Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La
COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede
centrale a Bologna, ma è diffuso in varie regioni d’Italia, in Portogallo, in
Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
All’istituto
appartengono missionarie e familiares
Le
missionarie sono donne consacrate
mediante i voti di povertà, castità, obbedienza, ma mantengono la loro
condizione di membri laici del popolo di Dio. Vivono in gruppi di vita fraterna
o nella famiglia di origine o da sole.
I
familiares sono donne e uomini,
sposati e non, che condividono la spiritualità e la missione dell’istituto,
senza l’obbligo dei voti.
News
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27 / 05 / 2020
SOLENNITA' DEL SACRO CUORE DI GESU'
Venerdì 19 giugno 2020...

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27 / 05 / 2020
SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
Sexta-feira 19 de junho de 2020...

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27 / 05 / 2020
SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
Viernes 19 de junio de 2020...

le “parole chiave” della nostra spiritualità: semplicità
La comunione,
l’amore, l’oblazione e “la semplicità” costituiscono il “proprium” della
spiritualità del Sacro Cuore per la Compagnia Missionaria.
Lo
Statuto delle Missionarie al n. 9 delinea la modalità, il dovere di impostare
il nostro comportamento in maniera tale che balzi all’evidenza di tutti che “in
tutto e sempre” pensiamo, operiamo, siamo mossi dall’amore. È la carità di
Cristo che ci guida in ogni circostanza (cfr.2 Cor. 5,14) e dimostra agli occhi
di tutti che c’è una caratteristica tutta “nostra” di vivere e testimoniare
l’amore: la semplicità e il sorriso.
Ancora
una volta ci poniamo alla scuola di Gesù, ricordando che ciò che dà senso di
amore a tutto, e forma l’asse di equilibrio del nostro comportamento di amore
in tutto, è Lui: la sua parola e il suo
esempio.
1) La sua parola: ce la offre una pagina di Matteo 18, 1-5.
Alcune riflessioni per l’inquadratura e la
comprensione del brano:
· Perché
gli apostoli pongono a Gesù la domanda: “Chi è il più grande”? Forse per rivalità, per reciproca gelosia… Non
erano mai mancati questi sentimenti passionali nel gruppo al seguito di Gesù.
· “Grande”
vuol dire, qui, preminente, superiore agli altri in forza di questa o quella
qualità, di questo o quel potere.
· Gesù
non risponde direttamente alla domanda. Pone un “gesto simbolico”, alla maniera
dei profeti. E questo “gesto simbolico” sconvolge i sogni di grandezza
coltivati dai discepoli.
· Gesù
parla di necessità di “conversione”, cioè di mutamento radicale di pensiero e
di sentimenti perché il Regno di Dio, quello predicato da Gesù, ha una dinamica
di esigenze completamente opposte alla fame della superbia umana. “In
verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non
entrerete nel regno dei cieli”.
· Notiamo
l’introduzione che Gesù premette al suo insegnamento. Usa l’espressioni delle
circostanze solenni, le circostanze cioè importanti, fondamentali della
trasmissione della verità di Dio. Quelle che costituiranno le colonne portanti
dell’edificio della fede: “In verità vi dico…”
· “Diventare
come i bambini”: l’espressione non significa certo che Gesù voglia imporre ai
suoi seguaci di immergersi in un ideale di eterna bambinaggine. Né intende
esaltare il bambino per i suoi caratteri innegabili di bellezza e di innocenza.
Nella società ebraica il bambino era il simbolo della piccolezza, della
pochezza, del quasi “non valore”.
Gesù lo propone per questa sua posizione di
chi sta all’ultimo gradino della scala sociale. E dice che per “entrare nel
regno di Dio”, cioè nella pienezza di verità e di grazia che egli ha portato
dal cielo, bisogna farsi piccoli, modesti, senza pretese, stimarsi sempre
super-considerati dalla benevolenza altrui, lasciar cadere pensieri e
atteggiamenti di orgoglio, sogni di autoesaltazione… In una parola vivere in
quell’atteggiamento di fede che esprime e compendia una caratteristica
originale del nostro carisma C.M.: la
semplicità.
2) L’esempio di Gesù
Il Vangelo
di Luca ci racconta un momento della passione di Cristo che è altamente
espressivo dello spirito di pazienza e di semplicità con cui dobbiamo
affrontare le situazioni.
“Frattanto
gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano, lo percuotevano, lo
bendavano e gli dicevano: “Indovina chi ti ha percosso”. E molti altri insulti
dicevano contro di Lui” (Lc.22,63-65).
Riflettiamo sul significato di questa scena
e sull’atteggiamento di Gesù.
MATTHIAS GRUNEWALD, Cristo deriso, 1504-5, Alte Pinakothek, Monaco.
· Innanzitutto
localizziamo il luogo della scena: sono i locali del corpo di guardia del
sinedrio. Forse il più lurido: la prigione.
· Chi
sono coloro che offendono così Gesù? Sono delle guardie, dei servi, cioè
persone a loro volta umiliate e offese, quindi abituate anch’esse a ricevere
umiliazioni, offese, forse percosse da parte dei superiori, abituate a dover
riconoscere che il diritto è del più forte, di chi ha saputo e potuto
usurparselo.
Ma questa volta si trovano davanti qualcuno più debole di loro, più
fragile. E così sfogano su di Lui tutta
l’amarezza della loro vita. Forse non c’è malvagità, cattiveria pura nel loro
comportamento. Però è doloroso dover constatare che l’uomo costretto a vivere
una vita quasi impossibile, appena ne abbia la possibilità sappia scatenarsi
con tanta brutalità su chi è più debole di lui.
· Cosa
fanno contro Gesù? Lo provocano e lo colpiscono in ciò che è più caratteristico
in Lui: la sua qualità di profeta: “Indovina
chi ti ha colpito”? Ma Gesù tace.
Forse con stupore si chiedono: ma perché quest’uomo non reagisce? E si beffano
di lui, come di un illuso, di un falso profeta.
· Come
reagisce Gesù? Soprattutto con il silenzio che accetta con suprema mansuetudine
la villania che lo circonda. Ma Giovanni ci dice che, al momento opportuno,
anche Gesù parlò. Senza fremiti di rabbia, senza reazioni scomposte, ma con
molta limpidezza domandando al servo del Sommo Sacerdote che l’aveva
schiaffeggiato: “Se ho risposto male (alla domanda fatta dal sommo sacerdote) dimostramelo; ma se ho parlato bene, perché
mi percuoti?” (cfr. Gv. 18,23).
