogo” di missione... Un lungo Getsemani durato anni ed anni che alla fine l’aveva stancata, ma mai tolto la sua capacità di lottare e quella saldezza di fede che le apparteneva. Sempre continuava a ripetere “Sia fatta la Tua Volontà”. Questa cara sorella ci ha lasciato così un segno profondo e una grande testimonianza. Ha saputo amare e soffrire. Marinella Martucci Cara amica Cara Giuseppina, la notizia della tua morte mi ha sorpreso, pur sapendo che negli ultimi giorni la malattia si era fatta più aggressiva. Passati i primi momenti di sgomento, ho pensato che il Signore Gesù ti abbia detto ciò che disse al buon ladrone: «Oggi sarai con me in Paradiso». Cara amica di ben 50 anni, prega per la tua numerosa famiglia e per tutta la Compagnia Missionaria che hai amato come la tua famiglia di origine. Mi tornano in mente le tue parole: «Andiamo avanti», ma senza il tuo aiuto non possiamo farlo. Buon viaggio, amica mia. Emilia Serra Familiaris di S. Giorgio a Cremano
ricordo di kuki suarez durussel
 
Kuki , missionaria del gruppo dell’Argentina, è tornata alla casa del Padre nel gennaio  scorso: a lei il nostro grazie e il nostro continuo ricordo Una vita piena di generosità Il giorno 7 gennaio 2023 è tornata alla Casa del Padre la nostra sorella missionaria argentina Blanca Maria Cristina Suarez, che affettuosamente chiamavamo Kuki, dopo una lunga malattia vissuta con vero spirito di oblazione. Nata il 24 agosto del 1938 in Santo Tomè provincia di Santa Fè – Argentina. Si sposò nel mese di marzo del 1961 con Raul Durussel il quale morì quando il loro unico figlio Dario aveva solo 9 mesi di vita. Rimasta vedova a 24 anni si dedicò alla crescita del figlio con molto amore e sacrificio. Senza lavoro e senza casa decise di vivere con i suoi genitori che l’aiutarono in tutto quanto aveva bisogno. Cominciò a lavorare come parrucchiera. Nonostante i dispiaceri e difficoltà della vita Kuki è sempre stata una donna allegra, solidale e disponibile ad ascoltare e ad accompagnare da vicino chi avesse bisogno di aiuto. In seguito, suo figlio si sposò e le fece il regalo di quattro nipoti e un pronipote che le hanno voluto bene e l’hanno accompagnata fino agli ultimi giorni della sua vita. È stata una donna eccezionale e affettuosa e loro hanno ricambiato così tutto quanto lei gli aveva donato. La sua vita lavorativa è stata molto intensa: ci sono stati dei momenti in cui ha dovuto affrontare due lavori contemporaneamente per poter sostenersi. È stata una persona molto apprezzata per la sua grande responsabilità, onestà e una buona amica. Ha lavorato nella Direzione del Turismo di Santa Fé e come economa nel Seminario Arcidiocesano di Santa Fé dove molti seminaristi, che oggi sono sacerdoti, la ricordano ancora per la sua testimonianza di vita. Per la sua grande fede e amore al Signore ha fatto molti servizi nella Chiesa come missionaria arcidiocesana nei luoghi più bisognosi e poveri, presente nel movimento del “Cursillos di Cristianità”, nelle comunità parrocchiali, nel coro e come Ministro Straordinario dell’Eucaristia. Il 28 gennaio 2001, dopo aver terminato il tempo di preparazione formativa, insieme ad altre cinque missionarie argentine fece la sua prima emissione dei voti nella Compagnia Missionaria. Oggi, tutto il gruppo di missionarie e familiares ringraziamo il Signore per il dono della sua vita e donazione alla nostra famiglia CM. Kuki ha sempre cercato con fervore di vivere santamente e rispondere con generosità alla chiamata che Dio le aveva fatto. Sappiamo che oggi in cielo possiamo affidarci anche a lei insieme a p. Albino, missionarie e familiares che già godono della presenza luminosa del Padre. Graciela Magaldi Carissima Kuki… …. così continuerò parlandoti e scambiando con te, certamente in un’altra dimensione, la dimensione del mistero dell’Amore di Dio e della Vita Eterna. Mi domando: è terminato il tuo cammino? Penso di no; tu, sempre sei andata avanti in tutte le circostanze che si sono realizzate tramite la mano benevolente di Dio nella tua vita … per me continuerai ad essere presente e camminando con me. Ricordo, rispetto a questo, l’affermazione di Santa Teresina del Bambino Gesù: “Dopo la mia morte, farò cadere una pioggia di rose. Cosa significa la “PIOGGIA DI ROSE”? Santa Teresina si incantava davanti alle rose. La sua vita si stava consumando e sapeva che la sua missione era appena iniziata e nello stesso tempo si disponeva ad entrare nella vita eterna con Dio. Lei voleva dire che avrebbe continuato “a lavorare”, che avrebbe elargito una pioggia di favori e benefici affinché la gente potesse amare di più Dio. Riassumendo avrebbe continuato ad essere missionaria … “Mi sarebbe piaciuto essere Missionaria non solo per alcuni anni, ma mi sarebbe piaciuto esserlo fin dalla creazione del mondo, ed esserlo fino alla consumazione dei secoli” … come te … come desidereremmo esserlo ciascuna/o di noi. Le tue rose sono il tuo sorriso, la tua voce, le tue parole, il tuo esempio di vita … ed ora la tua intercessione, il tuo camminare sempre guardando al tuo Grande Amore … Grande Amore che hai saputo scoprire nella tua famiglia, in tuo figlio, nei tuoi nipoti, nelle tue amiche/amici e nella nostra CM … guardando a Colui che hanno Trafitto … ma Trafitto per Amore, che si è lasciato trafiggere “per lasciare aperto il suo Cuore”, Fonte di vita, per il grande ed immenso amore per l’umanità intera e personalmente per ciascuno di noi, che grande Amore, inesauribile, meraviglioso !!!. Ed … ho un ricordo molto speciale, che potrebbe sembrare un dettaglio, che però è sempre rimasto impresso nel mio cuore: in una delle nostre conversazioni, mi hai raccontato che dal tuo posto di lavoro, in ufficio, vedevi attraverso la finestra, una parte di una chiesa … mi dicesti: “ è da questa finestrella, che nessuno pensa, che guardo Gesù …” vivevi la tua quotidianità guardando sempre il Trafitto per Amore. Ed è così che hai camminato nella vita, guardando, cercando sempre Gesù, ed è così che hai sofferto la tua infermità e la tua offerta di amore … così continuerai dall’eternità guardando a Gesù ed anche a noi, camminando insieme a noi. Grazie sempre Kuki … continuiamo insieme! Sempre guardando avanti. Febbraio 2023 Teresa Pozo - CM Chile “O sole mio” Ho conosciuto Kuki agli inizi della CM in Argentina quando periodicamente andavo per accompagnare il gruppo nella formazione. Ci siamo riviste dopo tanti anni l’ultima volta nell’ottobre 2018, quando sono ritornata in Argentina, per festeggiare il mio 50° anniversario di consacrazione nella CM. In questi ultimi anni ho accompagnato Kuki nel percorso della sua malattia attraverso vari contatti telefonici e messaggi vocali che le missionarie del suo gruppo mi inviavano per aggiornarmi sulla situazione. Alti e bassi che segnavano il percorso di uno stato di salute fragile, segnali di precarietà, però accettati con grande fede e serenità. Una lunga malattia vissuta nello spirito di offerta e abbandono di chi aveva saputo vivere da tempo nel suo quotidiano, l’Ecce Venio e l’Ecce Ancilla. Un esempio perché ci ha insegnato come vivere e accettare l’anzianità. Di Kuki conservo nel mio cuore ricordi gioiosi, che in questo momento emergono e si sovrappongono tra loro, disegnando un armonioso profilo di donna solare, serena, coraggiosa, nella quale con la sua vita ha saputo lasciare orme positive e benefiche che hanno arricchito anche il mio cammino. Ricordo Kuki come la donna forte, la mamma e sorella maggiore, affettuosa e vivace, sapiente e appassionata per la sua famiglia, per la chiesa, per il suo gruppo di appartenenza… Come colei che piano piano diventa la pietra angolare sulla quale si appoggiano tutte le altre e sostiene tutto l’edificio, perché se ne riconosce la fermezza e la