Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
All'istituto appartengono missionarie e familiares
Le
missionarie sono donne consacrate mediante i voti di povertà castità, obbedienza, ma loro abbandonate la loro condizione di membri la povertà di Dio. Vivono in gruppi di vita fraterna o nella famiglia di origine o da sole.
News
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14 / 05 / 2021
SOLENNITA\' DEL SACRO CUORE DI GESU\'
Venerdì 11 giugno 2021...

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14 / 05 / 2021
SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
Sexta-feira 11 de junho de 2021...

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14 / 05 / 2021
SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
Viernes 11 de junio de 2021...

aprire gli occhi, e la mente e il cuore
Entro
nel silenzio: del corpo
(cerco una posizione in cui stare comoda, ma concentrata e ferma), della mente,
del cuore, della bocca.
Prendo
consapevolezza della presenza di Dio, che vuole parlarmi e invoco lo Spirito
Santo.
Leggo
attentamente il brano. Se siamo in gruppo una persona proclama la
Parola:
Gv 9,1-41
In
silenzio rileggo, cercando
di cogliere, anche sottolineando, le
parole o frasi che attirano la mia attenzione, che suscitano un sentimento di
commozione, di gioia, di timore, che provocano perplessità, incomprensione…
Per
cogliere il significato di alcune frasi o parole, è utile andare a leggere ciò
che precede il brano che voglio meditare, o cercare in altri brani frasi
simili. Si tratta di leggere la Bibbia con la Bibbia.
È
molto utile entrare nell’episodio
descritto, fare la composizione del
luogo: immaginare il posto, al situazione, le persone, l’avvenimento che
viene narrato, e porre me stessa all’interno del racconto, trovare il mio
ruolo; posso identificarmi con uno dei personaggi presenti, comunque è
importante coinvolgermi in ciò che
leggo.
Medito. Se siamo in gruppo, una persona può
suggerire alcuni spunti di meditazione.
vv. 1-5: “Chi ha peccato? ….
Io sono la luce del mondo”
Se sei malato, sicuramente sei
colpevole e la malattia è la punizione del peccato. Una delle certezze più
diffuse, purtroppo anche tra i discepoli del Signore, ancora oggi! Una certezza
che rivela una non conoscenza di Dio, del Dio di Gesù Cristo. Una certezza che
scandalizza, soprattutto davanti al dolore innocente, e impedisce di incontrare
Dio, il Dio di Gesù Cristo. È misterioso il dolore, spesso incomprensibile, ma
Gesù assicura che anche il dolore può diventare strada per incontrare Dio.
Questi primi versetti sono la
chiave di lettura di tutto il brano. Siamo davanti a uno che è nato cieco, che
non ha mai visto un volto umano, il sole, i fiori… nulla. Solo buio. Poi ci
sono i discepoli di Gesù, che sono ancora in penombra, ma hanno la possibilità
di arrivare a vedere pienamente, perché chiedono luce a Gesù. Solo alla sua
luce vediamo la luce (cf Salmo 36,10), la mente e il cuore possono comprendere
la verità, rivelata da ciò che gli occhi possono vedere. E poi ci saranno altri
ciechi…
vv. 6-7: “Fece del fango …
va’ a lavarti … e ci vedeva”
Nella prima creazione Dio formò
l’uomo dal fango della terra. Ora il fango è prodotto con la saliva di Gesù, un
liquido che sgorga da lui, come lo Spirito che sgorgherà con l’acqua dal suo
costato trafitto. Quel fango è segno di Gesù stesso, l’uomo nuovo, venuto a
ricreare l’umanità a sua immagine di Figlio di Dio. Pone se stesso-luce sugli
occhi bui del cieco. E lo manda a lavarsi alla piscina di Siloe-inviato. Gesù
vuole che il cieco “collabori” alla guarigione miracolosa, chiede la sua
adesione alla sua volontà di guarirlo. Nessuno guarisce veramente se non vuole
guarire, se non fa nulla per guarire. Il cieco, necessariamente accompagnato da
qualcuno - è fondamentale la compagnia
umana – si lava alla piscina dell’Inviato e ci vede. Anche l’acqua con cui si
lava è segno di Gesù, l’Inviato del Padre per sanare l’umanità ferita e
accecata dal male.
vv. 8-12: “Non è lui? … Sono
io!”
Lo stupore e la fatica di capire
ciò che è accaduto. Inizia un processo di ricerca per comprendere ciò che si
vede, ciò che è accaduto. Cercare il significato di ciò che vediamo è
essenziale, altrimenti siamo come ciechi. Ma l’ex cieco, anche se deve fare un
percorso fino alla piena illuminazione, è già testimone di verità. Ha assunto in pieno la sua nuova
condizione: “Sono io!”. Colui che prima non vedeva è lo stesso che ora vede:
una nuova creazione è avvenuta. Nel buio del caos, Dio creò per prima la luce,
perché la luce è la radice della vita.
vv. 13-17: “Era un sabato il
giorno in cui Gesù aveva fatto quel fango”
Ci si stupisce davanti all’agire
di Dio, ma può essere uno stupore positivo, come quello dei discepoli, della
gente, oppure uno stupore negativo, quello provocato dal pregiudizio,
dall’ideologia, quando la legge e la tradizione vengono prima del bene della
persona. Il pregiudizio e l’ideologia vivono nel buio. La luce li stupisce
perché li disturba. Pregiudizio e ideologia rifiutano la luce, perché la luce
li minaccia, li vince, li uccide.