Essere buoni, essere semplici non significa
accettare nel silenzio tutti i soprusi. L’esempio di Gesù ci insegna anche a
parlare, a domandare, a far riflettere, a portare chi ci sta dinanzi a
domandarsi la ragione del compimento di certi atti di superbia, di prepotenza,
di cattiveria. E tutto questo, per aiutarlo ad essere e a comportarsi in ogni
momento con dignità umana che rispetta e venera la libertà altrui. (continua)
(dagli
scritti di P. Albino)

in pieno clima di salvezza
Riflessioni
tolte da un ritiro di padre Albino Elegantealle missionarie
di Bolognaper la
festa di Pentecoste e del Sacro Cuore.(7 giugno
1987)
Lo scambio delle consegne
La Pentecoste è il giorno
dello scambio delle consegne tra Cristo e lo Spirito Santo per la continuazione
della redenzione e della santificazione degli uomini da parte dell’amore di
Dio.
Scambio delle
consegne, per cui in questo momento noi viviamo in pieno clima di salvezza.
Ecco il cammino della salvezza. Questo mi pare una cosa molto importante,
perché siamo troppo portati a pensare che la salvezza sia opera del solo
passato.
Allora va
particolarmente bene l’esortazione del salmo 94: “Ascoltate anche la sua voce; non indurite il vostro cuore come fecero i
vostri Padri a Meriba, a Massa nel deserto, dove mi tentarono, mi misero alla prova. Ascoltate anche la sua
voce”. La voce dello Spirito Santo che appunto continua quest’opera
dell’amore di Dio, proteso alla salvezza, alla santificazione.
Guardiamo agli
atteggiamenti che noi possiamo avere in questo momento di pieno clima di
salvezza. Lo facciamo con una osservazione del Marmion (un autore che qualche
tempo fa era abbastanza in voga, adesso è un po’ passato), comunque ha della
dottrina molto buona. Il Marmion osserva che, nei giorni della vita terrena di
Cristo, molti andavano da lui, accoglievano l’invito alla conversione e di
fatto cercavano nella misura delle proprie possibilità di impostare la loro
vita quotidiana secondo l’indirizzo delle parole di Cristo e lo facevano,
secondo la testimonianza in particolare di S. Luca, sotto l’azione dello Spirito Santo.
Bello il
pensiero di S. Ireneo: “Lo Spirito Santo, nel momento in cui Cristo si fece
uomo, invase anche l’umanità di Cristo e di tutti coloro che andavano ad
ascoltarlo”.
Chi andava da
Cristo obbediva alla voce dello Spirito Santo, chi invece aveva una fiducia
accanita nelle proprie intuizioni e si manteneva refrattario ad ogni
suggerimento di conversione che poteva venire dall’esterno, nel caso specifico
dalla Parola di Cristo, costui lo faceva resistendo allo Spirito Santo. Questo
si ripete anche oggi.
Ecco perché ci
tengo a sottolineare ancora una volta: siamo
in pieno clima di salvezza. Chi ha la capacità di rinunciare al proprio modo
di vedere per accettare quello tracciato da Cristo, lo fa sotto l’azione dello
Spirito Santo. Chi invece è abbarbicato al suo modo di vedere e non c’è
possibilità che la parola penetri nel suo cuore, costui resiste allo Spirito
Santo. Ed è il famoso rimprovero che Santo Stefano rivolgeva ai Sinedriti, i
quali molto probabilmente erano irreprensibili dal punto di vista delle
prescrizioni legali, però non andavano oltre: “Voi resistete sempre allo
Spirito Santo”.
Che cosa può fare lo Spirito santo in noi
“Il primo uomo
divenne, secondo l’espressione cara a S. Ireneo, “la gloria di Dio”. L’argilla
con cui era stato impastato ricevette il soffio di vita e allora l’argilla,
vivificata da questo soffio, divenne la gloria di Dio, la creatura più bella,
più espressiva della grandezza di Dio. Noi ci poniamo in questa sfera di
grandezza, nello splendore della testimonianza che è nell’aspettativa di Dio e
dei fratelli se, circostanza per circostanza, la nostra iniziativa personale
avrà il coraggio di cedere il passo all’azione dello Spirito Santo, che è il
soffio di vita capace di trasformare la povera argilla del nostro essere in
un’immagine luminosa e continuata nel tempo di Cristo Risorto.
Allora è chiaro
che la nostra vita diventa l’esempio e la strada che conduce a Cristo.
Ricordiamo l’espressione di San Paolo: “In qualunque posto andiamo, lasciamo il
profumo di Cristo”. E questo capiterà anche di noi se, circostanza per
circostanza, la nostra azione sarà capace di cedere il passo all’azione dello
Spirito Santo …
Stare sempre dalla parte della carità
Per noi c’è il
nostro essere Compagnia Missionaria. Lo Statuto al N° 9 dichiara “invisibile”
pienezza della nostra vocazione al carisma dell’amore, senza l’aiuto efficace
dello Spirito Santo. Impegniamoci durante la giornata: se i nostri sensi ci
immergono nelle realtà materiali, in queste cerchiamo la via della nostra
ascesa allo Spirito. In che modo? Stando sempre dalla parte della carità.
“Tutto tra voi si compia nella carità”, dice l’Apostolo Paolo nella 1a lettera ai Corinzi (6,14). La preziosità
degli atti di carità, che forse qualche volta sottovalutiamo perché siamo
refrattari all’azione dello Spirito Santo, viene diminuita perché ci
comportiamo secondo il nostro modo di vedere, mentre la preziosità degli innumerevoli
atti di carità che possiamo compiere durante la giornata, sono indicati nella
lettera ai Galati (5,22). Sicuramente questi atti di carità ci mettono dalla
parte dei desideri dello Spirito Santo e ci fanno camminare da uomini del
nostro tempo, circondati da questa realtà complessa, ma secondo la volontà
dello Spirito: questo è importante.
Non è la
modalità che dobbiamo tener presente, è la sostanza! Se dunque vivo immerso in
questa realtà che mi distrae in tutte le maniere, che moltiplica le iniziative,
la creatività per suscitare i miei interessi e la mia distrazione, mi abbarbico
a questi atti di carità che sicuramente piacciono allo Spirito santo che è
Spirito D’Amore. Inoltre diventano una manifestazione della dolcezza, della
pazienza, della grazia dello Spirito Santo è questo è tutto, sia come cristiani
sia come membri della Compagnia Missionaria.
L’ape fa scuola
d’amore
La festa del Sacro Cuore ci richiama a quello che Marta (missionaria) ha definito il “gesto
semplice e profetico” della consegna di quell’immagine del Crocifisso dal Cuore
squarciato. Nella consegna di questa immagine è stato detto che essa “diventa
l’appello a farne il punto di riferimento vitale come membri C.M.” Non un
riferimento qualunque, devozionale, ma vitale.