capacità di tenerci saldi nel cammino. Il nostro Statuto al n. 9 ci ricorda che: “L’amore dominerà quindi tutte le espressioni della nostra vita e apparirà evidente nella testimonianza, espressa mediante la vivacità della donazione, il sorriso, la semplicità, l’accoglienza di tutti gli uomini come fratelli”. Kuki a piccoli passi, ha costruito fin dall’inizio la sua vita su questa roccia e l’ha potuto fare perché ha riconosciuto in Cristo Gesù la vera pietra angolare, la più importante della sua vita. Pochi giorni fa un messaggio di Letizia (Leti) mi annunciava così la sua morte: “Buen dia Santina! Escucha: nuestra Kuki se fue al cielo y con los Angeles te canta: O sole mio. In comunione”. Il canto “O sole mio” fa parte della storia CM Argentina, un ricordo a tutte caro, che ancora oggi è come il filo rosso che stimola a guardare con serenità e gioia al passato e a ringraziare il presente per il cammino che ciascuna ha fatto. A Kuki piaceva tanto cantare e parlare la lingua italiana; a ogni nostro incontro trovava sempre un pretesto, una motivazione per cantare insieme “O sole mio”. Pochi mesi prima di morire, sapendo che Leti mi avrebbe mandato il suo messaggio ha voluto registrare un video dove con un filo di voce tremula e commossa canta “O sole mio”. Un saluto affettuoso come sapeva farlo lei, un momento particolare – “divino” in cui il canto si era trasformato in preghiera. Ho fatto memoria di Kuki seguendo i passi del salmista: Ripenso ai giorni passati…un canto mi risuona nel cuore. (Salmo 77, 6-7) … Carissima Kuki, nel silenzio del mio cuore ti risento cantare e la tua voce è più splendida che mai, perché ora la tua vita ha incontrato il Vero Sole e con Lui dimori! Grazie Kuki per quanto mi hai donato; proteggi la tua bella famiglia e la nostra famiglia CM. Santina Pirovano Bologna 12 gennaio 2023 Ricordi di Kuki Ricordo quell’anno del 2005 …, l’anno quando ho iniziato a conoscere l’Istituto. Quanto ho aspettato per conoscere le mie sorelle che “erano lontane”. Quanto affetto ed entusiasmo mi hanno manifestato in quel primo incontro fraterno nella Compagnia Missionaria. Ricordo che Kuki stava recuperandosi da una operazione al ginocchio e camminava con le stampelle …! Che grande donna!                Il suo amore per Cristo e per la Compagnia Missionaria lo esteriorizzava così, non misurando lo sforzo, facendosi presente in tutte le circostanze … e questo zelo apostolico l’ha accompagnata fino alla fine. Ricordo uno dei suoi ultimi esercizi annuali, che già doveva  passarli in molta parte prostrata, però lì stava “al pie del cañón”  (ai piedi del cannone), come diciamo qui.                Per non parlare dei suoi desideri e dei suoi progetti che penso le davano le ali per sognare sempre di più. Ricordo un aneddoto di un altro ritiro che abbiamo condiviso dove con grande convinzione ci raccontò che aveva fatto una barca dove andavano insieme con Gesù e lei appassionatamente reclamava con Gesù più salute per poter fare più cose per Lui … mi è parso tanto speciale ed unico, tanto bello il suo racconto … tanto rivelatore del suo Amore per Gesù ed il suo progetto …                Ti immagino oggi, Kuki, con il tuo bel sorriso, incoraggiandoci a continuare a crescere come Compagnia Missionaria … si, si può … ! coraggio! Rosa Mabel Gonzalez La generosita’ di Kuki Pensavo ad una parola con la quale poterla definire …, credo che la parola è GENEROSA. La sua generosità si esprimeva in tutti gli aspetti della sua vita. Non aveva dubbi nel condividere i doni che il Signore le ha dato ed i suoi beni.  Una delle cose che mi hanno colpito fin dal primo giorno che l’ho conosciuta è stato il suo amore alla vita ed alla vita della Compagnia Missionaria. Aspettava ogni ritiro, ogni Incontro con molto entusiasmo e molta gioia, non le importava tutto lo sforzo che questo poteva significare. Kuki ci ha lasciato una testimonianza di “offerta” generosa e sempre piena di gratitudine. Ringrazio di nuovo il Signore per essere potuta andare a visitarla lo scorso anno e, rimane in me quel momento nel quale abbiamo rinnovato la nostra consacrazione a Maria Madre, Guida e Custode della CM. Rendo lode a Dio. In comunione! Andrea Ramirez
feconda amicizia e dialogo positivo
 
Condividiamo la testimonianza di Pia e Mimmo, Familiares del gruppo di S. Antonio Abate (Napoli). Familiares della CM, cioè amici che vogliono condividere più da vicino la nostra spiritualità e le nostre attività, diventando parte viva dell'Istituto. Presentatevi: raccontateci un po' della vostra vita, come vi siete conosciuti, la vostra famiglia, la vostra vita attuale ecc. Siamo una coppia unitasi in matrimonio il 18/03/1979: Eravamo in viaggio di “luna di miele” con un'autovettura 127 nuova per visitare le città della nostra bella Italia (Roma, Firenze, Bologna, Milano, Venezia, Como e fino a Lugano e vicinanze in Svizzera), che già le direzioni degli ospedali della provincia di Napoli e Salerno, iniziavano a chiamarmi, perché laureato in Medicina e Chirurgia il 14/10/78 e poi abilitato alla professione medica ed iscritto all'Albo dell' Ordine dei MEDICI - CHIRURGHI DI NAPOLI, avevo l'obbligo di frequentare per 6 mesi, con una paga di 250 mila lire mensili (così è iniziata la mia passione per l'otorinolaringoiatria). Già da qualche anno frequentavo, di mattina, il reparto di chirurgia dell'Ospedale di Castellammare di Stabia e di pomeriggio affiancavo un medico anziano famoso di Sant'Antonio Abate, con funzione di Direttore Sanitario e specialista in Pediatria ed Ostetricia, per approfondire l'esperienza quotidiana del rapporto con la persona ammalata. Intanto Pia era studentessa di Biologia presso l'Università degli Studi di Napoli. Ci siamo già conosciuti giovanissimi, lei all'età di 14 anni ed io diciottenne, quando mi chiese di fare delle ricerche sulle mie enciclopedie, perché le nostre famiglie già si conoscevano (da allora è nata la nostra attrazione con il fidanzamento successivo e poi al matrimonio). Con la mia graduale ma veloce affermazione a S. Antonio Abate, come medico di MEDICINA GENERALE e con la benedizione del SIGNORE per l'arrivo dei primi figli, Pia si è dedicata completamente all'organizzazione della famiglia, abbandonando gli Studi Universitari, anche perché faceva funzione di segretaria per le visite domiciliari ed informazioni. Anche se la nostra vita professionale era molto intensa, siamo cresciuti nell'ambiente della Parrocchia e delle suore, partecipando all'Azione Cattolica: all'età di sedici anni sono stato vincitore di un “Concorso Veritas” tenutosi presso il Vescovado di Castellammare – Sorrento , con il relativo soggiorno premio di tre giorni a ROMA. Pia ha continuato il suo impegno in parrocchia, continuando a studiare, conseguendo il diploma di SCIENZE RELIGIOSE. La nostra famiglia si è arricchita della gradita presenza di 3 figli (2 donne e un maschio) che abbiamo seguito negli studi e nelle varie attività ricreative, culturali e religiose: la prima figlia è medico – chirurgo, specialista in igiene (ha 3 figlie) e vive a S. Antonio Abate; il maschio è ingegnere medico, laureatosi a Roma, ivi sposato con una collega ed ha 2 figlie; la terza, single, laureata in scienze per informazione scientifica, dopo alcuni anni di attività, ha scelto di diventare dipendente della posta. Dopo alcuni anni di sofferenza per malattia (sono stato operato di K vescica in ottobre 2018), con successive varie complicanze, per cui sono stato spesso in fin di vita ed in uno stato di cachessia, con la necessità di alimentazione artificiale e trasfusioni di sangue. Il vostro incontro con la Compagnia Missionaria Oggi posso ringraziare il SIGNORE NOSTRO DIO, nonostante gli alti e bassi del vivere quotidiano, per gli esiti dei miei problemi di