Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La
COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede
centrale a Bologna, ma è diffuso in varie regioni d’Italia, in Portogallo, in
Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
All’istituto
appartengono missionarie e familiares
Le
missionarie sono donne consacrate
mediante i voti di povertà, castità, obbedienza, ma mantengono la loro
condizione di membri laici del popolo di Dio. Vivono in gruppi di vita fraterna
o nella famiglia di origine o da sole.
I
familiares sono donne e uomini,
sposati e non, che condividono la spiritualità e la missione dell’istituto,
senza l’obbligo dei voti.
News
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27 / 05 / 2020
SOLENNITA' DEL SACRO CUORE DI GESU'
Venerdì 19 giugno 2020...

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27 / 05 / 2020
SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
Sexta-feira 19 de junho de 2020...

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27 / 05 / 2020
SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
Viernes 19 de junio de 2020...

donarsi nell'accoglienza
Carissime/i,
stiamo
camminando verso la Pasqua cercando di rinnovare i nostri cuori per farli più
conformi al Cuore di Cristo. Il Papa, in questa Quaresima ci ha invitato a
recuperare l’amabilità: “… stiamo più attenti a dire parole di
incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano,
… La carità si rallegra nel veder crescere l’altro. Ecco perché soffre quando
l’altro si trova nell’angoscia: solo, malato, senzatetto, disprezzato, nel
bisogno… La carità è lo slancio del cuore che ci fa uscire da noi stessi e che
genera il vincolo della condivisione e della comunione”.[1]
Il
nostro carisma ci chiama a vivere l’amore, ad avere gli stessi sentimenti di
Cristo Gesù e la risposta è sempre concreta, per questo desidero far emergere
quello che si è vissuto come CM in quest’ultimo periodo accompagnando Lucia Maistro,
con l’affetto e la vicinanza che si è vissuta fino alla sua dipartita. “La nostra donazione trova sostegno
anche nel sentire la CM come luogo dove ci si accoglie e ci si aiuta
reciprocamente…”.[2] In vari
gruppi della nostra CM si vive una vera donazione ed attenzione alla sorella
missionaria ammalata e fragile che chiede, in molti casi, uno sforzo extra e
che è una bella testimonianza del nostro carisma di amore. Ringrazio tutte le
missionarie per questo.
Riprendendo la Lettera Programmatica
ricordiamo: “Fare dei nostri gruppi una Betania
accogliente, un luogo di incontro, di riposo, di festa … è, e sempre è stata,
la meta desiderata che esige impegno costante da parte di tutte e di ciascuna”.[3]
“Sapersi e sentirsi portatrici di
questa ricchezza produrrà certamente, frutti di fecondità, di gioia e di
speranza. In tutte le
tappe e le età della vita siamo chiamate ad essere“… una
testimonianza di comunione fraterna che diventi attraente e luminosa”.[4] Chiediamo al Signore che
rinnovi il nostro cuore per essere più famiglia, una nuova Betania aperta a
ricevere tutti.
Siamo vicine alla
celebrazione della Festa del nostro Patrono S. Giuseppe, modello di coraggio e
fiducia in Dio, Padre di tenerezza e di accoglienza; chiediamo che interceda
per noi. E nella nostra festa dell’Eccomi, Maria ci rinnovi nel servizio umile
e gioioso al Signore ed ai fratelli.
A nome del
Consiglio Centrale ricevete
un
fraterno abbraccio
ed il
nostro augurio di una
SANTA
PASQUA DI RISURREZIONE
Graciela
[1] Messaggio di Papa Francesco Quaresima 2021.
[2] Statuto CM N° 50
[3] Lettera Programmatica N° 6 pag. 16-17
[4] Lettera Programmatica N° 6 pag. 18

la tenerezza
Carissime/i,
in questi ultimi mesi la CM ha
vissuto avvenimenti significativi. Il 30 agosto abbiamo celebrato i 50 anni di
Vita Consacrata di Laura Gonçalves e il 29 settembre di Mariolina Lambo; il 20 settembre scorso la prima emissione dei voti
di Anna Pati (Rosy) . Ringraziamo il Signore per la chiamata e la risposta
generosa delle nostre sorelle che arricchiscono la nostra famiglia CM. Per
tutto questo lodiamo Dio nostro Padre e affidiamo la loro vita a Maria nostra
madre.
