Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La
COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede
centrale a Bologna, ma è diffuso in varie regioni d’Italia, in Portogallo, in
Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
All’istituto
appartengono missionarie e familiares
Le
missionarie sono donne consacrate
mediante i voti di povertà, castità, obbedienza, ma mantengono la loro
condizione di membri laici del popolo di Dio. Vivono in gruppi di vita fraterna
o nella famiglia di origine o da sole.
I
familiares sono donne e uomini,
sposati e non, che condividono la spiritualità e la missione dell’istituto,
senza l’obbligo dei voti.
News
-
27 / 05 / 2020
SOLENNITA' DEL SACRO CUORE DI GESU'
Venerdì 19 giugno 2020...

-
27 / 05 / 2020
SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
Sexta-feira 19 de junho de 2020...

-
27 / 05 / 2020
SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
Viernes 19 de junio de 2020...

un sogno... una realtà
Carissime/i, al mio rientro in Portogallo dalla
Guiné-Bissau, dopo sei anni di missione, voglio benedire il Signore che mi ha concesso di far parte di questo popolo e di condividerne le difficoltà e le speranze
in un futuro migliore che sembra tardare… In alcuni
momenti non si intravvede nemmeno una piccola luce in fondo al tunnel, a causa dalla
instabilità che è una costante e che blocca lo sviluppo in questa piccola nazione
della Costa Africana.
La mia collaborazione nella segreteria della
scuola mi ha dato l’opportunità di intessere relazioni positive con i genitori
degli alunni, inoltre ho potuto percepire meglio la realtà e le difficoltà
delle loro famiglie. Venendo in segreteria i genitori coglievano l’occasione
per aprirsi alla confidenza e per condividere la loro vita come se ci
conoscessimo già da molto tempo.
Il terreno dove sorge la scuola di S. Paulo, e dove abitiamo
noi, é pure luogo di accoglienza, dove le persone cercano ogni giorno aiuti per
i molti problemi che le preoccupano e
dove, di sabato e di domenica, si riuniscono alcune centinaia di persone, tra
adulti, giovani e bambini, che prendono parte alla catechesi e alla messa
festiva.
Celebriamo l’Eucaristia sotto gli alberi di cajù, grandi alberi
frondosi, che offrono l’ombra dei loro rami ricchi di foglie e riparano tutte
le persone dai raggi cocenti del sole.
Rivedo ancora i piccoli attaccati alle gonne delle mamme,
che cercano di trattenere, perché i loro
passi non sono come quelli degli adulti,
e i bambini, che vanno a scuola a piedi scalzi sul sentiero di terra battuta
sotto un sole accecante, tipico del continente africano.
Ho lasciato per ultimi, tanto mi sembra passato molto tempo, uomini e donne che, con
il sorriso sulle labbra vanno al loro duro lavoro, il viso grondante di sudore,
per guadagnare a fine giornata qualche cosa da mangiare insieme alla loro
famiglia.
La mia esperienza in questa terra non è stata frutto di
casualità. Qui, tra questa gente io ho imparato sia a staccarmi da molte cose,
sia a vivere nella semplicità. Possedere tanto poco ha riempito il mio cuore e
mi ha dato ali per librarmi verso l’infinito. Il cinguettare dei passeri, il
sorriso e le fragorose risate dei bambini mi hanno dato la forza, nel mio
silenzio, di lodare con loro il Signore e mettere la mia vita nelle Sue mani.
La semplicità di ciò che mi circondava, mi ha aiutato a
entrare in me, a spogliarmi di tante cose che sono solo di inciampo nel cammino
di una vita missionaria. Se puoi andare in missione e lasciare un po’ di
profumo, va’, ma non trattenerti! Non ti fermare! Cammina! Altri ti aspettano e il Regno
di Dio deve essere annunciato anche attraverso il tuo lavoro e ancora per ciò
che tu sei e non solo per ciò che annunci. La tua vita parla molto più delle
tue parole.