salute, e ringrazio per le preghiere e per l'affetto dei familiari, amici, missionarie di tutta la CM e dei Familiares e della nostra responsabile, DOLORES, (la cui vicinanza è arrivata anche a Milano, dove ero ricoverato), e la particolare vicinanza degli amici familiari di S. Antonio Abate (GENNARO MERCURIO, CLEMENTE STATZU ecc.). Nonostante siano gravosi i miei problemi di salute, riusciamo ad accogliere i nostri nipotini ed a coadiuvare i genitori nella loro crescita professionale e ricreativa. Frequentando e vivendo la vita della nostra Parrocchia, i nostri amici Clemente e Rosa, Gennaro Mercurio e Lucia, Giuseppe de Gregorio e Anna, Vincenzo Pannone e Consiglia, ci hanno invitato a frequentare gli incontri dei Familiares con il caro PADRE ALBINO: ci siamo subito innamorati del carisma di PADRE ALBINO e poi di CAMILLA, che ci ha seguito nel percorso di formazione per aderire alla famiglia dei Familiares ed alla CM, ed in seguito Lucia Capriotti e di tutte le altre missionarie, che abbiamo conosciuto successivamente. Quei primi anni sono stati pieni di ricordi e di feconda amicizia e di crescita culturale e religiosa, insieme ai nostri figli, che stavano meravigliosamente bene con i figli dei nostri amici Familiares, con i quali sono cresciuti in età e cultura. Papa Francesco parla di “chiesa in uscita” e “di periferie esistenziali”. Secondo voi come possiamo concretizzare questo suggerimento nell'ambiente in cui viviamo? Conveniamo con il nostro caro PAPA FRANCESCO, che la chiesa deve essere in uscita, per migliorare il contatto con le persone ed aiutarle ad innamorarsi di GESU' e della nostra cara Madre Maria. Secondo noi, per riuscire ad avere una comunicazione religiosa con la società in cui viviamo, è necessario riuscire a stabilire un dialogo positivo e costruttivo con la popolazione, di tutte le età, del nostro ambiente ed a creare in parrocchia eventi ricreativi e culturali per stimolare lo sviluppo culturale e morale delle nuove generazioni. Abbiamo vissuto un periodo difficile per il periodo dell'epidemia da COVID, ma con la disgrazia della guerra scatenata da PUTIN in UCRAINA, la nostra vita è peggiorata per la crisi economica conseguente alla penuria del gas e grano, per cui è vigente un corale scoraggiamento e sfiducia nel futuro, ma con la buona della società civile e con l'aiuto della Comunità Europea e con la fiducia che abbiamo nel nostro amato Gesù, supereremo certamente questo delicato momento di difficoltà economica. Pia Del Sorbo e Domenico De Riso
compagnia missionaria e spiritualità di comunione
 
Le parole di s. Paolo e di p. Dehon, citate sopra, esprimono alcuni atteggiamenti fondamentali perché un gruppo di persone possa stabilire rapporti di comunione. La fraternità da voi scelta come condizione in cui esprimere la vostra vocazione – anche se in forme diverse – ha il suo fondamento nella vita teologale, dal momento che il segreto della felicità dell’uomo e di una nuova umanità sta nel mistero stesso della Trinità: la comunione. Premessa – Comunione: un’urgenza attualissima Sentirsi uniti da un carisma – la spiritualità del Cuore di Cristo – e dal valore della comunione, può darci la sensazione di pensare e sentire tutti allo stesso modo, poiché abbiamo valori e linguaggio comuni, che danno una sensazione di omogeneità. Di fatto, la realtà è più complessa. Ogni persona aspira a valori e atteggiamenti che ritiene importanti per la propria esistenza e cerca di tradurli in comportamenti coerenti. Le aspirazioni ideali, tuttavia, anche se sono fondamentali non bastano: costituiscono il punto di partenza, che deve incarnarsi in scelte di comportamento coerenti con tali valori. Il cammino della nostra vita sta tutto in questa costante tensione tra l’ideale oggettivo e l’impegno soggettivo di tradurlo nella vita quotidiana. Davanti alla spiritualità del Cuore di Cristo, declinata nella vita e negli scritti di p. Dehon – e mediata per la Compagnia Missionaria da p. Albino Elegante – ognuno sente risuonare dentro di sé alcuni valori che percepisce più “suoi”, più in sintonia con il suo essere. Questa risonanza interiore, tuttavia, va vissuta con una particolare avvertenza: ciò che uno sente risuonare dentro di sé come elemento più in sintonia con la propria realtà personale è semplicemente il punto di partenza per fare spazio a tutto il resto del Vangelo. Lo stesso va detto degli aspetti che sente più faticosi: essi indicano i punti più bisognosi di attenzione e di comprensione per farli oggetto del proprio cammino di conversione. A livello generale, infatti, è importante vigilare per non ridurre la spiritualità a una realtà teorica o puramente soggettiva. Pur sentendo più centrali ed evocativi per sé alcuni valori del Vangelo, ognuno di noi non può/non deve confondere una parte con il tutto ma, a partire da ciò che sente più sintonico con la propria realtà personale: tutti siamo chiamati a vivere una vita interamente evangelica, che ci conduca a essere un’umile incarnazione di Dio Amore. Il mondo di oggi, così ferito e offeso nelle relazioni ha bisogno di questo. Infatti, oggi in ogni ambito della nostra società, la libertà è percepita come un valore che divide più che unire. Essa viene sempre più spesso chiamata in causa per mettere distanza, per marcare dei limiti tra le persone, non per favorire la loro unione. Oggi, la competizione ha un ruolo crescente, anzi, sembra essere il criterio dominante: egocentrismo, arrivismo, carriera, culto del successo ad ogni costo, arrivare a essere i primi e meglio degli altri... sono questi i nuovi “comandamenti” della cultura attuale. E anche noi, in comunità o in famiglia, non siamo esenti da questi idoli e dalle dinamiche che innescano. Il risultato, lo vediamo, è la rottura delle relazioni umane. Il mondo intero – non solo quello occidentale – è malato, colpito da un morbo che progressivamente lo corrode in ciò che possiede di più umano: la capacità di stabilire e mantenere relazioni permanenti e fedeli, la capacità di comunione, gratuità, amore, appartenenza, unità... L’esaltazione unilaterale dell’individuo come soggetto che può trovare la propria realizzazione in se stesso, sganciato dalla comunità e dalla famiglia, o addirittura in contrapposizione agli altri, è il leit-motiv della cultura attuale. Non importa se il nostro tempo si caratterizza anche per fenomeni dilaganti come la depressione, il suicidio, l’insoddisfazione per la vita: nonostante l’enorme bisogno di comunicazione e di comunione, la nostra epoca sembra paradossalmente complottare contro di essa. D’altra parte, ciò è riconducibile a un dato ontologico: in tutti noi c’è il desiderio di comunione/amore/amicizia, ma queste realtà ci fanno anche paura. C’è un aspetto di fascino e paura nell’incontro con l’altro, chiunque esso sia, perché la diversità dell’altro ci mette in discussione, perché intuiamo che l’aprirsi all’“altro” provoca ed esige un cambiamento. Quando noi consacrati scegliamo di vivere alla luce del Vangelo – in comunità o in famiglia – accogliamo l’invito a intraprendere un’avventura misteriosa, enormemente più grande della nostra capacità di immaginazione. Non abbiamo scelto di vivere in comunità perché ci sentiamo già capaci di vivere in modo evangelico. Neppure possiamo aspettarci di godere un clima di rapporti perfetti, ideali, forniti dai fratelli o dalle sorelle. Piuttosto, intraprendiamo la vita comunitaria perché crediamo nella possibilità e nella verità di tali valori per noi e per il futuro del mondo; perché crediamo e speriamo che solo nella tensione costante a un amore semplice, povero, disinteressato diventiamo davvero “figli” del Dio di Gesù Cristo e costruiamo il suo Regno. Vivere insieme alla luce del comandamento dell’amore è un ideale che