Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La
COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede
centrale a Bologna, ma è diffuso in varie regioni d’Italia, in Portogallo, in
Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
All’istituto
appartengono missionarie e familiares
Le
missionarie sono donne consacrate
mediante i voti di povertà, castità, obbedienza, ma mantengono la loro
condizione di membri laici del popolo di Dio. Vivono in gruppi di vita fraterna
o nella famiglia di origine o da sole.
I
familiares sono donne e uomini,
sposati e non, che condividono la spiritualità e la missione dell’istituto,
senza l’obbligo dei voti.
News
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27 / 05 / 2020
SOLENNITA' DEL SACRO CUORE DI GESU'
Venerdì 19 giugno 2020...

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27 / 05 / 2020
SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
Sexta-feira 19 de junho de 2020...

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27 / 05 / 2020
SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
Viernes 19 de junio de 2020...

battezzati e inviati: la chiesa di cristo in missione nel mondo
Questo è stato il titolo del messaggio di Papa Francesco per la giornata
missionaria del 2019. “Celebrare questo mese ci aiuterà in primo luogo a
ritrovare il senso missionario della nostra adesione di fede a Gesù Cristo,
fede gratuitamente ricevuta come dono nel Battesimo. La nostra appartenenza filiale
a Dio non è mai un atto individuale ma sempre ecclesiale: dalla comunione con
Dio, Padre e Figlio e Spirito Santo nasce una vita nuova insieme a tanti altri
fratelli e sorelle. E questa vita divina non è un prodotto da vendere – noi non
facciamo proselitismo – ma una ricchezza da donare, da comunicare, da
annunciare: ecco il senso della missione. Gratuitamente abbiamo ricevuto questo
dono e gratuitamente lo condividiamo (cfr Mt 10,8), senza escludere
nessuno. Dio vuole che tutti gli uomini siano salvi arrivando alla conoscenza
della verità e all’esperienza della sua misericordia grazie alla Chiesa,
sacramento universale della salvezza (cfr 1 Tm 2,4; 3,15; Conc. Ecum.
Vat. II, Cost. dogm. Lumen gentium, 48)….
…È un mandato che ci tocca da vicino: io sono sempre una missione; tu sei
sempre una missione; ogni battezzata e battezzato è una missione. Chi ama si
mette in movimento, è spinto fuori da sé stesso, è attratto e attrae, si dona
all’altro e tesse relazioni che generano vita. Nessuno è inutile e insignificante per l’amore
di Dio. Ciascuno di noi è una missione nel mondo perché frutto dell’amore di
Dio. Anche se mio padre e mia madre tradissero l’amore con la menzogna, l’odio
e l’infedeltà, Dio non si sottrae mai al dono della vita, destinando ogni suo
figlio, da sempre, alla sua vita divina ed eterna (cfr Ef 1,3-6).”
La prima volta sono andata in Mozambico anche perché in quel periodo si
parlava molto della responsabilità sociale. C’era chi in quel periodo
s’identificava col proletariato e lottava e ammazzava per l’uguaglianza delle
classi sociali. C’era chi gridava e manifestava per l’indipendenza e
l’autonomia dei popoli.
Il concilio come cristiani ci aveva sensibilizzati alla salvaguardia delle
culture locali e al rispetto dei nostri fratelli che erano stati e ancora
venivano defraudati di tutto, anche della propria identità culturale, da regimi
coloniali. Ed io che ero nata nel Nord del mondo sono cresciuta nella coscienza
cristiana che non serviva manifestare e attizzare odio, ma era necessario
mettersi dalla parte dei fratelli del Sud del mondo per collaborare con loro
allo sviluppo, alla presa di coscienza della propria identità e fianco a fianco
risalire la china insieme. Era il vento del concilio che ci aveva
sensibilizzati al rispetto delle persone, delle culture, delle loro identità,
anche se molto diverse dal “nostro mondo”. Così appena laureata sono partita
con la mia coscienza di battezzata, cristiana sessantottina, che voleva
contestare mettendosi dal lato degli
oppressi, scegliendo la missionarietà come scelta di vita e vocazione.
In questi anni ho fatto di tutto dall’alfabetizzazione
al lavoro pastorale, dal formatore di giustizia e pace a responsabile di
progetti a livello diocesano, da organizzatrice e insegnante di università a
capo cantiere e quasi muratore; sempre tra poveri e meno poveri, tra giovani e
meno giovani ma sempre al fianco e questa è sempre stata la caratteristica che
ha creato perplessità e meraviglia, reazioni e accoglienza.