Né i venti né le piogge potranno distoglierti dalla tua
decisione di partire un giorno per questa avventura, di andare incontro ad un
popolo che ti sta aspettando, di andare incontro ai bambini che giocano e si
divertono con quel minimo di cui dispongono: potrà essere una lattina vuota,
con cui costruire un camioncino; intelligenti e saggi sanno vivere con poco o
quasi niente, ma non perderanno il sorriso di felicità che hanno stampato in
volto.
Lodo il mio Signore che mi ha dato la possibilità di fare
questa esperienza e di vivere questi anni inserita in un’altra cultura, con
tante tradizioni, con svariatissime etnie, tra gli odori, il caldo soffocante,
le montagne di immondizie, le strade non transitabili nei giorni di pioggia che
rallenta gli spostamenti e, sia che tu sia a piedi o in macchina, ti ci
vogliono molte ore prima che tu arrivi a destinazione. Ma la pazienza è una
costante, adottare la rassegnazione e andare avanti... Andare avanti per costruire un mondo più
umano e solidale è l’urgenza dei nostri tempi nel pianeta Terra.
Posso affermare che, per andare
in missione, non servono molte cose, soltanto un grande distacco e
spogliamento, portare con sé unicamente il minimo indispensabile, ovvero, solo
e soltanto l’Amore. Mosse unicamente dall’Amore, come ci chiede Papa Francesco,
potremo diffondere nel mondo il Regno di Dio, forti dell’azione trasformatrice del suo Spirito.
Canterò al Signore per tutto
quanto ha fatto per me.

guardare lontano
Missionarietà è intesa come il contesto dentro il quale si respira e ci si muove.
Dentro questa sensibilità missionaria globale si sviluppa e si concretizza anche la dimensione missionaria ad gentes.
C'è stato fin dall'inizio della Compagnia Missionaria lo zelo e il fervore per questo aspetto di partire per altre terre, e il motto "Guardare lontano" guidava i primi passi delle missionarie.
Il Mozambico è stato per noi la prima esperienza di missione ad gentes. Un'esperienza che ha segnato profondamente non solo le missionarie che l'hanno vissuta in prima persona, ma anche l'intero Istituto...
E da allora questa dimensione ad gentes è sempre stata ben caratterizzata e ben presente.
Attraverso questo servizio di collaborazione alle giovani chiese e alle terre dove l'evangelizzazione e la promozione umana sono più urgenti, si esprime e si realizza uno degli aspetti specifici della nostra missione di amore e di servizio.
La nostra presenza missionaria è stata orientata da queste scelte:
* l'inserimento di tipo professionale, in strutture sociali ed ecclesiali, promuovendo i valori di giustizia, unità, speranza, pace e solidarietà;
* la condivisione della vita della gente, con semplicità, rispetto e cercando di vivere la solidarietà con i poveri;
* la partecipazione, insieme ad altri laici, a progetti di organismi di volontariato internazionale;
* i vivi legami di comunione con la Chiesa locale, partecipando attivamente alla sua vita e alle sue iniziative.

creare i colori giusti
Esperienza di volontariato con l'Associazione "Guardare lontano"
“Viaggiare significa mettersi
in strada, in cammino, significa lasciare casa per raggiungere un luogo che
chiamerai casa, solo così ovunque si poggeranno i tuoi piedi non ti sentirai
fuori posto. Anche percorrere ogni giorno la stessa strada che da casa ci porta
al lavoro, a scuola, all’università o a casa di un amico, può divenire un
viaggio. Lo spessore del viaggio non lo danno i chilometri che percorri o i
luoghi che visiti ma la gente che incontri. Ecco perché ogni giorno, su quella
strada che conosciamo a memoria, possiamo sperimentare la bellezza e la
profondità del viaggiare, perché ovunque possiamo fare degli incontri, se siamo
disposti a viverli.” Alex
Zappalà – Viaggi dentro.
L’esperienza di volontariato
estivo quest’anno ha avuto come punto di arrivo la Guinea Bissau e più
precisamente la scuola San Paolo, mentre le partenze sono state da luoghi diversi…
Sant’Antonio Abate, Bussolengo e Bologna da dove il gruppetto è partito.