Invece di vedere l’uomo che era
cieco e ora vede, l’uomo “ricreato”, i farisei vedono solo che il fango è stato
fatto in giorno di sabato, quando era proibito fare questa azione. Quando la
legge fatta per il bene e la libertà dell’umanità diventa ideologia, si
trasforma in prigione per l’umanità.
E l’ideologia è sempre a servizio
di un potere disumanizzante.
La luce, invece, mette in crisi il potere e dà la libertà di
incamminarsi sulla via della verità: l’uomo guarito può dichiarare, anche se
non lo conosce, che Gesù è un profeta.
vv. 18-34: “Non credettero …
e lo cacciarono fuori”
Il cieco era andato a togliersi
il buio dagli occhi, lavandosi alla piscina; i farisei si bendano per non
vedere e per continuare a negare la luce: sono ridicoli. L’uomo che era nel
buio ora è felice perché è nella luce. Era al buio, come un morto nella tomba.
Ora è venuto alla luce, come un neonato, un uomo nuovo. Coloro che si arrogano
il potere di giudicare perché dicono di “vedere”, rifiutano la luce, scelgono
il buio. Negano la realtà: decidono che non era cieco. Anche i genitori
identificano il loro figlio, assicurano che era nato cieco, ma la paura del
potere impedisce loro di gioire e sostenerlo. Forse anche loro avrebbero
preferito che nulla fosse cambiato: non si troverebbero ad essere chiamati in
giudizio, con il rischio di essere scomunicati (=cacciati dalla sinagoga). E’
sempre rischioso schierarsi per la verità. Tutto il Vangelo di Giovanni mostra
lo scontro tra le tenebre e la luce, cioè tra la menzogna e la verità, tra Gesù
e i poteri del mondo. E chiede inesorabilmente di schierarsi, o per l’una o per
l’altro. Non c’è via di mezzo. “Non lo sappiamo” significa scegliere le
tenebre.
Non potendo negare ciò che è
sotto gli occhi di tutti, il bene compiuto da un uomo e ricevuto da un altro
uomo (in fondo è un’immagine di paradiso un uomo che fa il bene di un altro
uomo), per salvare un potere iniquo e geloso, quindi cieco, che si nasconde
dietro la legge e il nome di Dio, non sanno fare altro che condannare ed
escludere: cacciano l’ex cieco dalla sinagoga, cioè dalla comunione con Dio,
come se questo fosse nel loro potere. Ciechi e quindi illusi. Una condizione in
cui facilmente possiamo trovarci. Una condizione che ci rassicura e addormenta
la coscienza.
vv. 35-41: “Tu credi nel
Figlio dell’uomo?”
La scena cambia: cacciato dalla
sinagoga, l’uomo che ora vede, incontra Gesù, che non aveva mai visto. Sembra
che Gesù abbia fatto in modo di incontrarlo.
Gesù introduce l’incontro e il
dialogo con una domanda decisiva: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”. Dopo
avergli aperto gli occhi, vuole condurlo alla fede, cioè alla pienezza della
luce.
Mi metto nei panni dell’ex cieco
che ha solo cominciato a vedere. E vedo Gesù davanti a me che mi chiede: “Tu
credi nel Figlio dell’uomo?”. Resto in silenzio.
Riascolto in silenzio il dialogo
tra l’uomo e Gesù. Mi lascio coinvolgere. Sono io che chiedo: “Chi è, Signore,
perché io creda in lui?”. “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Davvero
voglio sapere chi è per poter credere? Davvero lo vedo davanti a me? Davvero lo
ascolto per vederlo? Perché non potrò vederlo, se non lo ascolto. La sua Parola
è la luce.
Posso rispondere: “Credo,
Signore!”, prostrandomi davanti a lui? Sono un ex cieco che arriva alla piena
illuminazione?
Egli è la luce e la luce giudica,
perché rivela la verità, perché manifesta l’amore. E allora gli chiediamo:
“Siamo ciechi anche noi, Signore?”. Se è così, vinci le nostre tenebre con la
dolce violenza della tua luce, perché non restiamo nel nostro peccato. Dacci il
desiderio della tua luce!
Se siamo in gruppo, dopo qualche momento di silenzio, è bene fare
la condivisione, dove ciascuno
parla e ascolta, senza discussione. È lo Spirito che parla in ognuno.
Infine prego o preghiamo a partire dalla Parola ascoltata.

