Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
All'istituto appartengono missionarie e familiares
Le
missionarie sono donne consacrate mediante i voti di povertà castità, obbedienza, ma loro abbandonate la loro condizione di membri la povertà di Dio. Vivono in gruppi di vita fraterna o nella famiglia di origine o da sole.
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14 / 05 / 2021
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Venerdì 11 giugno 2021...

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14 / 05 / 2021
SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
Sexta-feira 11 de junho de 2021...

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14 / 05 / 2021
SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
Viernes 11 de junio de 2021...

esercizi spirituali del gruppo di funchal
Presi dallo stupore
Gli
esercizi si sono svolti presso il Collegio Missionario del Sacro Cuore dal 19
al 23 luglio 2021, orientati da P. Pascoal, sacerdote diocesano. Il tema
scelto: "Presi dallo stupore" comprendente vari
sottotemi. Si iniziava con un testo
biblico facendo riferimenti anche a diversi autori sia religiosi che laici.
Il tema del primo giorno è stato:
“il silenzio” iniziando con un testo
di Matteo 1,18-25, con riferimenti a vari testi della Sacra Scrittura e ad
opere attuali come "Il Libro del Silenzio" di Sara Mailand, scritti di Santa Teresa di Calcutta, di
Thomas Merton… “Dio è silenzio ed è nel silenzio che si rivela quando
stabiliamo un dialogo con lui”. San Giuseppe è una figura che deve
interpellarci e sfidarci.
La seconda conferenza riguardava
“l'umiltà”, (Matteo 11, 25-30). La
beatitudine: “Felici i poveri in spirito, perché di essi è il Regno dei
Cieli". S. Teresa d'Avila veniva indicata con la frase "L'umiltà è la
verità"; S. Agostino "Saremo più grandi se fossimo più umili".
Vivere l'umiltà è riconoscersi peccatore, fragile, piccolo, ma Dio mi ama e io
posso comunicare, testimoniare e diffondere il suo Amore. (frase di San
Bernardo).
Seguì poi ”La Delicatezza”, (Luca
10,38-42). Papa Francesco dice che dovrebbero essere recuperati gli
atteggiamenti: "Scusa; Perdono; Permesso; Grazie". Il racconto di
Betania (Lc. 10, 38-42) mostra una Marta indaffarata che riceve Gesù ma
interiormente assente, mentre Maria sta ai piedi di Gesù il Maestro e lo
ascolta. Sorprende quando Gesù dice che Maria ha scelto la parte migliore
perché ha assunto un atteggiamento contemplativo. Nel ritiro dobbiamo essere
contemplativi.
Il Dono, (Luca 7, 36-49). "La felicità è più nel dare che nel ricevere"
(Atti 20,35). Il dono di sé che viene fatto, simboleggia il nostro
apprezzamento, la nostra stima, l’amicizia. Il significato cristiano del dono è “darsi”, essere dono per l'altro.
Nel testo del Vangelo, citato sopra, una peccatrice della città irrompe nella
sala e, senza chiedere permesso, si avvicina a Gesù, l'ospite, che reagisce in
modo insolito, non stabilito dalla legge. Gesù rovescia la situazione. Quella
che ne ebbe grande vantaggio è stata la donna peccatrice perché ha goduto del
dono più grande che è Gesù.
La Gratitudine, (Luca 17,11-19). Nella nostra vita, dire "grazie" (essere
grati, ringraziare) è riconoscere nell'altro il favore, il beneficio, il bene
che è stato fatto. Tuttavia, nella vita pratica ci sono molte situazioni di
ingratitudine, mancanza di riconoscimento nei confronti degli altri. Il brano
biblico della guarigione dei dieci lebbrosi in cui chiedono a Gesù misericordia
e Lui li invia ai sacerdoti. Dopo essere stati curati solo uno di loro - uno straniero - torna indietro per
ringraziare e dare gloria a Dio. La priorità è dare gloria a Dio, lodare Dio.
E io ho
dato gloria a Dio? Ho ringraziato? Lodato? La mia preghiera è il campo in cui
spargo lode e ringraziamento a Dio per tutto ciò che mi dà?
La Speranza, (Romani 5, 1-11). La speranza è una delle virtù teologali, assieme alla
fede e alla carità. La speranza è un regalo meraviglioso per coloro che sono in
cammino, che non hanno tutto ciò che vogliono. La speranza suscita una
sensazione di presenza. San Tommaso d'Aquino diceva: "La giovinezza è la
ragione della speranza ... la giovinezza ha molto futuro e poco passato".
La speranza è la virtù che ringiovanisce tutte le persone (Isaia 40,31). Nella
Bibbia è speranza di un buon futuro. Il garante del futuro è Dio. Un futuro
buono e santo, migliore del passato e del presente. Nella nostra storia
portoghese, i portoghesi passarono il Cabo das Tormentas, che divenne
noto come Cabo da Boa Esperança. Dante nella "Divina
Commedia", guardando l'inferno, formula la frase: "Abbandonate ogni
speranza o voi che entrate". Vivere senza speranza è un inferno. Papa
Benedetto XVI ha scritto un'enciclica col titolo: "Salvati nella
speranza". Negli scritti di san Paolo la Speranza è unita alla Fede ed
alla Carità. Non si possono separare perché l’una si appoggia all’altra. Il
pellegrino è qualcuno che sta cercando: la bussola è la fede, la carità –
amore, è il programma e la speranza è lo stimolo che è la forza per credere nel
domani.
L’Eucaristia, (Giovanni 6, 35-51). L'Eucaristia è il sacramento in cui Gesù si rivela e
si dona. È la celebrazione di una Presenza; è il Memoriale, è l'Alleanza. Papa
Francesco nella catechesi sulla Santa Messa ci riferisce che un gruppo di
cristiani perseguitati da Diocleziano aveva affermato "Senza la domenica
non possiamo vivere". L'Eucaristia è un evento meraviglioso in cui è
presente Gesù Cristo, la nostra vita. Partecipare alla Messa è rivivere la
passione e la morte redentrice del Signore. È la teofania: il Signore si fa
presente sull'altare per essere offerto al Padre per la salvezza del mondo. La
Messa è preghiera, dialogo, relazione personale con Dio ed è un momento
privilegiato per stare con Gesù e con Lui, con il Padre e con i fratelli e
sorelle; è partecipare alla vittoria del Risorto per essere illuminati dalla
sua Luce. Eucaristia è lo Spirito Santo
che ci fa partecipi della vita divina, ci fa incontrare con Gesù, ascoltare la
sua Parola, nutrirci alla sua mensa e diventare Chiesa, Suo Corpo mistico nel
mondo.
Servizio, (Marco 10, 35-45). Ciò che rende credibile la Chiesa è la sua capacità di
essere al servizio degli altri, come ad esempio nelle istituzioni e movimenti
ecclesiali, nelle Conferenze di san Vincenzo de' Paoli, nelle catechesi ... Nel
contesto dell'Ultima Cena (Giovanni 13,3-17) Gesù si inchina per lavare i piedi ai suoi... In Matteo 20,20-28 la madre dei figli di
Zebedeo fa la richiesta che i suoi figli si siedano in posti di rilievo. Anche
in Marco 10,35-45 sono i figli di Zebedeo che formulano la supplica di stare
nei primi posti. La richiesta è sinonimo di tentazione: idea trionfalista,
progresso nella carriera, «voler distinguersi», affermazione dell'io che si
giudica superiore o migliore degli altri = vanità. Luca nel suo vangelo afferma: “ colui che
governa sia come colui che serve” (Luca 22,26). La risposta del Maestro:
“Poiché anche il Figlio dell'uomo non è venuto per essere servito, ma per
servire e dare la sua vita in riscatto per molti”; (Marco 10,45; Matteo 20,28).