Biglietto aereo, certificato vaccino febbre gialla, visto, due bagagli a testa,
di cui uno pieno zeppo di materiale scolastico, profilassi per la malaria e
anche un percorso formativo per prepararsi al viaggio unito ad un programma
comune che aveva come obiettivo principale collaborare alla tinteggiatura della
scuola San Paolo condividendo la vita della comunità che ci accoglieva. Tutti
aspetti importanti per affrontare nel migliore dei modi un viaggio... poi
inizia il viaggio vero e proprio dove è necessario mettersi in gioco fino in
fondo con i propri punti di forza ma anche con i propri limiti per lasciarsi
incontrare dalla realtà. Personalmente è stato un ritornare in un luogo già
conosciuto che solo a pensarlo richiamava persone e volti amici… poi il “mettersi in strada, in cammino”
richiede di incontrare nuovamente le persone e la realtà… sperimentando lo
stupore davanti alla vita e alla realtà che cresce e si trasforma ma anche
dispiacere per ciò che non la promuove.
Il viaggio inizia… e con esso
si comincia a sperimentare la bellezza e la fatica dell’incontro con un clima e
una cultura differenti, sperimenti che la prima difficoltà arriva dal
medicinale per la profilassi della malaria e poi anche dal clima… la soluzione
al medicinale arriva da una pianta naturale usata dal popolo e trattata da
suore brasiliane con sapienza e pazienza, la stessa pazienza necessaria per far
si che il corpo si adatti ad un clima umido al novanta percento. Noi italiani
partiamo in quinta… c’è il materiale per il lavoro da comprare, il lavoro da
organizzare e la vita comune da predisporre insieme, ma capisci quasi subito
che quando ti dicono: «La prima settimana è necessaria per l’adattamento» sono
parole verissime e allora inizi un po’ a scalare le marce, ad andare più piano.
Allora partiamo con ordine… saliamo sul fuori strada per andare a comprare il
materiale, fare la spesa e la sensazione è stupenda quando puoi viaggiare su
una strada asfaltata quasi nuova, poi dopo un po’ inizi a danzare… la strada
asfaltata non c’è più e la schiena lo sente subito. Che bello trovare il
materiale che ci serve, entrare nel supermercato e trovare tante cose a cui
siamo abituati… ma ti accorgi in breve tempo, facendo due calcoli tra il cambio
moneta e lo stipendio mensile delle persone che quello che noi stiamo facendo
per la maggioranza delle persone non è possibile… lo capisci anche osservando
che non c’è fila o confusione in questi posti, confusione che incontri invece
al mercato.
Eccoci allora in gioco… in “un luogo
che chiamerai casa”, a stretto
contatto con il “colore”, i pennelli, l’acqua ragia, la preghiera, i pasti, la
nostra umanità… un luogo che è diventato casa con l’impegno e la fatica di
tutti… del gruppetto italiano, delle missionarie presenti a San Paolo e degli
amici guineani che hanno collaborato in questa esperienza. Ci è voluto tempo
per creare i colori giusti, a volte è stato necessario mettere colori scuri per
ottenere l’azzurro… colore predominante nelle strutture della scuola, come ci è
voluto tempo per dipingere quei muri e farli diventare colorati… così è
successo anche nell’imparare a conoscerci dal vero con le nostre qualità ma
anche con i nostri limiti… così è della vita quando siamo disposti a viverla
fino in fondo!

musica, colori, odori e affetti
La mia
esperienza africana
Il 23 aprile è iniziata la mia avventura in terra
mozambicana. E’ così che ho conosciuto un’altra realtà africana che ha lasciato
dentro di me meravigliose orme di colori, odori e anche affetti.
