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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
Compagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia Missionaria
Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
 La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto 2024
    Edvige Terenghi, amministratrice centrale, visita i gruppi in Mozambico.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
    Edvige Terenghi, administradora central, visita os grupos em Moçambique.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
    Edvige Terenghi, administradora central, visita los grupos en Mozambique... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    19 ottobre 2024
    Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online... Continua
vagliate ogni cosa e tenete ciò che è buono (1tess 5,21)
 
(PAPA FRANCESCO, Gaudete et esultate n. 168 ) Questa frase di San Paolo ai Tessalonicesi e ripresa da Papa Francesco nell'enciclica "Gaudete et esultate" mi ha fatto venire voglia di comunicare con voi, cosa che non faccio da molto tempo. Mi piace scrivere e lo faccio con piacere, ma quest’ultimo periodo è stato difficile e la vita non è stata facile. Esamina tutto. Posso fare un esame della mia vita che è azzurra come il colore del cielo della mia isola e come i colori bianchi e grigi che coprono il cielo dell'isola. La mia vita è stata bellissima per la famiglia: nonni e genitori che ci hanno educato molto bene, in campo spirituale, formativo e culturale. Dall'eucaristia quotidiana alla quale i miei genitori hanno sempre partecipato, alla confessione frequente, alla preghiera quotidiana della sera che abbiamo fatto insieme, tutto ciò ha formato gli 11 figli che avevano, anche se uno è morto da bambino. Uno è un sacerdote, una suora - Missionaria francescana di Maria che è deceduta - e io, consacrata nell'Istituto Secolare della Compagnia Missionaria del Cuore di Gesù, altri sposati e il rimanente single, ma dedicati a opere di natura religiosa e sociale. Da parte mia, essendo insegnante, ho fatto lezione per 36 anni. La mia vocazione si è risvegliata quando sentivo le suore parlare delle missioni in Africa. Anche se ha ristagnato, per molti anni. In quel tempo, insieme alla mia attività professionale, facevo incontri di catechesi e partecipavo a movimenti religiosi: corsi di cristianità, azione cattolica e visitavo i carcerati nella prigione di Funchal. Durante un ritiro a Fatima, chi orientava le meditazioni, mi ha chiesto cosa stessi facendo e la mia risposta: "sto dando lezioni" , ha capito che non ero ben realizzata e mi ha dato suggerimenti indicandomi nomi di Missionarie della Compagnia Missionaria del Sacro Cuore venute a Funchal e, da allora in poi, ho capito che la mia vocazione era di consacrata nella CM. Faccio parte del gruppo di Funchal da 36 anni e ho collaborato alla formazione di alcuni missionarie e ho fatto parte del Consiglio centrale. Come persona consacrata inizio la mia giornata con la recita delle Lodi, partecipo all'Eucaristia (spesso celebrata in casa da mio fratello), alla recita quotidiana del Rosario e, quando possibile, alle riunioni e ai ritiri organizzati dal Gruppo. Ultimamente sono mancata alcune volte a causa della situazione familiare che vi descrivo. Mio fratello sacerdote ha 90 anni con problemi di salute, a volte è ricoverato in clinica e alle volte è in casa ma richiede molte cure. Vivo anche con una sorella di 87 anni con qualche debolezza psicologica e altro. Ho un fratello in pensione e medico, sposato nel Continente e che ha problemi finanziari e ultimamente fisici con la rottura del coccige. Inoltre, ha un figlio disoccupato e drogato. Ho nipoti che vivono a Madeira e ci danno supporto psicologico. Il mio impegno quotidiano è quello di assistere i due fratelli con cui vivo e svolgere le attività quotidiane: fare la spesa, gestire e guidare le persone che ci aiutano. Il gruppo CM è costituito maggiormente da anziane, ma alcuni più giovani e più capaci si dedicano alle attività del gruppo e diocesane. Il gruppo dei familiares ha vitalità e partecipa alle attività del CM oltre alle attività professionali e diocesane. Concludo con la lode al Signore e agli amici che mi accompagnano e curo ciò che è buono.