Servire alla maniera di Gesù Cristo è mettere in pratica ciò che Egli ha
vissuto e ci ha lasciato in eredità. “Vi do un comandamento nuovo: che vi
amiate gli uni gli altri come io vi ho amato. Per questo sapranno che siete
miei discepoli, se vi amate gli uni gli altri”; (Giovanni 13,34 -35)
Maria, Testo biblico (Giovanni 2,1-12). Maria è per eccellenza la pedagoga del
silenzio. Con Maria impariamo a coltivare atteggiamenti di: ascolto, accoglienza, contemplazione,
fedeltà, attenzione, cura, umiltà. Temi citati in questi giorni e che si
adattano alla Persona e alla vita di Maria. La sua spiritualità è legata
all'amore per gli altri: la visita alla cugina Elisabetta. La gioia celebrata e
vissuta nell'incontro delle due donne ... La risposta al momento
dell'Annunciazione: "Avvenga di me secondo la tua parola" traduce e
sintetizza tutto ciò che è accaduto nella sua vita, compresi gli eventi più
drammatici nella vita di suo Figlio. Maria è Madre e Discepola. È l'Arca della
Nuova Alleanza. Il suo “Eccomi” è l’accettazione nella Fede, un cammino alla presenza di Dio perché compie
la volontà divina. È la discepola di suo figlio. È stata lei per prima ad
accogliere la Buona Novella della Salvezza. Nel testo delle Nozze di Cana, in
Galilea, anticipa la missione del Figlio suo: "Fate quello che vi
dice". L'obiettivo è sempre mettere al primo posto Gesù. Maria percorre la
vita di Gesù fino alla crocifissione e accetta la missione che gli affida il
Figlio: essere Madre di tutta l'umanità. Maria e i santi sono intermediari
presso Gesù. L'essenziale è Gesù. La guida poi ha invitato ogni partecipante a comunicare ciò che Maria
rappresenta per lui/lei. L’Angelo
Gabriele saluta Maria dicendo "Ave”, che è l'opposto di Eva, la prima
peccatrice, mentre Maria è il modello della creazione di Dio. Che la Madonna ci
aiuti ad essere fedeli al disegno di Dio.
Maddalena Ribeiro
La bontà e la delicatezza di Gesù
“Gli
apostoli tornarono da Gesù e gli raccontarono tutto ciò che avevano fatto e
insegnato. Egli disse loro: Venite in disparte, in un luogo deserto e
riposatevi un po'”. (Mc. 6, 30-31).
Meditando questo brano del
Vangelo di Marco, mi vengono in mente molte cose. Rifletto sulla cura, la
delicatezza, lo zelo che Gesù ha per tutti i suoi seguaci: Il discepolo deve
riposare.
“La delicatezza non si insegna, è
diversa dal rispetto. La delicatezza è un meraviglioso difetto, una consegna
irreversibile" (Fabrício Carpinejar)
La delicatezza deve essere nel
nostro DNA.
“È la cultura della cura, come
cammino di pace per sradicare l'indifferenza, lo scarto, il conflitto” (Papa
Francesco).
Marta, tutta presa dai lavori di
casa, venne da Gesù e disse: Signore, non ti dispiace che mia sorella mi lasci
sola a servire? Digli di aiutarmi. Il Signore le rispose: - Marta, Marta, tu ti
affanni e ti agiti per molte cose, ma di una cosa sola c’è bisogno. Maria ha
scelto la parte migliore che non le sarà tolta (Lc.10,40-42).
Nel vangelo di Giovanni (11, 5)
troviamo scritto che Gesù amava Marta e Maria. Ma mentre Marta non si fermò un
attimo dal suo lavoro, Maria seduta ai piedi del Signore, ascoltava la sua
Parola.
Delicatezza è: ascolto attento
dell'altro. Non possiamo dedicarci solo
all'attivismo. Dobbiamo essere contemplativi, in ascolto della Parola che ci
riempie il cuore e ci illumina. La vita interiore spirituale e la vita concreta
esteriore hanno le stesse radici.
Le architetture di senso si
costruiscono con piccoli gesti che sembrano insignificanti!
C'è
qualcosa di sacro nel prendersi cura dell'altro! Riposiamoci per amare di più,
per evangelizzare di più.
San Giuseppe, specchio di bontà e
delicatezza, prega per noi.
Vieni, Spirito Santo, in aiuto
delle nostre necessità della mente e del cuore! Vieni, Spirito Santo, a
rinnovare la Terra!
Celestina Camacho
L'Eucaristia
In
che modo i cristiani la comprendono (cf Giovanni 6, 35-51)
L'Eucaristia fa la Chiesa. Questa
celebra l'Eucaristia, che è la convocazione che Dio fa al suo popolo. È il
Sacramento dove Gesù si dona; è la celebrazione di una Presenza; è il
memoriale; è l'Alleanza.
L'Eucaristia è il mistero
dell'amore di Dio che si rivela; è l'opportunità che abbiamo di incontrarci con
la vita divina rivelata in Gesù Cristo il solo che è la Via, la Verità e la
Vita. È attraverso l'Eucaristia che siamo chiamati all'unione con Cristo e alla
fratellanza umana. Eucaristia è
comunione con il Signore e con i fratelli.
L'Eucaristia
è un dono gratuito. Gesù non chiede nulla; Dà sé stesso e dà tutto
gratuitamente. Gesù vuole essere l’alimento universale poiché si fa alimento
per tutti.
Gesù ha detto che non c'è prova
d'amore più grande che dare la vita per i suoi amici.
Nell'Eucaristia celebriamo la
vita. Sull'altare del sacrificio, chi non offre anche sé stesso non offre
niente. Nell'Eucaristia entra in gioco tutta la nostra vita. Comprendiamo
veramente il dono della vita di Gesù Cristo solo quando faremo di tutta la
nostra vita un dono, un'offerta, un sacrificio.
C'è tutto un dinamismo di
consegna che inizia con l'Eucaristia e finisce con la vita. Non riesco a
comprendere la mia vita senza riferimento all'Eucaristia, nei momenti più vari
e particolarmente quando le prove si sono manifestate più dolorose.
Maria da Conceição Teixeira da Silva

ricordo di gennaro mercurio, familiaris
Il
18 marzo scorso, dopo pochi giorni di ricovero in ospedale a causa del
terribile covid-19, quando ormai sembrava in via di guarigione, quasi
improvvisamente il familiaris Gennaro Mercurio, di S. Antonio Abate (NA), ha
lasciato questo mondo per raggiungere la Meta del Cielo. Avrebbe compiuto 68
anni il 31 maggio.
Un
uomo di grande fede, che testimoniava con l’amore alla moglie Lucia anche lei
familiaris, al figlio Salvatore e alla sua sposa Carmela, e a tutti i parenti;
con l’impegno nel lavoro e le relazioni gioiose che sapeva coltivare con
chiunque; con il servizio alla comunità parrocchiale della Madre del Buon
Consiglio, soprattutto prendendosi cura dei malati e degli anziani nelle case,
portando loro l’Eucaristia; con la partecipazione vivace alla vita della
Compagnia Missionaria. Così ne esprimeva con entusiasmo il carisma e la
spiritualità.
