Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La
COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede
centrale a Bologna, ma è diffuso in varie regioni d’Italia, in Portogallo, in
Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
All’istituto
appartengono missionarie e familiares
Le
missionarie sono donne consacrate
mediante i voti di povertà, castità, obbedienza, ma mantengono la loro
condizione di membri laici del popolo di Dio. Vivono in gruppi di vita fraterna
o nella famiglia di origine o da sole.
I
familiares sono donne e uomini,
sposati e non, che condividono la spiritualità e la missione dell’istituto,
senza l’obbligo dei voti.
News
-
14 / 05 / 2021
SOLENNITA\' DEL SACRO CUORE DI GESU\'
Venerdì 11 giugno 2021...

-
14 / 05 / 2021
SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
Sexta-feira 11 de junho de 2021...

-
14 / 05 / 2021
SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
Viernes 11 de junio de 2021...

mistero e grandezza di donne incinte
«39In quei giorni Maria si alzò e andò in
fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata
nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta
ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo . Elisabetta fu colmata di
Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra
le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa
devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena
il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel
mio grembo . 45E
beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,39-45)
Una donna incinta:
sacramento di speranza. Testimone della presenza creatrice e salvatrice di Dio,
nel mondo. Attesa di una donna incinta è attesa di un popolo.
Una donna incinta
contiene, custodisce e alleva un progetto di vita, un progetto di Dio.
Una donna incinta rivela
Dio al mondo.
L'agire di Dio creatore
e padre passa attraverso un rapporto d'amore umano, attraverso il mistero che
vive nel corpo di una donna incinta.
E quando il tempo giunge a pienezza, finalmente partorirà
colei che deve partorire, colei che è sgorgata dal cuore del Creatore fin
dai giorni più remoti; il Figlio, infatti, ha le sue origini nell'antichità. Ma
nascerà dalla carne di una donna, nella piccola Betlemme. E sarà la pace del
suo popolo. Proprio perché sceglie ciò che è piccolo, come Betlemme. Ciò che non
è riconosciuto, apprezzato, ciò che non è sacro, come il corpo di una donna,
incinta.
Un Figlio che è
l'attesa, la speranza, la gioia, la salvezza.
Un Figlio che è la pace,
perché nel suo corpo compie la volontà di amore, di vita, di salvezza del
Padre.
Un corpo umano di questo
Figlio è il luogo sacro in cui si celebra e si compie la volontà del Santo.
Volontà di pace e di salvezza.
Nell'incontro di due
donne incinte si compie la proclamazione di un evangelo, lieto annuncio di
salvezza, che raggiunge l'umanità nella beatitudine della fede. Una donna
incinta porta Dio nel frutto del suo grembo e il frutto del grembo dell'altra
lo riconosce e lei è piena di Spirito Santo.
Una pentecoste che
passa attraverso i grembi di due donne incinte.
Profezia di una umanità
chiamata a diventare gravida di Dio, chiamata a generare Cristo nel mondo,
attraverso la beatitudine della fede. Come Maria di Nazaret, proclamata beata e
benedetta da Elisabetta, in casa dell'incredulo Zaccaria, sacerdote.
L'attesa, la santa
fragilità della speranza, la dolorosa tribolazione e la gioia esuberante
del parto diventano paradigma che illumina e rivela il senso della vita di ogni
persona che nasce dal grembo di una donna, per essere figlio amato del
Padre, destinato alla vita.
Perché ciò che il
Signore dice, si compirà. Per la fede.
Attraverso un cammino
misterioso e impensabile, sorprendente, come la danza di un nascituro nel
grembo di sua madre.
Come la generazione,
nella carne umana di una donna, del Verbo di Dio che deve nascere nella piccola
Betlemme, Casa del Pane.

aprire gli occhi, e la mente e il cuore
Entro
nel silenzio: del corpo
(cerco una posizione in cui stare comoda, ma concentrata e ferma), della mente,
del cuore, della bocca.
Prendo
consapevolezza della presenza di Dio, che vuole parlarmi e invoco lo Spirito
Santo.
Leggo
attentamente il brano. Se siamo in gruppo una persona proclama la
Parola:
Gv 9,1-41
In
silenzio rileggo, cercando
di cogliere, anche sottolineando, le
parole o frasi che attirano la mia attenzione, che suscitano un sentimento di
commozione, di gioia, di timore, che provocano perplessità, incomprensione…
Per
cogliere il significato di alcune frasi o parole, è utile andare a leggere ciò
che precede il brano che voglio meditare, o cercare in altri brani frasi
simili. Si tratta di leggere la Bibbia con la Bibbia.
È
molto utile entrare nell’episodio
descritto, fare la composizione del
luogo: immaginare il posto, al situazione, le persone, l’avvenimento che
viene narrato, e porre me stessa all’interno del racconto, trovare il mio
ruolo; posso identificarmi con uno dei personaggi presenti, comunque è
importante coinvolgermi in ciò che
leggo.
Medito. Se siamo in gruppo, una persona può
suggerire alcuni spunti di meditazione.
vv. 1-5: “Chi ha peccato? ….
Io sono la luce del mondo”
Se sei malato, sicuramente sei
colpevole e la malattia è la punizione del peccato. Una delle certezze più
diffuse, purtroppo anche tra i discepoli del Signore, ancora oggi! Una certezza
che rivela una non conoscenza di Dio, del Dio di Gesù Cristo. Una certezza che
scandalizza, soprattutto davanti al dolore innocente, e impedisce di incontrare
Dio, il Dio di Gesù Cristo. È misterioso il dolore, spesso incomprensibile, ma
Gesù assicura che anche il dolore può diventare strada per incontrare Dio.