ricordo di beatrice mazzieri
 
Beatrice donna riservata Il 13 marzo 2020 è deceduta Beatrice Mazzieri, missionaria italiana. Ha fatto parte del gruppo di vita in famiglia di Bologna per molti anni. Bea, come la chiamavamo affettuosamente, non ha avuto una vita facile e, da parte mia, l’ho conosciuta quando viveva con suo fratello nell’appartamento di Via Guidotti, 65 (proprietà della CM). Erano in affitto ed anno trascorso un buon periodo vicino a noi. Lavoravano tutti e due ed entrambi erano molto discreti. Il fratello è deceduto molto tempo fa. Beatrice ha continuato a vivere vicino a noi per vari anni da sola e, nel periodo del pensionamento si dedicava al volontariato collaborando con il Quadrifoglio, organizzazione che si interessava del recupero delle persone drogate. Dopo vari anni, è andata a vivere al Pallavicini, struttura diocesana, dove ci sono vari alloggi per persone che hanno una pensione insufficiente per pagare l’affitto e lì ha vissuto fino ad alcuni anni fa facendo volontariato nel diurno per anziani gestito dalla diocesi e che si trovava a pochi passi dalla sua nuova abitazione. Negli anni del mio servizio CM a Bologna sono stata spesse volte a trovarla e conoscevo anche la vicina con la quale c’era un buon rapporto di collaborazione e solidarietà. In questi ultimi 6 anni è sempre stata poco bene di salute con la necessità negli ultimi 3-4 anni di essere coadiuvata dalla vicina per prendere le medicine perché cominciava a perdere la memoria. Non potendo più lasciarla in casa da sola, un cugino al quale ha affidato la gestione dei suoi beni, ha deciso che era bene affidarla ad una casa di riposo Nel 2018 è stata ricoverata nella casa di riposo gestita dalla “Comunità in cammino” che si trova vicino a noi e dove attualmente si trova anche la nostra Cesarina. In questo ultimo periodo è stata ricoverata all’Ospedale Maggiore di Bologna dove è deceduta. Purtroppo in questa situazione difficile dovuta a Covin 19 ci ha costrette a rimanere assolutamente in casa con tutte le restrizioni del caso, non siamo potute starle vicine come avremmo voluto. E’ stata importante la presenza di Edvige e Giannina al funerale che ringraziamo di cuore. Da parte mia la ricordo come una cara sorella con la quale ho potuto condividere sia la sua situazione di fragilità, il suo sentire e la preghiera. Ho colto la sua fede nella presenza di Gesù nel suo cuore come compagno fedele. Il suo sorriso quando ne parlava mi è rimasto nel cuore come un ricordo prezioso. Questo suo mondo intimo non traspariva normalmente ma le sue amiche di tavolo sapevo che apprezzavano la sua persona ed anche il personale della struttura dove si trovava. Manifestava anche un grande dispiacere per non poter vivere nella sua casa e questo era un suo cruccio molto grande. Credo che il suo carattere riservato ed il non poter vivere in un ambiente a lei più congeniale le creavano una grande sofferenza. Abbiamo fiducia che il Signore ha continuato a sostenerla con la sua vicinanza anche negli ultimi giorni della sua vita e confidiamo a Lui che è Vita Eterna la nostra Beatrice. Martina Cecini Grazie, Beatrice Ho conosciuto Beatrice nel periodo del mio volontariato nella comunità del Quadrifoglio ad Ozzano Emilia. agli inizi degli anni ‘ 80 - ed è stata la prima missionaria, dopo mia sorella Giuseppina naturalmente – con cui io abbia stretto una bella e forte amicizia. Dall’inizio mi hanno colpito le sue qualità umane, quelle espressioni di “abituale serenità, semplicità e dolcezza” (di cui parla il nostro Statuto (n°48)). Ho imparato poi nel tempo a conoscerla più in profondità . Beatrice aveva una grande maturità umana e una forte fede: sapeva farsi attenta e accogliente con discrezione ed umiltà. Sapeva trasmettere fiducia incondizionata. Con lei ti sentivi subito accolta con simpatia Furono queste qualità umane ad orientarmi verso di lei quando