Con
questo numero di Vinculum si inizia a lasciare uno spazio destinato alla
formazione permanente, con la collaborazione delle Responsabili di Formazione,
che alla richiesta del CC hanno dato la loro disponibilità; ogni volta
proporranno del materiale di riflessione che ci aiuterà ad arricchire la nostra
formazione. Grazie per questo!!!
Abbiamo
già tra le mani la Lettera Programmatica (LP), è un invito a riflettere e
rinnovare il nostro Essere e Missione. Lo Spirito continuerà a parlarci nella
misura in cui ci lasceremo interpellare dal vissuto e da quanto emerso
dall’Assemblea Generale. Dal CC: ”Suggeriamo
sia a livello personale che di gruppo di porci l’interrogativo: qual è il
“nuovo” che dobbiamo incarnare o rinnovare nella nostra vita per essere Profeti
dell’amore, Missionarie con un cuore che sappia ascoltare e dialogare con
umiltà...” (LP pag 1)
Continuiamo
unite nella preghiera e offerta per le nostre sorelle e fratelli provati dalla
sofferenza fisica, la violenza e dalle varie realtà complesse che opprimono i
loro diritti essenziali. Nella LP si inizia con l’icona del Buon Samaritano che
riassume la nostra vocazione, siamo chiamate a camminare nel quotidiano
sentendoci vicine, prossime, comunicandoci la tenerezza di Dio che abbiamo
sperimentato.
“Così
potete essere tanto vicini da toccare l’altro, le sue ferite e le sue attese,
le sue domande e i suoi bisogni, con quella tenerezza che è espressione di una
cura che cancella ogni distanza. Come il
Samaritano che passò accanto e vide e ebbe compassione. È qui il movimento a
cui vi impegna la vostra vocazione: passare accanto ad ogni uomo e farvi
prossimo di ogni persona che incontrate…” (LP pag 2)
Si sta avvicinando il tempo
dell’Avvento, tempo di attesa per disporre il nostro cuore ad attualizzare la
nascita del nostro Salvatore che facendosi uomo sceglie di nascere nell’umiltà
di un presepio. Celebriamo anche la nascita della nostra CM, per questo auguro
a tutti anche a nome di tutto il Consiglio un
Santo Natale
vissuto in azione di grazia
per il regalo di questa Famiglia
In comunione
Graciela

le “parole chiave” della nostra spiritualità: semplicità
La comunione,
l’amore, l’oblazione e “la semplicità” costituiscono il “proprium” della
spiritualità del Sacro Cuore per la Compagnia Missionaria.
Lo
Statuto delle Missionarie al n. 9 delinea la modalità, il dovere di impostare
il nostro comportamento in maniera tale che balzi all’evidenza di tutti che “in
tutto e sempre” pensiamo, operiamo, siamo mossi dall’amore. È la carità di
Cristo che ci guida in ogni circostanza (cfr.2 Cor. 5,14) e dimostra agli occhi
di tutti che c’è una caratteristica tutta “nostra” di vivere e testimoniare
l’amore: la semplicità e il sorriso.
Ancora
una volta ci poniamo alla scuola di Gesù, ricordando che ciò che dà senso di
amore a tutto, e forma l’asse di equilibrio del nostro comportamento di amore
in tutto, è Lui: la sua parola e il suo
esempio.
1) La sua parola: ce la offre una pagina di Matteo 18, 1-5.
Alcune riflessioni per l’inquadratura e la
comprensione del brano:
· Perché
gli apostoli pongono a Gesù la domanda: “Chi è il più grande”? Forse per rivalità, per reciproca gelosia… Non
erano mai mancati questi sentimenti passionali nel gruppo al seguito di Gesù.
· “Grande”
vuol dire, qui, preminente, superiore agli altri in forza di questa o quella
qualità, di questo o quel potere.
· Gesù
non risponde direttamente alla domanda. Pone un “gesto simbolico”, alla maniera
dei profeti. E questo “gesto simbolico” sconvolge i sogni di grandezza
coltivati dai discepoli.
· Gesù
parla di necessità di “conversione”, cioè di mutamento radicale di pensiero e
di sentimenti perché il Regno di Dio, quello predicato da Gesù, ha una dinamica
di esigenze completamente opposte alla fame della superbia umana. “In
verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non
entrerete nel regno dei cieli”.
· Notiamo
l’introduzione che Gesù premette al suo insegnamento. Usa l’espressioni delle
circostanze solenni, le circostanze cioè importanti, fondamentali della
trasmissione della verità di Dio. Quelle che costituiranno le colonne portanti
dell’edificio della fede: “In verità vi dico…”
· “Diventare
come i bambini”: l’espressione non significa certo che Gesù voglia imporre ai
suoi seguaci di immergersi in un ideale di eterna bambinaggine. Né intende
esaltare il bambino per i suoi caratteri innegabili di bellezza e di innocenza.