Questi primi versetti sono la
chiave di lettura di tutto il brano. Siamo davanti a uno che è nato cieco, che
non ha mai visto un volto umano, il sole, i fiori… nulla. Solo buio. Poi ci
sono i discepoli di Gesù, che sono ancora in penombra, ma hanno la possibilità
di arrivare a vedere pienamente, perché chiedono luce a Gesù. Solo alla sua
luce vediamo la luce (cf Salmo 36,10), la mente e il cuore possono comprendere
la verità, rivelata da ciò che gli occhi possono vedere. E poi ci saranno altri
ciechi…
vv. 6-7: “Fece del fango …
va’ a lavarti … e ci vedeva”
Nella prima creazione Dio formò
l’uomo dal fango della terra. Ora il fango è prodotto con la saliva di Gesù, un
liquido che sgorga da lui, come lo Spirito che sgorgherà con l’acqua dal suo
costato trafitto. Quel fango è segno di Gesù stesso, l’uomo nuovo, venuto a
ricreare l’umanità a sua immagine di Figlio di Dio. Pone se stesso-luce sugli
occhi bui del cieco. E lo manda a lavarsi alla piscina di Siloe-inviato. Gesù
vuole che il cieco “collabori” alla guarigione miracolosa, chiede la sua
adesione alla sua volontà di guarirlo. Nessuno guarisce veramente se non vuole
guarire, se non fa nulla per guarire. Il cieco, necessariamente accompagnato da
qualcuno - è fondamentale la compagnia
umana – si lava alla piscina dell’Inviato e ci vede. Anche l’acqua con cui si
lava è segno di Gesù, l’Inviato del Padre per sanare l’umanità ferita e
accecata dal male.
vv. 8-12: “Non è lui? … Sono
io!”
Lo stupore e la fatica di capire
ciò che è accaduto. Inizia un processo di ricerca per comprendere ciò che si
vede, ciò che è accaduto. Cercare il significato di ciò che vediamo è
essenziale, altrimenti siamo come ciechi. Ma l’ex cieco, anche se deve fare un
percorso fino alla piena illuminazione, è già testimone di verità. Ha assunto in pieno la sua nuova
condizione: “Sono io!”. Colui che prima non vedeva è lo stesso che ora vede:
una nuova creazione è avvenuta. Nel buio del caos, Dio creò per prima la luce,
perché la luce è la radice della vita.
vv. 13-17: “Era un sabato il
giorno in cui Gesù aveva fatto quel fango”
Ci si stupisce davanti all’agire
di Dio, ma può essere uno stupore positivo, come quello dei discepoli, della
gente, oppure uno stupore negativo, quello provocato dal pregiudizio,
dall’ideologia, quando la legge e la tradizione vengono prima del bene della
persona. Il pregiudizio e l’ideologia vivono nel buio. La luce li stupisce
perché li disturba. Pregiudizio e ideologia rifiutano la luce, perché la luce
li minaccia, li vince, li uccide.
Invece di vedere l’uomo che era
cieco e ora vede, l’uomo “ricreato”, i farisei vedono solo che il fango è stato
fatto in giorno di sabato, quando era proibito fare questa azione. Quando la
legge fatta per il bene e la libertà dell’umanità diventa ideologia, si
trasforma in prigione per l’umanità.
E l’ideologia è sempre a servizio
di un potere disumanizzante.
La luce, invece, mette in crisi il potere e dà la libertà di
incamminarsi sulla via della verità: l’uomo guarito può dichiarare, anche se
non lo conosce, che Gesù è un profeta.
vv. 18-34: “Non credettero …
e lo cacciarono fuori”
Il cieco era andato a togliersi
il buio dagli occhi, lavandosi alla piscina; i farisei si bendano per non
vedere e per continuare a negare la luce: sono ridicoli. L’uomo che era nel
buio ora è felice perché è nella luce. Era al buio, come un morto nella tomba.
Ora è venuto alla luce, come un neonato, un uomo nuovo. Coloro che si arrogano
il potere di giudicare perché dicono di “vedere”, rifiutano la luce, scelgono
il buio. Negano la realtà: decidono che non era cieco. Anche i genitori
identificano il loro figlio, assicurano che era nato cieco, ma la paura del
potere impedisce loro di gioire e sostenerlo. Forse anche loro avrebbero
preferito che nulla fosse cambiato: non si troverebbero ad essere chiamati in
giudizio, con il rischio di essere scomunicati (=cacciati dalla sinagoga). E’
sempre rischioso schierarsi per la verità. Tutto il Vangelo di Giovanni mostra
lo scontro tra le tenebre e la luce, cioè tra la menzogna e la verità, tra Gesù
e i poteri del mondo. E chiede inesorabilmente di schierarsi, o per l’una o per
l’altro. Non c’è via di mezzo. “Non lo sappiamo” significa scegliere le
tenebre.
Non potendo negare ciò che è
sotto gli occhi di tutti, il bene compiuto da un uomo e ricevuto da un altro
uomo (in fondo è un’immagine di paradiso un uomo che fa il bene di un altro
uomo), per salvare un potere iniquo e geloso, quindi cieco, che si nasconde
dietro la legge e il nome di Dio, non sanno fare altro che condannare ed
escludere: cacciano l’ex cieco dalla sinagoga, cioè dalla comunione con Dio,
come se questo fosse nel loro potere. Ciechi e quindi illusi. Una condizione in
cui facilmente possiamo trovarci. Una condizione che ci rassicura e addormenta
la coscienza.
vv. 35-41: “Tu credi nel
Figlio dell’uomo?”
La scena cambia: cacciato dalla
sinagoga, l’uomo che ora vede, incontra Gesù, che non aveva mai visto. Sembra
che Gesù abbia fatto in modo di incontrarlo.
Gesù introduce l’incontro e il
dialogo con una domanda decisiva: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”. Dopo
avergli aperto gli occhi, vuole condurlo alla fede, cioè alla pienezza della
luce.