ad Ozzano Emilia maturai il desiderio di ricevere il sacramento della confermazione (non ero ancora cresimata ) e avevo un serio cammino da fare . La scelsi come madrina. Beatrice mi mostrava con la sua vita la gioia e la bellezza del vivere le piccole cose della quotidianità, lavoro, famiglia, amicizia come i luoghi propri della consacrazione secolare. Inoltre la sentivo anche molto vicina nella condivisione di alcuni valori come la solidarietà con i fratelli più poveri o più disagiati. I nostri incontri formativi erano davvero molto particolari. I nostri dialoghi erano condivisioni di vita e… condivisioni della buona cucina emiliana di cui lei era davvero ottima cuoca. Non posso dimenticare le domeniche dei nostri incontri formativi quando non mancava di prepararmi dei pranzi particolari. Era un modo molto semplice e concreto di trasmettermi affetto Con un’attenzione premurosa e intelligente si rendeva conto che venivo abbastanza stanca dal servizio in comunità e avevo bisogno di amicizia semplice e di riposo . Altri momenti che ricordo con gioia sono state le occasioni in cui - io e la mia famiglia - abbiamo avuto la gioia di averla nostra ospite al sud. Era molto legata a mia sorella Giuseppina, a mia mamma, mia sorella, ai miei nipoti. Grazie, Bea, per quanto mi hai donato. Resterai sempre nel mio cuore. Marinella Martucci
ricordo di m. alice da silva
 
Il 25 marzo scorso è deceduta Alice, missionaria di vita in famiglia, del gruppo di Maputo (Mozambico). Insieme con Gina Santana (nella foto) si era consacrata a Dio, nella Compagnia Missionaria, il 2 febbraio 1993, nelle mani di P. Albino. Sono state la primizia della CM mozambicana. Vedova e madre di otto figli, Alice ha vissuto con passione la sua consacrazione a Dio. Avrebbe compiuto fra poco 81 anni. Negli ultimi anni ha vissuto più radicalmente la sua immolazione con Cristo a causa del morbo di Parkinson. La figlia Julia ha scritto un biglietto a Martina: Ciao Martina! Buon giorno! La Mamma è andata dal Padre. Oggi già gioisce della pienezza del suo Regno e se lo merita. Mia Mamma aveva un cuore grande, uguale per tutti. Ora, ci resta solo di pregare perché lei interceda presso Maria affinché protegga tutti noi che siamo rimasti qui. Grazie mille, per tutte voi, di aver fatto felice mia madre. Lei ha trovato Gesù molto più vicino nella Compagnia Missionaria. Che Dio vi benedica. Baci. Anche se mamma non è più con noi, io voglio personalmente stare vicino alla CM
l'eccomi di maria
 
Chi è Maria di Nazaret? Nella lettera ai Galati (4,4), san Paolo, che non nomina mai la madre di Gesù nel suo epistolario, scrive che il Figlio di Dio è “nato da donna”, a indicare che egli è diventato uomo, figlio dell’umanità. Ogni uomo e ogni donna che vengono al mondo, nascono da donna. Fin dalla Genesi (3,20), la donna è chiamata “madre dei viventi”. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù, in due momenti fondamentali della sua missione, si rivolge a sua madre chiamandola “donna”: alle nozze di Cana (2,4) e dalla croce (19,26). Negli eventi culminanti della rivelazione di Gesù come sposo – che dà il sangue e la carne, la vita, all’umanità-sposa – Maria è rivelata come il prototipo e l’immagine della donna-sposa, di quella umanità che Egli è venuto a salvare e a riportare al progetto originario del Padre. «In Cristo, infatti, il Padre ci ha scelti prima della creazione del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità, predestinandoci a essere per lui figli adottivi mediante Gesù Cristo, secondo il disegno d'amore della sua volontà, a lode dello splendore della sua grazia, di cui ci ha gratificati nel Figlio amato. In lui, mediante il suo sangue, abbiamo la redenzione, il perdono delle colpe, secondo la ricchezza della sua grazia» (Ef 1,4-7). “Donna”, dalla Genesi all’Apocalisse, “è la rappresentante e l'archetipo di tutto il genere