Una realtà come quella della nostra presenza CM ad Invinha,
dove abbiamo una casa che attualmente è abitata da 10 giovani della Zambesia,
che frequentano il liceo, una giovane di Nampula, che sta facendo un’esperienza
di discernimento per una vita di consacrazione nella CM, una giovane
professoressa Melita, che è nel periodo di orientamento, due giovani che
frequentano l’università, Alefa e Joana che sono nel Biennio di formazione ed
Isabel che ha fatto la sua prima emissione dei voti il 13 agosto. Questo è
stato un giorno molto speciale per la nostra Famiglia CM. E’ stata una bella
cerimonia e un’opportunità per me per incontrare altre missionarie: Irene e
Giannina da Maputo, Anna Maria, Helena e Gabriela da Nampula.
Il mio primo impatto con questo posto è stato visuale nel
vedere una bellissima terra rossa , le
sue verdi e fertili valle , belle montagne, il suo cielo azzurro e l’aria limpida. Le notti con il cielo stellato!!!
La musica accompagna tutte le manifestazioni della vita diaria. Il risveglio è
alla 5 del mattino con una soave melodia di un flauto e se per caso non ti
svegli allora si aggiunge un rumoroso e simpatico suono di tamburello; poi la
preghiera delle lodi con inno, salmi e benedetto tutto cantati. Il sottofondo
di un suono fatto da una o due delle
giovani di casa che ritmicamente macinano il grano, il cernere dei cereali…la
preghiera della sera con i vespri cantati, adorazione, lettura della parola di
Dio e la Messa con canti ritmici e armoniosi. I sapori della verdura e frutta
fresca prodotta dal nostro orto…
Un aspetto che mi ha molto impressionato è il grande amore
per l’Eucaristia che hanno i Ministri
straordinari delle varie comunità della zona. Vivono lontani e devono percorrere molti chilometri per
andare in Parrocchia a prendere l’Eucaristia . Partono all’alba per tornare
alle loro comunità con il grande tesoro e ogni domenica celebrano la Parola,
perché la messa viene celebrata solamente due volte all’anno.
Porto nel mio cuore e nella mia preghiera ogni giovane che
ho conosciuto in questi mesi. Saranno il futuro della CM se dentro di loro si
consoliderà la vocazione per la nostra famiglia oppure, se sceglieranno
un’altra strada, avranno davanti un buon futuro per le loro famiglie e per la
società.
Ringrazio Mariolina per la sua accoglienza sempre amabile e
vicina. Mi sono sentita a casa. Ringrazio anche ciascuna di Nampula che mi ha
ricevuto e mi hanno salutato prima del mio rientro in Italia.

un sogno realizzato
Albina è una missionaria portoghese, del gruppo di Porto. Ha 53 anni. Da sempre vive nella sua famiglia. Sarta di professione, in parrocchia fa la catechista, partecipa al coro e al gruppo biblico. Si interessa e dà il suo appoggio, con altre persone, ai senzatetto. Da molto tempo aveva un sogno: andare in Africa…
La decisione
Era l’agosto 2008. Stavo faccendo, con tutto il gruppo del Portogallo, gli esercizi spirituali annuali, quando in cappella, nel momento dell’adorazione, mi è venuta al pensiero una domanda: perché non andare il prossimo anno a fare un’esperienza in Africa? Perché non realizzare questo vecchio e accarezzato sogno, sempre rimandato? Infatti, questo desiderio era cresciuto con me da quando ero piccola.
Quest'idea non mi ha mai lasciata e andava prendendo sempre più consistenza, sentivo crescere in me una grande determinazione interiore che mi aiutava a portare avanti questo progetto; infatti, tutte le volte che sembrava sorgere un’ostacolo, immediatamente si presentava la soluzione. Questo era per me come un segno di Dio, mi diceva che il progetto era Suo e non soltanto mio. E' quindi arrivato il momento di comunicare al gruppo quanto andavo maturando e di sentire il parere delle mie sorelle. Tutto il gruppo mi ha dato il suo appoggio.
Il più difficille era comunicarlo alla mia famiglia…ma Dio mi ha dato la sapienza e la fortezza e io ho sentito che questa volta niente mi avrebbe fatto deviare dalla mia decisione.