Molte volte ho trovato espressioni di meraviglia quando dichiaravo la mia
nazionalità italiana. E qualcuno, cadendo dal pero, è arrivato a chiedermi come
mai non avessi la nazionalità mozambicana. C’è stato addirittura una volta un
giovane sacerdote mozambicano che mi ha dichiarato di non avere complessi con
me e che si sentiva trattato veramente come persona senza distinzione di razza.
Sembra strano, ma questo mi ha colpito profondamente facendomi pensare a quante
volte noi inviamo messaggi negativi inconfutabili, senza volerlo, se non
crediamo profondamente nell’uguaglianza e nel rispetto della persona umana.
Dopo quasi trent’anni di questa immersione totale a pieni polmoni ho dovuto fare un cambiamento rapido, non
programmato ma obbligato, per salute dal Mozambico all’Italia. Ho cambiato il
luogo, ma non l’essere. Sono missionaria perché battezzata. Sono missionaria
anche come scelta di vita.
In Mozambico mi
occupavo di giovani, di “giustizia e pace” a livello diocesano per cui anche o
soprattutto di prigioni, di università; venuta in Italia mi sono subito
affiancata al cappellano della Dozza di Bologna, (il grande carcere che
comprende il settore penitenziario, il giudiziario che ospita quelli che
sono in attesa di giudizio e i
definitivi, e in una struttura totalmente a parte ma dentro lo stesso alto recinto,
c’è anche il carcere femminile), e per ora vado tre volte a settimana.
La domenica si va per l’animazione delle messe: vengono celebrate ogni
domenica 5 messe ognuna in un settore differente. Io ho scelto di andare nella
chiesa grande dove molti volontari preferiscono non andare in quanto è molto
dispersiva, a volte impersonale e non aiuta la partecipazione anche perché
molti detenuti vengono per incontrarsi con altri conoscenti o parenti che sono
detenuti in altri bracci e lì possono incontrarsi e scambiare due chiacchiere.
Mi sono messa
nella posizione di catechista che, stando in mezzo a loro, insegna, facendo e
mostrando, come si partecipa e come si risponde.
Essendo la mia presenza costante, ho finito con l’essere uno dei punti di
riferimento. E proprio l’altro giorno mi è capitata una cosa inaspettata: la
messa non era ancora cominciata ed io stavo studiando quale poteva essere,
strategicamente, il posto più conveniente per sedermi.
I miei criteri
di scelta sono: individuare il gruppo più squinternato magari di musulmani
venuto lì solo per fare due chiacchiere o di stranieri che non conoscono la
lingua e non riescono neanche a seguire dal foglietto, mentre facevo queste
osservazioni mi sono seduta dietro tre signori italiani avanti in età che mi
rivolgono subito la parola salutandomi e chiedendomi come mai non fossi andata
la domenica precedente e dichiarandomi che si era notata la mia assenza. Primo
colpo inaspettato, poi così, quasi d’improvviso, mi chiedono: «Noi non abbiamo
la faccia da criminali vero?». Sembrava che volessero leggere nel mio cuore,
poi quasi facendo un loro profondo esame di coscienza continuano dicendo
letteralmente: «A volte sono le circostanze della vita che ti pongono in certe
situazioni», quasi ammettendo a se stessi di essere diventati criminali. Ho visto
in loro una ricerca di dignità perduta e un tentativo di capire se io li
consideravo criminali o no.
Mi sono trovata a farfugliare: chi sono io per giudicare? Sì, sì, capisco e
conosco bene certe situazioni… e ancora una volta mi sono sentita profondamente
turbata pensando alla fatica che fa la nostra società ad accogliere gli altri
come persone.
Un altro servizio che svolgo nel carcere è quello di incontrare quelli che
chiedono al cappellano il battesimo, la cresima o la preparazione al matrimonio
e facendo un primo colloquio cerco di capire le vere motivazioni. Poi,
dipendendo dalle disponibilità o dalle esigenze linguistiche, il cappellano
affida all’uno o all’altro catechista, la preparazione. Anche io ho avuto modo
di accompagnare vari al battesimo fino alla cresima. Faccio questo servizio
anche per gli agenti di polizia.