Pubblichiamo
il saluto del figlio Salvatore nella celebrazione di trigesimo.
Non sono pronto, papà
Non
sono pronto a vederti andar via, non sono pronto a dirti addio, né sono pronto
a sopperire in qualche modo alla tua assenza.
In ogni
caso, non avrei mai potuto perderti, né ora né mai. Ma è accaduto!
Un
cupo, tonfo e scuro boato alla notizia che ti avevo perso.
Buio
assoluto!!
Ma
tutt’un tratto, dalla parte più oscura ho letto di una fioca Luce che avanza e
via via sempre più forte sta riuscendo ad illuminare e schiarire il buio
spettrale.
È la
tua perseveranza nella fede in Cristo, papà.
Hai
avuto il coraggio di credere e testimoniare il messaggio divino di amore, e hai
alimentato la tua fede con la preghiera costante, e il tuo, il nostro Padre, ha
reso esemplare la tua esperienza terrena.
Ti sei
fatto portatore di Cristo, di pace e di gioia verso chiunque ha avuto modo di
incontrarti.
Hai
detto “Eccomi” alla richiesta del tuo Signore e ti sei fatto strumento della
sua Parola e la tua è stata una vita pianamente compiuta in Cristo.
Ebbene,
papà, ciò che sei stato non solo per me o per la nostra famiglia, ma per tutti
quelli che ti hanno conosciuto, perché di fatti non eri solo mio ma di tutti e
prim’ancora di Dio, non può certamente risolversi con il buio della morte.
Ed
allora ecco che ci sei ancora tu, papà, ad illuminare la mia, la nostra strada.
Ci sei ancora e sei più vivo di prima e parli attraverso i tuoi insegnamenti,
le tue esperienze ed il tuo esempio. La gioia dei tuoi occhi e i tuoi sorrisi
riescono ancora oggi e per sempre a portare la luce nel buio spettrale che mi
dà tormento.
Il tuo
Dio, il mio Dio, il nostro Dio, così ha disposto per te ed ha posto fine alla
tua terrena esperienza con questa assurda modalità. Ma sono certo, come anche
tu confidavi, che la ricompensa per Te sarà stata grande nei cieli.
Gli
angeli e i santi avranno sicuramente accompagnato il tuo ingresso trionfale al
Trono di Dio, con cui ti sei uniformato in spirito e verità, e la tua cara Mamma
del Buon Consiglio avrà senz’altro il cuore in tumulto per la tua nuova
presenza.
Tuttavia,
seppur nella tua pienezza di spirito, papà, anche dal posto in cui sei ora, ti
chiedo di Vegliare ancora su di noi, perché abbiamo ancora bisogno di Te. Guida
il nostro cammino affinché, proseliti della tua testimonianza terrena, possiamo
di nuovo abbracciarci e sorridere insieme quando ci incontreremo ancora.
Grazie,
papà. Grazie da mamma e da Carmela, da tutta la nostra famiglia, dalla comunità
del Buon Consiglio e dalla Compagnia
Missionaria del Sacro Cuore, e Grazie da tutti quelli che ti hanno incontrato e
che ti hanno riconosciuto come parte della propria famiglia.
Sciolgo
la riserva e manifesto il mio orgoglio più grande: Gennaro Mercurio è mio
padre!!!
Tuo figlio Salvatore

per un francobollo
Abito sull’appendice del Lago
di Como, a Novate Mezzola, e dalla mia casa vedo il lago. Vista che mi
riconcilia la mente. Sono in pensione da due anni, dopo quasi quarant’anni di
insegnamento nella scuola, ma anche dopo tante esperienze lavorative iniziate a
tredici anni e mezzo, appena finita la terza media. Ho sempre lavorato e
studiato, forse per ambizione, forse spinta da una ricerca di senso che mi accompagna da bambina.
Ero a un
corso di esercizi spirituali nel 1990, quando in una pausa tra una meditazione
e l’altra mi avvicina una signora. Mi chiede di accompagnarla in paese a
comprare dei francobolli. Ero proprio stanca, volevo dire di no. Ma sì, un
piccolo atto di carità non sta mai male, mi sembrava così disorientata,
bisognosa di chiacchierare un po’. Era Rosanna Testa, la nostra missionaria. E
così per un francobollo ho conosciuto la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore.
Per poco nascevo in Argentina!
I giovani
del mio paese che si sposavano dopo la guerra avevano una preoccupazione: i
loro figli avrebbero dovuto avere un avvenire migliore, soprattutto non
dovevano morire per le polveri della miniera. Arbus, il paese dove sono nata,
viveva soprattutto del lavoro della miniera di Ingurtosu e Montevecchio, così
quando i miei genitori si sono sposati hanno subito fatto domanda per emigrare
in Argentina. Mio papà era il più piccolo dei figli, e mia nonna aveva già
perso una figlia da bambina (che era la gemella di mio papà) e un figlio in
guerra, in marina. È mia mamma che mi raccontava come mia nonna si fosse
attaccata al rosario, e, un’Ave Maria dopo l’altra, è riuscita a far chiudere
le frontiere argentine all’immigrazione. Così nel 1952 sono nata in Sardegna,
ad Arbus in una casa costruita ancora di mattoni crudi. Ma a sette mesi ero già
sul traghetto, migrante, non in
America, ma nell’Italia settentrionale, a Parma.
A Parma risalgono i miei primi ricordi, e la prima
consapevolezza della fede. Certo una
“fede bambina”, ma che ricordo come esperienza profonda e radicata
affettivamente. Sopra al letto dei miei genitori c’era un’immagine del Sacro Cuore
in rilievo, con una mano che sporgeva e dove mia madre mi faceva trovare al
mattino una ciambella di pastafrolla. Poi un crocifisso di metallo, che quando
avevo la febbre mi teneva compagnia (povero Gesù, gli avevo spezzato le gambe
facendolo cadere), poi il Gesù deposto,
non so in quale chiesa che mia mamma frequentava. Lì un ricordo nitido, i piedi
di Gesù: «Mammina, posso portare le mie
scarpette rosse a Gesù?».
Non so come
possono essere letti questi episodi da chi ha esperienza di vita spirituale, ma
per me segna la continuità di una fede
affettiva che è andata maturando in tutta la mia vita. Forse il dono di un seme di senape!
Mia sorella
Rosanna è nata a Parma, e questa volta era lei in fasce, a fare il viaggio di
ritorno sul traghetto! Mio papà si era ammalato, il clima umido della Val
Padana comprometteva la sua salute. Quindi ritorno in Sardegna, profughi di
ritorno! E tutto da ricominciare. Nella vita dei miei genitori ci sono stati
undici traslochi. Una continua migrazione interna. I primi spostamenti
rappresentavano un miglioramento: da una vecchia casa nel centro storico di
Cagliari, fino a un bell’appartamento in una piazza prestigiosa dove i miei avevano
un laboratorio di sartoria che aveva una clientela numerosa. Poi il declino,
crisi economica, ritorno al paese, niente lavoro e emigrazione a Milano, prima solo io e mia mamma, dopo qualche anno
anche mio papà e i miei fratelli (intanto erano nati mio fratello Antonio e mia
sorella Daniela).
A Milano io
e la mia famiglia abbiamo condiviso la condizione degli immigrati del Sud.
Sorvolo il racconto. Nella metà degli anni ’60 bisognava superare diffidenza,
pregiudizi, emarginazione…, attraversare l’esperienza della disoccupazione,
della ricerca del lavoro adattandosi a quello che si trovava.