Nella società ebraica il bambino era il simbolo della piccolezza, della
pochezza, del quasi “non valore”.
Gesù lo propone per questa sua posizione di
chi sta all’ultimo gradino della scala sociale. E dice che per “entrare nel
regno di Dio”, cioè nella pienezza di verità e di grazia che egli ha portato
dal cielo, bisogna farsi piccoli, modesti, senza pretese, stimarsi sempre
super-considerati dalla benevolenza altrui, lasciar cadere pensieri e
atteggiamenti di orgoglio, sogni di autoesaltazione… In una parola vivere in
quell’atteggiamento di fede che esprime e compendia una caratteristica
originale del nostro carisma C.M.: la
semplicità.
2) L’esempio di Gesù
Il Vangelo
di Luca ci racconta un momento della passione di Cristo che è altamente
espressivo dello spirito di pazienza e di semplicità con cui dobbiamo
affrontare le situazioni.
“Frattanto
gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano, lo percuotevano, lo
bendavano e gli dicevano: “Indovina chi ti ha percosso”. E molti altri insulti
dicevano contro di Lui” (Lc.22,63-65).
Riflettiamo sul significato di questa scena
e sull’atteggiamento di Gesù.
MATTHIAS GRUNEWALD, Cristo deriso, 1504-5, Alte Pinakothek, Monaco.
· Innanzitutto
localizziamo il luogo della scena: sono i locali del corpo di guardia del
sinedrio. Forse il più lurido: la prigione.
· Chi
sono coloro che offendono così Gesù? Sono delle guardie, dei servi, cioè
persone a loro volta umiliate e offese, quindi abituate anch’esse a ricevere
umiliazioni, offese, forse percosse da parte dei superiori, abituate a dover
riconoscere che il diritto è del più forte, di chi ha saputo e potuto
usurparselo.
Ma questa volta si trovano davanti qualcuno più debole di loro, più
fragile. E così sfogano su di Lui tutta
l’amarezza della loro vita. Forse non c’è malvagità, cattiveria pura nel loro
comportamento. Però è doloroso dover constatare che l’uomo costretto a vivere
una vita quasi impossibile, appena ne abbia la possibilità sappia scatenarsi
con tanta brutalità su chi è più debole di lui.
· Cosa
fanno contro Gesù? Lo provocano e lo colpiscono in ciò che è più caratteristico
in Lui: la sua qualità di profeta: “Indovina
chi ti ha colpito”? Ma Gesù tace.
Forse con stupore si chiedono: ma perché quest’uomo non reagisce? E si beffano
di lui, come di un illuso, di un falso profeta.
· Come
reagisce Gesù? Soprattutto con il silenzio che accetta con suprema mansuetudine
la villania che lo circonda. Ma Giovanni ci dice che, al momento opportuno,
anche Gesù parlò. Senza fremiti di rabbia, senza reazioni scomposte, ma con
molta limpidezza domandando al servo del Sommo Sacerdote che l’aveva
schiaffeggiato: “Se ho risposto male (alla domanda fatta dal sommo sacerdote) dimostramelo; ma se ho parlato bene, perché
mi percuoti?” (cfr. Gv. 18,23).
Essere buoni, essere semplici non significa
accettare nel silenzio tutti i soprusi. L’esempio di Gesù ci insegna anche a
parlare, a domandare, a far riflettere, a portare chi ci sta dinanzi a
domandarsi la ragione del compimento di certi atti di superbia, di prepotenza,
di cattiveria. E tutto questo, per aiutarlo ad essere e a comportarsi in ogni
momento con dignità umana che rispetta e venera la libertà altrui. (continua)
(dagli
scritti di P. Albino)

profeti nella storia e voce credibile nella chiesa
Dall'Assemblea Nazionale delle Responsabili della CIIS
Premessa
· Con questa
Assemblea apriamo un nuovo triennio della CIIS.
· Rinnoviamo
quindi impegno e obiettivi:
- l’impegno
di camminare insieme come Istituti nella Chiesa, cercando tutte le sinergie per
aiutarci nel discernimento di come stare nel mondo oggi, in questo grande
cambiamento d’epoca, nella modalità specifica della secolarità consacrata.