Abbiamo appena
detto che in tutte le manifestazioni della nostra vita dobbiamo renderci
disponibili alla grazia dello Spirito santo, assurgendo dalle realtà materiali
allo Spirito mediante la carità, per cui diventiamo manifestazione della grazia
dello Spirito.
Lo Statuto
della Compagnia Missionaria al N° 9 ci dice che dobbiamo diventare segno
visibile della presenza di Dio proprio attraverso la carità. Essa costituisce
la “nota dominante” della nostra volontà di amore, altrimenti sono chiacchiere.
L’atto di
carità che io compio diventa nota dominante del mio servizio al carisma
dell’amore. Inoltre il N° 9 specifica anche il sorriso, la comprensione,
l’accettazione, la capacità di perdono e di ripresa integrale, senza lasciare
strascichi.
Quando Pietro
chiese a Gesù se doveva perdonare 7 volte, Gesù rispose: “Non 7 volte, ma 70
volte 7”, cioè sempre. Qualsiasi atto di carità è sempre un superamento di se
stessi. C’è una bella poesiola di R. Pezzani intitolata: L’ape che fa’
scuola d’amore.
Il fiore disse
all’ape affaccendata:“Sei davvero sfacciata;il nettare mi rubi e te ne vai,e un dono in cambio non mi lasci mai. Disse l’ape
sincera: “Sono un’operaia della primavera, e tutto il giorno faccio miele e cera. Agli uomini piace tanto il miele mio e la cera che arde piace a Dio. Se quello che
abbiamo non lo diamo di cuoreChe diremo allora al Signore?”“Prendi quello che vuoi, rispose il fiore, mi hai insegnato che cos’è l’amore”.
Semplicissima,
ma molto bella.
La nostra ape è il Cuore ferito di Cristo. Ecco perché torno ad insistere: cerchiamo di fissare piccole zone della
nostra giornata e facciamo in modo che sia una contemplazione piena di
intensità, di tenerezza, di riconoscenza. Allora il Cuore di Gesù ci insegna che cos’è l’amore, anzi ci provoca
all’amore.
Voi dovete
arrivare fino a qui. Quel giorno che stavo facendo un lavoro materialissimo, mi
sono innervosito pensando a tanta gente che tendeva la mano, poi ho visto
l’immagine del Cuore trafitto e ho pensato: “Che cosa importa allora il posto dove
sono? L’importante è che io diventi come Cristo”. Ecco l’immagine che mi ha
provocato e mi sono detto: “Anche se dovessi rimanere così per tutta la vita
...”. Cristo non si è staccato da solo dalla croce, l’hanno staccato gli altri.
Lui sarebbe rimasto lì per l’eternità.
E’questa la lezione che mi dà il Cuore
ferito di Gesù. Naturalmente anche qui ci vuole un motivo, perché essere sempre
nell’atteggiamento dell’ape che attinge e dà, non è facile.
Noi siamo
troppo abbarbicati a noi stessi, siamo troppo stretti nelle morse dell’egoismo.
Ho cercato nella Sacra Scrittura e ho trovato un brano del discorso che San
Paolo ha fatto agli anziani di Efeso: “E
ora vi affido al Signore e alla parola della sua grazia che ha il potere di
edificare e di concedere l’eredità con tutti i santificati. Non ho desiderato
né argento, né oro, né la veste di nessuno. Voi sapete che alle necessità mie e
di quelli che erano con me hanno provveduto queste mie mani. In tutte le
maniere vi ho dimostrato che lavorando così si devono soccorrere i deboli,
ricordandoci della Parola del Signore: “Vi è più gioia nel dare che nel
ricevere”. (Atti 20, 32 – 35)
Noi dobbiamo
tenere abitualmente presente questa parola del Signore, custodirla nel nostro
cuore. Purtroppo noi ci stanchiamo di dare, di dare in continuità; eppure Gesù
ha detto e forse ne abbiamo fatto anche l’esperienza, che c’è più gioia nel dare che nel ricevere.

tutto alla luce di dio
La
meditazione che presentiamo è
continuazione dei pensieri spirituali, relativi alle Assemblee CM,
pubblicati in “Vinculum” 3/2019
Prendiamo come
programma di comportamento la figura di Mosè: sempre nel disbrigo della nostra
missione come consacrate CM, ma in particolare nel lavoro dell’Assemblea … Il
Cardinal Martini commentando un altro passo del cammino del popolo di Israele
verso la terra promessa, osserva che “la responsabilità di Mosè è grande, al
punto che non riesce a rispondere a tutto quanto gli viene richiesto. Il popolo
che gli è stato affidato è difficile, esigente, facilmente pronto a mormorare.
Come esce il grande Mosè da questa situazione di schiacciante responsabilità?
Attraverso la riscoperta della funzione fondamentale della sua missione: l’intercessione.
Egli si pone davanti a Dio con la preghiera. Una preghiera ardita che, a volte,
arriva a porre al Signore domande quasi accusatrici. Ad es. “Perché hai trattato così male il tuo
servo?” (Num 11,11). A volte sembra volergli suggerire ciò che, a suo
parere, è meglio: “O mi ascolti e perdoni
al tuo popolo. Altrimenti cancellami dal tuo libro” (Es 32,32).
Attraverso la preghiera
Mosè si fa accompagnare nel suo cammino da Dio. E Dio si fa collaboratore della
sua fatica e della sua missione travagliata. La figura di Mosè, intercessore
e mediatore tra Dio e Israele rappresenta per noi un programma di
comportamento, soprattutto per il lavoro dell’Assemblea. Domandiamoci:
Con quale spirito
siamo venuti a questo appuntamento di studio e di lavoro. Per farne un
trampolino di lancio delle nostre vedute umane o per riflettere e risolvere
tutto nella luce di Dio?
Quale spazio
vogliamo lasciare a Dio perché in ogni circostanza, egli sia efficace nella sua
collaborazione? Ricordiamo la prassi del 1° Concilio di Gerusalemme: ”Abbiamo deciso lo Spirito santo e noi”
(Atti 15, 28). Proponiamoci allora di vivere con intensità di presenza e di
attenzione i momenti di preghiera. Sono momenti di lode di Dio, della
consultazione della sua volontà, del suo sacrificio di ogni idea troppo nostra
… perché tutto sia portato avanti e risolto con Dio, nel dono inestimabile
della pace.