umano” (Giovanni Paolo II, Mulieris dignitatem, 4) “Il paradigma biblico della donna” (MD 22) è chiave di lettura di tutta la storia della salvezza. “«Essere sposa», e dunque il «femminile», diventa simbolo di tutto l'«umano»” (MD 25) Maria, dunque, è quella precisa ragazza di Nazaret, scelta e chiamata ad un rapporto unico e irripetibile con il suo Dio, suo Creatore e Sposo e suo Figlio, ma è anche la rappresentante di tutta quella umanità che Dio sceglie e ama, da prima della creazione del mondo, per unirla a sé in una alleanza sponsale indissolubile e eternamente fedele. A Cana e sul Calvario, Maria è la Donna che per prima, come nell’annunciazione, consegna a Dio la sua fedeltà di sposa e di madre. La prima donna madre di tutti i viventi – Eva - è la rappresentante di tutta l’umanità peccatrice, infedele alla parola d’amore di Dio (Gn 3,1-7), ma attraverso tutti i secoli questa umanità è rincorsa dall’amore di Dio, che non si lascia vincere dall’infedeltà, perché è il Dio fedele al suo nome che è, come rivelato a Mosè, “Io sono qui per te- Eccomi”. Dio non può essere infedele a se stesso. Proprio per questa sua fedeltà, fin dall’inizio Egli pronuncia la parola di salvezza: «Il Signore Dio disse al serpente: “Poiché hai fatto questo, maledetto tu fra tutto il bestiame e fra tutti gli animali selvatici! Sul tuo ventre camminerai e polvere mangerai per tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la donna, fra la tua stirpe e la sua stirpe: questa ti schiaccerà la testa e tu le insidierai il calcagno”» (Gen 3,14-15). L’umanità redenta E la donna diventa la rappresentante dell’umanità redenta e fedele a Dio, non più schiava e complice di satana, ma nemica del maligno e, attraverso la sua stirpe – l’umanità nuova – vittoriosa sul male a cui schiaccia la testa superba. Finalmente sposa redenta, «senza macchia né ruga o alcunché di simile, ma santa e immacolata» (Ef 5,27) . In questa donna nuova noi riconosciamo i lineamenti di Maria di Nazaret e nella sua stirpe l’umanità nuova-Cristo Gesù, «primogenito tra molti fratelli» (Rm 8,29). Anche noi, peccatori perdonati, siamo tra quei fratelli. Nel Vangelo di Giovanni, Gesù chiama donna anche la samaritana al pozzo di Giacobbe (4,21), l’adultera al tempio (8,10) e Maria di Magdala al sepolcro, la mattina di pasqua (20,15). Anche loro sono persone precise che incontrano, sulle strade impervie e traviate della loro vita, il Salvatore. Ma sono anche la donna-umanità ingannata dal maligno, assetata di amore e pure incapace di amare, infedele all’amore di Dio e dunque adultera. Ma è questa la donna-umanità che Gesù è venuto a cercare per renderla, attraverso la croce, sua sposa santa e immacolata come sua Madre. Alla donna di Samaria, in cerca di un amore che colmi la sete del suo cuore, Gesù si rivela come il messia, unico sposo che può dissetarla e renderla fonte di acqua viva per i suoi fratelli, assetati come lei. Alla donna adultera, Gesù sposo tradito offre il perdono che rinnova la vita e toglie ogni vergognoso segno di peccato sul volto della sposa rigenerata. Maria di Magdala, simbolo dell’umanità invasa e sommersa dal male – posseduta da sette demoni e liberata da Gesù – è la sposa che nel nuovo giardino all’alba della nuova creazione – il mattino di pasqua – cerca lo Sposo e dallo Sposo è cercata e trovata. Nel primo giardino, Dio aveva perso l’umanità-sposa che aveva seguito il nemico; nel giardino del sepolcro Gesù sposo ritrova, nell’amore di Maria di Magdala, l’umanità-sposa amata per la quale ha dato la carne e il sangue e lo Spirito. In Maria di Nazaret il progetto di salvezza del Padre è già pienamente realizzato: - è la piena di grazia, nuova Gerusalemme invitata alla gioia, perché il Signore suo Salvatore vive in lei e gioisce per lei (cf Lc 1,28; Sof 3,14-17); - è umanità capace di ascoltare il suo Dio, obbediente al quel primo comandamento del