Mi metto nei panni dell’ex cieco
che ha solo cominciato a vedere. E vedo Gesù davanti a me che mi chiede: “Tu
credi nel Figlio dell’uomo?”. Resto in silenzio.
Riascolto in silenzio il dialogo
tra l’uomo e Gesù. Mi lascio coinvolgere. Sono io che chiedo: “Chi è, Signore,
perché io creda in lui?”. “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Davvero
voglio sapere chi è per poter credere? Davvero lo vedo davanti a me? Davvero lo
ascolto per vederlo? Perché non potrò vederlo, se non lo ascolto. La sua Parola
è la luce.
Posso rispondere: “Credo,
Signore!”, prostrandomi davanti a lui? Sono un ex cieco che arriva alla piena
illuminazione?
Egli è la luce e la luce giudica,
perché rivela la verità, perché manifesta l’amore. E allora gli chiediamo:
“Siamo ciechi anche noi, Signore?”. Se è così, vinci le nostre tenebre con la
dolce violenza della tua luce, perché non restiamo nel nostro peccato. Dacci il
desiderio della tua luce!
Se siamo in gruppo, dopo qualche momento di silenzio, è bene fare
la condivisione, dove ciascuno
parla e ascolta, senza discussione. È lo Spirito che parla in ognuno.
Infine prego o preghiamo a partire dalla Parola ascoltata.

sint unum
Vivere la comunione e farsi comunione
“Padre santo, custodisci
nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come
noi…” (Gv. 17,11b). “Io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li
ho custoditi…” (Gv.17,12a). “E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data
a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me,
perché siano perfetti nell’unità…” (Gv. 17,22-23a).
Queste parole
vengono pronunciate in un contesto di grande solennità, di altissima comunione
Trinitaria e di intenso “pathos”. Non ci sorprende che queste stesse parole
abbiano toccato il cuore attento e sensibile di P. Dehon fino al punto da
trasformarsi in una delle leve più stimolanti della sua vita ed in uno dei
motti del suo messaggio. Non sorprende che le stesse continuino a toccare il
cuore di quelli e di quelle che si sono messi alla sequela di Cristo, secondo
lo stile dehoniano.
La comunione come realtà e come appello
Per
noi, della Compagnia Missionaria, la realtà e l’appello contenuti in queste
parole, sono al centro della nostra vita e della nostra missione. Come
missionarie del Sacro Cuore, “siamo chiamate a vivere la vita di amore sino
a farci comunione con Dio e con i fratelli…” (St. nº6).
Mi
pare importante intendere la comunione, prima di tutto, come l’inserimento
gratuito, da parte di Dio, nel dinamismo della Sua vita Trinitaria. Prima di
essere un impegno, una risposta mia, è un dono e una realtà già presente nel
mio essere e nel tessuto della mia esistenza. Questa certezza è stata e
continua ad essere decisiva sia per la mia crescita che per quella di coloro
che sono stata chiamata ad accompagnare nel cammino di formazione.
Intendere
la comunione alla luce della sua matrice Trinitaria, comporta anche altre
conseguenze importanti. Quando facciamo autentica esperienza di Dio comunione
di persone, nella misura in cui entriamo nella Sua intimità, sperimentiamo
proprio che l’intimità non si oppone alla differenza, anzi cresce insieme a
questa. La distanza e l’alterità assolute non significano separazione. Questo
ha delle implicazioni nel nostro modo di intendere le relazioni con gli altri:
anche qui la distanza significa la dualità che permette il riconoscimento, lo
spazio dell’incrocio di sguardi che fa progredire la comunione, il luogo
dell’altro come colui che non è per niente la proiezioni di me o un semplice
doppio. Accettazione della differenza, riconoscimento del mistero dell’altro,
salto per una libertà che non è caduta nell’isolamento e nella solitudine ma
l’inaugurarsi di un regno dove pluralismo e solidarietà di uomini e donne, sono
atteggiamenti che si possono sviluppare nella misura in cui ci esponiamo al
calore della vita Trinitaria, nella misura in cui ci lasciamo liberamente
condurre nel dinamismo della sua VITA.
Coscienza delle rotture…
Ho
detto e dico molte volte, a me stessa e alle altre missionarie più giovani che
sono stata e sono chiamata ad accompagnare, che avendo la comunione un luogo
così centrale e così decisivo nella nostra vita e nella nostra missione, tutte
le rotture, anche quelle che sembrano insignificanti, sono da noi avvertite e
sentite come qualcosa di grave.
Ricevere un carisma è, in un certo
modo, diventare esperte di un determinato dono. È come se fossimo chiamate ad
essere nella Chiesa e nel mondo artigiane di comunione… e, nel frattempo,
verifichiamo che anche noi siamo capaci di creare dinamismi che non favoriscono
o che provocano proprio la rottura della stessa comunione.
A questo
proposito evocherò quello che è successo un Giovedì Santo, in uno dei nostri
gruppi. Era un giorno molto bello di una Primavera che già si annunciava. La casa dove abitavamo era una
bella casa antica dove abbondava il legno. Avevamo fatto pulizie, il pavimento
passato a cera scintillava, c’erano cascate di camelie cosparse qua e là … una grande dolcezza sembrava
impregnare tutto e anche i nostri gesti. Avevamo programmato un pomeriggio di
adorazione, sarebbe poi seguita la cena in clima di festa e poi la Cena del
Signore… Però, prima dell’ora del pranzo, sorge un alterco tra due missionarie
del gruppo. Volano parole insensate e smisurate che spazzano via la dolcezza e
l’armonia fino ad allora esistente e che rimangono lì come un pungente
contrasto con il messaggio e l’appello di un giorno come quello.