ci ripetiamo spesso, ma è un progetto molto al di sopra della nostra genialità e delle nostre povere forze, e riserva continue sorprese. Cominciamo questo cammino, ma non sappiamo dove ci condurrà e cosa ci chiederà. Crediamo e speriamo però che la vocazione ricevuta porta con sé la grazia per riconoscere quegli indizi della storia che ci permetteranno di sintonizzarci con il cuore di Dio, purché sia tenace e visibile nei gesti quotidiani la nostra continua ricerca e apertura al Bene, la scelta di mettere l’amore e la riconciliazione di Cristo a fondamento della nostra vita. Il comandamento dell’amore – amatevi gli uni gli altri come io ho amato voi (Gv 15,13; 1Gv 1,3-4) – è il fondamento della vocazione cristiana e della spiritualità del Cuore di Cristo. Ciò significa: dare la vita. E per non cadere nel moralismo o nel soggettivismo, in una spiritualità disincarnata o in un attivismo autoreferenziale, una sana spiritualità ci fa tenere unite contemplazione e azione, per vivere in un atteggiamento di discepolato concreto, per rimanere nella sana tensione verso la libertà di amare come ama Dio. A partire dal testo ricco di significati dei vostri Statuti di Missionarie e Familiares e dalle vostre risposte, vi presento alcuni spunti di riflessione per una verifica e un approfondimento specifico che aiuti a concretizzare, non solo a conoscere, i valori propri della spiritualità del Cuore di Gesù. 1. Una spiritualità di comunione Per evitare voli pindarici, chiediamoci: che cosa si intende con il concetto di “spiritualità”? Intendiamo una vita teologale, cioè fede e speranza vissute come amore responsabile nella/della storia. Proprio per vivere a fondo la storia degli uomini noi cerchiamo costantemente la sintonia con il Cuore di Dio-Amore, unico principio attivo di ogni possibilità di comunione. La nostra vita fraterna, in comunità e in famiglia, trova qui le sue radici. Tutto inizia dall’atteggiamento dell’accoglienza. Si tratta di accogliere il dono dello Spirito di Dio che ci vuole costruire a sua immagine; accogliere l’Amore che ci precede e ci viene incontro sempre. L’Amore accolto ci porterà a essere figli, cioè a essere immagine di Dio. E poiché Dio non è solitario, ma mistero di comunione, anche noi troviamo la nostra identità nell’apertura e nella comunione con l’altro (natura, uomini, vicende, Dio). Solo rimanendo sempre aperti all’alterità si costruisce in noi l’immagine di Dio, scopriamo la nostra identità. Noi siamo chiamati a vivere insieme per accoglierci: siamo affidati gli uni agli altri per essere segno di quell’accoglienza originale di Dio che ci fa essere e ci pone costantemente nella Vita, nel Bene, nell’Amore; perché si riveli la sua potenza nelle nostre debolezze.             In questo senso comunità e famiglia sono luogo privilegiato di crescita verso l’amore e fondamento di ogni azione pastorale. A condizione che noi cerchiamo di vivere un’autentica vita teologale e possediamo uno sguardo contemplativo in grado di vedere Dio costantemente all’opera nella nostra vita. Dio è presente in tutto, anche se non lo si vede, ma per rendersi visibile deve passare attraverso la nostra accoglienza. Infatti, per agire nel mondo creato Dio ha scelto di incarnarsi: prima nella Parola, e poi nel Verbo fatto uomo. Ora chiede di incarnarsi nella storia di ciascuno di noi. La nostra scelta di vita è offrirsi a Dio con tutto noi stessi per essere spazio della sua azione nel mondo, oggi, e ci impegna sul cantiere della storia. In questo senso realizziamo quel «complemento reale dell’immolazione di Cristo» (Statuti, 10), che non aggiunge niente all’offerta di Cristo, ma la attualizza nella nostra vita, permettendo a noi di vivere quell’unione al Cuore di Gesù che ci fa “rimanere in Lui” (cfr. Gv 15), essere una cosa sola con Lui. Così si vive la conversione alla libertà di amare come Dio ama... 2.    Per una comunione viva La vocazione consacrata si nutre della comunione con Dio e con i fratelli/sorelle. Cosa dire di più specifico a questo proposito? A quali atteggiamenti sollecitano i vostri Statuti per crescere nella sua realizzazione? Condivido con voi alcune brevi riflessioni in progressione, che ritengo importanti per vivere realisticamente di una spiritualità di comunione. Ciò che è riferito alla comunità è valido – con le necessarie distinzioni – anche per la famiglia. a. Una visione dinamica della vita. La vita è in sé stessa relazione, così come l’amore dice relazione.             Le scienze umane, con la visione dinamico-evolutiva che le caratterizza, ci informano che la persona è relazione e si struttura attraverso i rapporti. L’uomo, cioè, non è già sé stesso in modo chiaro e definitivo al momento della nascita, ma lo diventa attraverso una fitta rete di relazioni che lo costituiscono nella sua identità, permettendo così anche  l’espressione della sua interiorità. Ciascuno di noi cresce e diventa individuo in forza di comunità vitali (società, famiglia, scuola, gruppi, comunità...) e dei rapporti che in esse stabilisce. Proprio la qualità dell’inserimento nel nostro tessuto comunitario esprime quanto anche noi siamo vitali, cioè capaci di generare vita e alimentare altre comunità. b. In comunità per divenire noi stessi. La comunità ha questo scopo fondamentale: la piena maturazione delle persone. San Paolo esprimeva questa realtà quando scriveva che la sua paternità aveva come scopo che i fratelli potessero crescere « finché Cristo sia formato in voi » (Gal 4,19); e altrettanto quando spiegava che i diversi doni di grazia da loro ricevuti dovevano condurli alla « piena maturità di Cristo » (Ef 4,13). Questi riferimenti paolini non sono casuali: ci dicono che la nostra vera identità consiste nel giungere a essere figli come “il” figlio Gesù, a immagine del quale noi siamo stati creati (cfr. Ef  1,3-14).              La comunità, quindi, è per la crescita delle persone, le quali giungono alla verità e pienezza di sé aprendosi progressivamente e continuamente alla novità del vangelo e del Regno. Essa vuole essere luogo privilegiato affinché ciascuno possa giungere alla sua piena identità di figli di Dio, dando un volto unico ed originale al desiderio/vocazione al bene che porta iscritto dentro di sé.             E in una comunità/famiglia tutti contribuiamo a creare quel clima vitale che permette questa crescita. O si cresce insieme o non si cresce. Se qualcuno non dà il suo contributo tutti ne risentono; se qualcuno presenta resistenze all’accoglienza della vita, che arriva a noi sempre attraverso mediazioni umane - cioè gli altri fratelli –, tutti subiscono conseguenze. L’unità e la comunione prima ancora che essere frutto di un impegno della nostra volontà sono un dono che viene a noi da Dio nella forma del dono di sé che ci facciamo gli uni gli altri.             Per questo la comunità religiosa – diceva s. Tommaso – è una scuola di carità perfetta. È una scuola dove nella relazione con i fratelli si impara a voler bene, a volere il Bene a ogni costo e per tutti. Ciò richiede di saper riconoscere il Bene presente nella propria storia e in quella dei fratelli; saper interiorizzare il Bene che è Dio-Amore e lasciare che si esprima attraverso i nostri gesti, le nostre parole, i nostri silenzi, ecc... M. GRAZIA VIRDIS, Ut unum sint c. Scegliere la propria comunità.             