libro del Deuteronomio (6,4-9), che Gesù stesso ricorda: “Ascolta, Israele!” (Mc 12,29-30), - è beata, secondo l’esclamazione di Elisabetta, perché crede alla Parola ricevuta (Lc 1,45); investita di quella beatitudine proclamata da Gesù: “Beati coloro che ascoltano la Parola di Dio e la osservano” (Lc 11,28) e “Beati coloro che hanno creduto” (Gv 20,29) - è la donna nuova sposa salvata e fedele che genera il figlio di Dio e figlio dell’uomo, uomo nuovo in perfetta comunione con il Padre, primogenito tra molti fratelli. Ascolto e dialogo Nella Scrittura, ci è dato di conoscere per la prima volta Maria al momento dell’Annunciazione – Lc 1,26-38. Scopriamo una giovane donna con una straordinaria attitudine all’ascolto della Parola e della storia in cui Dio parla. Si parla di un angelo di nome Gabriele. Ma nella Scrittura l’angelo indica un modo misterioso in cui Dio si rivela e il nome stesso – Gabriele/forza di Dio – indica appunto uno spirito che manifesta la presenza potente di Dio, non indica una figura corporea precisa. Non ci viene indicato “cosa o chi” Maria ha visto, ma ci viene detto quale Parola ha ascoltato, perché il Dio di Israele è un Dio che non si vede, ma parla ed è necessario saperlo ascoltare. E attende risposta. Come un Padre. Come uno Sposo. E parla attraverso la Scrittura e attraverso la Storia. Come l’antica regina Ester a cui il padre, da bambina, raccontava la Storia dell’amore di Dio per il suo popolo, Maria conosce quella Storia e anche la Scrittura, forse ascoltate proprio dalle labbra e dalla fede dei suoi genitori. Alle parole: “Rallegrati, il Signore è con te”, Maria resta turbata, perché riconosce in esse la Parola rivolta dai profeti (Sof 3,14-17 e Zc 9,9), quindi da Dio, alla città santa in cui Dio dimora. E si chiede che senso abbia quello stesso saluto rivolto a lei. Riconosce nel “lieto annuncio” il compiersi delle promesse di Dio al suo popolo. Colma di stupore e di fiducia, non teme di dialogare con Dio e chiede come possa compiersi ciò che sembra in contraddizione con la sua condizione presente di sposa che però ancora non “conosce uomo”, perché non convive con il suo sposo. Deve forse affrettare questa convivenza? Ma come potrebbe? Non sta a lei donna decidere sui tempi stabiliti dalla tradizione dei padri. E la Parola di Dio le chiede una risposta di fede estrema: la vita nuova che già germoglia in lei non è frutto del seme di Giuseppe suo sposo, ma è frutto dello Spirito di Dio. Inimmaginabile e inaccettabile per la ragione, per l’esperienza umana di sempre, per la legge. Ma Dio Padre e Sposo, che sta diventando anche suo Figlio, manifesta una stupenda tenerezza e comprensione per questa piccola figlia a cui sta chiedendo e dando tutto, in una vertigine di fede e di amore: anche Elisabetta sterile e fuori dall’età, attende un figlio già da sei mesi, perché nulla è impossibile a Dio. E giunge allora la resa appassionata di una piccola donna, che consegna la sua carne e il suo sangue, il suo cuore e la sua fede e la vita all’Altissimo ineffabile e invisibile che, in lei, sta diventando visibile, di nome Gesù, di carne e sangue e cuore come lei: “Eccomi, sono la serva del Signore. Avvenga per me la tua Parola”. Lucia Capriotti
amore e oblazione
 
Le parole chiave della nostra spiritualità Parole chiave della nostra spiritualità. Sono parole che ci immettono nello spirito ed esprimono il contenuto di vita della nostra spiritualità. Sono parole che ci indicano quali pensieri, quali sentimenti, quali atteggiamenti devono essere specifici del nostro mondo interiore ed esteriore per poterci calare veramente nel “proprium” del nostro carisma. Nello studio di queste parole chiave, partiremo prevalentemente dalla contemplazione di Gesù dal fianco squarciato. Però questo avvenimento è l’epilogo di tutta una vita donata agli uomini, alla loro introduzione, all’ammaestramento e alla