Attualmente vivo in una fraternità costituita da un nucleo di residenti e
altri che vivono nelle proprie case e vengono molto spesso per incontri,
scambio di esperienze e condivisione di vita. I residenti sono due padri
dehoniani, due di noi che apparteniamo alla Compagnia Missionaria del Sacro
Cuore e un signore che, lavorando da mattina a sera, molte volte condivide con
noi solo la cena. Noi residenti facciamo anche il servizio di accoglienza di
detenuti in permessi ad horas, che,
per poterne usufruire, devono avere un riferimento in città che si
responsabilizzi. Ho visto in questi incontri gli occhi lucidi e timidi di
uomini che dopo tredici o quindici anni di detenzione trovavano qualcuno che li
accoglieva in modo semplice, spontaneo e piano piano si scioglievano sentendosi
in famiglia, qualcuno lasciandosi andare a raccontare il suo passato fatto di
errori e di grandi cadute. Dopo si instaura un rapporto tale che diventa
veramente familiare fatto anche di scherzi e di condivisione di servizi.
Oggi, in modo particolare, la nostra società è chiamata a superare la
stigmatizzazione di chi ha commesso un errore poiché, invece di offrire l’aiuto
e le risorse adeguate per vivere una vita degna, ci si è abituati a scartare piuttosto che a
considerare gli sforzi che la persona compie per ricambiare l’amore di Dio
nella sua vita. Molte volte, uscita dal carcere, la persona si deve confrontare
con un mondo che le è estraneo, e che inoltre non la riconosce degna di
fiducia, giungendo persino a escluderla dalla possibilità di lavorare per
ottenere un sostentamento dignitoso.
Impedendo alle persone di recuperare il pieno esercizio della loro dignità,
queste restano nuovamente esposte ai pericoli che accompagnano la mancanza di
opportunità di sviluppo, in mezzo alla violenza e all’insicurezza.
In questo momento però col virus, tutto è stato sospeso, rimane solo il
rapporto epistolare. Fino a quando? Non lo sappiamo.

29 anni in missione
La “Fondazione Aldeia da Paz” – Collegio per bambini e
giovani - si trova nella frazione “Agua de Pena”, Concelho de Machixo, Madeira,
a 23 km di Funchal, Portogallo.
Nel
1990 il Vescovo di Funchal, D. Teodoro de Faria, invitò Gastão Fernandes,
Familiaris della CM, a dirigere la “Liga dos Amigos”, a raccogliere fondi per
costruire la “Fondazione Aldeia da Paz”, un progetto di assistenza a giovani e
a famiglie di Madeira che vivevano nella precarietà. Celestina, missionaria, ed
io João Carlos, familiaris CM, facevamo parte della Direzione.
Il
31.7.1994 hanno cominciato ad entrare nell’”Aldeia da Paz” i primi ragazzi dai
5 ai 12 anni. L’obiettivo del progetto è quello di garantire la loro
educazione, così da rendere sicura la continuità degli studi oppure dare la
possibilità di imparare una professione, così da poter vivere con una certa
indipendenza la loro vita. Quando questi ragazzi raggiungono i 18 anni possono
continuare a studiare oppure ritornano alle loro famiglie. La “Liga dos amigos”
ha continuato a coordinare il progetto che si inaugurò nel 2000. Quando il Sig.
Gastão morì, io ho continuato a far parte della Direzione e ad aiutare il
progetto. L’11.01.2019 il vescovo di Funchal, D. Antonio Carrilho, mi ha
invitato ad assumere, come Presidente, la Direzione del progetto.
La Casa ha la capacità di ospitare 36 giovani; al momento
il progetto è stato programmato per 18 giovani solo maschi. Per accompagnare
questi ragazzi, è stata costituita una equipe specializzata e preparata per
questo lavoro. I giovani presenti frequentano la scuola pubblica come qualsiasi
altro giovane e si stanno così preparando per ottenere un futuro migliore. La
Direzione dell’“Aldeia da Paz” è responsabile di tutta l’organizzazione
amministrativa, del materiale necessario e delle risorse umane. E’ anche
responsabile per la parte finanziaria: l’80% proviene dalla Previdenza sociale
e l’altro 20% da varie donazioni.
Questo Progetto ha molte potenzialità. La casa
è situata in un terreno con 47.000 m2. Oltre il Convitto per i giovani c’è anche la
Casa Comunitaria per ospitare 12 persone, che sta aspettando di essere
occupata. Stiamo riflettendo e studiando come utilizzare il terreno a
disposizione per progetti di agricoltura e altro…
Ho
accettato questo compito con spirito di missione e servizio con il proposito di
essere “un umile lavoratore nella vigna
del Signore”. Chiedo a tutta la CM di pregare affinché questo progetto
offra un luogo dove i giovani si preparano al loro futuro e la comunità possa
partecipare con semplice spirito di servizio.