Nonostante
quell’incidente, o proprio a causa di esso, il messaggio di Amore e Comunione
di quel Giovedì Santo, è rimasto per sempre scolpito dentro di me. Accogliere
la fragilità e il peccato, rispettare il tempo psicologico necessario per
riallacciare una relazione spezzata, accettare la misteriosa solidarietà che ci
lega agli altri, aprirsi alla Parola e alla Presenza sanante e rigenerante del
Signore della Vita – sono stati aspetti che ho capito più profondamente e che
sono passati nel patrimonio della mia esperienza spirituale.
È sempre una cosa
grave attentare contro la comunione; le nostre rotture dovrebbero arrecarci
sofferenza come se si realizzassero sempre il Giovedì Santo; ma è anche
importante non dimenticare che la garanzia della comunione che ci viene offerta
dal dinamismo della vita teologale è decisivamente maggiore e più determinante
di tutto quello che può essere provocato dalla precarietà del nostro equilibrio
psicologico o dalla cattiveria del nostro cuore.
“Custodisci nel tuo nome coloro che mi hai
dato”
Penso sia
successo, a coloro che sono stati incaricati di una missione di servizio
(soprattutto formativo) all’interno di una comunità o di un gruppo, di trovarsi
frequentemente a pregare con queste parole di Gesù. Personalmente le trovo
straordinariamente espressive, con una notevole capacità di stimolare e
rappacificare. Ritengo che la parola custodire è molto bella ed evoca un
atteggiamento tipicamente femminile e materno. Vigilanza di un amore che
protegge, difende e cautela. “Custodiscili”, custodiscile perché non si
perdano, perché non si allontanino dalla fonte della vita piena, perché non
vengono disintegrate e frammentate ma “siano uno, come noi”. Non perderle di
vista, Signore, guarda a loro… Ricevile nel silenzio del Tuo amore, come in un
seno fecondo, dove si possano creare e ricreare.
“Ho
custodito coloro che Mi hai dato…”. Alle volte anch’io, Signore, ho
custodito quelle che mi hai dato. Le ho custodite con la mia sollecitudine,
con il mio servizio disinteressato, con la tenacia della mia presenza discreta,
le ho custodite nel silenzio del mio amore, nell’accoglienza rispettosa del
mistero di ciascuna, nell’attesa paziente del loro sbocciare. Ma alcune volte
mi sono distratta, altre volte ho rifiutato di allargare la mia tenda perché
trovassero lì un riparo, non sempre sono stata capace dell’austera vigilanza
del pastore… mi sono addormentata, mi sono chiusa nella fortezza dei miei
gusti, dei miei interessi e dei miei diritti… e le ho perse di vista, ho
lasciato che si disperdessero. Proprio per questo, custodiscile, Tu, Signore.
Nascondile nel Cuore del Tuo Figlio, tuffale nelle acque abbondanti del Tuo
Spirito, piantale stabilmente nell’alveo della Tua volontà e del Tuo disegno di
Amore. Fa che comprendano quanto è rilevante per loro stesse e per il mondo,
dove le invii, la spiritualità di comunione di cui sono ereditiere e
portatrici. Fa che siano capaci di grandi desideri, come quelli che hanno
modellato il Cuore di Tuo Figlio – il sint unum è uno di questi desideri
– e dona a loro il realismo dell’umiltà che le renderà capaci di concretizzarli
nelle pieghe nascoste della storia complessa del nostro tempo.

l'adultera perdonata
Entro
nel silenzio: del corpo
(cerco una posizione in cui stare comoda, ma concentrata e ferma), della mente,
del cuore, della bocca.
Prendo
consapevolezza della presenza di Dio, che vuole parlarmi e invoco lo Spirito
Santo.
Leggo
attentamente il brano. Se siamo in gruppo una persona proclama la
Parola:
Gv 8, 1-11
In
silenzio rileggo, cercando
di cogliere, anche sottolineando, le
parole o frasi che attirano la mia attenzione, che suscitano un sentimento di
commozione, di gioia, di timore, che provocano perplessità, incomprensione…
Per
cogliere il significato di alcune frasi o parole, è utile andare a leggere ciò
che precede il brano che voglio meditare, o cercare in altri brani frasi
simili. Si tratta di leggere la Bibbia con la Bibbia.
È
molto utile entrare nell’episodio
descritto, fare la composizione del
luogo: immaginare il posto, al situazione, le persone, l’avvenimento che
viene narrato, e porre me stessa all’interno del racconto, trovare il mio
ruolo; posso identificarmi con uno dei personaggi presenti, comunque è
importante coinvolgermi in ciò che
leggo.
Medito. Se siamo in gruppo, una persona può
suggerire alcuni spunti di meditazione.
vv.
1-2: … si recò di nuovo nel tempio…. e si mise
a insegnare loro.
Nel tempio di pietra, Gesù che è il vero
tempio in cui Dio si rivela, insegna. Lui stesso, Parola fatta carne, è
l’insegnamento: la sua persona, le sue parole, i suoi genti.
vv.
3-4: … una donna sorpresa in adulterio…
L’adulterio era punito con la morte, perché
considerato come un omicidio. Tradire l’amore significa uccidere. Il Dio della
Bibbia considera adulterio il peccato di idolatria, perché Egli si considera e
si comporta come lo Sposo del suo popolo, ma il popolo amato tradisce Dio/Sposo
seguendo i propri idoli. Storia che si ripete sempre, anche nella nostra vita.
Il peccato, ogni peccato è adulterio, perché ogni peccato è idolatria. Come
Israele, noi cristiani e tutta la Chiesa siamo adulteri. Meritevoli di morte.
vv.
6: … Gesù si chinò e si mise a scrivere con il
dito per terra.
Per due volte, in questo brano,
l’evangelista nota che Gesù, in silenzio, si china a scrivere per terra, cioè
sulle pietre del pavimento del tempio.