Da bambina
avevo un forte desiderio di studiare. A rivedere oggi la storia di quegli anni
non so davvero dove abbia trovato la forza e la caparbietà di oppormi agli avvenimenti:
avevo cominciato a lavorare a tredici anni e mezzo, poi dopo un anno mi sono
iscritta al liceo classico e ho sempre continuato a lavorare e studiare.
L’esperienza
del ’68 aveva mosso le acque, abbattuto barriere sociali, ma il grande fermento
di idee, di bisogno di rinnovamento comportava per chi era adolescente un forte
disorientamento. Quegli anni erano un vaso
di Pandora scoperchiato: tutti i beni e tutti i mali circolavano liberi.
Il buio della fede
Certamente
l’esperienza vissuta in famiglia mi aveva reso sensibile alle istanze di
giustizia sociale. Non avevo mai sentito parlare di dottrina sociale della
Chiesa. Quel mondo “religioso” che vivevo, fatto solo di precetti, non dava più
risposte alle mie domande esistenziali. La religione
mi sembrava un retaggio culturale da cui liberarsi. Ma da questa crisi si è
sviluppata la profonda ricerca di senso:
un cammino, il mio, che non ha percorso vie
ma sentieri! La passione politica
vissuta dalla contestazione giovanile mi ha affascinato ma non travolto. Troppe
incoerenze di vita, incongruenze di pensiero. Quindi l’incontro con l’Oriente,
la ricerca a partire dall’interiorità.
Venite e gustate quanto è buono
il Signore… Il Signore si fa trovare da chi lo cerca con cuore sincero
Avevo tra i
17 e 18 anni quando il mio pensiero era animato dall’idea che se c’è qualche
cosa di veramente VERO, BUONO, AUTENTICO l’uomo può farne esperienza. I
versetti dei salmi mi davano una conferma. È possibile INCONTRARE DIO? Farne
esperienza?
Ho cominciato a occuparmi di religioni, interessata soprattutto ai testi sacri, Bibbia compresa.
Per questo quando ho dovuto scegliere la facoltà ho optato per Lettere antiche, pensavo che la parola, più che la filosofia, portasse
alla rivelazione profonda dell’uomo. Rivelazione che dovevo cercare nelle
lingue dei testi sacri. Avevo anche iniziato a studiare ebraico e sanscrito, ma
poi ho dovuto abbandonare questi studi per motivi di salute: come i più mi devo
accontentare delle traduzioni.
Durante un
corso di meditazione buddista, tenuto
in una casa di Esercizi spirituali, mi ritiravo nella cappella, dove mi
sembrava di concentrarmi meglio. E nella cappella il coro delle due suore
francescane che pregavano ha attraversato il mio cuore: …ETERNA è LA SUA
MISERICORDIA …ETERNA è LA SUA MISERICORDIA …ETERNA è LA SUA MISERICORDIA …
I miei
occhi si riempivano di lacrime, un lavacro
di lacrime. Uscita dalla cappella sapevo che volevo la Chiesa.
Da quel giorno sono passati
circa vent’anni prima di incontrare la Compagnia Missionaria, ma quando ne ho
letto lo Statuto, mi sono riconosciuta.
La vocazione
Quando è
nata allora la “vocazione”? Ho ricordato quei momenti della mia prima infanzia
che sento significativi nella mia identità di fede. Credo che in me vocazione sia stata, ed è, un anelito
all’Assoluto, al Tutto: questo anelito era un faro,
luce che mi ha guidato all’incontro col Cristo nella Chiesa. Incontro capace di
fare sintesi della passione per Dio e della passione per l’uomo. E l’ingresso
nella Compagnia Missionaria ha segnato l’inizio di una nuova consapevolezza: la
missione è cantare la misericordia di
Dio¸ non quanto io sono brava, ma quanto è buono con me il Signore.
… per ricapitolare in Cristo
tutte le cose
In
questa luce ha riacquistato significato tutta la mia storia: gli studi, fatti
nella fatica del
lavoro, la nascita di mia figlia, dei miei nipoti, la
professione come insegnante nella scuola. E oggi, nel tempo della pensione, mi
faccio incontrare dagli eventi: non ho più resistenza alla fatica, mi rendo
disponibile a mantenermi accogliente a ciò che mi raggiunge da vicino per
vivere nella solidarietà e condivisione di ciò che sono.
I sogni per il futuro e il mio
messaggio per i giovani di oggi
I miei sogni
per il futuro coincidono col messaggio che vorrei passare ai giovani: conservare la capacità di sognare, di
desiderare cose grandi. La speranza non è vana, ci fa intravedere orizzonti
di Bene anche dove sembra prevalere il male. Ogni bene possibile è una tessera
di quel grande mosaico che è il Regno di Dio. Non siamo soli, siamo Corpo di Cristo in forza dello Spirito Santo!

“la tua parola è lampada ai miei passi e luce alla mia strada ” (sal 118)
La Parola del Signore raccoglie in sé ogni espressione della nostra
vita e sa condurci per mano nell’attraversare ogni sua fase. Anche se il tema
dell’anzianità e dell’invecchiare non siano al centro della Parola di Dio, è
possibile trovare in essa delle sottolineature interessanti per il nostro
cammino spirituale.
Un primo aspetto importante, che troviamo
nell’Antico testamento, è il richiamo alla fecondità: Abramo e Sara sono molto
avanzati negli anni quando nasce Isacco, il figlio della promessa e della
benedizione (Gen21,5). Una lunga vecchiaia è il segno della fedeltà di Dio alle
sue promesse: «Poi Abramo morì dopo una felice vecchiaia, vecchio e sazio di
giorni e fu riunito ai suoi antenati» (Gen25,8). Così anche Isacco (Gen35,29) e
Giuseppe che morì all’età di centodieci anni (Gen50,26). Potremmo dire che in
età avanzata Dio si rivela, Mosè riceve la rivelazione del Nome di Dio e la
missione di liberare il suo popolo quando è già anziano. Il Signore Dio gli era
molto vicino e gli parlava come si parla ad un amico (Es33,11). La Parola dice
che Mosè era «molto più mansueto di ogni uomo che è sulla terra» (Nm12,3). Come
a confermare che Dio, per operare la salvezza, si serve non dei forti e di
coloro che godono di prestigio, ma degli umili e piccoli, di quel popolo umile
e povero che lo cerca con fiducia (Sof2,2; 1Co 1,26-31).
Troviamo nei libri sapienziali un altro aspetto
quello del tempo della fatica interiore e della tristezza ... gli anni in
cui dovrai dire: «Non ci provo alcun gusto» (Qo12,1-8).
Ma più spesso ci offrono il ritratto dell’anziano
invecchiato bene, segnato cioè dalla saggezza e dal timore del Signore: «Nella
giovinezza non hai raccolto; come potresti procurarti qualcosa nella vecchiaia?
Come s'addice il giudicare ai capelli bianchi, e agli anziani intendersi di
consigli! Come s'addice la sapienza ai vecchi, il discernimento e il consiglio
alle persone eminenti! Corona dei vecchi è un'esperienza molteplice, loro vanto
il timore del Signore» (Sir 25,3-6).
Nel nuovo Testamento Gesù, Maestro di sapienza,
ci insegna come affrontare le paure e le preoccupazioni che si accentuano col
passare degli anni, in particolare la paura del futuro che, insieme alla
tentazione pericolosa dell’accumulare ricchezze e cibo, si può curare solo con
l’abbandono fiducioso nella Provvidenza (Lc 12, 12-21.22-31; Mt 6,25-34).