- L’obiettivo
di sostenere, rispettando l’autonomia di ciascun Istituto, il cammino,
soprattutto in quegli ambiti che sono trasversali a tutti gli Istituti, come ad
esempio, la formazione dei formatori, l’età anziana, il tempo della fragilità,
la formazione su temi specifici, ecc.
- La
necessità di esprimere nella Chiesa le istanze del mondo, nell’attenzione ai
segni dei tempi, con l’atteggiamento umile di chi ascolta e non presume di sé.
· Per dare
forma all’impegno e rimettere a tema gli obiettivi, siamo partiti ascoltando quanto emerso nell’assemblea
del maggio scorso, a partire:
- dalla
relazione di fine mandato di Marisa;
- dal
contributo alla riflessione di Daniela L.
- dal
dibattito.
· Innanzitutto,
l’Assemblea ha più volte richiamato l’importanza di continuare nella
riflessione circa la modalità tipica della nostra presenza nel mondo, in
particolare, “come” essere presenti nella realtà attuale, con la freschezza
delle origini e, contemporaneamente, con la necessità di tradurre il carisma
nell’oggi, custodendone il nucleo essenziale e rinnovandone i modi per
attuarlo, secondo le esigenze del tempo.
Programmazione Assemblee
o Per
rispondere alle sollecitazioni emerse è parso indispensabile prendere
seriamente in considerazione quanto Papa Francesco ci ricorda: “Siamo in un cambiamento d’epoca”.
o Quindi un primo passaggio (Assemblea novembre 2019)
è proprio quello di mettere a tema le ricadute
che le caratteristiche di questo cambiamento d’epoca hanno sul vivere collettivo ed individuale.
o In questa
prospettiva, è fondamentale rimettere all’ordine del giorno il tema del discernimento. Non si tratta di
aggiungere ulteriori analisi del contesto, ma di imparare ad attraversare le
domande che esso pone, individuando criteri ed atteggiamenti che possano
aiutare a discernere come stare e quali
scelte compiere nella storia complessa di oggi, a partire dalla nostra vita
quotidiana.
o Quando si
parla di discernimento, si pensa immediatamente all’agire personale, ma, oggi, è indispensabile, prima di tutto,
mettere in atto un discernimento storico,
cioè cercare di capire i caratteri della situazione, di valutarli alla luce
della fede, al fine di cogliere il senso profondo degli avvenimenti. Si tratta,
quindi, di operare un discernimento
storico che coinvolge, subito dopo, il discernimento
comunitario e quello personale:
non si tratta, banalmente, di un “prima” e di un “dopo” di carattere
cronologico, quanto, piuttosto, di un metodo
che deve diventare abituale, proprio per poter assumere in modo autentico e
profetico la responsabilità del vivere la
nostra consacrazione secolare.
o È dalla
comprensione/interpretazione della realtà che discende la capacità/libertà di
mettersi in gioco.
o Un secondo passaggio (assemblea di maggio
2020) potrebbe affrontare, quindi, il tema del discernimento, nelle diverse sue forme, in particolare il discernimento storico e il discernimento
comunitario: innanzitutto, vedere e comprendere il contesto, alla luce del
cambiamento d’epoca, per cogliere come esso interpella la nostra vocazione e
quali priorità indica.
o I mutamenti
continui (in particolare il continuo mutamento culturale), per essere letti ed
interpretati, chiedono una puntuale preparazione.
o Il tema della formazione potrebbe costituire
un terzo passaggio (autunno 2020):
ü Sarebbe importante definire “che cosa è formazione
oggi” se:
o la formazione è
dare/prendere forma;
o la formazione non
è solo trasmissione di conoscenze;
o la formazione è
contenuto e insieme relazione (che si instaura nel trasferire il contenuto
medesimo), tra chi educa (l’autorità nelle diverse accezioni) e chi accoglie la
proposta educativa:
o oggi siamo
in presenza di un certo indebolimento della figura dell’autorità: quali
conseguenze nel rapporto educativo.
o Ci troviamo in un
contesto in cui la formazione spesso subisce la pretesa psicologica di essere
assoluta, rischiando così di rendere marginale la dimensione spirituale della
vita cristiana.