Gesto
misterioso. Proprio per questo ci interpella. Quando una parola della Scrittura
ci sembra incomprensibile, troppo misteriosa… è su quella che dobbiamo
fermarci, ascoltarla dentro… riascoltarla… Non inventarci delle spiegazioni, ma
cercare nella stessa Scrittura una luce.
Sono presente a questa scena e osservo Gesù
e coloro che lo interpellano, e la donna là in mezzo… e Gesù che scrive sul
pavimento… Che cosa mi dice questa scena, questo gesto di Gesù?
Quando Dio dà la legge a Mosè, scrive con
il suo dito sulle pietre. Scrive una legge che è atto di amore perché il popolo
viva; è alleanza di amore con il suo popolo. I profeti, constatando l’adulterio
del popolo, avevano annunciato un tempo in cui Dio avrebbe scritto la legge non
più sulle pietre, ma nel cuore di carne dell’umanità. Il cuore di carne su cui
è incisa perfettamente la Parola del Padre è il Cuore di Gesù. Se non siamo
uniti a Lui dallo Spirito, i nostri cuori restano di pietra. Possiamo
immaginare che forse Gesù, sulle pietre del tempio, scrivesse il pieno
compimento della legge: l’amore.
vv.
7-9: Chi di voi è senza peccato…
Ci poniamo una domanda: se la donna era
adultera, con quale adultero aveva commesso adulterio? Se era stata sorpresa in
adulterio, dunque era stata sorpresa con un uomo.
Ma era più facile condannare solo lei. E
sono solo uomini quelli che la accusano. Non si parla di marito, eppure era il
marito che decideva la morte della moglie.
Ciò che è in ballo, ciò che interessa a
scribi e farisei – esperti e osservanti della legge – è mettere alle strette
Gesù, coglierlo in fallo, dimostrare ai presenti che è un impostore. Se dice di
applicare la legge, che prevede la morte violenta, allora smentisce tutti i
suoi insegnamenti sulla misericordia. Se dice di non ucciderla si mette contro
la Legge di Mosè, è un bestemmiatore.
Osservando la scena, non è possibile
riconoscere il marito della donna, ma vediamo Gesù, il vero Sposo di Israele,
della Chiesa, dell’umanità. E vediamo la donna, immagine di Israele, della
Chiesa, dell’umanità, che ignora, dimentica, tradisce l’amore dello Sposo.
È Gesù lo sposo, il giusto senza peccato,
che può condannare l’adultera. E può condannare anche coloro che la accusano,
perché nessuno è giusto davanti a Dio e il giusto pecca sette volte al giorno:
così dice la Scrittura. Ma Gesù non è venuto a condannare; è venuto a salvare
l’una e gli altri. Ciò che gli sta a cuore, perché si salvino, è che prendano
coscienza di essere peccatori e dunque tutti bisognosi della sua salvezza, del
suo amore.
E infatti uno per uno se ne vanno. Nessuno
è senza peccato.
E resta Gesù solo con la donna, là in
mezzo. “La misera e la misericordia” scrive Agostino di Ippona. Prima era in
mezzo al cerchio degli accusatori. Ora è in mezzo al cuore misericordioso di
Cristo: al centro della sua attenzione amorosa. Gesù ha rivendicato e manifesta
in modo sublime la sua identità e la sua missione di Sposo.
vv.
10-11: Gesù si alzò…. “Neanch’io ti condanno. Va’
e d’ora in poi non peccare più”.
Sorprende e commuove questo gesto di Gesù,
che si alza in piedi davanti a questa donna, disprezzata perché adultera. E la
chiama “donna”, come chiama sua Madre, la samaritana e Maria di Magdala.
“Donna” cioè icona di Israele e dell’umanità, sposa amata da Dio.
Alzarsi in piedi davanti a qualcuno significa
onorarlo, rispettarlo. È ciò che fa Gesù davanti a ogni peccatore: non ci
disprezza, non ci umilia. A volte, anche quando facciamo il bene siamo capaci
di umiliare la persona che pure aiutiamo. Gesù, invece, ci rispetta, ci onora,
perché in ogni peccatore egli riconosce l’immagine e somiglianza del Creatore,
l’impronta del Padre nei figli, il volto sfigurato della Sposa.
Davanti al peccatore, davanti all’adultera,
Gesù non ignora la gravità del peccato, non la sminuisce, non dice: In fondo
che male c’è? Passiamoci sopra, tanto lo fanno tutti…
Il peccato ferisce, umilia la sposa di Dio,
deforma, uccide i figli del Padre, quindi umilia e ferisce il Cuore del Padre e
il Cuore del Figlio Unigenito. Ma Gesù è venuto proprio, con la sua morte e
risurrezione, a risuscitare il peccatore dal male, a salvarlo, a vincere il
peccato.
E allora “Nessuno ha potuto condannarti,
Donna. Neanch’io, il Giusto, ti condanno, perché la mia giustizia è salvezza.
Accogli il perdono, rinunciando d’ora in poi al tuo peccato”.
L’adultera è rigenerata sposa. Icona della
speranza di Dio sui peccatori.

il nuovo
Il
nuovo della vita!
S. Paolo afferma che: c'è una misura, quando l'uomo si
guasta, lo Spirito lo rinnova! Nel tempo pasquale, viviamo e annunciamo un
nuovo mondo, il nuovo Uomo Gesù Cristo. L'Apocalisse ci indica un nuovo cielo e
una nuova terra ... Tutto è stato rinnovato! Sento che lo Spirito Santo continuamente mi rinnova.
Mi vedo con uno sguardo risorto. Ogni giorno è un giorno
nuovo! Una nuova opportunità per risorgere con Cristo. Una nuova creatura, la
prima nel resto della mia vita! Il passato è passato non torna! In questa nuova
visione, che tutto ha il suo tempo, tutto è fugace, niente è sicuro e
irremovibile. Ho notato che tante volte i miei occhi erano miopi, guardando il
nuovo che sembrava così lontano, ma era così vicino.