crescita nello stile di vita di Dio. Pertanto, per immedesimarci pienamente dei sentimenti e delle disposizioni del Cuore di Gesù, scenderemo dal Calvario alle strade della Palestina per accostarci al Gesù del Vangelo e cogliere gli inviti, gli esempi, le precisazioni che sono di assoluta importanza per il traguardo della salvezza. Ad esempio: - “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò … imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete tranquillità per il vostro spirito ( Mt 11, 28 – 29). - “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio” (Gv 14, 6 ). - “Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Questa è tutta la Legge e i Profeti (= il compendio dell’insegnamento biblico”) (Mt 7,12). Per tutto questo, e altro secondo cui si concretizza la pratica e la testimonianza della nostra fede, Gesù si è lasciato aprire il Cuore. Nella mia ferita, Egli sembra dirci, potete leggere tutta la profondità del mio dono a voi. Ma “voi non avete ancora combattuto fino al sangue” (Ebr 12,4). Le “parole chiave” hanno anche un’importanza straordinaria per renderci operatori della salvezza di Dio, secondo le linee del nostro carisma, nell’ambiente della nostra vita quotidiana. Il nostro apostolato può essere anche diretto. Normalmente però è indiretto è un richiamo a Dio attraverso le modalità secondo cui impostiamo e conduciamo la nostra vita. Guardiamo al vangelo. Guardiamo “come” Gesù educa i suoi apostoli. Con le parole certamente. Soprattutto però con l’esempio della vita. Gli apostoli vivono con Gesù, vedono come Lui reagisce in determinate situazioni, come parla, come si comporta. Ecco perché più tardi l’apostolo Pietro potrà affermare: “Non è per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate che vi abbiamo parlato della grandezza di Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari” (2 Pt 1,16). Noi certamente non siamo della elevatezza di Cristo. Però il compito specifico dei membri degli Istituti Secolari è di essere “fermento di Dio” in mezzo agli uomini. “Parola chiave”: La vita di amore. La specifichiamo così: Anzitutto è il Cuore di Gesù che ci dona la possibilità di riamarlo intensamente e (oso dire) con capacità divina. L’acqua che sgorga dal suo costato ferito è simbolo della vita, dello Spirito, dei Sacramenti (secondo la tradizione patristica). Ma anche del nostro amore che ricambia il suo amore. Gesù l’aveva preannunciato: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7, 37-38). E l’evangelista commenta: “Questo Egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Gv 7, 7-39). Dunque il Cuore ferito di Cristo, nel segno dell’acqua, ci dona lo Spirito e nello Spirito la capacità di riamarlo con l’impetuosità di un fiume in piena, cioè potentemente, quasi divinamente. Imploriamo il Cuore di Gesù con le parole della Samaritana: “Dacci di quest’acqua” (cfr. Gv 4,14). Dacci un supplemento di Spirito Santo. Tu che hai detto agli apostoli: “Riceverete forza dallo Spirito Santo…e mi sarete testimoni (cfr. At 1,8). Anche noi per la vocazione che ci hai dato, vogliamo essere tuoi testimoni, e vogliamo esserlo secondo le linee del nostro carisma: “Contrassegnati in tutto e sempre dalla carità, segno visibile della presenza di Dio che è Amore" (Statuto Missionarie N° 9). Ma non è tutto. Raccogliendo l’invito di Gesù: “Rimanete in me ed io in voi”… “Rimanete nel mio amore, come io rimango nell’amore del Padre mio”(Gv. 14,5ss), dobbiamo spingere la nostra devozione al Cuore di Gesù a un vero “cuore a cuore” con Lui. Allora il mistero del Cuore trafitto si fa respiro, alimento, anima della nostra vita. La seconda “parola chiave”: La vita di oblazione Facciamo una precisazione, forse inutile per noi. La parola “oblazione” deriva dal latino e corrisponde alla parola italiana “offerta”. E’ un termine ormai classico nel discorso della devozione al Sacro