il sorriso di dio
Mi chiamo Rosy. Attualmente vivo a Conegliano
Veneto in provincia di Treviso. Da anni faccio parte della Croce Rossa e sono
nel percorso formativo per diventare missionaria CM. Il mio percorso di vita, a
volte molto ripido, mi ha sempre portato a guardare oltre. C’è un incontro che
costantemente ha risuonato in me, quello con don Tonino Bello e ciò che lui
diceva: “C’è sempre un asciugatoio che manca, una brocca che è vuota d’acqua,
un catino che non si trova”. Sono parole che in un certo senso hanno guidato le
scelte del mio vivere. Ecco l’entrare a far parte della Croce Rossa,
inizialmente nel settore emergenza, per poi operare anche nel sociale, ad
incontrare i più poveri.
Un primo progetto a cui ho
partecipato (Punto Caldo) era rivolto ai Senza Fissa Dimora, coloro che sono
chiamati “il rifiuto della società”. Proprio così: rifiuto della società.
Usciamo tre volte a settimana per portare vivande calde, viveri e ciò di cui
hanno bisogno, in luoghi da loro raggiungibili e non sempre in situazioni
semplici. Ho toccato con mano che esiste una realtà diversa da quella che molte
volte si vede attraverso i mass media e non solo, una realtà spesso nascosta.
Molte volte mi sono chiesta cosa facessero durante le loro giornate, il perché
sono finiti in quella situazione, qual è il loro passato…. Più mi ponevo
domande è più mi rendevo conto che c’era ancora “una brocca da riempire”. Ho capito che in strada non si muore
di fame, qualcosa in un modo o nell’altro la si recupera, ma si muore di
solitudine, di indifferenza… In quegli incontri dovevo essere io a portare
aiuto….ma ero io a ricevere… tutto ciò di cui il mio cuore aveva bisogno per
nutrirsi. Ma non solo. Molte volte mi sono resa conto di avere difficoltà ad
accettare il fatto che oggi esistano situazioni del genere.
Ma a cosa serve chiederselo? Non basta per
risollevare queste persone dalla sofferenza.
La risposta è stata: si può fare ancora qualcosa.
Ma cosa? E soprattutto in un territorio dove le
istituzioni sono completamente assenti, non interessate a queste problematiche
umane, dove queste persone pur essendo un numero elevato non esistono e sono
viste come una malattia… Sono tante le porte trovate chiuse.
Ho cominciato a riflettere su ciò con un piccolo
gruppo del quale oggi sono responsabile. Abbiamo iniziato a sognare alla grande
con l’idea di realizzare un dormitorio. Progetto, contatti e altro per renderci
conto che i costi erano elevatissimi, che avevamo bisogno di una struttura
adeguata e che nessuno poteva darci una mano. Troppo rischioso per il territorio
che si è sempre tirato indietro. Abbiamo continuato a lavorare pensando a
qualcosa di diverso e alla fine il nostro progetto è diventato “Progetto
docce”. Forse un po’ poco per aiutarli
ma è una piccola goccia nell’oceano. Abbiamo scelto un modo diverso, forse non
comune, ma con la certezza di poter ridare non solo dignità alle persone ma
soprattutto di offrire uno spazio per creare un rapporto umano, una relazione,
fatta di ascolto, condivisione, per farli sentire importanti. Ecco lo scopo:
far spalancare la porta della solitudine, dar voce ai loro bisogni e provare a
guardare con i loro occhi.
La mia vita burrascosa mi ha portato sempre a
credere nella “provvidenza”, soprattutto quando si lavora per il bene comune. Il
mio percorso mi porta a conoscere una nuova realtà lavorativa in una casa di
riposo: dalla disabilità alla fragilità dell’anziano. Una realtà che cammina
con l’uomo, accanto all’uomo. Sappiamo bene che non sempre è così…soprattutto
nella società odierna. Ho trovato in essa dei dirigenti capaci di ascolto,
capaci di guardare le necessità del territorio, che mi offrono la possibilità
di poter usufruire di alcuni locali della casa di riposo. Ed ecco che la provvidenza si fa presente…
Ciò che stavamo cercando ci viene gratuitamente
dato…
Questo ci ha permesso di poter dar vita a questa
realtà. Essendo l’inizio e soprattutto senza tante risorse disponibili,
incontriamo settimanalmente questi nostri amici… Condividono con noi le loro
storie di vita, i loro sogni spesso infranti, le loro speranze…. Sì, speranze
perché sono queste che sostengono il cammino di ognuno di noi. Sono consapevole
che è molto poco ciò che facciamo e che c’è tanto ancora da fare, ma so che il
grande amore che ci mettiamo rende ciò straordinario: è straordinario vederli
contenti, vedere che si fidano e in un certo senso si affidano a noi……E’
semplicemente straordinario vedere il sorriso di Dio sui loro volti.