sint unum
Vivere la comunione e farsi comunione
“Padre santo, custodisci
nel tuo nome coloro che mi hai dato, perché siano una cosa sola, come
noi…” (Gv. 17,11b). “Io conservavo nel tuo nome coloro che mi hai dato e li
ho custoditi…” (Gv.17,12a). “E la gloria che tu hai dato a me, io l’ho data
a loro, perché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu in me,
perché siano perfetti nell’unità…” (Gv. 17,22-23a).
Queste parole
vengono pronunciate in un contesto di grande solennità, di altissima comunione
Trinitaria e di intenso “pathos”. Non ci sorprende che queste stesse parole
abbiano toccato il cuore attento e sensibile di P. Dehon fino al punto da
trasformarsi in una delle leve più stimolanti della sua vita ed in uno dei
motti del suo messaggio. Non sorprende che le stesse continuino a toccare il
cuore di quelli e di quelle che si sono messi alla sequela di Cristo, secondo
lo stile dehoniano.
La comunione come realtà e come appello
Per
noi, della Compagnia Missionaria, la realtà e l’appello contenuti in queste
parole, sono al centro della nostra vita e della nostra missione. Come
missionarie del Sacro Cuore, “siamo chiamate a vivere la vita di amore sino
a farci comunione con Dio e con i fratelli…” (St. nº6).
Mi
pare importante intendere la comunione, prima di tutto, come l’inserimento
gratuito, da parte di Dio, nel dinamismo della Sua vita Trinitaria. Prima di
essere un impegno, una risposta mia, è un dono e una realtà già presente nel
mio essere e nel tessuto della mia esistenza. Questa certezza è stata e
continua ad essere decisiva sia per la mia crescita che per quella di coloro
che sono stata chiamata ad accompagnare nel cammino di formazione.
Intendere
la comunione alla luce della sua matrice Trinitaria, comporta anche altre
conseguenze importanti. Quando facciamo autentica esperienza di Dio comunione
di persone, nella misura in cui entriamo nella Sua intimità, sperimentiamo
proprio che l’intimità non si oppone alla differenza, anzi cresce insieme a
questa. La distanza e l’alterità assolute non significano separazione. Questo
ha delle implicazioni nel nostro modo di intendere le relazioni con gli altri:
anche qui la distanza significa la dualità che permette il riconoscimento, lo
spazio dell’incrocio di sguardi che fa progredire la comunione, il luogo
dell’altro come colui che non è per niente la proiezioni di me o un semplice
doppio. Accettazione della differenza, riconoscimento del mistero dell’altro,
salto per una libertà che non è caduta nell’isolamento e nella solitudine ma
l’inaugurarsi di un regno dove pluralismo e solidarietà di uomini e donne, sono
atteggiamenti che si possono sviluppare nella misura in cui ci esponiamo al
calore della vita Trinitaria, nella misura in cui ci lasciamo liberamente
condurre nel dinamismo della sua VITA.
Coscienza delle rotture…
Ho
detto e dico molte volte, a me stessa e alle altre missionarie più giovani che
sono stata e sono chiamata ad accompagnare, che avendo la comunione un luogo
così centrale e così decisivo nella nostra vita e nella nostra missione, tutte
le rotture, anche quelle che sembrano insignificanti, sono da noi avvertite e
sentite come qualcosa di grave.
Ricevere un carisma è, in un certo
modo, diventare esperte di un determinato dono. È come se fossimo chiamate ad
essere nella Chiesa e nel mondo artigiane di comunione… e, nel frattempo,
verifichiamo che anche noi siamo capaci di creare dinamismi che non favoriscono
o che provocano proprio la rottura della stessa comunione.
A questo
proposito evocherò quello che è successo un Giovedì Santo, in uno dei nostri
gruppi. Era un giorno molto bello di una Primavera che già si annunciava. La casa dove abitavamo era una
bella casa antica dove abbondava il legno. Avevamo fatto pulizie, il pavimento
passato a cera scintillava, c’erano cascate di camelie cosparse qua e là … una grande dolcezza sembrava
impregnare tutto e anche i nostri gesti. Avevamo programmato un pomeriggio di
adorazione, sarebbe poi seguita la cena in clima di festa e poi la Cena del
Signore… Però, prima dell’ora del pranzo, sorge un alterco tra due missionarie
del gruppo. Volano parole insensate e smisurate che spazzano via la dolcezza e
l’armonia fino ad allora esistente e che rimangono lì come un pungente
contrasto con il messaggio e l’appello di un giorno come quello.
Nonostante
quell’incidente, o proprio a causa di esso, il messaggio di Amore e Comunione
di quel Giovedì Santo, è rimasto per sempre scolpito dentro di me. Accogliere
la fragilità e il peccato, rispettare il tempo psicologico necessario per
riallacciare una relazione spezzata, accettare la misteriosa solidarietà che ci
lega agli altri, aprirsi alla Parola e alla Presenza sanante e rigenerante del
Signore della Vita – sono stati aspetti che ho capito più profondamente e che
sono passati nel patrimonio della mia esperienza spirituale.