Quando entriamo in comunità troviamo un ambiente e persone che hanno una storia, una tradizione e stili già collaudati. Educarsi alla comunione e vivere la fraternità – o, come è scritto nei vostri statuti, « farci comunione » – comincia con la scelta consapevole di accettare la storia e la tradizione di una comunità che ci accoglie e che noi accogliamo. È il grande tema del senso di appartenenza alla comunità e al carisma dell’Istituto. Accettare non significa lasciare tutto com’è, ma arricchire la comunità con il contributo della propria unicità, della propria diversità anche etnica e culturale e stimolarla a crescere in forza delle energie presenti in essa. L’arricchimento personale di ognuno risulta tale quando non è imposizione della propria sensibilità o dei propri modi di vedere la comunità, ma quando è offerta che si rivela fermento capace di far lievitare la comunione della comunità. Per questo è indispensabile l’accoglienza della comunità e delle persone, con tutte le loro qualità e con tutti i loro limiti. Se noi accettiamo solo le cose belle, le caratteristiche positive di una comunità, ciò che si accorda immediatamente con il nostro modo di essere o di pensare, costruiamo rapporti falsi. Non esistono persone, culture, tanto meno comunità, che abbiano solo pregi e nessun difetto; tutto e tutti, in quanto creature, hanno pregi e limiti/difetti. Se vogliamo costruire il Regno – e quindi evangelizzazione, fraternità, unità e comunione – bisogna fare i conti con entrambi. Penso sia questa uno dei motivi delle nostre difficoltà a vivere insieme: viviamo ancora prigionieri di meccanismi ingenui di idealizzazione e di individualismo. d. Gli ideali sono vissuti nella storia.             Tutti noi, sia che viviamo in comunità o in famiglia, siamo animati da grandi ideali. Ma siamo chiamati a fare i conti con la storia e con la dinamica evolutiva che la caratterizza. Essa ci insegna che solo progressivamente, nel divenire della vita, possiamo dare un’espressione visibile e credibile ai valori e agli ideali. E questo richiede che ci accogliamo senza riserve e senza pregiudizi, ci aiutiamo con delicatezza e grande rispetto se vogliamo rispondere alla nostra vocazione.             Vivere le fatiche dell’accoglienza reciproca, dell’andare incontro all’altro con discrezione, del coraggio della correzione fraterna data e ricevuta, della consapevolezza che la nostra crescita passa attraverso l’altro..., è la condizione che ci dispone a essere attenti, recettivi, capaci di rispondere alle provocazioni della vita che incontriamo anche nell’apostolato. Non dobbiamo desiderare convivenze in cui non ci siano problemi, ma comunità/famiglie in cui le diversità, e le tensioni che ne derivano, sono affrontate in modo evangelico, con simpatia, umorismo, disarmo, amore. Non possiamo vivere bene a compartimenti stagni. Quando noi viviamo le relazioni in un certo modo in comunità/famiglia e in un modo diverso fuori, stiamo strumentalizzando gli altri per un nostro benessere; non abbiamo ancora compreso il dono della relazione con l’altro, che cosa significhi vivere in comunità, e come l’unità e la comunione tra noi sia la prima testimonianza da rendere: vi riconosceranno da come vi amerete (cfr. Gv  13,35). e. Tensioni, conflitti, crisi: che senso hanno?             Il cammino che porta alla comunione e all’unità è accidentato, lo sappiamo bene. Difficoltà, tensioni (anche prolungate), momenti di crisi sono passaggi obbligati. Per fare spazio alla fraternità è necessario rivalutare questi momenti, cogliere la loro valenza positiva proprio in ordine al valore della comunione. La comunione ha senso proprio perché siamo diversi: la nostra diversità riconosciuta, accolta e valorizzata rivela la bellezza del piano di Dio, che vede ogni realtà creata ordinata all’Uno.             Di solito percepiamo ogni difficoltà/conflitto/tensione che interferisce con i nostri programmi come una minaccia. Presi dalla paura di non sapere che cosa fare, o di perdere il controllo della situazione, siamo portati istintivamente a scongiurare ogni eventualità di crisi. In questo modo anziché essere profeti di quella comunione e unità che sarà destino futuro dell’uomo, ci mostriamo custodi di un museo archeologico: quello delle nostre paure e rigidità infantili, che non accettiamo di mettere in questione.             Le scienze in generale ci insegnano che le crisi sono il segno di un processo di divenire in atto, hanno un ruolo positivo nel processo evolutivo, ci fanno crescere. In un organismo vivente le crisi sono normali. L’eccezione è la condizione di equilibrio, l’assenza di tensioni, i passaggi indolori. Siamo diversi per età, cultura e famiglia d’origine, estrazione sociale, educazione ricevuta, sensibilità, intelligenza, esperienze vissute, preparazione culturale...: come potrebbero non esserci difficoltà e fatiche al confronto e alla collaborazione?  È proprio il confronto e la condivisione delle singole originalità che stimola alla conversione e rende possibile la comunione. Anziché essere una penalizzazione, allora, tutti questi elementi di diversità ci aiutano a scoprire la nostra identità e il nostro futuro come singoli e come comunità, e ci richiamano a un atteggiamento di discernimento permanente. Invece di inasprire le differenze individuali e la competizione, dovremmo rivalutare l’ascolto, il silenzio, la pazienza, l’accoglienza, la valorizzazione dell’altro...! f. L’identità sta davanti a noi, nel futuro.             Quando noi parliamo di identità la tentazione è quella di guardare istintivamente indietro - la nostra storia passata, gli eventi salienti della nostra esperienza di vita, i nostri tratti caratteristici, ecc. - in modo statico e implicitamente “conservatore”. E facciamo così anche per la nostra identità di istituto consacrato, pensando che la fedeltà al carisma dipenda da quanto è già stato detto e fatto dal fondatore, o da chi è venuto prima di noi. Pensiamo, insomma, che la nostra identità è qualcosa da conservare piuttosto che da cercare  e costruire. La storia attuale, con tutta la sua complessità, ci dice che la fedeltà più impegnativa riguarda il futuro. Il passato e la tradizione non sono il riferimento assoluto, e il cammino della nostra vita non è tutto predeterminato e definibile a priori. Anche la vita consacrata segue i sentieri dell’umanità, dove tutto è in evoluzione.             Gli ideali e valori che guidano un istituto di persone consacrate sono sempre formulati e vissuti in modo provvisorio e parziale. Fedele al carisma, infatti, è chi ne permette e facilita un’espressione adeguata all’oggi: i suoi gesti esprimono un’adesione e una tensione sincera ai valori della tradizione in cui si è inserito, ma che con le sue scelte cerca di sviluppare.              L’importante è aver chiaro qual è il progetto che ci tiene insieme. È la chiarezza sul progetto che crea le basi per l’unità e la comunione e la testimonianza della comunità. Di per sé la comunione non è lo scopo ultimo della nostra vita religiosa. Lo scopo è e rimane sempre conoscere Dio, dimorare in Lui,  giungere  alla piena maturità di Cristo e godere della Vita in pienezza (cfr. Gv 13,15.17); la ricerca di unità e comunione è l’atteggiamento che ci consente di rimanere sempre aperti ad accogliere e vivere questo dono.             E noi, abbiamo chiarezza sul progetto da realizzare? g. Siamo un cantiere sempre in costruzione. Ho trovato molto bella una definizione della comunità vista come « il luogo dei passaggi verso l’amore » (J. Vanier). È vero! Fare comunione – in famiglia come in comunità – comporta passaggi decisivi per il proprio divenire persone e credenti adulti. Il passaggio dall’egoismo all’amore, dalla paura alla fiducia, dal litigio all’unità, dalla menzogna alla verità, dalle teorie, dai sogni e dall’idealismo alla realtà, dalla vanagloria alla gloria di Dio... La comunità è, in sé stessa, una realtà fortemente evolutiva. È un’offerta di vita che può favorire la scoperta di sé, di ciò che si può divenire e ci si sente chiamati a essere, sia come singoli che come gruppo. La costruzione della propria identità è un processo che avviene soltanto accettando di stare di fronte all’altro, alla sua diversità, lasciandosi mettere in questione, mantenendosi in uno stato di costante ricerca. M. GRAZIA VIRDIS, Frutto in maturazione Vivere insieme chiede di essere sempre disponibili al cambiamento, e cichiama a vivere in un atteggiamento di continuo distacco da noi stessi e dalle cose, dagli affetti e dalle persone. Sembra un paradosso: per crescere e far crescere la sorella/il fratello nell’unità e nella comunione è necessario saper vivere il distacco, da intendere non come negazione della dimensione affettiva ma come attenzione a non dare a nulla e a nessuno il posto di Dio. h. Crescere è fare spazio alla Vita.             