Maria,
nostra Maestra di vita
La benedizione di
Dio è scesa sulla Compagnia Missionaria, fin dal suo primo vagito, attraverso
Maria. Si legge infatti nella cronaca degli inizi della nostra Famiglia che il
24 dicembre 1957, durante il ritiro che ha preparato l’apparire del primo
Gruppo CM sulla ribalta della Chiesa, la nostra Famiglia è stata consacrata a
Maria eletta responsabile Centrale e perpetua …
Una domanda
necessaria per verificare l’autenticità della nostra fede e del particolare
dovere di riconoscenza che come membri CM, dobbiamo a Maria: ”Fino a che punto
Maria ci vede associati/e alla sua missione specifica: l’accoglienza di Gesù e
la sua manifestazione al mondo nelle espressioni del nostra vivere
quotidiano?”. Maria è colei che medita sugli avvenimenti che hanno impresso una
svolta alla sua vita. Nella meditazione di Maria c’è il segno e il segreto
della sua grandezza, della sua capacità di collaborare al progetto salvifico di
Dio.
Il silenzio e la meditazione sono la strada maestra per
giungere alla pace. Il rumore e la frenesia sono spesso occasione e causa di
conflitti. Solo in un clima di silenzio e di riflessione si possono dire le
cose che si hanno nel cuore e ascoltare l’altro fino a capire le sue ragioni,
accogliere la sua verità, segnalare le differenze che ci distinguono da lui,
senza per questo spezzare l’amicizia …
Ma il silenzio e
la meditazione sono soprattutto la condizione per ascoltare la parola di Dio e
farla scendere nella nostra vita. Se poi crediamo che Dio, in Cristo, ci ha
reso suoi figli adottivi, allora dobbiamo ascoltare la sua parola con
l’attenzione con cui ascolteremmo un messaggio prezioso, esclusivo per noi,
decisivo per la nostra vita e la nostra santità. La bontà della Vergine
santissima ci ottenga da Dio la fedeltà di camminare quotidianamente sulle sue
orme.
(Assemblea 2001)
“O Padre, che esaudisci sempre la voce dei tuoi
figli, ricevi il nostro umile ringraziamento, e fa’ che in una vita serena e
libera dalle insidie del male, lavoriamo con rinnovata fiducia all’edificazione
del tuo regno. Per Cristo nostro Signore”.
Con questa liturgia eucaristica che
stiamo per concludere si conclude anche la celebrazione del 50° anno di vita
della Compagnia Missionaria. Ha inizio un nuovo periodo che vorremmo emulo del
primo in fervore di vita e di donazione alla spiritualità e alla attività
apostolica che la provvidenza di Dio ha assegnato alla Compagnia Missionaria.
Mi pare che per questa finalità la
Sacra Scrittura ci offra un quadro di vita e di azione sul cui esempio sia da
modellare quanto è oggi negli aneliti di tutti i membri dell’Istituto. Il
quadro Scritturale lo troviamo nel “Primo Libro di Samuele” che inizia con la
presentazione di una donna, la futura madre del profeta Samuele, profondamente
travagliata dalla sua condizione di donna sterile. Al tempio di Silo prega con
forte insistenza e lacrime che Dio la tolga da questa situazione, che in quel
tempo era considerata una situazione di vergogna. “Se mi darai un figlio maschio, io l’offrirò al Signore per tutti i
giorni della sua vita” (1 Sam 1,11). Il sacerdote Eli, appreso che era il
dolore e l’amarezza della situazione a suggerire a quella donna quanto esponeva
al Signore, “Va in pace -- le disse -
e il Dio di Israele ascolti la domanda
che gli hai fatto” (1 Sam 1,17).
E avvenne proprio cosi. Al finir
dell’anno Anna partorì un figlio che chiamò Samuele. L’esempio che abbiamo
colto dalla Sacra Scrittura segna la via del nostro ricambio riconoscente per
il periodo di servizio e di bene che il Signore apre davanti alla nostra
generosità. Non temiamo la nostra debolezza e la facilità, a cui purtroppo
siamo soggetti, di dimenticare le nostre promesse. Abbiamo detto nel Salmo di
ringraziamento, recitato prima della S. Messa, che: “Il Signore è vicino a quanti lo invocano, a quanti lo cercano con
cuore sincero (Salmo 145,18).
E cosi sia, sempre, in piena verità e in
sovrabbondanza di aiuto …
E
con la celebrazione dell’Assemblea Generale iniziamo un secondo, nuovo periodo
di vita della Compagnia Missionaria, che, come ho detto, desidererei vissuto da
me e da tutta la CM nella piena coerenza e nella piena fedeltà.
L’obbiettivo base che ci
proponiamo, a cominciare dall’Assemblea Generale, è tutto nel responsorio che
la santa Chiesa ci ha fatto recitare molto frequentemente nel tempo di Avvento:
“Gerusalemme, città di Dio, su di te
sorgerà il Signore. In te apparirà la sua Gloria”.
Gerusalemme è figura di ciascuno di
noi, e noi dobbiamo essere rivelazione della santità e della grandezza di Dio.
Il mondo laico è questo che si
aspetta. E potrebbe non aver bisogno d’altro, da noi, per vivere con lealtà e
fervore la sua fede cristiana. Diceva il Mauriac (scrittore francese e buon
cattolico): “Per me la predicazione più
efficace del sacerdote è sempre stata la sua vita: io lo guardo e ciò mi
basta”. E' questa la viva preoccupazione della liturgia della
Chiesa che, ad esempio, nella Colletta del 4 gennaio mette sulle labbra del
sacerdote l'invocazione. "Dio
onnipotente, il Salvatore che tu hai
mandato, luce nuova all'orizzonte del mondo, sorga ancora e risplenda su tutta
la nostra vita …".
Se sapessimo
mettere tanta fedeltà e tanto amore nella missione che il Signore ha messo
nelle nostre mani! Ad esempio: noi siamo stati eletti per l’Assemblea Generale
dove si trattano e discutono tante cose che domandano un nuovo respiro di
donazione, di accettazione, di vitalità per una CM splendida ... So darne
l'esempio con la mia impostazione di vita, o ne svilisco il valore, l'urgenza
nel racconto di piccole cose, in rilievi senza significato o forse anche in
qualche mormorazione? ... Vorrei che la mia parola di questa mattina fosse un po' come il riepilogo di quanto
abbiamo meditato in questi giorni. Mi introduco con un pensiero di S. Agostino.
"E' venuto - egli dice - il
Signore, maestro di carità, e ci ha insegnato che tutta la Sacra Scrittura (la
Legge e i Profeti) si fonda sui due precetti dell'amore … Essi non si devono
mai cancellare dal nostro cuore. Sempre, cioè in ogni circostanza dobbiamo aver
presente che bisogna amare Dio e il prossimo. Dio con tutto il cuore e il
prossimo come noi stessi …" "Infatti - specifica S. Paolo - vi siete spogliati dell'uomo vecchio con le
sue azioni e avete rivestito il nuovo … a immagine del Creatore. Nel suo
giudizio e nella sua valutazione non c' è più greco o giudeo, circonciso o incirconciso, barbaro o Sciita,
schiavo o libero, ma Cristo è tutto in
tutti. Rivestitevi dunque, come eletti di Dio, di sentimenti che siano copia
sentimenti, cioè di misericordia e di bontà" (Col. 3,10-12).