Il
nuovo dell’altro
Nessuno cambia nessuno. I miei occhi nuovi videro l'altro
con gioia, è mio fratello e anche quello con cui non simpatizzo. Questo nuovo
che mi ha fatto mettere in comunione con ogni fratello con tutto ciò che è ed
ha, e allo stesso tempo mi ha messo in comunione con tutto ciò che ho e che
sono.
Il
nuovo della mia famiglia
È solo che la mia famiglia è come tutte le famiglie del
mondo. Nuove sfide, nuove situazioni, nuovi modi di vivere. Questa novità porta
con sé uno sguardo limpido al reale che a volte non ha soluzione, però il nuovo
è viverlo come un cuore accogliente e misericordioso. Essere presenti e
approfittare di questa opportunità che si può trovare solo nell'unione con il
Signore Risorto, che vive per sempre nella sua Chiesa e nel mondo.
Il
nuovo nella professione
Nessuno cambia nessuno! Per quanto quello che devo
cambiare è il mio aspetto, vedere nella persona che condivide lo stesso lavoro
che è il figlio preferito di Dio. Ha una storia che solo Dio conosce, di cui
vedo solo una piccola parte del suo essere. Ciò che si fa in silenzio è
contribuire al bene comune così spesso invisibile. Amare senza parole, ma a
gesti, nel confortante silenzio di Dio.
Il
nuovo della mia consacrazione
«Non sei stato tu a scegliere me, sono stato io a
scegliere te» … «Fai quello che ti dice» …
La vita di consacrazione di castità, povertà e obbedienza
è sempre vecchia e sempre nuova. «Il Saggio sa trovare le cose dal cuore, nuove
e vecchie».
Con
la sana crescita dell'età vedo nella castità la bellezza dell'essere di Dio in
tutte le circostanze della vita. Nei giorni gioiosi e meno gioiosi, vivere il
presente con uno sguardo di tenerezza, facendo quello che si deve fare, se non
si può fare, non lasciarlo diventare un peso.
Obbedienza a Dio, nella Compagnia Missionaria, nella
Chiesa, nel mondo; è un dono ineffabile. Ho imparato che chi obbedisce è perché
si fida, anche nelle giornate più fredde, o più calde e grigie della vita!
Obbedire è essere disponibili a Dio, agli altri e a sé stessi, essere in
equilibrio tra l'essere e il fare nella gioia che viene dallo Spirito Santo.
Questa è la mia forza, lo Spirito Santo che mi aiuta ad obbedire anche senza
capire, così è stato il Sì di Maria, il Sì di Gesù, così è ciò che cerco di
vivere.
Povertà, il nuovo modo di vivere con il necessario, prudenza
in quello che sto acquistando, se ho bisogno compro, se non ho bisogno non
comprerò. Saper dare saper ricevere, sia materialmente che spiritualmente. Ho
imparato a ricevere una critica che non mi piace, ma da essa prendo ciò che mi
fa crescere e lascio da parte il resto. Ho imparato a vivere in modo diverso
con maggior sobrietà.
Il
nuovo della preghiera
Pregate incessantemente, dice Gesù ai suoi discepoli.
Fedeltà alla preghiera e credo che lo Spirito Santo prega in me e con me nella
Chiesa. Ripetizione dell'uno o dell'altro salmo, affidando le preoccupazioni
alle gioie. Io vivo nel presente. Nella preghiera ho vissuto il presente, mi
sono disconnesso dal passato, ho tagliato le mie paure, guardo con delicatezza
al futuro senza grandi allarmismi.
Il
nuovo del gruppo comunitario
Ognuno di noi è unico, amato da Dio, redento da Gesù,
sostenuto dallo Spirito Santo. Sento sempre più che il mio gruppo sperimenta la
debolezza della vita! Anche questo ha la sua bellezza; questo mi fa pensare
alla brevità della vita, e che sono entrata nel tempo del decadimento e,
contemporaneamente, dell'ascensione della vita a Dio. Il nuovo: vivere ogni
momento come l'ultimo della mia vita ed assaporare il momento presente con la
sua luce e colore e con le sue ombre.
Il
nuovo da Internet:
Ho vissuto nell'apprendimento di questi beni preziosi, se
usati per il bene comune. Il lontano che è diventato vicino. A questo
proposito, ho visto il valore della comunicazione a distanza.
Con Maria, Madre, Guida e Custode della Compagnia
Missionaria del Cuore di Gesù, dico: Ecco la serva del Signore, avvenga di me
secondo la sua Parola.
Tutto è stato rinnovato! Il nuovo della mia storia, della
storia dell’umanità, della Chiesa e della Compagnia Missionaria ... lo sappia accogliere con misericordia.

la via delle beatitudini
Sintesi degli Esercizi Spirituali
della Compagnia Missionaria di Funchal - Madeira
Si sono svolti dal 13 al 17 luglio 2020,
orientati da Don Juan Noite SCJ. L'atmosfera era di assoluto silenzio. C'è
stato tempo per il Sacramento della Riconciliazione. Ogni giorno un missionario
guidava la liturgia. Teresa Freitas ha animato i canti liturgici. Conceição
Silva si è occupata della sacrestia e si collegava con le sorelle di servizio
in cucina.
In una prima presentazione generale, il
ritiro è stato eccezionale non solo per il tema, ma anche per il suo sviluppo
avuto perché orientato con competenza e fede da parte del Sacerdote che ci ha
accompagnate. Si iniziava con la preghiera allo Spirito Santo seguita da canti
appropriati e accompagnata da strumenti musicali. Ci sono state nove conferenze
e nella prima conferenza l'oratore ha fatto riferimento ai "ritiri"
che Gesù ha fatto e proposto ai discepoli prima di ogni missione.