ü Sarebbe importante comprendere quale formazione
offrire in un contesto in cui:
o La fede cristiana
appare estranea alla società in cui viviamo;
o Non sembrano più
possibili criteri condivisi circa ciò che è “vita buona”;
o Sembrano
prevalere criteri unicamente soggettivi che rispondono esclusivamente ad
esigenze individuali……benessere;
o Viene
continuamente rimosso il concetto di bene comune;
o Tempo di
pluralismo e di relativizzazione;
o La nostra
esperienza personale di fede è connotata dalla solitudine;
o Il contesto ci
pone sfide inedite;
o La nostra è una
fede esposta all’incertezza causata dai continui mutamenti, in una situazione
in cui non vi è il sostegno di una comunità “stabile”, nella consapevolezza che
ciò, talora, può produrre la tentazione di cercare protezione e riparo in un
concetto di comunità diverso da quello di chi vive condizioni di diaspora.
ü Quale metodo formativo:
o Il metodo deve
favorire la lettura critica del vissuto, la quale non si accontenta del
“racconto” di quanto accade nella vita quotidiana di ciascuna, ma che,
attraverso contenuti adeguati, che
alimentano la fede, consenta una rielaborazione dell’esperienza nella prospettiva
evangelica.
ü Rimettere a tema l’autoformazione:
o Premesso che non
esiste formazione oggettiva che non diventi anche autoformazione, sarebbe
importante chiedersi quali possibilità, oggi, per un’autentica autoformazione.
o Tutto
questo ci conduce ad una domanda fondamentale: Quale profezia nel cambiamento
d’epoca? Che cosa è chiesto agli IS? Quarto passaggio (assemblea
maggio 21)
o Un quinto passaggio
(Assemblea ottobre 2021) potrebbe riguardare l’attualità della nostra
vocazione Buone ragioni per proporre la nostra vocazione ai giovani. Come?
o Assemblea elettiva maggio 2022
Altri aspetti:
v Aggancio
con altre realtà ecclesiali per condividere pensieri, interventi, idee;
v Prosecuzione
del lavoro Osservatorio: coinvolgimento altre realtà, territorio, su proposte
culturali e sociali;
v Lavoro
insieme con CIIS diocesane e regionali: quali modalità? Convegni territoriali
in collaborazione?
v Congresso e
Assemblea CMIS importanza della partecipazione.
Carmela Tascone
(Rivista
Incontro n.1 - 2020)

l'eccomi di rosy
Anna
Pati – ma tutti la chiamano Rosy – domenica 20 settembre, nella chiesa
parrocchiale di Bibano, ha emesso i suoi primi voti nella Compagnia missionaria
del Sacro Cuore, un istituto secolare fondato a Bologna dal padre dehoniano
Albino Elegante. Quella domenica mattina per le comunità di Bibano, Godega e
Pianzano è stata celebrata un’unica messa alle 10: il parroco, don Mattiuz, ha
voluto così dare rilievo a questo evento. È stata presieduta da p. Silvano
Volpato scj, che è già stato in servizio nella comunità dehoniana di Conegliano
ed ha seguito personalmente il percorso di discernimento di Rosy. Di origini
pugliesi, da diverso tempo Rosy ha lasciato la sua terra e vive al nord: prima
in Lombardia e poi in Veneto. Da settembre si è inserita nel contesto della
parrocchia di Bibano, dove dà il suo contributo nella catechesi parrocchiale:
la si vede sfrecciare in moto, arrivare per tempo alla messa domenicale e
proclamare la Parola di Dio o suonare la chitarra per l’animazione della
liturgia.
Rosy, che
lavoro fai?
«Dopo
diversi anni di lavoro con i bambini nell’ambito della disabilità e nello sport
paralimpico come allenatrice di nuoto, attualmente lavoro come operatrice
sociosanitaria in una casa di riposo per anziani del Coneglianese: in un primo
tempo, mi sono occupata dell’accompagnamento al “fine vita”, mentre adesso
lavoro come operatrice in reparto e mi occupo dei bisogni primari di cui gli
anziani necessitano».
Perché
la scelta della consacrazione?
«Mi
è difficile spiegare. Mi lascio guidare da un brano del vangelo di Giovanni
che, con altri, ha accompagnato questo percorso: “Chi cercate? Rabbì dove
abiti? Venite e vedete” (cfr. Gv 1, 35- 42). Sono poche righe, ma
mi fanno pensare, soprattutto in questo periodo, al cammino che il Signore ha
fatto con me, portandomi attraverso strade davvero impensabili all’incontro con
lui. Essere una consacrata non è merito mio e non si regge sulle mie capacità o
su doni speciali… È lui che mi attira e mi dona un cuore capace di ascolto».