È sempre una cosa
grave attentare contro la comunione; le nostre rotture dovrebbero arrecarci
sofferenza come se si realizzassero sempre il Giovedì Santo; ma è anche
importante non dimenticare che la garanzia della comunione che ci viene offerta
dal dinamismo della vita teologale è decisivamente maggiore e più determinante
di tutto quello che può essere provocato dalla precarietà del nostro equilibrio
psicologico o dalla cattiveria del nostro cuore.
“Custodisci nel tuo nome coloro che mi hai
dato”
Penso sia
successo, a coloro che sono stati incaricati di una missione di servizio
(soprattutto formativo) all’interno di una comunità o di un gruppo, di trovarsi
frequentemente a pregare con queste parole di Gesù. Personalmente le trovo
straordinariamente espressive, con una notevole capacità di stimolare e
rappacificare. Ritengo che la parola custodire è molto bella ed evoca un
atteggiamento tipicamente femminile e materno. Vigilanza di un amore che
protegge, difende e cautela. “Custodiscili”, custodiscile perché non si
perdano, perché non si allontanino dalla fonte della vita piena, perché non
vengono disintegrate e frammentate ma “siano uno, come noi”. Non perderle di
vista, Signore, guarda a loro… Ricevile nel silenzio del Tuo amore, come in un
seno fecondo, dove si possano creare e ricreare.
“Ho
custodito coloro che Mi hai dato…”. Alle volte anch’io, Signore, ho
custodito quelle che mi hai dato. Le ho custodite con la mia sollecitudine,
con il mio servizio disinteressato, con la tenacia della mia presenza discreta,
le ho custodite nel silenzio del mio amore, nell’accoglienza rispettosa del
mistero di ciascuna, nell’attesa paziente del loro sbocciare. Ma alcune volte
mi sono distratta, altre volte ho rifiutato di allargare la mia tenda perché
trovassero lì un riparo, non sempre sono stata capace dell’austera vigilanza
del pastore… mi sono addormentata, mi sono chiusa nella fortezza dei miei
gusti, dei miei interessi e dei miei diritti… e le ho perse di vista, ho
lasciato che si disperdessero. Proprio per questo, custodiscile, Tu, Signore.
Nascondile nel Cuore del Tuo Figlio, tuffale nelle acque abbondanti del Tuo
Spirito, piantale stabilmente nell’alveo della Tua volontà e del Tuo disegno di
Amore. Fa che comprendano quanto è rilevante per loro stesse e per il mondo,
dove le invii, la spiritualità di comunione di cui sono ereditiere e
portatrici. Fa che siano capaci di grandi desideri, come quelli che hanno
modellato il Cuore di Tuo Figlio – il sint unum è uno di questi desideri
– e dona a loro il realismo dell’umiltà che le renderà capaci di concretizzarli
nelle pieghe nascoste della storia complessa del nostro tempo.

la tenerezza
Carissime/i,
in questi ultimi mesi la CM ha
vissuto avvenimenti significativi. Il 30 agosto abbiamo celebrato i 50 anni di
Vita Consacrata di Laura Gonçalves e il 29 settembre di Mariolina Lambo; il 20 settembre scorso la prima emissione dei voti
di Anna Pati (Rosy) . Ringraziamo il Signore per la chiamata e la risposta
generosa delle nostre sorelle che arricchiscono la nostra famiglia CM. Per
tutto questo lodiamo Dio nostro Padre e affidiamo la loro vita a Maria nostra
madre.
Con
questo numero di Vinculum si inizia a lasciare uno spazio destinato alla
formazione permanente, con la collaborazione delle Responsabili di Formazione,
che alla richiesta del CC hanno dato la loro disponibilità; ogni volta
proporranno del materiale di riflessione che ci aiuterà ad arricchire la nostra
formazione. Grazie per questo!!!
Abbiamo
già tra le mani la Lettera Programmatica (LP), è un invito a riflettere e
rinnovare il nostro Essere e Missione. Lo Spirito continuerà a parlarci nella
misura in cui ci lasceremo interpellare dal vissuto e da quanto emerso
dall’Assemblea Generale. Dal CC: ”Suggeriamo
sia a livello personale che di gruppo di porci l’interrogativo: qual è il
“nuovo” che dobbiamo incarnare o rinnovare nella nostra vita per essere Profeti
dell’amore, Missionarie con un cuore che sappia ascoltare e dialogare con
umiltà...” (LP pag 1)
Continuiamo
unite nella preghiera e offerta per le nostre sorelle e fratelli provati dalla
sofferenza fisica, la violenza e dalle varie realtà complesse che opprimono i
loro diritti essenziali. Nella LP si inizia con l’icona del Buon Samaritano che
riassume la nostra vocazione, siamo chiamate a camminare nel quotidiano
sentendoci vicine, prossime, comunicandoci la tenerezza di Dio che abbiamo
sperimentato.