fatica e entusiasmo
“Tutto quello che avete fatto a uno solo di questi
miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”(Mt.25,40)
Per
raggiungere il villaggio di Pasang Surut ( isola di Sumatra) si deve scegliere
tra due possibilità: percorrendo il fiume con un barcone oppure a piedi per
terra ferma naturalmente ambedue i percorsi con diversi disagi. Con il tempo
delle piogge poi, la strada rimane fangosa e scivolosa per cui non rimane
che scegliere il percorso via fiume.
E’ una località situata sulle rive del fiume,
gli abitanti quasi tutti contadini, coltivano il riso, base del loro alimento
quotidiano , dalla palma di cocco l’olio e anche la gomma da un altro albero In
questo posto c’è una parrocchia affidata ai Padri dehoniani e una comunità di
suore “Charitas”, indonesiane, che gestiscono una clinica. Ho conosciuto questo
posto per la prima volta nel 2005 quando
con Antonia e p. Sugino SCJ siamo venuti per una giornata di animazione
missionaria.
Venerdì 6 febbraio ci sono ritornata per
svolgere un programma lavoro nelle
scuole, insieme ad una mia collega Margaretha e a p. Fridho SCJ. supervisore delle
strutture scolastiche. Partiamo da Palembang ben preparate e pronte ad
accogliere i vari disagi del cammino, ma anche con tanta fiducia ed entusiasmo.
Con noi viaggia una ragazzina di 14 anni, molto bella , dal viso dolce. Il
nostro compito è quello di accompagnarla dalle suore e lasciarla con loro. Conosco
la sua storia attraverso i giornali che hanno parlato del suo caso e da notizie
che mi vengono date durante il cammino.
La
presenza di questa ragazza seduta in macchina accanto a noi,mi obbliga a
pensare per tutto il viaggio al valore della vita, alla famiglia, al mondo in
cui viviamo. Una giovane vita la sua, già tanto provata , offesa, sfruttata..Di
famiglia cattolica, la ragazza ha sperimentato in diversi momenti della sua
vita la violenza e la precarietà della sua propria famiglia. Non accolta dal
padre e dalla madre viene affidata al nonno che la inserisce nell’ambiente della prostituzione…La ragazza scappa di casa e per un tempo
vive insieme ad altre persone povere, sotto un ponte della sua città. Le
persone che inizialmente cercano di proteggerla, in breve si rivelano pure loro
sfruttatori e la vendono ad altri …Passa così da un’esperienza all’altra vivendo nella più triste realtà di giochi
proibiti e in ambienti inadatti alla sua
età e destinati a rubarle il dono più grande: la vita.
Finalmente
incontra una persona che la prende a cuore e la incoraggia ad andare dalla
polizia. Da qui nasce finalmente un cammino di recupero e accompagnamento attraverso l’inserimento in un progetto organizzativo,
che ha lo scopo di aiutare bambini con
seri problemi familiari. Una giovane vita con un percorso segnato dalla croce…
a solo 14 anni!!!
Con
questi pensieri che vanno e vengono nella mia testa, non mi sono resa conto del
tempo trascorso in viaggio e così siamo arrivati a Pasang Surut.
P.
Edi e p. Sukadi SCJ ci accolgono nella casa parrocchiale. Dopo cena veniamo ospitate
dalle suore “Charitas”. Ci accoglie un ambiente molto semplice e fraterno che
ci fa provare la pace e la gioia di stare insieme. Un clima sereno che sembra lenire e sanare le
ferite provate e sentite in me
ripercorrendo il percorso di vita di questa giovane. Veramente l’accoglienza, la bontà e il
rispetto per gli altri ti rendono più comprensiva e più buona!
Il
giorno dopo nella cappella delle suore alle ore 5.30, Padre Fridho SCJ celebra l’ eucaristia e in seguito dopo colazione
incominciamo a svolgere il nostro programma scolastico. Avendo il pomeriggio
libero siamo andati a pescare. E’ stato molto bello vedere sorridere questa
ragazza, contenta di poter partecipare a tutto questo con tanta semplicità,
gioia e serenità. Insieme, abbiamo poi preparato la cena e
gustato il nostro pesce, cucinato molte bene. Veramente buono!!!.