Una
scelta maturata nel tempo …
«Rileggendo
il vangelo di Giovanni, mi rendo conto di come gli incontri con Gesù sono
immersi in una realtà – la mia – già cominciata: sono conseguenza di azioni già
compiute, di scelte già fatte e non sempre scelte giuste. A volte, come i
discepoli, anch’io sono rimasta a debita distanza, guardando ma senza
incontrare».
Hai
conosciuto, anche tu, momenti difficili?
«Ho
vissuto crisi e sensi di vuoto che non si riescono a riempire semplicemente con
ciò che si conosce e si vive. Ma proprio qui Gesù, volgendomi lo sguardo, mi ha
rivolto la domanda: “Che cosa cerchi? Qual è il senso della vita che sta
vivendo? Queste domande, in un momento difficile della giovinezza, in cui nulla
sembrava avere senso, mi hanno aperto il cuore, mi hanno fatto scoprire il
desiderio di vivere in pienezza, di conoscere questo Gesù che in quel momento
mi sembrava così distante e invece mi stava amando come nessuno aveva fatto
mai».
E
poi ci sono gli incontri, le esperienze della vita …
«Guardando al mio cammino
sono state tante le esperienze e i cammini che mi hanno aiutato a maturare e a
far crescere una vita interiore e spirituale. Penso alla parrocchia, ai gruppi,
alla figura del vescovo Tonino Bello, al volontariato con i bambini…
Quest’ultima esperienza, in particolare, è stata per me una vera e propria
“scuola di vita” dove ho maturato quella spiritualità che ha acceso il
desiderio di appartenere a lui con una vita vissuta nella semplicità del
quotidiano. Davvero è stata un’esperienza forte che, unita ad altre, mi ha
educato alla consapevolezza di essere chiamata a scoprire a cosa serve la vita,
a saper discernere a cosa si è chiamati, con uno sguardo ampio e pieno di
possibilità vocazionali, a cercare di rispondere con la propria vita e con ciò
che si è ... Queste esperienze – ma anche le tante persone che Gesù mi ha messo
sulla strada – mi hanno insegnato a pregare la Parola, a pregare con la
semplicità delle mie giornate, a trasformare le piccole cose e i piccoli gesti
della mia quotidianità in preghiera…».
Perché
proprio la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore?
«Ho
incontrato la Compagnia Missionaria un po’ per caso, dopo altre esperienze,
grazie al mio padre spirituale. Mi ha colpito lo stile di vita, la capacità di
vivere le relazioni personali e con il Signore, in una dimensione di attenzione
all’altro, chiunque sia, ma anche dentro alla realtà parrocchiale, nella
Chiesa. Posso dire che quel “vieni e vedi” del vangelo di Giovanni, cioè
quell’incontro che Gesù aveva fissato e che mi è restato impresso, è stato per
me capire con chiarezza ciò che avrei voluto nella mia vita e che oggi
significa entrare nella Compagnia Missionaria, accogliendo quello stile di vita
che mi permette di vivere una relazione con lui, in un’ottica di servizio, di
gratuità e di appartenenza».
E
dopo il 20 settembre, che cosa succede?
«Cambia
il modo di vedere le cose. Accetto la sfida della vita dietro a Lui e questo
per me significa che non sono sola, ma ogni momento del mio vivere, ogni cosa
che accade nella mia giornata, diviene per me una scuola per imparare ad
ascoltare, ad amare ed agire come Lui. Non solo quando le cose vanno bene, ma
soprattutto nella fatica. Ciò significa accogliere quel “ti basta la mia
grazia… la mia forza è nella tua debolezza” di cui parla san Paolo. Guardando
avanti, scopri che stai camminando dietro a un Maestro di nome Gesù, che ti
ripete, fissando su di te il suo sguardo pieno di amore: “Vieni e seguimi”.
Sono convinta che il Signore quando chiama non toglie nulla ma dona davvero
tutto…».
Intervista a cura di Alessio Magoga

battezzati e inviati: la chiesa di cristo in missione nel mondo
Questo è stato il titolo del messaggio di Papa Francesco per la giornata
missionaria del 2019. “Celebrare questo mese ci aiuterà in primo luogo a
ritrovare il senso missionario della nostra adesione di fede a Gesù Cristo,
fede gratuitamente ricevuta come dono nel Battesimo. La nostra appartenenza filiale
a Dio non è mai un atto individuale ma sempre ecclesiale: dalla comunione con
Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo nasce una vita nuova insieme a tanti altri
fratelli e sorelle. E questa vita divina non è un prodotto da vendere – noi non
facciamo proselitismo – ma una ricchezza da donare, da comunicare, da
annunciare: ecco il senso della missione. Gratuitamente abbiamo ricevuto questo
dono e gratuitamente lo condividiamo (cfr Mt 10,8), senza escludere
nessuno. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi arrivando alla conoscenza
della verità e all’esperienza della sua misericordia grazie alla Chiesa,
sacramento universale della salvezza (cfr 1 Tm 2,4; 3,15; Conc. Ecum.
Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48)….
…È un mandato che ci tocca da vicino: io sono sempre una missione; tu sei
sempre una missione; ogni battezzata e battezzato è una missione. Chi ama si
mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona
all’altro e tesse relazioni che generano vita. Nessuno è inutile e insignificante per l’amore
di Dio. Ciascuno di noi è una missione nel mondo perché frutto dell’amore di
Dio. Anche se mio padre e mia madre tradissero l’amore con la menzogna, l’odio
e l’infedeltà, Dio non si sottrae mai al dono della vita, destinando ogni suo
figlio, da sempre, alla sua vita divina ed eterna (cfr Ef 1,3-6).”
La prima volta sono andata in Mozambico anche perché in quel periodo si
parlava molto della responsabilità sociale. C’era chi in quel periodo
s’identificava col proletariato e lottava e ammazzava per l’uguaglianza delle
classi sociali. C’era chi gridava e manifestava per l’indipendenza e
l’autonomia dei popoli.
Il concilio come cristiani ci aveva sensibilizzati alla salvaguardia delle
culture locali e al rispetto dei nostri fratelli che erano stati e ancora
venivano defraudati di tutto, anche della propria identità culturale, da regimi
coloniali. Ed io che ero nata nel Nord del mondo sono cresciuta nella coscienza
cristiana che non serviva manifestare e attizzare odio, ma era necessario
mettersi dalla parte dei fratelli del Sud del mondo per collaborare con loro
allo sviluppo, alla presa di coscienza della propria identità e fianco a fianco
risalire la china insieme. Era il vento del concilio che ci aveva
sensibilizzati al rispetto delle persone, delle culture, delle loro identità,
anche se molto diverse dal “nostro mondo”. Così appena laureata sono partita
con la mia coscienza di battezzata, cristiana sessantottina, che voleva
contestare mettendosi dal lato degli
oppressi, scegliendo la missionarietà come scelta di vita e vocazione.
In questi anni ho fatto di tutto dall’alfabetizzazione
al lavoro pastorale, dal formatore di giustizia e pace a responsabile di
progetti a livello diocesano, da organizzatrice e insegnante di università a
capo cantiere e quasi muratore; sempre tra poveri e meno poveri, tra giovani e
meno giovani ma sempre al fianco e questa è sempre stata la caratteristica che
ha creato perplessità e meraviglia, reazioni e accoglienza.
Molte volte ho trovato espressioni di meraviglia quando dichiaravo la mia
nazionalità italiana. E qualcuno, cadendo dal pero, è arrivato a chiedermi come
mai non avessi la nazionalità mozambicana. C’è stato addirittura una volta un
giovane sacerdote mozambicano che mi ha dichiarato di non avere complessi con
me e che si sentiva trattato veramente come persona senza distinzione di razza.
Sembra strano, ma questo mi ha colpito profondamente facendomi pensare a quante
volte noi inviamo messaggi negativi inconfutabili, senza volerlo, se non
crediamo profondamente nell’uguaglianza e nel rispetto della persona umana.
Dopo quasi trent’anni di questa immersione totale a pieni polmoni ho dovuto fare un cambiamento rapido, non
programmato ma obbligato, per salute dal Mozambico all’Italia. Ho cambiato il
luogo, ma non l’essere. Sono missionaria perché battezzata. Sono missionaria
anche come scelta di vita.
In Mozambico mi
occupavo di giovani, di “giustizia e pace” a livello diocesano per cui anche o
soprattutto di prigioni, di università; venuta in Italia mi sono subito
affiancata al cappellano della Dozza di Bologna, (il grande carcere che
comprende il settore penitenziario, il giudiziario che ospita quelli che
sono in attesa di giudizio e i
definitivi, e in una struttura totalmente a parte ma dentro lo stesso alto recinto,
c’è anche il carcere femminile), e per ora vado tre volte a settimana.