“Così
potete essere tanto vicini da toccare l’altro, le sue ferite e le sue attese,
le sue domande e i suoi bisogni, con quella tenerezza che è espressione di una
cura che cancella ogni distanza. Come il
Samaritano che passò accanto e vide e ebbe compassione. È qui il movimento a
cui vi impegna la vostra vocazione: passare accanto ad ogni uomo e farvi
prossimo di ogni persona che incontrate…” (LP pag 2)
Si sta avvicinando il tempo
dell’Avvento, tempo di attesa per disporre il nostro cuore ad attualizzare la
nascita del nostro Salvatore che facendosi uomo sceglie di nascere nell’umiltà
di un presepio. Celebriamo anche la nascita della nostra CM, per questo auguro
a tutti anche a nome di tutto il Consiglio un
Santo Natale
vissuto in azione di grazia
per il regalo di questa Famiglia
In comunione
Graciela

le “parole chiave” della nostra spiritualità: semplicità
La comunione,
l’amore, l’oblazione e “la semplicità” costituiscono il “proprium” della
spiritualità del Sacro Cuore per la Compagnia Missionaria.
Lo
Statuto delle Missionarie al n. 9 delinea la modalità, il dovere di impostare
il nostro comportamento in maniera tale che balzi all’evidenza di tutti che “in
tutto e sempre” pensiamo, operiamo, siamo mossi dall’amore. È la carità di
Cristo che ci guida in ogni circostanza (cfr.2 Cor. 5,14) e dimostra agli occhi
di tutti che c’è una caratteristica tutta “nostra” di vivere e testimoniare
l’amore: la semplicità e il sorriso.
Ancora
una volta ci poniamo alla scuola di Gesù, ricordando che ciò che dà senso di
amore a tutto, e forma l’asse di equilibrio del nostro comportamento di amore
in tutto, è Lui: la sua parola e il suo
esempio.
1) La sua parola: ce la offre una pagina di Matteo 18, 1-5.
Alcune riflessioni per l’inquadratura e la
comprensione del brano:
· Perché
gli apostoli pongono a Gesù la domanda: “Chi è il più grande”? Forse per rivalità, per reciproca gelosia… Non
erano mai mancati questi sentimenti passionali nel gruppo al seguito di Gesù.
· “Grande”
vuol dire, qui, preminente, superiore agli altri in forza di questa o quella
qualità, di questo o quel potere.
· Gesù
non risponde direttamente alla domanda. Pone un “gesto simbolico”, alla maniera
dei profeti. E questo “gesto simbolico” sconvolge i sogni di grandezza
coltivati dai discepoli.
· Gesù
parla di necessità di “conversione”, cioè di mutamento radicale di pensiero e
di sentimenti perché il Regno di Dio, quello predicato da Gesù, ha una dinamica
di esigenze completamente opposte alla fame della superbia umana. “In
verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non
entrerete nel regno dei cieli”.
· Notiamo
l’introduzione che Gesù premette al suo insegnamento. Usa l’espressioni delle
circostanze solenni, le circostanze cioè importanti, fondamentali della
trasmissione della verità di Dio. Quelle che costituiranno le colonne portanti
dell’edificio della fede: “In verità vi dico…”
· “Diventare
come i bambini”: l’espressione non significa certo che Gesù voglia imporre ai
suoi seguaci di immergersi in un ideale di eterna bambinaggine. Né intende
esaltare il bambino per i suoi caratteri innegabili di bellezza e di innocenza.
Nella società ebraica il bambino era il simbolo della piccolezza, della
pochezza, del quasi “non valore”.
Gesù lo propone per questa sua posizione di
chi sta all’ultimo gradino della scala sociale. E dice che per “entrare nel
regno di Dio”, cioè nella pienezza di verità e di grazia che egli ha portato
dal cielo, bisogna farsi piccoli, modesti, senza pretese, stimarsi sempre
super-considerati dalla benevolenza altrui, lasciar cadere pensieri e
atteggiamenti di orgoglio, sogni di autoesaltazione… In una parola vivere in
quell’atteggiamento di fede che esprime e compendia una caratteristica
originale del nostro carisma C.M.: la
semplicità.
2) L’esempio di Gesù
Il Vangelo
di Luca ci racconta un momento della passione di Cristo che è altamente
espressivo dello spirito di pazienza e di semplicità con cui dobbiamo
affrontare le situazioni.
“Frattanto
gli uomini che avevano in custodia Gesù lo schernivano, lo percuotevano, lo
bendavano e gli dicevano: “Indovina chi ti ha percosso”. E molti altri insulti
dicevano contro di Lui” (Lc.22,63-65).
Riflettiamo sul significato di questa scena
e sull’atteggiamento di Gesù.
MATTHIAS GRUNEWALD, Cristo deriso, 1504-5, Alte Pinakothek, Monaco.
· Innanzitutto
localizziamo il luogo della scena: sono i locali del corpo di guardia del
sinedrio. Forse il più lurido: la prigione.
· Chi
sono coloro che offendono così Gesù? Sono delle guardie, dei servi, cioè
persone a loro volta umiliate e offese, quindi abituate anch’esse a ricevere
umiliazioni, offese, forse percosse da parte dei superiori, abituate a dover
riconoscere che il diritto è del più forte, di chi ha saputo e potuto
usurparselo.