Dopo aver affidato la sua Chiesa a Pietro, Gesù
gli annuncia che, quando sarà vecchio, sarà condotto ad una morte violenta per
il suo Nome: «In verità in verità ti dico: quando eri più giovane ti cingevi la
veste da solo e andavi dove volevi; ma quando sarai vecchio tenderai le tue
mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi» (Gv21,18).
Gesù indica come si svilupperà la crescita di
Pietro, che è un po’ anche la nostra: si passerà dal tempo della decisione in
prima persona alla stagione in cui si dovrà cedere l’iniziativa e «lasciarsi
fare».
Arrendersi - accettare - lasciar perdere -
abbandonare - distaccarsi sono i verbi che impariamo e/o dovremo imparare a
coniugare col passare degli anni. È un cammino impegnativo. È un po’ come una
spogliazione progressiva che, se vissuta nella prospettiva dell’amore del
Signore che non viene meno, che rimane affidabile sempre, poco per volta porta
ad assomigliargli nei suoi passaggi di vita più difficili fino al culmine della
crocifissione.
«Egli deve crescere, io diminuire» (Gv3,30)
Questa prospettiva pasquale che potrebbe comportare progressiva riduzione
dell’attività, con il rischio di disabilità, di crescente solitudine, di paura
e di arrabbiature soffocate, a pensarci bene ci ripugna profondamente, perché
ci avvicina al mistero della sofferenza, il più arduo della nostra esistenza,
che nessuno riesce a comprendere e accettare, se non nella fede e nella
contemplazione del mistero di Dio.
Il ruolo fondamentale
della preghiera
Non dobbiamo scoraggiarci: esiste un cammino che
ci consente, poco alla volta, di vivere la vita quotidiana in un atteggiamento
contemplativo. In questo contesto, anche la preghiera segue la dinamica della
nostra crescita personale. Partiamo dalla preghiera vocale, passiamo alla preghiera
discorsiva, arriviamo a quella affettiva, per approdare alla preghiera
contemplativa che viene chiamata anche preghiera del cuore. Essa è come una
sosta silenziosa ai piedi del Maestro, nella quale ci esponiamo senza maschere,
nella nostra realtà più profonda Ma dobbiamo perseverare nel dedicare al
Signore il tempo destinato alla preghiera. La contemplazione non è solo un
atteggiamento da agire, diventa stile di vita, diventa una dimensione di essa e
ne determina la qualità.
Lo «stare» cambia la qualità della vita e ci dà
la possibilità di vivere il presente e nel presente. Produce in noi la capacità
di stupirci e di godere delle creature di Dio.
La dimensione contemplativa, in questo nuovo
tempo della vita, dove diminuiscono gli impegni, in particolare quello
lavorativo, ci può portare ad un nuovo «agire», caratteristico di questa età,
più pacato e più profondo, più attento alle persone, più disponibile ad offrire
una compagnia. Ci aiuta a perseverare nell’attesa vigilante del ritorno del
Signore. La preghiera contemplativa si consolida nel corso degli anni,
ricordiamo qui la famosa espressione del santo Curato d’Ars che descriveva la
sua preghiera come un incontro silenzioso con Dio: «Io lo guardo ed Egli mi
guarda» Nella contemplazione scopriamo di essere preziose agli occhi del
Signore, così come possiamo pregare nel salmo 131: «Io sono tranquillo e
sereno come bimbo svezzato in braccio a sua madre, come un bimbo svezzato è
l'anima mia».
Certamente siamo poco abituate ad usare la parola
«contemplazione», ci sembra molto impegnativa, quasi una dimensione non
raggiungibile, ma non dobbiamo lasciarci intimorire. Essa è un obiettivo per
tutti i cristiani, purtroppo non è favorita dalla cultura attuale, centrata
sull’efficienza e assopita nella distrazione.
Nella nuova situazione, il tempo per la preghiera
non manca, ma potrebbe essere carente il metodo e la costanza, potremmo correre
il rischio della mediocrità se durante lo scorrere degli anni non avremo curato
la nostra vita spirituale con l’ascolto della Parola, la vita dei sacramenti
(penso che dovremmo riprendere la valenza, ad esempio, del sacramento della
riconciliazione), la riflessione e un’offerta al Signore delle nostre fatiche.
Le prove dell’anzianità possono richiamarci alla necessità di crescere nel
nostro abbandono nel Signore.
La centralità della formazione
“Nella vecchiaia - dice un proverbio africano -
ci si riscalda con la legna che si è raccolta durante la giovinezza”. Per
questo possiamo dire che la riflessione di oggi è davvero per tutte.
Infatti, se nel momento dell’invecchiamento non riusciamo ad accettare
questa nuova situazione con le sue implicazioni, forse non siamo mai state
richiamate da giovani a riconoscere ed accogliere i nostri limiti, a sentire
che non tutto è possibile, che non ha senso coltivare dei complessi, o meglio
dei deliri di onnipotenza. Forse, non siamo state educate a camminare secondo
le possibilità, a spendere del tempo gratuitamente, a contemplare la bellezza
senza volerla possedere, a voler bene a sé e agli altri. Forse abbiamo sempre
vissuto con l’acceleratore al massimo per riuscire a percorrere in fretta tutte
le strade, con l’unico obiettivo di poter governare e possedere il controllo di
tutto.
Ma tutto non si può possedere e/o governare. Gli
atteggiamenti che ci portano alla fiducia, a credere in noi e negli altri,
sono, da una parte, iscritti nel carattere della persona e, dall’altra, possono
essere il frutto di una formazione iniziale e, sicuramente, di una formazione
permanente che faccia leva sulla gratuità e sulla dimensione contemplativa
dell’esistenza, grazie alle quali la persona continua a crescere.
Dovremmo continuare ad essere sollecitate, dalla
formazione permanente, a sviluppare curiosità intellettuale e cura della nostra
preparazione professionale. Chi arriva alla stagione dell’invecchiamento senza
aver coltivato l’abitudine alla lettura e allo studio e senza interessi
culturali, senza un’attenzione ai bisogni del contesto e senza un hobby
costruttivo, farà molta fatica a far passare il tempo e a riempire le lunghe
giornate non più ritmate dagli orari lavorativi.
La lettura di qualche testo di teologia, o di esegesi biblica, di
qualche buon romanzo, di qualche bel giallo, di qualche buona rivista di
aggiornamento, potrà non solo renderci umanamente vive e all’altezza dei nostri
nuovi impegni, ma anche tenere viva ed esercitata la nostra mente in un momento
di notevole cambiamento, dove il fermarsi potrebbe significare non solo perdere
irrimediabilmente i neuroni necessari per il buon funzionamento del cervello,
ma anche spegnere la lampada della saggezza, rendere vana l’esperienza e
ridurre la conoscenza di sé.
La comunità è il
luogo privilegiato della formazione
Vorrei che non dessimo per scontata questa cosa,
cioè l’importanza di essere, per tutta la vita, formate dalla comunità. Non vi
è un periodo temporalmente definito nel quale ci si forma, ma abbiamo la prima
formazione e la formazione permanente, cioè formazione per sempre.
Sappiamo che la formazione è importante per ogni
età della vita. Allora la questione è non solo riaffermare questo principio
fondamentale, ma anche cercare «come» poter fare questo. Come tradurre nella
vita di ciascuna e della comunità questa consapevolezza, oggi, nelle diverse
situazioni.