Cuore. E, probabilmente, “immutabile”. Un passo delle Costituzioni S.C.J. ci dice la ragione e specifica le dimensioni della vita di oblazione. “Coinvolti nel peccato, ma partecipi della grazia redentrice, con il servizio dei nostri diversi compiti, vogliamo essere in comunione con Cristo, presente nella vita del mondo, e in solidarietà con Lui e con tutta l’umanità e tutto il creato, offrirci al Padre, come un’oblazione vivente, santa, a Lui gradita” (cfr. Rom 12,1 ). Dunque l’espressione base della nostra oblazione: “il servizio dei nostri diversi compiti”. Ciascuno, dove è stato posto dalla Provvidenza e nella mansione che gli è specifica, si donerà al proprio impegno con serietà, esattezza, competenza, in unione a Cristo e a tutti i fratelli che lavorano e soffrono … P. Dehon stimola l’aspetto affettivo della nostra oblazione. Dopo aver sottolineato la logicità di una risposta con queste parole: “Come il Cuore di Gesù ha voluto versare il suo sangue fino all’ultima goccia e accordare a tutti gli uomini il frutto della sua passione e della sua morte … così vuole essere amato e onorato da tutti. Particolarmente da coloro che si professano suoi amici … conclude, usando la terminologia del suo tempo, Gesù richiede da noi una vita di abnegazione, di rinuncia alla nostra volontà, alle nostre personali inclinazioni e l’abbandono completo di tutto il nostro essere” (cfr . Dir. Spir. I, 14-15). Oggi diremmo: Gesù ci vuole aperti alla magnanimità dell’offerta. Tutto per Lui, con Lui, e in Lui, in un unico sacrificio e in una sola oblazione. Il campo della nostra oblazione è estesissimo. Va dalla capacità di donare un valore oblativo alle grandi occasioni di accettazione, di rinuncia, di sacrificio ... che incontriamo sul nostro cammino, alla magnanimità nello scoprire, nell’accogliere, nel valorizzare le piccole rinuncie, difficoltà, contrasti, sofferenze della vita quotidiana. Riportiamo una pagina del Card. Martini, vorrei proporre un’espressione di oblazione quasi inedita alla nostra attenzione. Eppure il Card. Martini la definisce – mi pare con piena esattezza – “il cuore del Vangelo”. Si tratta di un particolare momento del sacrificio di Cristo sul Calvario. Il Card. lo chiama il momento delle “tentazioni di Gesù sulla croce”: Le <tentazioni> di Gesù sulla croce: Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio e suo eletto. Anche i soldati lo schernivano e gli si accostarono per porgergli dell’aceto e dicevano: Se tu sei il re dei Giudei salva te stesso. C’era anche una scritta sopra il suo capo. Questo è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi (Lc. 23,35-59). Gesù si trova in un momento drammatico. Se ascoltasse i suoi interlocutori e scendesse dalla croce, tutti gli crederebbero. Ma se scende dalla croce, come mostrerà l’immagine di un Dio che accetta la morte per amore dell’uomo? Darà, è vero, l’immagine di un Dio potente, un Dio del successo, un Dio di cui ci si può servire per nutrire le proprie ambizioni, però non mostrerà più l’immagine, inedita in tutta la storia delle religioni - e che l’uomo da solo non riesce mai a immaginare - , del Dio che serve, che dona la sua vita per l’uomo, che lo ama fino a spogliarsi di tutto per suo amore, e ad accettare l’annientamento di sé. E’ proprio questa idea di un Dio dominatore, esigente, impaziente, che vuole dall’uomo il proprio vantaggio, che Gesù è venuto a negare. Il Vangelo porta l’immagine di un Dio che è misericordia, che si svuota di sé per amore dell’uomo. A noi, un Dio così, appare sempre un po’ incredibile e sorge un moto di diffidenza, perché è difficile per l’uomo accettarlo: un po’ come Pietro che non voleva accettare che il Maestro morisse per lui, che gli lavasse i piedi. Eppure, è questa immagine rivoluzionaria dell’amore di Dio, così incredibile, che Gesù porta fino in fondo, sul suo corpo, sulla sua carne, sulla croce. Ed è