Quando prenderemo
tutto questo come programma di vita? Oggi stesso! Il Signore ci ha fatto il
dono della grazia di partecipare all'Assemblea. Dobbiamo tornare ai nostri
Gruppi portando la nostra fisionomia tutta luminosa di serenità e di amore.
(Assemblea 2007)
Dagli scritti di p. Albino
°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°°
Assemblea 2013. Dalla Relazione finale della
Presidente Anna maria Berta:
“Per la prima volta è assente p. Albino
Elegante perché ormai impedito dalla malattia. Ecco l’ultimo suo messaggio in risposta ai miei auguri di buon natale:
“Carissima Anna Maria… ti scrivo anche per un
motivo strettamente personale che riguarda la tua appartenenza alla CM. Nella
prossima estate la Compagnia Missionaria celebrerà l’Assemblea. E’ una
circostanza di un forte impegno per la nostra famiglia. Ci impegneremo a
prepararci spiritualmente con la recita della bella preghiera al “Cuore Trafitto” dove si supplica incessantemente il
Cuore di Gesù per la Compagnia Missionaria. Auguri a te e a tutti. Con affetto
P. Albino (Bologna 7 dicembre 2012)

la grazia delle origini
“La nostra
spiritualità scaturisce dalla contemplazione di Cristo nel mistero del suo
Cuore trafitto (cfr. Gv. 19,37), segno di amore totale per il Padre e per gli
uomini, sorgente di vita ecclesiale, strumento di universale redenzione” (Statuto
CM n. 5).
“…Fa o Signore, che
il nostro impegno nel mondo non ci ostacoli nel cammino verso il tuo Figlio, ma
la sapienza… ci guidi alla comunione con il Cristo”.
Per ciascuno di noi la vita di adesione alla CM, scrive
le pagine di una storia: pagine che partono dalla grazia delle origini e si
arricchiscono di tutto quanto la Chiesa, illuminata dallo Spirito, scopre continuamente nel tesoro della sua
fede.
Ora, anche per la Compagnia Missionaria. l’impegno è
quello della strada: camminare, secondo le indicazioni che ci vengono dai “segni dei tempi”, senza però mai
dimenticare la grazia delle origini, perché questa rappresenta il servizio specifico che noi
siamo chiamati a rendere alla Chiesa. Questo è per ciascuno di noi l’ ”unico
necessario”.
Dunque, camminare, avanzare, mantenendo fede, anzi
sviluppandola maggiormente, immergendoci sempre più profondamente nel carisma
specifico che Dio ci ha affidato, nello scopo originario, caratteristico della
CM, perché in questo è riassunto il servizio che siamo chiamati a rendere alla
Chiesa. Guardiano quindi anche con profonda simpatia alla nuova stesura dello
Statuto. E’ espressione del cammino della CM in continuità con la grazia delle
origini. Abbiamo bisogno però dell’aiuto dello Spirito Santo perché: “Nessuno può dire il Signore è Gesù, se non
sotto l’azione dello Spirito” (1Cor 12,3).
E’ lo Spirito che accende nei nostri cuori il sigillo
indelebile dell’amore di Dio e dei fratelli. E’ lui che ci aiuta a penetrare
nella grazia della fede e ne abbiamo molto bisogno per illuminare il nostro
modo di pensare e di agire affinché sia secondo Dio.
Questa fede deve comandare tutta la nostra vita (1Cor
2,13-16), perché tutto quello che sentiamo, pensiamo, viviamo sia secondo il
criterio di Dio e del suo Vangelo.
Ma in
concreto:
- Dinanzi alla prove della vita, ad esempio, di qualunque
genere, come ci comportiamo? Leggevo su un cartoncino questo messaggio: “Fasciamo i nostri ostacoli di silenzio e di
preghiera”.
Di qualunque ostacolo si tratti. Ma per questo occorre molta
fede, perché significa ripetere l’atteggiamento di Cristo che, dinanzi allo
stesso Pilato, ricoperto di accuse, taceva, parla solo quando nota che il suo
silenzio avrebbe compromesso la verità: “Tu
non avresti nessun potere se non ti fosse dato dall’alto…” Ma per quanto
riguarda se stesso non dice una parola.
- Nella vita di carità che è l’essenza della nostra
fede, perché dinanzi a Dio poco importa che io partecipi alla Messa o canti il
vespro, se tutto questo non lo so calare in una profonda vita di carità.
L’apostolo Paolo, a questo proposito, ci dice: “ Nessuna parola cattiva esca più dalla vostra
bocca; ma piuttosto, parole buone che possano servire per la necessaria
edificazione, giovando a quelli che ascoltano. E non vogliate rattristare lo
Spirito Santo di Dio, col quale foste segnati per il giorno della redenzione”
(Ef 29,30).
Contristo lo Spirito quando non
vivo nella carità.
L’apostolo passa ad indicarci le espressioni concrete di vita che sono secondo
lo stile di Dio.
“Scompaia da voi ogni asprezza, sdegno, ira, clamore e maldicenza con
ogni sorta di malignità. Siate invece benevoli gli uni verso gli altri,
misericordiosi, perdonandovi a vicenda come Dio ha perdonato a voi ” (Ef
4,31-32).
Ognuno di noi deve compiere il
cammino senza distaccarsi mai dalla grazia delle origini. E questa grazia è
illuminata proprio da quanto ci dice l’apostolo Paolo: “La vita che vivo nella carne, la vivo nella fede del Figlio di Dio che
mi ha amato, e ha dato se stesso per me” (Gal 2,20).
L’espressione più evocatrice
dell’amore di Cristo per il Padre e per noi è: il suo costato aperto e il
cuore ferito. “…avendo amato i suoi
che erano nel mondo, li amò fino alla fine” (Gv 13,1). La manifestazione
più alta di questo amore di Cristo è proprio il cuore trafitto, cioè Cristo non
ha risparmiato veramente nulla, ha dato tutto.
La grazia delle origini, per
noi, sta proprio nella capacità di guardare a questo cuore ferito, espressione
suprema dell’amore. La grazia delle origini è tutta qui, e ogni membro CM vive
veramente in conformità a quanto Dio vuole nella misura in cui è capace di
contemplare questo cuore trafitto.