Ma questa volta si trovano davanti qualcuno più debole di loro, più
fragile. E così sfogano su di Lui tutta
l’amarezza della loro vita. Forse non c’è malvagità, cattiveria pura nel loro
comportamento. Però è doloroso dover constatare che l’uomo costretto a vivere
una vita quasi impossibile, appena ne abbia la possibilità sappia scatenarsi
con tanta brutalità su chi è più debole di lui.
· Cosa
fanno contro Gesù? Lo provocano e lo colpiscono in ciò che è più caratteristico
in Lui: la sua qualità di profeta: “Indovina
chi ti ha colpito”? Ma Gesù tace.
Forse con stupore si chiedono: ma perché quest’uomo non reagisce? E si beffano
di lui, come di un illuso, di un falso profeta.
· Come
reagisce Gesù? Soprattutto con il silenzio che accetta con suprema mansuetudine
la villania che lo circonda. Ma Giovanni ci dice che, al momento opportuno,
anche Gesù parlò. Senza fremiti di rabbia, senza reazioni scomposte, ma con
molta limpidezza domandando al servo del Sommo Sacerdote che l’aveva
schiaffeggiato: “Se ho risposto male (alla domanda fatta dal sommo sacerdote) dimostramelo; ma se ho parlato bene, perché
mi percuoti?” (cfr. Gv. 18,23).
Essere buoni, essere semplici non significa
accettare nel silenzio tutti i soprusi. L’esempio di Gesù ci insegna anche a
parlare, a domandare, a far riflettere, a portare chi ci sta dinanzi a
domandarsi la ragione del compimento di certi atti di superbia, di prepotenza,
di cattiveria. E tutto questo, per aiutarlo ad essere e a comportarsi in ogni
momento con dignità umana che rispetta e venera la libertà altrui. (continua)
(dagli
scritti di P. Albino)

profeti nella storia e voce credibile nella chiesa
Dall'Assemblea Nazionale delle Responsabili della CIIS
Premessa
· Con questa
Assemblea apriamo un nuovo triennio della CIIS.
· Rinnoviamo
quindi impegno e obiettivi:
- l’impegno
di camminare insieme come Istituti nella Chiesa, cercando tutte le sinergie per
aiutarci nel discernimento di come stare nel mondo oggi, in questo grande
cambiamento d’epoca, nella modalità specifica della secolarità consacrata.
- L’obiettivo
di sostenere, rispettando l’autonomia di ciascun Istituto, il cammino,
soprattutto in quegli ambiti che sono trasversali a tutti gli Istituti, come ad
esempio, la formazione dei formatori, l’età anziana, il tempo della fragilità,
la formazione su temi specifici, ecc.
- La
necessità di esprimere nella Chiesa le istanze del mondo, nell’attenzione ai
segni dei tempi, con l’atteggiamento umile di chi ascolta e non presume di sé.
· Per dare
forma all’impegno e rimettere a tema gli obiettivi, siamo partiti ascoltando quanto emerso nell’assemblea
del maggio scorso, a partire:
- dalla
relazione di fine mandato di Marisa;
- dal
contributo alla riflessione di Daniela L.
- dal
dibattito.
· Innanzitutto,
l’Assemblea ha più volte richiamato l’importanza di continuare nella
riflessione circa la modalità tipica della nostra presenza nel mondo, in
particolare, “come” essere presenti nella realtà attuale, con la freschezza
delle origini e, contemporaneamente, con la necessità di tradurre il carisma
nell’oggi, custodendone il nucleo essenziale e rinnovandone i modi per
attuarlo, secondo le esigenze del tempo.
Programmazione Assemblee
o Per
rispondere alle sollecitazioni emerse è parso indispensabile prendere
seriamente in considerazione quanto Papa Francesco ci ricorda: “Siamo in un cambiamento d’epoca”.
o Quindi un primo passaggio (Assemblea novembre 2019)
è proprio quello di mettere a tema le ricadute
che le caratteristiche di questo cambiamento d’epoca hanno sul vivere collettivo ed individuale.
o In questa
prospettiva, è fondamentale rimettere all’ordine del giorno il tema del discernimento. Non si tratta di
aggiungere ulteriori analisi del contesto, ma di imparare ad attraversare le
domande che esso pone, individuando criteri ed atteggiamenti che possano
aiutare a discernere come stare e quali
scelte compiere nella storia complessa di oggi, a partire dalla nostra vita
quotidiana.
o Quando si
parla di discernimento, si pensa immediatamente all’agire personale, ma, oggi, è indispensabile, prima di tutto,
mettere in atto un discernimento storico,
cioè cercare di capire i caratteri della situazione, di valutarli alla luce
della fede, al fine di cogliere il senso profondo degli avvenimenti. Si tratta,
quindi, di operare un discernimento
storico che coinvolge, subito dopo, il discernimento
comunitario e quello personale:
non si tratta, banalmente, di un “prima” e di un “dopo” di carattere
cronologico, quanto, piuttosto, di un metodo
che deve diventare abituale, proprio per poter assumere in modo autentico e
profetico la responsabilità del vivere la
nostra consacrazione secolare.