Secondo una visione dinamico-evolutiva, che è poi evangelica, ciascuno di noi nasce incompiuto e vive la propria storia camminando verso il suo compimento. E per giungere al nostro compimento abbiamo accolto la chiamata alla vita consacrata, nella comunità o in famiglia. Esse sono un aiuto, ma entrambe comportano molte fatiche. Il tempo trascorso fino a oggi in famiglia e in comunità penso ci abbia insegnato che i nostri cambiamenti non sono avvenuti per un volontaristico programma personale steso a tavolino, ma perché abbiamo dato spazio a nuove provocazioni della vita, a nuove situazioni: abbiamo permesso agli altri di spostare qualcosa dentro di noi, di modificare qualcosa di cui, forse, fino ad allora andavamo sicuri e orgogliosi. Noi cerchiamo la comunione perché crediamo che la Vita giunge a noi sempre attraverso gli altri: se da una parte richiede un atteggiamento di accoglienza e di apertura fiduciosa, dall’altra comporta che noi accettiamo la nostra insicurezza.              In altre parole, noi sappiamo entrare in comunione quando diventiamo vulnerabili, quando lasciamo cadere le nostre maschere e ci mostriamo così come siamo; quando ci lasciamo conoscere, apriamo la nostra porta, e non viviamo l’altro come un intruso, ma come una visita della grazia che vuol portarci vita. Non possiamo sapere in anticipo cosa ci chiederà e cosa ci porterà a cambiare dentro di noi. Crediamo però che certamente Dio vuole condurci sempre più in profondità alla verità di noi stessi, e infine - lo speriamo - alla Verità tutta intera. Possiamo accettare la nostra insicurezza e debolezza quando con fede abbiamo posto la nostra certezza nel Risorto, e speriamo nella potenza generatrice di vita della sua presenza in comunità.             Ci vuole coraggio per vivere tutto questo! Perché non esisto solo io con le mie sicurezze personali. Esistono anche gli altri attorno a me, e mi lanciano continui stimoli che mi mettono in questione. Se li so accogliere posso crescere e scoprire la ricchezza mia e dell’altro in ordine al compimento della nostra identità di figli di Dio: giungere alla libertà di amare come ama Dio. Se invece temo la mia insicurezza mi irrigidisco sulle mie posizioni, non accetto le provocazioni che mi portano nuova vita, e non mi trovo bene con gli altri.             Ci vuole fiducia per vivere così il rapporto fraterno in comunità/famiglia. Dare fiducia è il senso profondo dell’amore. Dio si fida dell’uomo in modo totale. Egli ha messo nelle nostre mani il mondo, il Figlio, la Chiesa, tutto... crede nella nostra capacità di portare frutto e, senza scandalizzarsi delle nostre imperfezioni e infedeltà, ci invita a fare altrettanto con i nostri fratelli.             Se proviamo seriamente a vivere questa fiducia, la nostra ricerca di comunione ci vedrà servitori del Bene che è presente nella sorella/nel fratello, forti della “speranza attiva” che ci porta a giocare tutto su ciò che l’altro ancora non è ma potrebbe divenire con l’aiuto del nostro sostegno fraterno. i. Chiamati perché peccatori, uniti perché salvati. E infine viene da chiedersi: perché mai Dio ha affidato a creature deboli come noi il Sint unum, il buon messaggio della unità e della comunione trinitaria? Cosa possiamo fare di fronte al nostro limite, alle nostre paure e debolezze così evidenti?             E se stesse proprio qui la sfida e la testimonianza della vita consacrata? Una vita insieme, camminando ogni giorno alla ricerca dell’unità e della comunione, senza scandalizzarci delle debolezze e delle povertà nostre e degli altri. Dio ci ha chiamati così come siamo... e Lui sa bene cosa ci chiede, perché non vede solo i nostri difetti ma anche i nostri talenti.             Nessuno è perfetto! Non lo erano i primi discepoli, e non lo siamo neppure noi. Con tutto il fardello della nostra debole umanità noi siamo chiamati a rendere visibile l’onnipotenza della Grazia di Dio nelle nostre fragilità e la sua sovrabbondanza proprio lì dove abbonda il nostro peccato (cfr. Rom 5,20). Mi sembra che sia questo il messaggio che papa Francesco ci sta mandando con forza e perseveranza dall’inizio del suo pontificato. Se crediamo nella buona notizia dell’amore di Dio e vogliamo viverla, nelle nostre case si dovrebbe vedere che nessuno si scandalizza se le cose non vanno sempre bene, se i programmi non riescono, se i fallimenti bussano alla nostra porta, se non ci sono i risultati previsti... perché crediamo che la Grazia sovrabbonderà anche lì dove noi leggiamo i segni del fallimento. La Grazia ci trasformerà se ci rendiamo disarmati e disponibili alla conversione, se non usiamo le nostre debolezze come giustificazioni, ma continuiamo a cercare anzitutto il Regno di Dio e la sua giustizia.             Allora la nostra vita diventa segno. Segno del Risorto che dà continuamente la vita a chi si rende disponibile ad accoglierla. L’accoglienza della sua volontà di comunione diventa in noi decisione di prestare a Dio le nostre mani, le labbra, il cuore... perché il suo amore trovi spazio nella nostra storia di uomini.             Smettiamola di guardarci con occhi di giudizio, di tormentarci – spesso solo a parole – con i sensi di colpa per le nostre incoerenze come consacrati.             Sarebbe molto più produttivo, proprio a livello di testimonianza, riconoscerci peccatori senza fare dei drammi, e accogliere la salvezza di Cristo ogni volta che ci troviamo vuoti e sconfitti per le nostre infedeltà e per le nostre resistenze. Chi sa mettersi in questione fa circolare lo Spirito e cammina con i suoi fratelli, libero di esprimere in forme sempre nuove la sua comunione con il cuore di Cristo, in un atteggiamento di conversione permanente. La gente che ci guarda, allora,  non avrà più paura di Dio se potrà vedere noi che, ogni volta che ci troviamo a terra, ci rialziamo prontamente con il sorriso di chi sa di essere amato e salvato, e può riconoscere questa salvezza nel gesto accogliente e riconciliante della sorella/del fratello. M. GRAZIA VIRDIS, Cuore di luce  P. Enzo Brena scj Domande per la riflessione/condivisione · Quali ostacoli/resistenze sperimentiamo più frequentemente nello stabilire tra noi relazioni di comunione? · Se è vero che siamo sempre in crescita, che cosa concretamente ci frena/ci impedisce di accogliere gli stimoli quotidiani alla nostra conversione/crescita? · Il più grande ostacolo alla libertà, alla comunione e alla gioia di vivere siamo noi stessi! Che cosa mi sono proposto personalmente per stare in un cammino di libertà evangelica? Che cosa suggerisco e propongo alla comunità? · Un grande ostacolo all’amore-comunione è il legalismo, per il quale contano più le regole (e le abitudini personali!) che il Vangelo! Che cosa stiamo facendo e come ci stiamo aiutando su questo punto? Quanto la nostra via è vissuta con il cuore aperto? · Come percepisco il mio limite personale? Quanto vigilo sul pericolo di una vita vissuta in modo “pelagiano” o “gnostico”? Quanto credo nella grazia e nella salvezza gratuita di Dio? e quanto la vivo nei confronti degli altri?