Le conseguenze
Dalla contemplazione del cuore
di Cristo nasce la riconoscenza, la lode, Dio non ci ha amato per scherzo, ha
dato veramente tutto. “Ci ha amati fino
alla fine”. Io che ho la vocazione
all’amore, devo alimentare la fiamma dell’amore proprio nella contemplazione
del cuore ferito di Cristo. Sarà proprio questa contemplazione a provocare
in noi:
*Il dono di noi stessi.
Guardando in faccia questo cuore ferito io mi arrendo in ogni aspetto del mio
essere. Mi restituisco a lui in tutto ciò che sono, perché lui mi renda
strumento di pace. Tento di ritirare il mio senso di possesso e supplico
che sia lui a possedermi e a vivere in me e attraverso me.
*Abbandono le preoccupazioni
ed affanni: cresco nella certezza che se la mia fede e la mia speranza in
lui sono vere, non vi è motivo di ansietà e tensioni.
*Abbandono tutte le difese
del mio cuore, dei miei sentimenti. IL mio cuore non ama più con il suo
proprio amore. E’ lui che ama in me”.
*L’impegno a fare qualcosa
per corrispondere a questo amore. Questo fare qualcosa una volta era inteso
come “riparazione”. Oggi ci si esprime in termini diversi, ma il contenuto è lo
stesso. Non perdiamoci in distinzioni inutili. Anzi questo fare qualcosa deve
portarci a:
a) Un impegno personale che consiste:
- nell’apertura allo Spirito
che ci guida sul cammino di Dio, proprio per vivere lo spirito di fede. E
questo spirito di fede consiste nel pensare ed amare con gli stessi sentimenti
di Cristo. Questo avverrà in noi se ci lasceremo guidare dallo Spirito. E ciò
che possiamo fare oggi non lo rimandiamo a domani. Facciamo il bene ogni volta
che ci si presenta l’occasione, non perdiamo il passaggio di Dio.
- Nella vita di unione.
La preghiera di offerta “Mio Dio ti offro la mia giornata, questo mio gesto… in
unione a Gesù per mezzo di Maria in spirito di amore”. Valorizziamo il più
possibile questo piccolo mezzo che ci può aiutare moltissimo nel nostro cammino
di amore.
- Nella vita di offerta:
“Nell’Ecce venio di Cristo e nell’Ecce ancilla di Maria è
compendiata tutta la nostra vocazione e il nostro fine, il nostro dovere, le
nostre promesse” (P. Dehon). Ora questo vale anche per tutti i membri CM.
Il cuore ferito di Cristo provoca la mia offerta quale
risposta d’amore. E quale offerta? Tutta la mia giornata come il Signore me la
offre, soprattutto i momenti difficili che ci capitano: in famiglia, in gruppo,
sul lavoro… Sono diamanti che non dovremmo sciupare mai. Cerchiamo di essere
attenti a scoprire tra le foglie morte del nostro cammino la perla preziosa
dell’offerta e dell’accettazione serena della volontà di Dio.
b) Impegno apostolico: la contemplazione del cuore
ferito dovrebbe farci diventare anche più uomini e più donne, cioè capaci di
vedere e contemplare quei tanti nostri fratelli, spesso vicini, dal cuore ferito:
ferito per le calamità naturali (terremoti), ferito dalla disoccupazione, senza
casa e con la disperazione nel cuore; fratelli feriti dalla droga,
dall’emarginazione, dalla malattia, dalla solitudine…
Io credo che se ci abituassimo a contemplare il Cristo Uomo,
ferito dalla nostra cattiveria, ci sentiremmo più invogliati ad essere uomini e
donne in senso pieno in mezzo ai fratelli che soffrono. Dunque la contemplazione del Cuore di Cristo deve
portarci ad avere espressioni di profonda umanità, di comprensione, di
solidarietà, di amore, di misericordia…
Noi vogliamo essere degli apostoli verso questi fratelli
e far capire loro che l’amore di Cristo merita qualche piccolo sforzo anche da
parte nostra. E nell’esercizio della nostra attività, apostolato, impegno,
lavoro… la preferenza nostra vada per i poveri e gli umili proprio come ha
fatto Cristo, che ha privilegiato chi era povero, ferito a causa della
malattia, del disordine, dell’ingiustizia… E
noi, per essere sulle orme di Cristo, siamo chiamati a fare altrettanto.
(Riflessione tolta dagli scritti di p. Albino)

servire in umiltà
Studiamo il contenuto del secondo termine della nostra
denominazione: Compagnia Missionaria.
Etimologicamente
la parola è derivata dal verbo latino:
“mittere”= “mandare” e precisamente dal participio passato: “missus” =
“mandato”. Nella Scrittura questo verbo è usato spessissimo in tutta la sua
coniugazione per significare una finalità ben precisa: l’investitura da parte di Dio di una missione di salvezza.
Così, ad
esempio, in Genesi (45,5) Giuseppe dice ai fratelli: “Iddio mi mandò avanti a voi in Egitto per il vostro bene”.
Mosè, in nome
di Dio, si presenta al Faraone per dichiarargli: “Jahve Dio degli Ebrei, mi ha mandato da te per dirti: lascia partire
il mio popolo affinché mi renda un culto nel deserto” (Es 7,16)…
Anche Gesù si
dice mandato dal Padre come dono d’amore
“affinché
ognuno che crede
non
perisca, ma abbia la vita eterna” (Gv 3,16).
La presenza
della volontà salvifica di Dio deve durare senza sosta sul cammino degli
uomini. Per questo Gesù risorto trasmette la consegna della sua missione agli
apostoli: “Come il Padre ha mandato me, così io mando voi”(Gv
20,21). “Andate e istruite tutte le
genti, battezzandole nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo”(Mt
28,19).
L’investitura
da parte di Dio importa l’accompagnarsi
della sua onnipotenza contro tutte le resistenze e tutte le difficoltà.
“Prima che ti formarsi nell’utero ti ho conosciuto,
prima che tu uscissi dal seno ti ho santificato: ti ho stabilito profeta per le
nazioni” (Ger 1,5).
“Tu poi, cingiti i fianchi, levati e di loro quanto ti
ordinerò: altrimenti ti farò temere la loro faccia. Ecco io ti pongo, oggi,
come città fortificata, come un muro di bronzo contro tutto il paese, contro i
re di Giuda e i suoi capi, contro i suoi sacerdoti e il popolo della terra. Ti
faranno guerra, ma non ti sopraffaranno perché io sono con te per salvarti” (Ger 1,17-19)
Le pagine della
Scrittura sono indistintamente segnate da questa certezza e testimoniano la
“strana” azione di Dio.