Piccola conclusione
Tutto questo ci colloca nella prospettiva che fa
ritenere, appunto, che anche la stagione dell’invecchiamento può continuare ad
essere feconda e, con il salmista, sapere che «anche nella vecchiaia
porteremo frutti e saremo ancora rigogliose», capaci ancora di «fiorire
negli atri del nostro Dio», sempre pronte ad «annunziare quanto è retto
il Signore» (Salmo 92,14-16).

“nella vecchiaia daranno ancora frutti, saranno vegeti e rigogliosi” (sal 92,15)
Premessa
In premessa a questa
riflessione vorrei prendere a riferimento quanto emerso dalla ricerca
sull’Invecchiamento Attivo, realizzata l’anno scorso dalla CIIS.
Penso che partire
dall’ascolto sia sempre positivo per favorire una maggiore concretezza
nell’affrontare le questioni.
A livello generale, le
risposte fanno emergere la necessità di non dare per scontato il tema
dell’invecchiamento attivo e di mantenere alta l’attenzione a questo
riguardo, soprattutto perché in esso si «riassumono»
diversi aspetti di senso e di significato del vivere, in particolare del vivere
una vocazione di consacrazione secolare.
Ovviamente, rinvio alla
lettura della ricerca, facendo riferimento alle fasce di età specifiche: 55-60
anni; 6170; 71-80; oltre gli 80 anni. Qui riprendo solo qualche
considerazione.
a) I
dati relativi agli impegni extra professionali evidenziano come prevalente l’impegno in ambito ecclesiale.
Che cosa significa? Vi è
da rimettere al centro la secolarità? Si pone una questione in ordine al
discernimento circa la modalità specifica di essere presenti nel mondo?
Certamente, anche nel
vivere l’impegno ecclesiale vi è una connotazione data dalla secolarità, a
partire sia dagli impegni stessi sia dalle modalità con cui si affrontano.
Vi è un discernimento
circa quale impegno ecclesiale sia prioritario per i membri degli Istituti
Secolari? Vi è qualche impegno da privilegiare?
In ogni caso, sarebbe
importante mettere a tema la questione a partire dai bisogni del tempo che
possono richiedere una presenza, ad esempio, nel campo della formazione della
coscienza e quindi una catechesi che risponda a questa esigenza; oppure vi è un
modo di essere ministro straordinario della comunione che allarghi l’ascolto
alla vita delle persone anziane e/o ammalate.
b) Per
quanto riguarda gli impegni di carattere sociale emerge come grandemente rilevante
il volontariato. Forse, sarebbe importante mettere a tema un approfondimento al
riguardo, sempre nella prospettiva della nostra specificità. Cioè vi sono
urgenze prioritarie a cui rispondere e che chiedono una maggiore presenza di
chi è impegnato in una vocazione come la nostra?
Vi sono aspetti da
prendere in considerazione circa la modalità con cui si esplica l’impegno nel
volontariato? Vi è una specificità per chi vive nella secolarità consacrata o
attenzioni ai bisogni da mettere a tema?
Vi è la necessità di
puntare sulla formazione? Quale formazione? Le diverse forme di
volontariato fanno
crescere anche nella dimensione collaborativa? Vi è qualche aspetto
su cui riflettere al
riguardo?
In sostanza, se il
volontariato vede una consistente partecipazione dei membri degli Istituti
secolari (sempre tenendo conto che gli impegni sociali, in totale,
rappresentano solo il 27% degli impegni extraprofessionali), forse varrebbe la
pena investire con uno sguardo lungimirante sia rispetto al discernimento delle
priorità di presenza sia rispetto alla formazione, con particolare riferimento
alle motivazioni e alle competenze.
c) La
scarsa presenza negli impegni di carattere culturale e politico/amministrativo merita
una riflessione approfondita per tentare di capirne le motivazioni. Certo ogni
valutazione richiede una giusta prudenza, poiché siamo in presenza di una
restituzione di questionari intorno all’8% del totale dei membri, ma questo
vale anche per gli altri settori; quindi si può dire che viene rilevata una
linea di tendenza che, quantomeno, andrebbe indagata ulteriormente.
Ci si potrebbe chiedere da
che cosa può essere determinata questa situazione: provenienza dei membri che
ne determina gli interessi? Frantumazione del contesto sociale che spinge ad un
forte individualismo? Carenza di ambiti associativi che orientino all’impegno
culturale e politico/amministrativo? Clericalizzazione del laicato? Scarsa
sensibilità degli IS nel discernimento di potenziali presenze in questi ambiti?
Considerazione negativa
della politica e scarsa rilevanza data alla cultura da parte degli Istituti?
Ovviamente, le considerazioni precedenti vanno poi calate nelle diverse fasce
di età per coglierne le differenze. In particolare la fascia più giovane appare
quella più sbilanciata verso l’impegno ecclesiale e, all’interno di questo,
verso l’impegno in Istituto: ciò significa che su di essa si riversano
completamente le esigenze di conduzione delle comunità? È troppo difficile
tenere insieme impegno nel mondo e accompagnamento dell’Istituto? Sarebbe
azzardato trarre conclusioni o esprimere giudizi, qui si vuole solo far
emergere la necessità di una riflessione che, tra l’altro, chiamerebbe in causa
la specificità della vocazione secolare anche nella proposta di questo percorso
alle generazioni più giovani.
d) Dalle
risposte relative agli aiuti ricevuti, circa la preparazione all’invecchiamento attivo, e quelli necessari, da
una parte, emerge che la preparazione è consistita e consiste, sostanzialmente,
in un cammino personale (preghiera, riflessione, esperienze positive nella quotidianità),
e, dall’altra, una chiara domanda di essere maggiormente aiutati a riferirsi al
carisma, ad approfondire il tema e ad aggiornarsi al riguardo, a parlarne in
comunità, ad essere educati ad un uso sapiente del tempo a disposizione, ad
essere accompagnati nel cammino personale.
Come si può notare le
attese sono molteplici e sono anche espresse, nel corso dell’analisi, in ordine
di priorità. Si apre uno spazio di
lavoro sia per gli Istituti sia per la CIIS, in particolare per quei temi
trasversali agli Istituti stessi, quali ad esempio, l’aggiornamento e
l’approfondimento circa l’invecchiamento attivo e l’educazione all’uso sapiente
del tempo.
e) La richiesta di essere
aiutati a riferirsi al carisma chiederebbe, forse, un
approfondimento a parte: intanto la domanda è diversificata nelle diverse
fasce, più accentuata in quelle di età più alta. Che cosa significa? Il tema
era più richiamato nel passato? Si confonde la necessaria attualizzazione,
attraverso la custodia di ciò che è essenziale, con una sorta di rimozione
dell’intuizione originaria perché poco approfondita? Come si può attualizzare
il carisma se non si conoscono le origini collocate nel tempo, ma le cui
costanti restano universali? Come leggere le costanti universali di un carisma?
f) Le risposte relative agli
aiuti necessari e ai suggerimenti offerti per camminare nell’invecchiamento attivo sono
da tenere insieme per una lettura articolata dei dati.
Si può osservare che la
domanda più alta è quella educativa
(che comprende anche la formazione, ma che non è solo formazione). Si tratta,
quindi, di offrire «itinerari di vita» e non solo programmi formativi. Cioè, sembra di
cogliere che l’attesa più consistente sia quella di rinverdire il cammino, di
trovare il senso della vita sempre, in ogni età, di mantenere viva la
vocazione.
Di fatto, dalle risposte ricevute, è scaturita un’interessante
riflessione e, sostanzialmente, è maturata la consapevolezza che esse possano
rappresentare uno spaccato utile per il cammino di tutte, in ogni stagione
della vita.