Alle Ore 19.00 ci siamo
incontrate ancora in parrocchia per terminare il nostro lavoro di
programmazione verso le ore 23.00, stanca,
con tanto sonno…ma felice di tutto. Il mattino dopo alle ore 7 pronti per il
rientro a Palembang.
La
ragazza rimarrà qui per cominciare il suo percorso verso una nuova vita. Nel
mio cuore provo un sentimento di “ perdita” nel lasciare non solo Pasang Surut,
ma soprattutto questa ragazza che ha vissuto con noi questa esperienza di due
giorni. Decidiamo di lasciare alle suore un aiuto economico per sostenerle in questo percorso. Compiamo
questo gesto non come un obbligo ;vogliamo solamente che sia piccolo contributo
che faccia sentire la nostra voglia di condivisione e di vicinanza. Un piccolo
gesto che aiuterà a far germogliare
qualcosa di grande e di positivo per la vita di questa ragazza.
Considero importante aver condiviso con voi
questa esperienza. So di aver donato un po’ del mio tempo a voi che mi
leggerete, di avervi aperto il cuore in questo momento in cui ho vissuto questa
forte esperienza. I problemi e le difficoltà se condivise con gli altri ,si
vivono e si affrontano meglio. Grazie!

il mio cammino professionale
Dopo
28 anni di lavoro professionale…l’agosto scorso sono andata in pensione! Ho
giubilato…La parola giubilo significa un’esplosione di gioia! Ora la interpreto
come la stupenda esperienza che ho vissuto come infermiera, in mezzo ai
fratelli, con profonda gioia… nonostante come qualsiasi lavoro, oltre alla gratificazione,
abbia comportato sacrificio, difficoltà…
“L’anima
mia magnifica il Signore e il mio
spirito esulta…”. Fin dall’inizio ancora quando studiavo e facevo pratica, la
Vergine Maria è sempre stata presente. Ricordo, quando ero ancora studentessa e
stavo nel collegio delle infermiere, c’era una bellissima immagine di Maria
nella nostra sala. Mi sentii accolta e protetta per sempre da Lei come Madre e
compagna. Da allora ho sempre portato con me una sua piccola immagine nei miei
posti di lavoro e quando ho avuto un mio ufficio nell’Università Cattolica vi
ho messo un’immagine più grande – che mi aveva regalato una mia amica – sulla
parete perché guardasse e custodisse
tutto e lì siamo state insieme lavorando quasi dieci anni.
Successivamente
ho portato con me questa immagine quando abbiamo iniziato il Centro di Salute
Mentale dell’Università Cattolica, dove ho lavorato fino all’agosto scorso.
Maria, Madre, Guida e Custode mi ha sempre avvolto con il suo amore e la sua
protezione ovunque sono stata. Quante volte, impotente, ho lasciato nelle sue
mani e nel suo cuore soprattutto i miei ammalati più gravi e più in difficoltà!
Ho
lavorato in vari reparti: intensivo, medicina, chirurgia, chemioterapia,
gastroenterologia sia in ospedale che in ambulatorio. Tuttavia il settore dove
ho lavorato di più è stato quello della salute mentale e drogati dove facevo
parte di un’equipe di alta qualità professionale, umana e cristiana. Qui ha
acquisito ancora più valore il mio lavoro professionale insieme alla mia testimonianza
di fede e di consacrata CM.
Avrei
ancora molto da raccontare: episodi, testimonianze, aneddoti…dato che la vita è
piena di vicissitudini. Credo di poter riassumere la mia vita professionale di questi anni come
un pellegrinaggio “insieme con Maria, con la sua gioia e gratitudine”. Gioia e
gratitudine perché, nonostante i miei limiti personali, posso dire che
“guardando la piccolezza della sua serva, il Signore ha fatto in me, finora,
meraviglie” e continuerà a farle nella mia vita. E questo dà alla mia anima
pace, speranza e gioia.
Per
il mio modo di essere, io sono molto riservata e di basso profilo, senza grandi
abilità sociali, però sento e tocco con mano che Dio ha messo dentro di me una
grande capacità di affetto per le persone ed esse rimangono in me. Ora tutto
questo non è frutto di causalità perché nessuno rimane in me senza nome, anzi
ognuno è parte della mia vita, entra nella mia storia e, in senso buono, nel
mio cuore e nella mia preghiera.