Nella prima
lettera ai Corinti, l’apostolo Paolo ha tentato di descriverla così:
“Ciò che è stolto per il mondo, Dio lo sceglie per
confondere quello che è forte….affinché nessuna creatura possa vantarsi davanti
a lui” (1Cor 1,27-29)…
Noi e il dono di Dio
1. La chiamata di Dio alla fede è certamente per tutti gli uomini, ma alla
perfezione della fede in una integrale imitazione di Cristo e ad una esplicita
missione di apostolato, è solo per alcuni.
Noi dobbiamo raggiungere la morale certezza di essere fra questi. Come?
Forse un indice particolarmente rivelatore è il senso di Dio che lentamente ci invade.
E’ la forza del cuore che
trascina di prepotenza tutte le facoltà verso colui che sta diventando il
grande amore e il grande interesse della nostra vita:
“Proseguo la
mia corsa, scriveva San Paolo ai Filippesi, per vedere di afferrare Cristo Gesù perché anch’io sono stato
afferrato da Lui”.
Uno scambio di attenzione. Se la nostra non riesce a diventare
preponderante per Dio, arrischieremo di fare un passo che forse non era nei
suoi disegni o che, comunque, svuota la sua scelta di quella stabile serenità
che egli voleva donarci per farci testimoni della sua vita e della sua gioia in
mezzo ai fratelli.
La volontà dunque di conquistarci brano per brano a Dio, in un lavoro
paziente, sofferto, ma tenace e soprattutto soddisfatto perché è prova d’amore,
è ricambio d’interesse, perché è dono di noi stessi a lui, immedesimazione
della nostra vita con la sua vita….è un buon criterio per affermare che egli ci
ha scelti e portati tra le file della Compagnia Missionaria.
2. La vocazione di Dio è sempre per un dono di salvezza che egli vuol porgere
agli uomini per mezzo nostro. “Come posso essere nel mio ambiente una luce che
elevi dalle bassezze della quotidiana oscurità, luce che riscalda, illumina e
vivifica? Solo se io spesso sto nel cerchio luminoso di Dio. “Il Cristo mi deve
illuminare: allora potrò irradiare diffusamente ed efficacemente la sua luce”
(B.Naegele). Il filtrare quotidianamente tutto noi stessi: pensieri,
sentimenti, parole, atteggiamenti, attività attraverso il Vangelo, perché tutto
sappia di Cristo, perché tutto ripeta, quanto meglio è possibile, l’esempio di
Cristo, non è solo un lavoro necessario per rendere certa la nostra vocazione
“radicandola nell’amore” ma è anche una questione di….onestà professionale.
“Investiti di questo ministero,...
ripudiamo i sotterfugi dettati dalla
vergogna e, invece di comportarci con astuzia e di falsare la parola di Dio, ci
affidiamo al giudizio coscienzioso di ogni uomo con la chiara manifestazione
della verità al cospetto di Dio….Poiché noi non predichiamo noi stessi, ma Gesù
Cristo” (2Cor 4,1-5).
Sembra legittimo concludere che, per essere degni del mandato di Dio, noi
dobbiamo tendere ad essere sacramento di Cristo, come Cristo fu sacramento del
Padre.
Con il termine “sacramento” intendiamo una realtà umana che ci accosta ed
immerge in una realtà soprannaturale. Questo fu certamente il compito
dell’umanità di Cristo rispetto alla divinità e all’amore del Padre. “Il Padre ed io siamo una cosa sola” (Gv
10,30). Ecco perché “chi vede me, vede anche il Padre mio”(Gv
14,9).
Possiamo ambire lo stesso traguardo nei confronti della santità e
dell’amore di Cristo?
Credo sia più esatto dire che “dobbiamo”perché “noi siamo gli operai di Cristo e gli amministratori dei misteri di Dio.
Ebbene dagli amministratori non si esige altro se non che siano fedeli”(1Cor
4,1-2).
3. Una parola anche sul contesto in cui Dio ha “calato” la nostra vocazione.
Senza dubbio diversi erano i compiti di una vocazione di Dio e re, a
profeta, a liberatore del suo popolo. Altrettanto, ai giorni nostri, di una
vocazione di Dio all’una o all’altra famiglia di consacrati. La nostra si attua
nella Compagnia Missionaria del Sacro Cuore.
Peccare di astrattismo è una tentazione facile, ma se seguita ci
condurrebbe alla insoddisfazione e alla sterilità.
Le linee, dunque, su cui noi dobbiamo erigerci a “segno” di Dio in mezzo ai
fratelli ed espletare il dono di grazia che egli ci ha affidato, sono quelle
che nello studio, nella pazienza, nell’obbedienza all’indirizzo di Dio e della
Chiesa sono maturate per la Compagnia Missionaria.
Porci decisamente nelle modalità di servizio che sono proprie della nostra
famiglia, amarne la fisionomia, rispettarne le tradizioni, donarci con
intelligenza e iniziativa alle sue attività, riscaldare gli ideali e le energie
al fuoco del suo spirito, significa vivere nella piena aderenza al piano di Dio
e nella soddisfazione di sentirci “realizzati”come lui ha pensato e scelto per
noi.
“Chi di voi, ha detto Gesù, se ha un servo ad
arare o al pascolo, al suo ritorno dalla campagna, gli dice: “Svelto, vieni a
metterti a tavola! Non gli dirà invece:”Preparami da mangiare, cingiti per
servirmi…poi mangerai e berrai anche tu?
Forse il
padrone ha degli obblighi con il servo perché ha eseguito gli ordini
ricevuti?
Così anche voi:
quando avrete fatto tutto ciò che vi è stato comandato, dite: siamo servi inutili. Abbiamo fatto
semplicemente quello che dovevamo fare” (Lc 17,7-10).
Servire con umiltà, dove e come
desidera Dio, è tutto il senso della sua chiamata.
Infatti “non siete stati voi che
avete scelto me, ma io ho scelto voi e vi ho posto sul cammino perché andiate e
portiate frutto e il vostro frutto rimanga” (Gv 15,16).
Il pensiero
conclusivo
Questa mattina,
celebrando la Santa Messa, sono stato particolarmente colpito dalle parole
della consacrazione:
“Prendete e mangiate tutti: questo è il mio
corpo offerto in sacrificio per voi”.
Ho pensato che
l’essere scelto da Dio era anche una domanda che egli ci faceva di seguire il
suo Figlio in tutti i passi del suo cammino, eventualmente anche fino al
calvario.
Dal giorno
infatti in cui Cristo ha compiuto il suo sacrificio, sembra diventata
ineluttabile la legge della sofferenza per il traguardo della redenzione.
Ho detto al
Signore di “si” per me e per voi. Sono stato indiscreto?
Spero di no,
perché per noi “chiamati”, il vivere “è
una moneta da spendere” per comperare la salvezza nostra e dei fratelli.