Il desiderio più antico era quello di andare in Mozambico…era anche il primo spazio missionario della Compagnia Missionaria…ma a un certo punto ho preso coscienza che dovevo essere aperta alle necessità dell’Istituto. Questa apertura è stata molto importante, giacché nel frattempo mi è arrivata del Consiglio Centrale la proposta di cambiare il Mozambico con la Guinea Bissau. Qui sembrava esserci più bisogno perché Cecilia era venuta in Europa per partecipare alla Consulta delle responsalili di gruppo e per passare un periodo di vacanze e io ho accettato volontieri questo cambiamento; l’importante era potere servire ed essere utile.
Ho fatto di tutto
L’11 luglio sono arrivata in Guinea. Teresa, Antonieta e Ivone erano in aeroporto ad aspettarmi…e vi lascio immaginare i saluti e gli abbracci, la gioia dell’incontro. Era più di mezzanotte. In aeroporto c’era abbastanza luce…ma uscendo fuori ci trovammo immerse in grande oscurità che si trasformò in buio fitto nella misura in cui ci avviavamo verso casa. Mancanza di luce pubblica e mancanza di luce nelle case…il primo colpo che mi ha fatto prendere coscienza che eravamo già in Africa.
Mi sono sentita subito a casa, le missionarie mi hanno accolto veramente bene, e mi hanno fatto vedere il lavoro quotidiano di ognuna. Ho cercato di fare il mio meglio collaborando qua e là, secondo le necessità. Ma il mio principale impegno è stato la collaborazione con Ivone che gestice un “atelier” di cucito. Questo lavoro mi è molto piaciuto e l’ho trovato molto importante perché oltre al cucito c’è tutta una dimensione di promozione della donna veramente utile e importante.
Insieme a Teresa ho aiutato nel lavoro relativo alla scuola, tipo amministrazione e segreteria…veramente ho fatto di tutto un poco, perché le cose da fare erano tante e non si poteva stare soltanto a guardare.
Devo ringraziare veramente Dio che mi ha dato una buona salute…devo dire che non ho sentito particolari difficoltà con l’adattamento.
Il contatto con le persone era buono, con i bambini era ancora meglio…io non avevo un contatto diretto con loro, che erano affidati particolarmente ai giovani che in quel perdiodo facevano volontariato…ma i bambini sono sempre tanti in quella casa!
Ho trovato una Chiesa molto giovane…molti giovani già con delle responsabilità nei gruppi a cui appartengono. L’Eucaristia è sempre una festa con le danze e le offerte tipiche del popolo africano.
L’ora della partenza
Il giorno della mia partenza, il 31 agosto, è arrivato e devo dire che avevo già non poche “saudades” (= nostalgia)! Non parto sola: porto con me tante cose! In una realtà dove le carenze sono a tutti i livelli, emerge il valore della solidarietà. Presso quel popolo c’è sempre posto per chi ha bisogno, che sia uno della famiglia o no.
Ringrazio il gruppo che mi ha accolta con tanto affetto. Ringrazio il Cuore di Cristo che ha fatto di me uno strumento nelle sue mani. Adesso posso dire parafrasando il vecchio Simeone: “Già posso morire perché i miei occhi hanno visto l’Africa”.

vita quotidiana dei miei studenti
Ho raccontato altre volte un po’
di storia della nostra presenza a Maputo e di questa Nazione, dove anche noi
abbiamo avuto la nostra minuscola, quasi invisibile, parte, condividendo il
cammino del dopoguerra e costruendo per i
loro figli una scuola. Oggi apro
una finestra sul quotidiano dei miei studenti. Innanzitutto vi dico subito che le ragazze e i ragazzi, al primo
incontro, paiono somigliarsi, per cui non mi é stato facile nei primi tempi distinguere Magda da Ana, Anira da
Daimira, e tantomeno Nelson da Abdul, Sergio da Tomás e cosí via. Oggi li conosco tutti e ricordo anche i primi,
quelli del 1990, che oggi, dopo 24 anni,
ancora tornano a farsi vedere, a iscrivere i figli a scuola. Vengono a vedermi, a chiedere aiuto, a
raccontarsi. Io ci sono sempre, li ascolto e quando se ne tornano a casa una
parte di me è con loro.. Conosco nonne, cugini, genitori, i nuovi orfani che
vivono storie tristi, storie di ferite, le nuove famiglie... Sono tanti, mai troppi. Essi sono diventati i “figli” che amo
e seguo anche quando formano la loro nuova famiglia, quando nasce un
figlio, se si ammalano, se perdono il
lavoro, se vanno a vivere lontano, se prendono una brutta strada...