Prima di iniziare la sua vita pubblica Gesù
si abbandona a un ritiro di quaranta giorni nel deserto dove prega, digiuna ed
è tentato da satana. In più occasioni
Gesù si ritira e prega.
L'evangelista Marco 6,30-32 parla della
necessità di un ritiro prima di scegliere gli apostoli e Matteo riferisce che è
dopo un ritiro che Gesù ha scelto gli apostoli, Luca (9: 1-10) parla anche
della sosta dei Dodici e nel cap.10
racconta l’invio dei 72 discepoli. Nell'Antico Testamento: il riposo sabbatico
è una norma data da Dio il quale nel settimo giorno della creazione si riposò,
perciò il sabato è considerato un giorno santo di preghiera e di riposo nel
Signore e per il Signore. Così Il diluvio è una pausa di purificazione. Mosè
lasciando l'Egitto va nel deserto e lì
riceve le tavole della Legge da Dio. Elia camminò 40 giorni e 40 notti per
raggiungere il monte di Dio l’Oreb e lì il Signore si manifesta nella brezza
leggera. Il silenzio è importante sia dentro che fuori.
BEATO ANGELICO, Discorso della montagna, 1438-40
Seguire Cristo
Ci siamo ritirati per incontrare Dio. Il
deserto nel linguaggio biblico è fecondo e positivo perché è il luogo
dell'incontro con Dio. Alla luce della fede abbiamo una vocazione e una
missione e un fine da raggiungere: seguire Cristo che significa imitare Cristo.
Cerchiamo di riascoltare la chiamata del Signore e di seguire la via delle
beatitudini, che è la “Magna Carta”, la Legge fondamentale del cristianesimo.
Le beatitudini le troviamo In Matteo e in Luca con differenze redazionali.
Lucas menziona 4 beatitudini: povertà, fame, pianto, persecuzione. In Matteo ce
ne sono otto comprese le 4 citate da Lucas. Matteo aggiunge: mitezza,
misericordia, purezza e pace.
Le beatitudini sono leggi e comportamenti
obbligatori per chi vuole seguire Gesù: via, verità e vita. Le beatitudini
sono tutte massime piene di saggezza umana e spirituale - purificano l'uomo e
lo aiutano a vivere nella realtà presente.
Beati i poveri (Lu 6.20); Mt aggiunge “in
spirito” (Mt 5.3). È la prima beatitudine perché solo una dose di spirito
di povertà ci fa sentire creature. La povertà è essenziale, la cosa reale è
nello spirito. Gesù ha vissuto la vera povertà perché non aveva nemmeno una
pietra su cui posare il capo (Mt 8,20). Nell'Antico Testamento si alzano le
voci dei profeti: Isaia, Geremia, Michea e Amos contro le ingiustizie sociali.
Nei Salmi 69,6; 26,1. 21 conta la fiducia nel Signore, immagine del Messia,
come esseri del Signore fedeli al Signore. Gesù è la rivelazione incarnata
apparso povero e identificato con i poveri. L'Anawim (il povero di Dio) mite e
umile di cuore. La vita religiosa è stata una proposta per la povertà. La
povertà libera dona pace e gioia. Felice era S. Francisco de Assisi, S.ta
Teresa la grande cioè, Teresa D'Avila, San Giovanni della Croce, S. Pietro di Alcântara
sono esempi di gioia perché libera da
beni ingannatori che impediscono di volare.
Beati i miti perché possederanno la terra (Mt 5,5). Se la povertà ha a che fare con
le cose, la mitezza con le persone. Non c'è dubbio che i miti sereni, calmi, pazienti
ci conquistano. È la beatitudine prediletta del Cuore di Gesù "Imparate da
me che sono mite e umile di cuore" (Mt 11,29). La mitezza e l'umiltà sono
la chiave per seguire Cristo. Il Salmo 36, dove Gesù proclamò questa
beatitudine: "I mansueti possederanno la terra e godranno di grande pace”.
L'Antico Testamento apprezzava la mitezza. Sofonia scrive: "Cercate il
Signore, voi tutti i mansueti della terra ... Cercate giustizia e
mansuetudine" (Sofonia 2,3). Isaia descrive il Messia come un uomo
mansueto (42, 1-3). Zaccaria profetizza che il Messia verrà con mansuetudine.
Isaia presenta il Messia come un uomo sofferente nei 4 canti del Servo
sofferente. E la passione di Gesù fu una grande lezione di mansuetudine. La
mitezza, oltre ad essere una virtù dei forti, è fonte di pace.
Beati quelli che piangono. Piangono
perché saranno consolati (Mt 5,4). Beati voi che ora piangete perché riderete
(LC 6, 21,25). Piangere e soffrire è il nostro pane quotidiano. L'Antico
Testamento legge la sofferenza (Adamo ed Eva). Il libro di Giobbe è una
riflessione sulla sofferenza. In Isaia la sofferenza appare come mezzo di
redenzione, mistero di salvezza. Gesù adempì la profezia di Isaia dando la
chiave di lettura alla sofferenza che va considerata nel suo valore salvifico. Da
qui la saggezza del segno della croce, simbolo distintivo dei cristiani. La
sapienza della croce deve essere accolta come programma cristiano "chi
vuole essere mio discepolo rinnega se stesso, prendi la sua croce e mi segua
(Mt 16,24).
Beati i puri di cuore perché vedranno Dio (Mt 5,8). Il premio per la beatitudine dei puri di
cuore è la visione di Dio, cioè, per vedere Dio, bisogna avere un cuore puro e
limpido.
Oggi parlare di purezza è parlare di castità e ci fa pensare a S. Luigi
Gonzaga, S. Maria Goretti, martire della purezza. Consacrandoci a Dio, facciamo
il voto di castità. C'è purezza nel senso di limpidezza, trasparenza, integrità
e verità. Nell'Antico Testamento, la purezza esteriore rituale, era molto
importante, ma i profeti richiamavano alla purezza del cuore e condannavano il
formalismo. Nostro Signore è severo contro la mancanza di autenticità,
coerenza, limpidezza, per mostrare la facciata. Beati i puri di cuore, i
chiari, trasparenti, veri e senza inganni. La purezza del cuore è l'effetto e
il segno di una nuova creatura e assicura la visione di Dio.