In
questi anni, con la forza e la luce della spiritualità C.M. come consacrata in
mezzo a questo “mio mondo” che il Signore mi ha donato e mi
dona, vedo che si sono creati vincoli di comunione. Il servizio professionale
si è unito all’accoglienza semplice per donare ai miei fratelli la realtà di
quella comunione che Dio regala loro nel Cuore di Gesù. Questo l’ho
sperimentato con il passare degli anni. La professione non l’ho vissuta solo
come un lavoro, ma come un cammino di comunione con i fratelli che incontravo giorno dopo giorno soprattutto
malati, medici, infermieri.
Il mio impegno costante è stato quello di fare
quello che mi competeva come un servizio professionale, ma cercando di
portarli tutti nel mio cuore, all’Eucaristia, nella mia preghiera e
nell’offerta al Cuore di Gesù e di Maria, nella comunione con Dio.
La
grande passione che ha suscitato la mia vocazione è stata la scoperta
dell’Amore di Dio e quindi poter amare …con parole CM: la comunione. Ho
studiato come infermiera perché lì, in mezzo ai sofferenti, ho incontrato
l’Amore di Dio che chiamava me, piccola creatura, a vivere da consacrata a Lui…
all’unico amore.
Così
sono passati gli anni e lavorando giorno dopo giorno, in diverse occasioni ho
trovato persone che mi hanno ringraziato per averle aiutate a non pensare al
suicidio, grazie all’affetto e all’attenzione che avevano ridato loro speranza.
Anche alcuni medici, psichiatri, psicologi mi chiedevano con tanta semplicità e fiducia una preghiera per le loro
situazioni personali…Altri che venivano a cercarmi, dopo anni, per salutarmi e
ringraziarmi. E proprio nel mio ultimo giorno di lavoro, mentre stavo
condividendo con alcuni miei colleghi un pezzo di torta prima di lasciarci
definitivamente, mi avvisano che una signora (senza dirmi chi era) voleva parlare con me. La segretaria, per
aiutarmi mi dice: “Le dico che sei occupata”. In un primo momento mi parve che
avesse ragione dato che ormai non lavoravo più lì. Poi ho pensato che forse la
signora aveva bisogno e che l’avrei ancora potuta aiutare e così l’ho accolta.
Era Gloria, una delle mie prime pazienti, circa 20 anni fa, che era lì per
un incontro con lo psicologo e desiderava salutarmi.
Che abbraccio, che gioia,
quanti ricordi, lotte, sofferenze e quanto affetto! E’
stato per me come il
simbolo del mio lasciare per sempre il lavoro professionale.
Come
missionaria CM, in questo cammino in mezzo ai fratelli,
mediante la mia professione di infermiera, tento di
riassumere la presenza
di Dio nel mio lavoro con queste immagini:
Maria: in questa immagine che mi ha ricevuto come
alunna,
simbolo di una presenza piena di tenerezza che
mai mi
ha abbandonata, mia cara Madre, Guida e Custode.
Il Cuore trafitto di Cristo: immagine che mi è
giunta quando
ho
conosciuto la CM e che mi diceva: “ Ora puoi,
sotto la protezione di Maria, approfondire e
vivere la
comunione
con me portando tutti i tuoi fratelli nel
mio cuore. Così ho potuto camminare e continuo a
camminare nella comunione, mediante la mia
offerta
quotidiana.
I miei fratelli malati, rappresentati nel saluto
di Gloria nel mio ultimo giorno di lavoro: fratelli che sono passati nella
mia vita, giorno dopo giorno, non come anonimi, anzi l’affetto, la forza
della comunione ha dato loro spazio nel mio umile cuore e da lì nel Cuore
che ha dato loro forza per lottare…il Cuore di Cristo.
Ora
vedo che tutto questo l’ho vissuto nell’intimità, nel silenzio, nella
semplicità e nell’opacità e routine che
caratterizza la vita quotidiana. Tuttavia mi rendo conto soprattutto che l’ho vissuto nella convinzione
piena di speranza, arricchita dall’Eucaristia, l’adorazione, la preghiera, la
comunione con la mia cara CM. Di conseguenza nessuno dei miei passi, azioni,
impegni, scelte…erano solamente qualcosa di mio, ma che tutto si andava
realizzando nella comunione con il Signore, per mezzo di Maria, insieme con
Maria. E’ il Signore che mi ha chiamato con Lui sempre…e che mi ha abbracciato
con il suo amore infinito chiamandomi nella Compagnia Missionaria. E’ il
Signore di ogni cammino!