Le
loro famiglie di periferia.
Nella nostra scuola passiamo
insieme anni, gli anni dell’adolescenza, dei sogni, delle speranze. I ragazzi e le ragazze arrivano dopo le
primarie a 11/12 anni e vanno via a 16 anni, se sono studiosi, a 18/20 anni se
hanno avuto problemi. Essi provengono da
famiglie con un basso livello di formazione, che peró stanno migliorando il
tenore di vita con la tenacia e il lavoro. Alcuni genitori hanno perfino ripreso a studiare sia per avere piú opportunitá di
lavoro, che per aiutare i figli a scuola. La mamma di Meríta, Esthér, sta frequentando la 7°, Meríta é in 6ª e gli altri fratellini, 3 maschietti, sono in
1ª, 2ª e 3ª elementare. A casa c’é la presenza rassicurante di nonna
Marta. Il papá di Felizberto,
Cesár, che aveva frequentato da noi fino alla 10ª classe - ricordo la sua
passione per lo studio -, quest’anno é riuscito ad iscriversi alla 11ª classe
grazie alla collaborazione di sua moglie Catarina e della Tia Agostinha. In due
anni potrebbe accedere all’Universitá. Voleva fare ingegneria meccanica, ma
potrebbe anche fare informatica. Di notte lavora, fa il “guarda” , il guardiano
di un albergo di Maputo.
I
ragazzi e le ragazze piú poveri, tipo Antonio, Vánia, Vanessa, Adérito e altri
che non sto a nominare, sono spesso
anche quelli che rendono poco e male a scuola. I loro genitori sono fuori casa per lavoro dal mattino presto a sera tardi, prendono poco, non
hanno mai tempo per i figli e non
sempre c’é una nonna di supporto. Questi
ragazzi che vivono nella lontana periferia, sono molto sacrificati: si alzano alle 4 del mattino per uscire di
casa alle 5. Devono prendere il primo chapa delle 5 e mezza per essere a scuola puntuali. Si
inizia alle 7. Antonio ad esempio non ha l’acqua in casa e il suo primo lavoro
é di fare rifornimento al mattino appena sveglio. Pure Vánia aiuta fin
dall’alba, andando a raccogliere la
legna per accendere il fuoco, scaldare l’acqua per la doccia per sé, mamma
e papá. Solo dopo escono a prendere il chapa, lei per andare a scuola in cittá,
i genitori per andare al lavoro. Non c’é l’abitudine di fare colazione, né di prendere con sé una
merenda. Quando arrivano a scuola sono assonnati fino verso le 8 e mezza,
quando squilla la campana di pausa e
comprano qualcosa da mangiare. Patrice, Samuel, Cristina, Melissa, Tiago e
Evander vengono da Matola, territorio molto vasto, dove le famiglie piú povere
hanno l’opportunitá di costruirsi una casetta un pezzo per volta. Da qualche
anno si stanno spostando lí tutte le piú grandi imprese e sta diventando la zona industriale di Maputo.
Con
tre chapa raggiungono Maputo
Per raggiungere la cittá, dove ci
sono i servizi, scuole, ospedali, uffici governativi, si usa il mezzo di trasporto “chapa”, il piú
economico, l’unico mezzo pubblico, un VW a 9 posti, che puó arrivare a 20 posti
a sedere, perché al suo interno vengono fissate delle panche. Qualcuno viaggia
anche in piedi, curvo, pur di entrare nel chapa e non dover aspettare il successivo, che non si sa se ci sará e a che
ora. Chi é piú mattiniero sale davanti,
accanto all’autista e divide quello spazio con un altro viaggiatore. É il posto
migliore. Si aspetta che ci siano tutti, si parte solo quando il chapa é pieno,
ma pieno davvero, con qualcuno seduto sulle ginocchia.