o È dalla
comprensione/interpretazione della realtà che discende la capacità/libertà di
mettersi in gioco.
o Un secondo passaggio (assemblea di maggio
2020) potrebbe affrontare, quindi, il tema del discernimento, nelle diverse sue forme, in particolare il discernimento storico e il discernimento
comunitario: innanzitutto, vedere e comprendere il contesto, alla luce del
cambiamento d’epoca, per cogliere come esso interpella la nostra vocazione e
quali priorità indica.
o I mutamenti
continui (in particolare il continuo mutamento culturale), per essere letti ed
interpretati, chiedono una puntuale preparazione.
o Il tema della formazione potrebbe costituire
un terzo passaggio (autunno 2020):
ü Sarebbe importante definire “che cosa è formazione
oggi” se:
o la formazione è
dare/prendere forma;
o la formazione non
è solo trasmissione di conoscenze;
o la formazione è
contenuto e insieme relazione (che si instaura nel trasferire il contenuto
medesimo), tra chi educa (l’autorità nelle diverse accezioni) e chi accoglie la
proposta educativa:
o oggi siamo
in presenza di un certo indebolimento della figura dell’autorità: quali
conseguenze nel rapporto educativo.
o Ci troviamo in un
contesto in cui la formazione spesso subisce la pretesa psicologica di essere
assoluta, rischiando così di rendere marginale la dimensione spirituale della
vita cristiana.
ü Sarebbe importante comprendere quale formazione
offrire in un contesto in cui:
o La fede cristiana
appare estranea alla società in cui viviamo;
o Non sembrano più
possibili criteri condivisi circa ciò che è “vita buona”;
o Sembrano
prevalere criteri unicamente soggettivi che rispondono esclusivamente ad
esigenze individuali……benessere;
o Viene
continuamente rimosso il concetto di bene comune;
o Tempo di
pluralismo e di relativizzazione;
o La nostra
esperienza personale di fede è connotata dalla solitudine;
o Il contesto ci
pone sfide inedite;
o La nostra è una
fede esposta all’incertezza causata dai continui mutamenti, in una situazione
in cui non vi è il sostegno di una comunità “stabile”, nella consapevolezza che
ciò, talora, può produrre la tentazione di cercare protezione e riparo in un
concetto di comunità diverso da quello di chi vive condizioni di diaspora.
ü Quale metodo formativo:
o Il metodo deve
favorire la lettura critica del vissuto, la quale non si accontenta del
“racconto” di quanto accade nella vita quotidiana di ciascuna, ma che,
attraverso contenuti adeguati, che
alimentano la fede, consenta una rielaborazione dell’esperienza nella prospettiva
evangelica.
ü Rimettere a tema l’autoformazione:
o Premesso che non
esiste formazione oggettiva che non diventi anche autoformazione, sarebbe
importante chiedersi quali possibilità, oggi, per un’autentica autoformazione.
o Tutto
questo ci conduce ad una domanda fondamentale: Quale profezia nel cambiamento
d’epoca? Che cosa è chiesto agli IS? Quarto passaggio (assemblea
maggio 21)
o Un quinto passaggio
(Assemblea ottobre 2021) potrebbe riguardare l’attualità della nostra
vocazione Buone ragioni per proporre la nostra vocazione ai giovani. Come?
o Assemblea elettiva maggio 2022
Altri aspetti:
v Aggancio
con altre realtà ecclesiali per condividere pensieri, interventi, idee;
v Prosecuzione
del lavoro Osservatorio: coinvolgimento altre realtà, territorio, su proposte
culturali e sociali;
v Lavoro
insieme con CIIS diocesane e regionali: quali modalità? Convegni territoriali
in collaborazione?
v Congresso e
Assemblea CMIS importanza della partecipazione.
Carmela Tascone
(Rivista
Incontro n.1 - 2020)

l'eccomi di rosy
Anna
Pati – ma tutti la chiamano Rosy – domenica 20 settembre, nella chiesa
parrocchiale di Bibano, ha emesso i suoi primi voti nella Compagnia missionaria
del Sacro Cuore, un istituto secolare fondato a Bologna dal padre dehoniano
Albino Elegante. Quella domenica mattina per le comunità di Bibano, Godega e
Pianzano è stata celebrata un’unica messa alle 10: il parroco, don Mattiuz, ha
voluto così dare rilievo a questo evento. È stata presieduta da p. Silvano
Volpato scj, che è già stato in servizio nella comunità dehoniana di Conegliano
ed ha seguito personalmente il percorso di discernimento di Rosy. Di origini
pugliesi, da diverso tempo Rosy ha lasciato la sua terra e vive al nord: prima
in Lombardia e poi in Veneto. Da settembre si è inserita nel contesto della
parrocchia di Bibano, dove dà il suo contributo nella catechesi parrocchiale:
la si vede sfrecciare in moto, arrivare per tempo alla messa domenicale e
proclamare la Parola di Dio o suonare la chitarra per l’animazione della
liturgia.
Rosy, che
lavoro fai?