Quindi, la
prospettiva in cui collocare la riflessione di oggi deve essere quella di
accompagnare il cammino di tutte e di ciascuna, convinte che la vocazione è per
la vita e non per un determinato periodo di essa. La vocazione viene prima
della intensità del fare: la vocazione è per la pienezza dell’essere.
Certamente, la pienezza richiede sempre l’attento e vigile discernimento per
non cadere, dietro ad una diminuzione di impegni, in una sorta di pigrizia
spirituale che fa indietreggiare davanti alle possibili chiamate che il Signore
ci va presentando.
Quindi lo spirito che deve
condurci deve essere quello della ricerca della volontà del Signore circa il
cammino. Egli deve continuare a “darci forma”, infatti non si interrompe la
sequela, semplicemente essa può assumere contorni diversi, può interpellare
nuove disponibilità. Sicuramente il Signore è per la nostra gioia e per la
nostra vita: non permetterà che il nostro cuore si chiuda alla novità del
Vangelo.
Sappiamo bene che La
vita professionale dà forma al tempo di vita di ciascuno, ha delle ricadute sulle relazioni che si hanno e ne crea delle altre
determinanti (con i colleghi, con chi ha responsabilità nei luoghi di
lavoro, ecc.).
Le relazioni quotidiane
costruite nel tempo di lavoro, dopo averlo lasciato, poco alla volta vengono
meno, ciò può far avvertire un impoverimento: è una situazione delicata,
diventa importante non cedere al ripiegamento.
A questa mutazione di rapporti ci si deve preparare, anche se, quando essa
arriva, non mancherà la fatica, dobbiamo, comunque, rimetterci nelle mani del
Signore.
Affidarci a Lui ci consente, poco per volta, di custodire e
ricreare relazioni gratuite e vere, negli spazi nuovi che Egli aprirà davanti a
noi….
Probabilmente sarà
importante riprendere in mano la nostra vita per non considerarla “derubata” di
ciò che l’alimentava, per ridefinirla, nella consapevolezza che i doni che il
Signore ci ha fatto, in molti anni, non vengono meno.
Durante l’attività
lavorativa si è costruito un patrimonio di conoscenze, di esperienza, di
impegno sociale, di dedizione nell’apostolato.
Il lavoro, spesso, è anche il luogo principale del nostro
apostolato.
Quindi, quando cessa il
lavoro in quali ambiti orientarci?
Quali criteri per
discernere gli ambiti di impegno nel tempo del pensionamento?
Di quali aiuti abbiamo
bisogno?
Quali atteggiamenti
possono aiutarci nella ricerca?
Smettere di lavorare comporta il riprendere in considerazione
l’utilizzo del tempo,
non più scandito da orari previsti a prescindere da noi, chiede di rimetterci
in gioco, nonostante la sensazione di smarrimento che può colorare le nostre
giornate che diventano così diverse e tutte da rimodulare.
È come prendere
improvvisamente atto che il tempo è passato in fretta e che si apre una fase
nuova, tutta da reimpostare. Ci può prendere un senso di solitudine.
Nel frattempo, anche il corpo invecchia. Questo
aspetto non va trascurato ed è bene prenderne consapevolezza. Viviamo in un tempo che nega gli effetti
dell’età: così come è allontanato il pensiero della morte, probabilmente si
allontanano anche i cambiamenti che l’età che avanza provoca sul nostro
corpo. Aiutiamoci ad invecchiare con il
cuore “abitato e sereno”.
La preghiera, la riflessione personale, l’ascolto della Parola
diventano fondamentali per ritornare alle origini e ridire, con molta
semplicità, al Signore della nostra vita: “Gesù
aiutami a ridirti il mio sì, a rinnovare la mia offerta, conducimi Tu per le
strade nuove che vorrai, sia fatta la tua volontà oggi e sempre”.
Alcune
sottolineature
· Diciamo
subito che è del tutto normale sentire la paura d’invecchiare. Essa si
rafforza, nella nostra società, anche attraverso le forme della pubblicità che
privilegiano, sempre e comunque, il giovane, il bello e chi non presenta
limiti. Questo continuo rimuovere la realtà costringe molti anziani a chiudersi
in se stessi e a dimenticare l’esperienza e la saggezza “imparata” dalla vita.
Altrettanto normale e necessario avvertire e accettare in modo cosciente e
libero il distacco dell’uscita dal lavoro o al termine della giovinezza, oppure
dovuto alla morte di familiari e colleghi, ecc.
· Sembra
che oggi vi sia una maggiore consapevolezza dell’importanza di prepararsi a
questa fase della vita e non solo caderci dentro all’improvviso. È necessario
preparare questa tappa. L’invecchiamento comporta dei problemi biologici e
fisiologici, psicologici e spirituali che possono creare difficoltà: nascono
dentro domande ineludibili: Chi sono io? Che senso ha la mia vita? Come ho
passato gli anni che ho vissuto? Come posso vivere bene i prossimi, ultimi
anni?
· Come
ogni crisi esistenziale, anche questa, per essere vissuta e non subita, chiede
un rinnovamento del cuore, un affinamento interiore. Questo vale per tutti, a
nessuno è dato il permesso di vivere questa fase della vita in tono minore, di
diventare mediocri. Ma noi dovremmo avere ragioni profonde per viverla senza
ripiegamenti.
· E
bene conoscere alcuni sentimenti come, ad esempio, Il senso di inutilità:
conclusa la fase attiva, si corre il rischio di sentirsi inutile, di lasciarsi
prendere da una sorta di apatia, con la conseguenza di perdere la propria
autostima e lasciandosi un po’ andare.
· Si
avverte anche una pesante solitudine: non tanto quella solitudine costitutiva e
inevitabile, in particolare di fronte a decisioni difficili, ma quella
solitudine che isola, che impedisce di dialogare con il proprio mondo “che non
è più quello di una volta”. Questo isolamento viene dalla mancanza di attività,
dal trovarsi soli per lunghe ore della giornata. Allora nel cuore nasce una
domanda seria e pericolosa: “Servo ancora a qualcosa a qualcuno?” oppure: “C’è ancora qualcuno cui io
interesso?”. La paura della non autosufficienza, della malattia, dell’abbandono,
della dipendenza, e soprattutto della morte.
Alcuni
suggerimenti
Per
reagire a questi aspetti negativi dell’invecchiamento è necessario darsi delle
nuove motivazioni valide per la propria esistenza. Si tratta di un cammino che
dovrebbe essere stato avviato già nelle fasi precedenti della vita, ma che in
ogni modo deve essere sviluppato. Alcuni
suggerimenti:
a) Mettere
le radici della propria esistenza in valori duraturi e non effimeri (successo
negli affari, carriera, bellezza, prestanza fisica, capacità di lavoro ecc.)
non legati solo al fare, all’avere, al potere, ecc., ma all’essere della
persona, perché solo questo permane quando il resto viene meno.
b) Trovare
pur dentro i propri limiti oggettivi e soggettivi un ruolo o un impegno
significativo per sé e, possibilmente, utile gli altri. Pur tenendo conto dei
nostri bisogni dobbiamo cercare di toglierci dal centro per rivolgerci agli
altri mettendo al loro servizio la maturità e la saggezza in cui si può
crescere fino alla fine.