L’altro mezzo a disposizione del
popolo é un autocarro aperto dietro,
dove una trentina di persone stipate fitte e con il loro carico di merce da
vendere in cittá, viaggiano in piedi, aggrappati gli uni agli altri. Lo spazio
é quello, viene sfruttato al massimo e vi succede di tutto: chi viene derubato,
chi deve fare da “aggancio” al vicino che non sa dove tenersi per non cadere,
con disagio del sesso debole, che deve sopportare cose spiacevoli. Il percorso dura anche piú di un’ora a causa
dell’ingorgo del traffico, su un percorso che si potrebbe fare in metá tempo.
La strada sconnessa e piena di buche viene percorsa come una
gimcana per evitarle. Si sopportano scossoni e spinte soprattutto in curva o nei sorpassi. Arrivati a destinazione della tratta, c’é il
cambio di chapa e si riparte. A volte ci
vuole molto piú tempo, a coprire lo
stesso percorso, soprattutto quando c’é
molto traffico e si fanno code interminabili. Le vie che portano al centro
cittá sono poche. Dal Nord, dal Gurue, entrano in Maputo file di auto, camion carichi di lavoratori e di studenti, che partono alle 3 del
mattino da Quelimane per arrivare in
tempo in cittá e fare le loro commissioni. C’é un’unica arteria
supertrafficata, dove si immettono dalle vie interne chapa, camion, auto,
carretti spinti a mano, piccoli taxi, gente in bicicletta, che formano una
fiumana di mezzi e di persone. Ultimamente la gente ha avuto grossi problemi di
sicurezza sulla strada a causa della guida sconsiderata degli autisti dei
chapa. Essi vanno a velocitá elevata, non si curano di semafori, né di codice
della strada. Fanno dei sorpassi che ricordano piú le giostre dove ci
divertivamo da piccoli, che il senso di responsabilitá per le persone che
portano. Ti tagliano la strada, superano indifferentemente da sinistra o da
destra, si fermano improvvisamente per scaricare le persone e farne salire
altre senza un minimo di attenzione per chi sta dietro o di lato. É vero che le
buche nell’asfalto sono pericolose, ti possono far saltare l’asse, bucare le
ruote, far sbandare il mezzo che finisce addosso agli altri veicoli. Ma quelli
corrono, perché a fine giornata devono aver fatto un certo incasso per avere un
buon margine. La gente é scontenta, gli
incidenti causano anche morti, ma quale altra alternativa? Per questo tutti se
ne servono, altro mezzo pubblico non c’é.
Avevano provato a far girare dei mezzi piú grandi, con posti normali, piú comodi.
Il costo del servizio andava al di lá delle possibilitá della gente, per cui é
fallito il progetto.
Non parliamo poi di come si
viaggia quando piove! Basta un giorno intero, o una notte di pioggia e le
strade diventano impraticabili. L’acqua cresce, copre le strade, fa un unico
canale d’acqua e la terra rossa si fa poltiglia che si attacca alle ruote. La
gente é costretta ad uscire di casa con
i pantaloni arrotolati, le ciabatte di plastica ai piedi o scalzi, l’ombrello é
inutile e si portano il cambio per quando arriveranno al lavoro o a scuola.
Nelle viuzze tra le abitazioni l’acqua
copre tutto ed entra in casa. Ci sono buche e avvallamenti anche di mezzo
metro, provocati dallo spostamento della terra rossa sabbiosa che viene portata
via dalla pioggia. Nessun mezzo si arrischia a passare lá dentro. Se succede
che si impantana deve aspettare che venga il giorno buono per essere tirato
fuori. Il carro attrezzi? Non siamo in Italia, mi dicono gli amici. Qui é
cosí.

1 .