«Dopo
diversi anni di lavoro con i bambini nell’ambito della disabilità e nello sport
paralimpico come allenatrice di nuoto, attualmente lavoro come operatrice
sociosanitaria in una casa di riposo per anziani del Coneglianese: in un primo
tempo, mi sono occupata dell’accompagnamento al “fine vita”, mentre adesso
lavoro come operatrice in reparto e mi occupo dei bisogni primari di cui gli
anziani necessitano».
Perché
la scelta della consacrazione?
«Mi
è difficile spiegare. Mi lascio guidare da un brano del vangelo di Giovanni
che, con altri, ha accompagnato questo percorso: “Chi cercate? Rabbì dove
abiti? Venite e vedete” (cfr. Gv 1, 35- 42). Sono poche righe, ma
mi fanno pensare, soprattutto in questo periodo, al cammino che il Signore ha
fatto con me, portandomi attraverso strade davvero impensabili all’incontro con
lui. Essere una consacrata non è merito mio e non si regge sulle mie capacità o
su doni speciali… È lui che mi attira e mi dona un cuore capace di ascolto».
Una
scelta maturata nel tempo …
«Rileggendo
il vangelo di Giovanni, mi rendo conto di come gli incontri con Gesù sono
immersi in una realtà – la mia – già cominciata: sono conseguenza di azioni già
compiute, di scelte già fatte e non sempre scelte giuste. A volte, come i
discepoli, anch’io sono rimasta a debita distanza, guardando ma senza
incontrare».
Hai
conosciuto, anche tu, momenti difficili?
«Ho
vissuto crisi e sensi di vuoto che non si riescono a riempire semplicemente con
ciò che si conosce e si vive. Ma proprio qui Gesù, volgendomi lo sguardo, mi ha
rivolto la domanda: “Che cosa cerchi? Qual è il senso della vita che sta
vivendo? Queste domande, in un momento difficile della giovinezza, in cui nulla
sembrava avere senso, mi hanno aperto il cuore, mi hanno fatto scoprire il
desiderio di vivere in pienezza, di conoscere questo Gesù che in quel momento
mi sembrava così distante e invece mi stava amando come nessuno aveva fatto
mai».
E
poi ci sono gli incontri, le esperienze della vita …
«Guardando al mio cammino
sono state tante le esperienze e i cammini che mi hanno aiutato a maturare e a
far crescere una vita interiore e spirituale. Penso alla parrocchia, ai gruppi,
alla figura del vescovo Tonino Bello, al volontariato con i bambini…
Quest’ultima esperienza, in particolare, è stata per me una vera e propria
“scuola di vita” dove ho maturato quella spiritualità che ha acceso il
desiderio di appartenere a lui con una vita vissuta nella semplicità del
quotidiano. Davvero è stata un’esperienza forte che, unita ad altre, mi ha
educato alla consapevolezza di essere chiamata a scoprire a cosa serve la vita,
a saper discernere a cosa si è chiamati, con uno sguardo ampio e pieno di
possibilità vocazionali, a cercare di rispondere con la propria vita e con ciò
che si è ... Queste esperienze – ma anche le tante persone che Gesù mi ha messo
sulla strada – mi hanno insegnato a pregare la Parola, a pregare con la
semplicità delle mie giornate, a trasformare le piccole cose e i piccoli gesti
della mia quotidianità in preghiera…».
Perché
proprio la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore?
«Ho
incontrato la Compagnia Missionaria un po’ per caso, dopo altre esperienze,
grazie al mio padre spirituale. Mi ha colpito lo stile di vita, la capacità di
vivere le relazioni personali e con il Signore, in una dimensione di attenzione
all’altro, chiunque sia, ma anche dentro alla realtà parrocchiale, nella
Chiesa. Posso dire che quel “vieni e vedi” del vangelo di Giovanni, cioè
quell’incontro che Gesù aveva fissato e che mi è restato impresso, è stato per
me capire con chiarezza ciò che avrei voluto nella mia vita e che oggi
significa entrare nella Compagnia Missionaria, accogliendo quello stile di vita
che mi permette di vivere una relazione con lui, in un’ottica di servizio, di
gratuità e di appartenenza».
E
dopo il 20 settembre, che cosa succede?
«Cambia
il modo di vedere le cose. Accetto la sfida della vita dietro a Lui e questo
per me significa che non sono sola, ma ogni momento del mio vivere, ogni cosa
che accade nella mia giornata, diviene per me una scuola per imparare ad
ascoltare, ad amare ed agire come Lui. Non solo quando le cose vanno bene, ma
soprattutto nella fatica. Ciò significa accogliere quel “ti basta la mia
grazia… la mia forza è nella tua debolezza” di cui parla san Paolo. Guardando
avanti, scopri che stai camminando dietro a un Maestro di nome Gesù, che ti
ripete, fissando su di te il suo sguardo pieno di amore: “Vieni e seguimi”.
Sono convinta che il Signore quando chiama non toglie nulla ma dona davvero
tutto…».
Intervista a cura di Alessio Magoga