(Dagli scritti di P. Albino, Bologna, 2-2-1971)

fare comunione
Il nostro Statuto al n. 73 dice: “Costruiremo la comunione solo se unite a Cristo e alla fonte inesauribile
del suo cuore. Da qui scaturiscono le espressioni concrete della vita di
comunione che sono: ascolto, accoglienza, comprensione, perdono, dialogo,
corresponsabilità nei confronti di tutti gli uomini, ma in particolare di
coloro con cui si svolge il nostro rapporto quotidiano”. E il RdV al n. 72 dice: “perdere
tutto piuttosto che perdere la carità”, secondo
la consegna del nostro Fondatore. Proponiamo una riflessione di p. Albino sul tema
della “comunione” quale filo rosso della nostra storia e del nostro
impegno quotidiano. Uno dei modi per incarnarlo oggi ci è suggerito da
questa riflessione: “Credo che se confidiamo nella misericordia del Signore ed
agiamo secondo il Suo Spirito troveremo la capacità di “fare il primo passo”
per un incontro autentico con Dio, tra di noi e con gli altri”… (Vinculum
n°1/2018, p. 3 – Lettera di Martina Cecini, Presidente della CM).
La denominazione che ci distingue nella Chiesa: “Compagnia Missionaria del
Sacro Cuore” ( Statuto, n. 1) ci conduce a fare della nostra Famiglia una nuova
Betania, un’oasi di affetto per Gesù, un corpo che vive di magnanima donazione
a Lui e ai suoi ideali di salvezza. Approfondiamo il senso dei termini,
cominciando dal primo: Compagnia.
La parola rende, con immediatezza, l’idea di una realtà compatta, che
marcia allo stesso passo, che svolge un’attività unitaria, che si immerge in un
unico sacrificio, che tende ad una medesima meta. E’ difficile pensare
diversamente mantenendo questa denominazione. Mi pare allora che nessuno più di
noi si trovi nella felice necessità di dare concretezza alla volontà di Gesù: “Prego anche per coloro che crederanno in
me…affinché tutti siano una cosa sola, come tu, Padre, sei in me ed io in te; così
anch’essi siano una cosa sola in noi. Io ho partecipato a loro la gloria che tu
mi hai dato ( la divinità attraverso la filiazione divina) affinché essi siano
una cosa sola come noi siamo uno, io in loro e tu in me affinché siano perfetti
nell’unità e il mondo riconosca che tu mi hai mandato ed hai amato loro come
hai amato me” ( Giov. 17, 20- 23).
“Fare comunione” con Dio, tra di noi e con tutti gli uomini, nostri fratelli (non solo
ontologicamente per la presenza della grazia, ma anche psicologicamente per il
nostro volontario apporto intellettivo ed affettivo) è il termine necessario
della nostra vocazione.
Ma ogni processo di fusione postula che l’individualità e i pregi dei
singoli elementi cadano per sublimarsi nelle nuove proprietà del tutto. Credo
sia difficile ritenere nell’autentico spirito cristiano chi non è disposto al
sacrificio di qualcosa, anzi di tutto quello che è. Cristo non ha alcuna
ambiguità al riguardo ( cfr. Lc. 14, 26 e 33). Anche l’apostolo Paolo alza le
sue catene come accorato richiamo “all’unità
dello spirito nel vincolo della pace” (Efes. 4,3), “... usando umiltà,
mansuetudine, magnanimità, sopportazione reciproca (Efes. 4,2)”... perché una è
la fede, uno il battesimo, uno il corpo, uno lo spirito, una la speranza, uno
il Dio e Padre di tutti che è sopra tutti; opera in tutti ed è in tutti (Efes.
4,5-6).
Quando cesseremo di dire: “Questo è mio” in tutte le direzioni dei nostri
reali o presunti diritti, quel giorno varcheremo la soglia della felicità;
saremo nella disposizione seria di “fare comunione”, mentre la grazia del
battesimo diverrà operante in ciò che è fondamentale nel piano di Dio: il
nostro assorbimento, inteso e voluto, in Dio e nei fratelli.
I mezzi per fare comunione
1) La preghiera, molta preghiera, umile, insistente, strettamente
personale. Solo l’onnipotenza di Dio, infatti, può disporci al sacrificio
continuato del nostro egoismo per volere e cercare ciò che unifica. Poi la
preghiera, come sopra descritta, getta sempre il ponte di una filiale “comunione”
con i fratelli.
2) La grazia, la nostra “comunione” per piacere a Dio deve essere soprannaturale. La
sostanza ne è la grazia che attraverso Cristo, ci unisce in una sola vita con
il Padre e tra di noi così “chi sta a
Roma sa che gli Indi sono sue membra”
(cfr. LG n. 13). Crescere nella grazia, cogliendo premurosamente le mille
possibilità di ogni giorno, significa crescere nella intensità, nella efficacia
e nella cattolicità della nostra “comunione”.
3) Lo Spirito Santo, se il nostro essere cristiano si impernia nello
Spirito, allora “ conformiamoci allo
Spirito” (Gal. 5,25 ). Lo Spirito è essenzialmente forza protesa a creare
la “comunione” perché i suoi frutti sono “
la carità, la gioia, la pace, la benignità, la mitezza… “(Gal. 5,22-23). Le opere contrarie: “le risse, le
gelosie, gli impeti d’ira, le rivalità, le fazioni, le invidie…” e le altre
cose simili che rompono o incrinano la “comunione” con i fratelli, san Paolo le
qualifica “opere della carne”, opere
cioè di chi ancora non è maturato, di chi non è divenuto una piena realtà nuova
in Cristo ( cfr Gal. 5,19).
4) Una grande considerazione per la
Famiglia in cui ci ha raccolto la bontà del Signore. Qui non
possiamo assolutamente essere delle unità giustapposte ove ciascuna pensa come
vuole, si comporta come vuole, va dove vuole. La realtà cristiana dell’unità in
Cristo per cui siamo un solo corpo, viviamo di una sola vita, ci prodighiamo
per una sola salvezza, siamo in cammino verso una sola patria, il bel paradiso
di Dio che ci attende…deve trovare qui la sua prima espressione. “Se siamo chiamati a cantare insieme nel
cielo, perché non cominciamo già a cantare insieme sulla terra?” (Claudel).
Così anche se abbiamo personalità,
mansioni, attitudini e vedute umanamente diverse, nella carità di Dio “facciamo
comunione”, vogliamo la “comunione”, ma non accademicamente. Sarebbe il più
stupido dei formalismi. Bensì con lo stesso desiderio bruciante ed operativo di
Gesù. Del resto questo fu l’ultimo dei suoi desideri, il testamento sacro della
sua vita e del suo amore….(continua nel
prossimo numero)
P. Albino Elegante s.c.j.
Bari, 26.9.1970