Beati i misericordiosi perché troveranno misericordia (Mt 5,7). La misericordia è uno degli atteggiamenti di
Dio che la Bibbia sottolinea maggiormente. L'Antico Testamento rivela un Dio misericordioso, anche quando punisce (Es.
34,6-7); (Ezechiele 33,11), (Neemia 9,17, 31) (Giona 4,2, Salmo 135). Il Nuovo
Testamento parla del Verbo di Dio incarnato venuto tra noi per farsi solidale
con noi diventando uno noi, eccetto il peccato (Ebrei 4,15). Gesù insiste sul
perdono perché è misericordioso. Le parabole che l'evangelista Luca ricorda: la
pecora smarrita, la dracma perduta, il figliol prodigo mostrano la misericordia
del Signore.
"Beati i pacifici perché saranno chiamati figli di Dio (Mt 5,9). Shalom - Pace - è un termine molto comune
nella Bibbia. Beati i pacifici non i
pacifisti. San Giovanni Paolo II ha detto "Sì, pacifico, no
pacifista". Beati gli operatori
di pace, i costruttori di pace, perché saranno chiamati "figli di
Dio". Dio è pace, Gesù è pace,
i figli di Dio sono operatori di pace. In
concreto la prima pace che dobbiamo fare è con noi stessi con la nostra natura. Vivi in pace con la tua coscienza, in
pace con Dio. Costruisci la pace
intorno a noi, sii costruttori di pace. Fare
la pace, perdonare è dei forti. È un
impegno serio costruire la pace: pace con la natura, con la nostra coscienza,
nelle nostre comunità, nei nostri ambienti.
Beata Vergine Maria
a) La Madonna è l'Immacolata Concezione
b) È vergine e madre!
c) Lei è la Madonna
d) Lei è la Madonna Assunta.
La Madonna è un modello perfetto di come vivere le beatitudini.
1. Era povera.
2. Era un modello di mitezza.
3.Beata perché ha saputo soffrire e Beati coloro che sanno soffrire.
4. La Madonna è benedetta perché è misericordiosa.
5. La Madonna è beata perché pura.
6. La Madonna è beata perché portatrice di pace.
È la regina delle beatitudini: via della santità
La parola "felice" o "beato" diventa sinonimo di
"Santo" perché esprime che la persona fedele a Dio e che vive la sua
parola fino al dono di sé, vera felicità.
1- “Felici sono i
poveri in spirito perché di loro è il Regno dei Cieli”. Luca parla dell'essere poveri (Lc 6,20)
invitandoci a una vita sobria ed essenziale.
Essere poveri di cuore, questa è santità.
2- “Felici i miti
perché possiedono la terra”. Gesù ha detto "Impara da me perché sono mite e umile di cuore e
trovo riposo per il tuo spirito (Mt 11:29).
S. Teresa di Lisieux ha detto che "la carità perfetta consiste nel
sopportare le colpe degli altri, nel non scandalizzarsi dalle loro
debolezze". Reagire con umile
mitezza, questa è santità.
3- "Felici
quelli che piangono perché saranno consolati”. La vita ha un significato nell'aiutare gli altri, nella loro angoscia,
comprendere l'angoscia degli altri e alleviare gli altri. "Saper piangere
con gli altri è santità".
4- "Felici
coloro che hanno fame e sete di giustizia perché saranno saziati". La giustizia nella vita di ogni persona è
diventare giusti nelle proprie decisioni e poi manifestarsi nella ricerca della
giustizia per i poveri e i vulnerabili. Cercare giustizia con fame e sete è
santità.
5- "Felici sono
i misericordiosi perché raggiungeranno misericordia". Dare e perdonare è cercare di riprodurre
nella nostra vita un piccolo riflesso della perfezione di Dio. Guardare e agire con misericordia è
santità.
6- "Felici i
puri di cuore perché vedranno Dio". Quando il cuore ama Dio e il prossimo (Mt 22,36-40), può vedere Dio. Mantenere il cuore pulito da tutto ciò
che macchia l'amore è santità.
7- "Felici sono
gli operatori di pace perché saranno chiamati figli di Dio". I pacifici sono fonte di pace, costruiscono
pace e amicizia sociale. Loro "saranno chiamati figli di Dio" (M
5,9).
Seminare pace intorno a noi è santità.
8- "Felici
coloro che subiscono persecuzioni per amore della giustizia, perché di loro è
il regno dei cieli". La croce, soprattutto le fatiche e le sofferenze che sopportiamo per
vivere il comandamento dell'amore e la via della giustizia, è fonte di maturità
e santificazione. Ci sono ideologie
che paralizzano il cuore del Vangelo quando i cristiani separano le esigenze
della loro relazione personale con il Salvatore. Santi come San Francesco d'Assisi, San Vincenzo de 'Paoli, Santa
Teresa di Calcutta; né la preghiera, né l'amore per Dio, né la lettura del
Vangelo, hanno diminuito in loro la passione e la dedizione agli altri perché
questa ha in Dio il proprio fondamento. In
relazione ai migranti, S. Benedetto ha detto ai confratelli di accoglierli
"come Cristo". San Tommaso
d'Aquino diceva che le opere di misericordia per gli altri sono il sacrificio
che piace di più a Dio. S. Teresa di
Calcutta dice anche che Dio si china e ci usa per essere il suo amore e
compassione nel mondo. Il punto di
forza della Testimonianza dei Santi è vivere le beatitudini e la regola di
comportamento del giorno del giudizio.