La domenica si va per l’animazione delle messe: vengono celebrate ogni
domenica 5 messe ognuna in un settore differente. Io ho scelto di andare nella
chiesa grande dove molti volontari preferiscono non andare in quanto è molto
dispersiva, a volte impersonale e non aiuta la partecipazione anche perché
molti detenuti vengono per incontrarsi con altri conoscenti o parenti che sono
detenuti in altri bracci e lì possono incontrarsi e scambiare due chiacchiere.
Mi sono messa
nella posizione di catechista che, stando in mezzo a loro, insegna, facendo e
mostrando, come si partecipa e come si risponde.
Essendo la mia presenza costante, ho finito con l’essere uno dei punti di
riferimento. E proprio l’altro giorno mi è capitata una cosa inaspettata: la
messa non era ancora cominciata ed io stavo studiando quale poteva essere,
strategicamente, il posto più conveniente per sedermi.
I miei criteri
di scelta sono: individuare il gruppo più squinternato magari di musulmani
venuto lì solo per fare due chiacchiere o di stranieri che non conoscono la
lingua e non riescono neanche a seguire dal foglietto, mentre facevo queste
osservazioni mi sono seduta dietro tre signori italiani avanti in età che mi
rivolgono subito la parola salutandomi e chiedendomi come mai non fossi andata
la domenica precedente e dichiarandomi che si era notata la mia assenza. Primo
colpo inaspettato, poi così, quasi d’improvviso, mi chiedono: «Noi non abbiamo
la faccia da criminali vero?». Sembrava che volessero leggere nel mio cuore,
poi quasi facendo un loro profondo esame di coscienza continuano dicendo
letteralmente: «A volte sono le circostanze della vita che ti pongono in certe
situazioni», quasi ammettendo a se stessi di essere diventati criminali. Ho visto
in loro una ricerca di dignità perduta e un tentativo di capire se io li
consideravo criminali o no.
Mi sono trovata a farfugliare: chi sono io per giudicare? Sì, sì, capisco e
conosco bene certe situazioni… e ancora una volta mi sono sentita profondamente
turbata pensando alla fatica che fa la nostra società ad accogliere gli altri
come persone.
Un altro servizio che svolgo nel carcere è quello di incontrare quelli che
chiedono al cappellano il battesimo, la cresima o la preparazione al matrimonio
e facendo un primo colloquio cerco di capire le vere motivazioni. Poi,
dipendendo dalle disponibilità o dalle esigenze linguistiche, il cappellano
affida all’uno o all’altro catechista, la preparazione. Anche io ho avuto modo
di accompagnare vari al battesimo fino alla cresima. Faccio questo servizio
anche per gli agenti di polizia.
Attualmente vivo in una fraternità costituita da un nucleo di residenti e
altri che vivono nelle proprie case e vengono molto spesso per incontri,
scambio di esperienze e condivisione di vita. I residenti sono due padri
dehoniani, due di noi che apparteniamo alla Compagnia Missionaria del Sacro
Cuore e un signore che, lavorando da mattina a sera, molte volte condivide con
noi solo la cena. Noi residenti facciamo anche il servizio di accoglienza di
detenuti in permessi ad horas, che,
per poterne usufruire, devono avere un riferimento in città che si
responsabilizzi. Ho visto in questi incontri gli occhi lucidi e timidi di
uomini che dopo tredici o quindici anni di detenzione trovavano qualcuno che li
accoglieva in modo semplice, spontaneo e piano piano si scioglievano sentendosi
in famiglia, qualcuno lasciandosi andare a raccontare il suo passato fatto di
errori e di grandi cadute. Dopo si instaura un rapporto tale che diventa
veramente familiare fatto anche di scherzi e di condivisione di servizi.
Oggi, in modo particolare, la nostra società è chiamata a superare la
stigmatizzazione di chi ha commesso un errore poiché, invece di offrire l’aiuto
e le risorse adeguate per vivere una vita degna, ci si è abituati a scartare piuttosto che a
considerare gli sforzi che la persona compie per ricambiare l’amore di Dio
nella sua vita. Molte volte, uscita dal carcere, la persona si deve confrontare
con un mondo che le è estraneo, e che inoltre non la riconosce degna di
fiducia, giungendo persino a escluderla dalla possibilità di lavorare per
ottenere un sostentamento dignitoso.
Impedendo alle persone di recuperare il pieno esercizio della loro dignità,
queste restano nuovamente esposte ai pericoli che accompagnano la mancanza di
opportunità di sviluppo, in mezzo alla violenza e all’insicurezza.
In questo momento però col virus, tutto è stato sospeso, rimane solo il
rapporto epistolare. Fino a quando? Non lo sappiamo.