disabile tra disabili
Missionaria nel mio Paese
A S. Paolo (Bissau), abbiamo iniziato con la Scuola elementare e l’alfabetizzazione degli adulti. Oggi abbiamo la 6ª classe, ma, per garantire la qualità dell’insegnamento, non abbiamo intenzione di andare oltre nei prossimi anni, nonostante le continue domande degli incaricati dell’educazione che fanno pressione in questo senso. Abbiamo iniziato anche con la scuola di cucito…il numero non è sempre stato molto elevato anche perché alla fine, molte donne non hanno i soldi per comperarsi la macchina di cucire. Ma, come può vedere, ancora oggi, continuiamo questa attività. Abbiamo iniziato subito anche la pastorale, soprattutto la catechesi e la liturgia: Messa o celebrazione della Parola il sabato, in collegamento con la parrocchia della Madonna di Fatima. Solo recentemente siamo passate alla parrocchia di Brá.
Le persone non riescono a capire bene chi siamo. Molte volte ci chiamano “irmãs” (=suore), ma mostrano di volerci molto bene: non ci chiedono molti aiuti materiali, perché all’inizio, abbiamo spiegato la nostra condizione, cioè che tentiamo di vivere del proprio lavoro, mettendo tutto insieme, e le persone possono vedere effettivamente come viviamo. Ma, diverse persone, anche mussulmane, vicine di casa, ci aiutano materialmente con diverse cose (riso, galline, manioca…), come è avvenuto adesso per la nostra festa di incorporazione perpetua.
Il sogno
Sto finendo il 4º anno di Economia all’Università Lusofona. Questo corso mi è piaciuto molto perché è abbastanza collegato con la Sociologia, ramo che mi interessa in modo particolare. Abbiamo pensato che era bene fare questo corso anche per aiutare nel futuro la gestione e amministrazione delle nostre istituzioni (scuola, residenza, attività pastorale di carattere sociale, ecc.). Antonieta sta concludendo la Laurea in Lingua Portoghese. Questa specialità la può aiutare naturalmente nel suo campo particolare, quello dell’educazione.
Penso che posso aiutare le donne (tutte le donne) di S. Paolo a organizzarsi in cooperativa per potere produrre meglio, avere alcuni soldi disponibili e poi vendere i loro prodotti di cucito. Ma, soprattutto sogno il giorno in cui sarò “una disabile tra disabili”. Mi spiego meglio: io conosco diverse disabili che si lasciano abbattere per questa loro situazione. Ma, pensando bene, la disabilità fisica non è un problema speciale. Quello che bisogna fare è mantenere una buona testa e un buon cuore! Tutto il resto si può superare. Per questo io voglio costituire un’ associazione di donne disabili, per poterci organizzare e lavorare insieme. Ho già alcune persone che condividono questo mio sogno e che sono disposte ad aiutarmi….anche Lúcia mi incoraggia moralmente, come ha fatto quando è stata con noi, durante la festa dell’incorporazione perpetua. Sa, noi abbiamo bisogno di sognare per potere fare certe cose, anche se non riusciamo a realizzare tutto quello che abbiamo sognato!
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Nell'albero della Chiesa
Vorrei lasciare una parola di incoraggiamento a tutti /e missionari/e guineani/e: abbiate fiducia nel Signore e manifestate questa fiducia davanti al popolo della Guinea. Il popolo ha bisogno di molta formazione, di capire chi è il missionario (uomo o donna) e di potere vivere i valori del Vangelo nella sua vita di ogni giorno. C’è molta ignoranza religiosa nelle popolazioni con le quali siamo in contatto e c’è bisogno di aiutarle con la nostra vita e la nostra parola.
Mi piacerebbe anche lasciare un’ultima parola a tutti i membri della nostra Chiesa di Guinea (missionari e laici): perché capiscano la ricchezza che è per la Chiesa la nostra vocazione di laiche consacrate. È un carisma che arricchisce spiritualmente la nostra Chiesa-Famiglia e che è riconosciuto non solo dalla Chiesa universale ma anche dal nostro pastore, il Vescovo D. José Câmnate, come ha evidenziato bene nell’omelia della nostra incorporazione perpetua. Nel grande albero che è la Chiesa, noi siamo uno dei suoi rami. Grazie a Dio che vuole servirsi anche di noi per la diffusione del suo Regno nel nostro Paese!