c) Mantenere,
per quanto possibile, la propria autosufficienza, ossia la capacità di
autoregolarsi, di essere autonomi nelle decisioni (cioè non crearsi delle
dipendenze) e nelle risposte ai propri bisogni, di saper organizzare il proprio
tempo libero. L’atteggiamento corretto è quello di non sciupare il tempo.
d) Promuovere
la duttilità mentale, cioè un nuovo modo di usare e offrire le proprie
conoscenze e l’esperienza accumulata nel corso della vita precedente,
mantenendo nello stesso tempo su di esse una prospettiva distaccata. Questa
distanza, voluta e coltivata, porta alla flessibilità mentale, ad accettare il
diverso, a relativizzare le idee e le sensibilità personali, a non
assolutizzare i propri desideri, il proprio punto di vista, i sogni e le
speranze, le paure e le ansie, liberandosi da un modo di pensare prefabbricato
che alla fine impedisce di accettare e ascoltare gli altri. La realtà di ogni
giorno non si divide in “bianco o nero”, chiaramente distinti, ma presenta
piuttosto delle ampie zone di “grigio” che lasciano sconcertato chi vuole
chiarire tutto sulla base di una rigida logica matematica.
e) Rinnovare
le relazioni personali per sfuggire al rischio dell’isolamento: i frutti, che
dipendono molto anche dall’impegno messo in campo in età giovane/adulta,
possono essere quelli di una maggiore intimità con le persone e con il Signore.
Forse dovremmo ricordarci di più che l’obiettivo non è quello di cercare a
tutti i costi una vita di relazioni come quella della prima età adulta, ma di
elaborare e potenziare la comunicazione e la comunione, compatibili con la
nuova situazione: ricercando nuove forme di reciprocità, che permettono di
sviluppare una rete di amicizie attraverso le quali esprimere la preoccupazione
per il bene degli altri, ai quali ci si avvicina con fiducia e sincera
attenzione. Dovrebbe nascere un nuovo tipo di relazione interpersonale segnato
dalla tenerezza,
all’accoglienza e dalla
compagnia e, in una parola, dalla gratuità.
f) Passare
dalla rapidità e tempestività d’azione, proprie della giovinezza, alla
ponderatezza dell’età matura, senza scadere nell’inerzia o nella passività. Ma
questa disposizione d’animo non si acquisisce una volta per tutte, in un
istante. Dobbiamo vincere la tentazione
di un atteggiamento giovanilistico e fuori tempo per proporci nuovi ideali e
obiettivi possibili e in armonia con la nuova situazione. Sapere, per esempio,
consigliare una persona più giovane invece di voler tenere ancora tutto
saldamente nelle proprie mani; accettare volentieri un ruolo in seconda fila
invece di pretendere di essere sempre in primo piano, davanti agli altri. Non è
facile accontentarsi di fare il secondo specialmente per chi è stato in
posizione di autorità. Ma solo se sappiamo accettare questi ruoli secondari,
permetteremo agli altri di emergere e di affermarsi. Tirarsi da parte è quindi
un atto di amore verso gli altri.
g) Superare
l’eccessiva preoccupazione di sé per giungere all’attenzione, alla compassione
e alla saggezza. Anzitutto superare l’esagerata preoccupazione per il proprio
benessere, (conosciamo l’eccessiva importanza che la nostra cultura attribuisce
al corpo e all’apparire sempre giovani), per valorizzare l’interiorità e quegli
elementi essenziali che fanno di noi persone di carattere e di bellezza
interiore. Cercare di allargare il proprio perimetro che, a causa
dell’esperienza passata, spesso coincide con il lavoro. È il momento di espandere
i propri interessi. Possiamo trovare una diversa (e forse più ampia)
realizzazione di noi stesse, assumendo servizi di volontariato nel campo della
cultura, del servizio civile, della politica o del sociale.
h) La
terza età può essere infine la stagione opportuna per sviluppare aspetti della
propria personalità non sviluppati nel corso degli anni attivi. Allargare gli
spazi interiori della nostra persona per includervi la morte. Dobbiamo aiutarci
e farci aiutare a considerare e accettare la realtà della morte, come la
“perdita” del nostro io individuale e separato per entrare in una vita senza
confini né di tempo né di spazio e in una comunione con l’umanità intera. Non è
certo un passaggio facile ed ancor meno spontaneo. Esso richiede di passare per
una vera “notte oscura” andando al di là della sola preoccupazione per la
propria sopravvivenza.

amore senza limiti
Carissime/i,
nel mese
del Sacro Cuore di Gesù celebriamo la centralità del nostro carisma che si
nutre dell’Amore senza limiti e dove nasce e trova fondamento la nostra
spiritualità e la nostra missione. È un invito a rinnovare il nostro cuore per
farlo simile al suo. La fedeltà della nostra vita sarà una sollecitazione
perché altri seguano da vicino Cristo e rispondano alla chiamata che Egli
continua a fare oggi alla vita consacrata.
Stiamo vivendo momenti di prova nelle nostre
realtà famigliari e lavorative, nella nostra CM, nella Chiesa e nel mondo, per
questo, si fa più forte oggi l’invito a vivere l’amore che si fa Oblazione.
Offrire tutto in unione a Gesù per mezzo di Maria in spirito di amore e
per l’avvento del suo Regno nel mondo è la nostra offerta che darà i
suoi frutti.
La Parola di Dio ci
conferma: “Figlio,
se ti presenti per servire il Signore, preparati alla tentazione. Abbi un cuore
retto e sii costante, non ti smarrire
nel tempo della seduzione. Sta’ unito a lui senza separartene, perché tu sia
esaltato nei tuoi ultimi giorni. Accetta quanto ti capita, sii paziente nelle
vicende dolorose, perché con il fuoco si prova l'oro, e gli uomini ben accetti
nel crogiuolo del dolore. Affidati a lui ed egli ti aiuterà; segui la via
diritta e spera in lui.(Siracide 2,1-6)
Chi dice SI al Signore sarà provato. “La prova rivela quello che siamo, rivela
quello che c’è dentro di noi. È il momento per valutarci. Di vedere quello che c’è veramente nel nostro
cuore. È anche il tempo per purificarci. Di
attenerci a quello che è essenziale, e di relativizzare quello che è
secondario, includendo il distacco dal superfluo. La prova è anche il momento
di consolidarci: di vedere cos’è quello che vogliamo, cos’è quello che
cerchiamo: se Dio ed il suo Regno oppure
noi stessi, e di unirci più fortemente al Signore … La prova è un tempo di sradicamento:
di distacco da noi stessi, di desiderare che il Signore ci conduca, che il
Signore agisca, che il Signore sia il Signore.”[1]
Questo è un tempo di Grazia che ci rinnoverà.
Tempo di vita nuova in Lui, ricordando che il Cuore trafitto di Cristo “costituisce la sorgente a cui, noi missionarie,
attingiamo grazia e stile di vita per attuare la nostra missione nelle realtà
comuni a tutti.”.[2]
Il 29 settembre prossimo celebreremo il 60°anniversario
di consacrazione di Bruna, Bianca, Cesarina e Irene, che bello poter
ringraziare per il dono delle loro vite consacrate e donate con tanta
generosità. Il CC invita tutti ad accompagnare con la preghiera e gesti di
gratitudine per queste nostre sorelle. Sarà il momento di fare memoria dei
nostri inizi e ringraziare Dio che nel suo progetto di Amore ha concepito la
nostra CM.
Ricevete un abbraccio fraterno nel Cuore di Gesù!
Graciela
[1] “Reparar
el Corazón”. María Josefina Llach, aci
[2]
Regolamento di Vita, 11