come vivere la nostra secolaritÀ oggi alla luce dei cambiamenti sociali ed ecclesiali
 
                 (Seconda parte ) Toccare con mano, sullo stile del samaritano… (…presentando il volto della misericordia e della tenerezza). Ha a che fare con la missionarietà. Sempre nel discorso consegnato all’Udienza con i Responsabili degli Istituti secolari italiani papa Francesco afferma: “In forza dell’amore di Dio che avete incontrato e conosciuto, siete capaci di vicinanza e di tenerezza. Così potete essere tanto vicini da toccare l’altro, le sue ferite e le sue attese, le sue domande e i suoi bisogni, con quella tenerezza che è espressione di una cura che cancella ogni distanza. Come il Samaritano che passò accanto e vide e ebbe compassione. E’ qui il movimento a cui vi impegna la vostra vocazione: passare accanto ad ogni uomo e farvi prossimo di ogni persona che incontrate, perché il vostro permanere nel mondo non è semplicemente una condizione sociologica, ma è una realtà teologale che vi chiama ad uno stare consapevole, attento, che sa scorgere, vedere e toccare la carne del fratello”. In EG al n.49 scriveva: “Preferisco una Chiesa accidentata, ferita e sporca per essere uscita per le strade, piuttosto che una Chiesa malata per la chiusura e la comodità di aggrapparsi alle proprie sicurezze. Non voglio una Chiesa preoccupata di essere il centro e che finisce rinchiusa in un groviglio di ossessioni e procedimenti. Se qualcosa deve santamente inquietarci e preoccupare la nostra coscienza è che tanti nostri fratelli vivono senza la forza, la luce e la consolazione dell’amicizia con Gesù Cristo, senza una comunità di fede che li accolga, senza un orizzonte di senso e di vita. Più della paura di sbagliare spero che ci muova la paura di rinchiuderci nelle strutture che ci danno una falsa protezione, nelle norme che ci trasformano in giudici implacabili, nelle abitudini in cui ci sentiamo tranquilli, mentre fuori c’è una moltitudine affamata e Gesù ci ripete senza sosta: “Voi stessi date loro da mangiare”. Considerazioni. Anche la preoccupazione per le vicende prettamente sociali rientra nello spirito missionario della Chiesa di papa Bergoglio, perché il Vangelo è per tutti e, se qualcuno può essere privilegiato da questo movimento ‘in uscita’, questi deve essere il povero, colui che è stato ferito nella battaglia della vita e cerca qualcuno che gli sia prossimo. La missionarietà è insita nella consacrazione secolare: la consacrazione, dicevamo, consiste nel dedicarsi al progetto di Dio sulla storia e la secolarità consiste nell’abitarla, condividendone “gioie e speranze, tristezze e angosce”. Da questa posizione, che per noi costituisce un vero e proprio stato di vita, si impone la testimonianza del Vangelo. La profezia sta nella chiamata a soccorrere senza giudicare, a evidenziare il positivo all’interno di qualsiasi situazione, a “non aver paura della tenerezza”, a rivalutare tutte quelle virtù umane che rendono vero ogni tipo di rapporto e solidale l’impegno per un mondo nuovo. … nella povertà, gratuità, disponibilità Se la radice della testimonianza è l’amore gratuito di Dio e la scelta di Cristo, il segno caratteristico è la gratuità, la semplicità, il disinteresse, la pace. Questo atteggiamento spirituale di povertà-gratuità ci libera da quell’ansia di dover fare, organizzare, proporre, convertire… per verificarci su come viviamo noi la fede, l’amore, il perdono, la pace, il rapporto con le persone, la condivisione con chi soffre. Spesso il fare per gli altri diventa una scusa per non verificare noi stesse. Un altro aspetto della povertà riguarda i mezzi. Il grande, unico mezzo scelto da Gesù per la missione è la persona, quelle persone concrete che lo seguivano. Possiamo anche usare mezzi moderni, sussidi aggiornati per attirare la gente, ma il vero, unico mezzo della missione siamo noi, la nostra persona, quello che noi siamo e cerchiamo di diventare. Gesù non si è servito dei grandi mezzi, anche se ne aveva la possibilità: non ha chiamato studiosi ed esperti, che pullulavano anche a quel tempo; non ha costruito scuole bibliche o un grande tempio alternativo a quelli di Gerusalemme e del Garizim. Ha scelto delle persone e le ha mandate. Ha stabilito con esse un rapporto personale e le ha mandate a creare, a loro volta, dei rapporti personali (di casa in casa), portando un primo annuncio essenziale: la pace, l’amore di Dio che è Padre, la fiducia, la speranza. … nell’ordinarietà La secolarità consacrata è l’esperienza di donne e di uomini che amano la vita, che vivono con gioia la loro esperienza familiare e sociale, le relazioni con gli amici e con i vicini di casa, la politica e la professione. I laici consacrati sono persone che sanno apprezzare l’umanità in tutte le sue dimensioni: affetti, responsabilità, fatica, amore; che sanno dare un senso alle esperienze difficili che segnano l’esistenza di tutti: la malattia, il dolore, il limite, la solitudine, la morte. L’ordinarietà è la paziente assimilazione delle condizioni comuni del vivere: i linguaggi della gente comune, i linguaggi familiari, i ritmi vitali, le sfumature delle situazioni, i conflitti quotidiani, le pene consuete, le fatiche di chi ci vive accanto, gli aspetti sociali e individuali del vivere. L’ordinarietà vissuta in pienezza esprime lo spessore del nostro radicarci nella storia. Una secolarità vera detesta gli artifici, i privilegi, le corsie preferenziali, quelle che magari portano ad avere un posto di primo piano, un trattamento migliore, nell’ambito dei ruoli e delle responsabilità che si assumono.v La secolarità consacrata ci colloca nelle “condizioni ordinarie della vita”. Dovremmo tentare di non cadere nello schematismo: ci sono condizioni ordinarie e condizioni straordinarie, dove l’accento sulla straordinarietà assume il tono di una maggiore valorizzazione…..quasi che l’ordinarietà fosse condizione di serie B. Allora potremmo chiederci: “Che cosa dire della nostra disponibilità al nascondimento, della discrezione con cui viviamo in mezzo agli altri? Che cosa dire del nostro modo di vivere le condizioni ordinarie? Come fare perché la nostra vita non si trasformi mai in una ostentazione? In un’esibizione della nostra bravura? Rivalutare il senso di appartenenza… (…alla propria comunità vocazionale, dove si sperimenta l’essere Chiesa povera per i poveri e si diventa “antenne”). Ha a che fare con la fraternità. Il discorso consegnato dal Papa all’Udienza del 10 maggio 2014 conteneva anche questa affermazione: “E’ urgente rivalutare il senso di appartenenza alla vostra comunità vocazionale che, proprio perché non si fonda su una vita comune, trova i suoi punti di forza nel carisma. Per questo, se ognuno di voi è per gli altri una possibilità preziosa di incontro con Dio, si tratta di riscoprire la responsabilità di essere profezia come comunità, di ricercare insieme, con umiltà e con pazienza, una parola di senso per il Paese e per la Chiesa, e di testimoniarla con semplicità. Voi siete come antenne pronte a cogliere i germi di novità suscitati dallo Spirito Santo, e potete aiutare la comunità ecclesiale ad assumere questo sguardo di bene e trovare strade nuove e coraggiose per raggiungere tutti”. EG ai nn.91-92 approfondisce: “E’ necessario aiutare a riconoscere che l’unica via consiste nell’imparare a incontrarsi con gli altri con l’atteggiamento giusto, apprezzandoli e accettandoli come compagni di strada, senza resistenze interiori. Meglio ancora, si tratta di imparare a scoprire Gesù nel volto degli altri, nella loro voce, nelle loro richieste. E’ anche imparare a soffrire in un abbraccio con Gesù crocifisso quando subiamo aggressioni ingiuste o ingratitudini, senza stancarci mai di scegliere la fraternità. (…) Proprio in questa epoca, e anche là dove sono un ‘piccolo gregge’ (Lc 12,32), i discepoli del Signore sono chiamati a vivere come comunità che sia sale della terra e luce del mondo (cfr Mt 5,13-16). Sono chiamati a dare testimonianza di una appartenenza evangelizzatrice in maniera sempre nuova. Non lasciamoci rubare la comunità!”. Considerazioni. Le relazioni costituiscono il tessuto su cui ricamare la ricchezza dei nostri carismi. Senza relazioni tutto si sfalda. E parlo delle relazioni esistenziali nei diversi ambiti di vita e di lavoro, nelle diverse situazioni psicologiche e sociali, in famiglia, nella comunità cristiana e in quella civile, relazioni di cui l’esperienza del gruppo diventa autentico “laboratorio”. Le ricadute più significative sono quelle del perdono, della collaborazione, del discernimento comunitario, della fraternità. La fraternità porta a stare sullo stesso piano, non ammette superiorità o sudditanza, richiama il concetto di creaturalità, porta ad accogliere povertà e fragilità proprie ed altrui, motiva lo scambio non solo in termini di intesa psicologica, ma soprattutto di condivisione della fede e degli impegni. La comunità vive delle esperienze di ciascuno dei suoi membri, gioisce e soffre con loro e attraverso queste esperienze viene a contatto con il mondo e con la storia, imparando a cogliere i segni della presenza del Risorto e irradiando il gusto dell’appartenenza. La profezia sta nella chiamata a vivere le relazioni interpersonali, soprattutto all’interno dei nostri gruppi, non come una circostanza ma come il luogo dell’ascolto, del dono di sé, della ricerca e della testimonianza della propria identità. Trasmettere la gioia… (…dell’incontro con Cristo e della vicinanza ai fratelli). Ha a che fare con la spiritualità. Sempre nel discorso del 10 maggio leggiamo: “Insieme ed inviati, anche quando siete soli, perché la consacrazione fa di voi una scintilla viva di Chiesa. Sempre in cammino con quella virtù che è una virtù pellegrina: la gioia”. Del tema della gioia è intrisa tutta l’EG. Si apre così: “La gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù. (…) In questa Esortazione desidero indirizzarmi ai fedeli cristiani, per invitarli a una nuova tappa evangelizzatrice marcata da questa gioia e indicare vie per il cammino della Chiesa nei prossimi anni” (n.1). “Per essere evangelizzatori autentici occorre anche sviluppare il gusto spirituale di rimanere vicini alla vita della gente, fino al punto di scoprire che ciò diventa fonte di una gioia superiore” (n.268). Considerazioni. Non è un generico invito alla gioia, ma la sottolineatura che la gioia è, nello stesso tempo, contenuto e forma dell’annuncio. La consacrazione secolare mette in comunione piena con la sorgente della gioia, che è Cristo Gesù e il suo Vangelo, e nello stesso tempo domanda una testimonianza che passa più attraverso la vita che la parola. Se i nostri occhi non sprizzano gioia vuol dire che non abbiamo incontrato veramente il Signore e la nostra fede appare stanca, faticosa, senza attrazione. Acutamente Paolo VI, nell’esortazione apostolica Gaudete in Domino (9 maggio 1975) – uno dei testi più belli del suo magistero pastorale – afferma: “Ci sarebbe bisogno di un paziente sforzo di educazione, per imparare o imparare di nuovo a gustare semplicemente le molteplici gioie umane, che il Creatore mette già sul nostro cammino: gioia esaltante dell’esistenza e della vita; gioia dell’amore casto e santificato; gioia pacificante della natura e del silenzio; gioia talvolta austera del lavoro accurato; gioia e soddisfazione del dovere compiuto; gioia trasparente della purezza, del servizio, della partecipazione; gioia esigente del sacrificio. Molto spesso, partendo dalle gioie naturali, il Cristo ha annunciato il regno di Dio” (n.1). Nelle relazioni secolari, le più diverse, il primo impatto è dato proprio dalla capacità di irradiare serenità, fiducia, entusiasmo. La comunicazione della fede ha come obiettivo la pienezza della vita, del suo senso, della sua realizzazione, della sua felicità. La gioia del cristiano non è frutto della fuga dalle problematiche del quotidiano, ma certezza, anche nella prova, dell’amore del Signore che ci raggiunge, ci coinvolge e ci salva. Così testimoniare è la gioia di poter annunciare quello che, personalmente, ci dà vita e giovinezza in cuore. Anche quando i 20 anni si sono o si saranno moltiplicati per 4 e oltre. Testimoniare è più forte delle mie fatiche fisiche, morali e spirituali. Vi auguro di conservare sempre questo atteggiamento di andare oltre, non solo oltre, ma oltre e in mezzo, lì dove si gioca tutto: la politica, l’economia, l’educazione, la famiglia… Lo stile della nostra vocazione è l’assumere questa dimensione dello stare dentro, dello stare accanto, del non appartarsi nel vivere la vita cristiana, del guardare al mondo come realtà teologica. Questa dimensione profonda, direi strutturale, ha all’origine la disponibilità a mettersi accanto, ad accogliere, a condividere ciò che è nostro con chi è in condizioni di minori risorse, a caricarsi dei pesi, a farsi prossimo, a prendersi cura sul modello del buon Pastore e del Samaritano. Che dire di noi? È vero, respiriamo tutti noi un clima di conflittualità sociale che pervade anche noi e i nostri ambienti, in cui regnano le spigolosità, le rigidità e le fatiche relazionali, che impediscono di fatto il dialogo sereno, la difesa intransigente delle proprie posizioni, precludendo un ascolto sereno dell’altro. Un clima che gradualmente ci sospinge nell’insufficiente dialogo e così non favorisce l’incontro e l’interscambio. Ma tali constatazioni ci dicono che siamo chiamate a fare un lavoro quotidiano di discernimento, imparando a leggere la cifra dell’attualità e riscoprendo i segni dello Spirito in tutto, mediante una lettura ordinaria dei segni dei tempi. «È necessario cogliere l’emergenza della vita – scrive un teologo italiano, Carlo Molari, morto da poco – le forme nuove che essa cerca di esprimere. Dobbiamo ricordare però che i segni dei tempi emergono sempre in ambiti di frontiera della vita e della storia quindi, marginali e periferici. E’ tuttavia attraverso queste frontiere che si apre un cammino verso i nuovi traguardi». Dunque, è su questi crinali del luogo, del tempo e della storia, che le nostre esperienze possono compenetrarsi e aiutarsi reciprocamente con una fecondità di vita e di pensiero. Maria Rosa Zamboni
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