quella da cui gli altri tentano di distoglierlo: salva te stesso, serviti della tua potenza, mostra la tua capacità di dominare. Gesù invece, è venuto a mostrare la capacità di servire. Non contempleremo mai abbastanza questa scena. Qui, siamo proprio nel cuore del Vangelo e, grazie a Dio, abbiamo modo di contemplarla sempre, perché questa è l’Eucarestia, il Cristo fatto pane, fatto nutrimento: questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue dato per voi. Fate questo in memoria di Me. Naturalmente ne segue tutta una diversa concezione della vita: anche noi dobbiamo essere persone che sanno spogliarsi, dimenticarsi per gli altri. Forse resistiamo sempre un po’ a questo concetto di Dio proprio perché, se lo accettiamo, deve cambiare il nostro modo di essere e di vivere.” (Martini: L’evangelizzatore in S. Luca). Voglia il buon Dio che cominciamo a muoverci così e preghiamo “O divino fuoco, o Divino amore, o dolce Ospite dell’anima mia, arrendimi e purificami; sono povero, sono nudo, sono freddo; ma mi abbandono a Te. Lava irriga, sana, piega… Compi nel mio spirito ciò che compisti nel caos primitivo della materia: sii principio di ordine, di luce, di vita …”. (Dagli scritti di p. Albino)
intervento conclusivo di p. enzo brena scj
 
Dopo le conclusioni della nuova Presidente, Graciela, viene data la parola al superiore Provinciale dei Padri Dehoniani del nord Italia, Padre Enzo Brena, che rivolge innanzitutto un augurio a Graciela, quale nuova Presidente, e un ringraziamento a Martina per il lavoro svolto come precedente Presidente della CM.  Da questo messaggio finale intuisco che ci sono stati argomenti molto interessanti  che hanno arricchito questi vostri giorni di riflessione voglio semplicemente ribadire alcune cose che avete già detto voi, che avete approfondito voi. Di sicuro come primo punto mi sembra che l’internazionalità sia importante, ed è il futuro. Dire questo non vuol dire che siamo internazionali, perché avere membri che appartengono a diverse nazioni non vuol dire che abbiamo già un atteggiamento di accoglienza reciproca di internazionalità. Vuol dire che bisogna costruirlo e questo è un traguardo da raggiungere sempre. Non perché al centro della nostra attenzione ci debba essere l’internazionalità. L’internazionalità fa parte della conversione evangelica dove ognuno viene riconosciuto per quello che è, un figlio, una figlia di Dio. Non ci sono figli di Dio di seconda o terza categoria. Siamo tutti figli. Imparare a vivere insieme in questo modo non è semplice. Richiede appunto una continua conversione. In questo senso mi sembra importante la sottolineatura che avete fatto di avere un cuore misericordioso, cioè un cuore pieno di misericordia. Anche questo è l’obiettivo del nostro cammino di vita, della nostra conversione, perché la misericordia è di Dio. È Lui il misericordioso. Noi cerchiamo di arrivare a condividere con Lui e a sintonizzare il nostro cuore sul Suo cuore. È come quando si mette in sintonia una radio e per sentire bene una stazione bisogna regolarla in modo giusto. E la nostra vita è un continuo tentativo di regolare il nostro cuore su quello di Dio. E, spero di non deludere nessuno, non siamo mai arrivati al punto di pienezza di questa sintonia, la dobbiamo cercare continuamente. Voi sapete meglio di me che basta una piccola cosa per uscire di sintonia. Un piccolo sgarbo, una disattenzione, un’incomprensione e già cominciamo a vedere che le nostre reazioni scadono, si trasformano. E bene è lì che bisogna ricordarsi del cuore misericordioso di Dio a cui noi apparteniamo. E proprio perché apparteniamo al cuore di Dio abbiamo tutto il diritto e il dovere di fare tutto ciò che ci è possibile, oggi, ora, per diventare, per essere misericordiosi. Tra mezza giornata bisognerà fare qualcos’altro per essere misericordiosi, domani, tra un mese, tra un anno altrettanto. Avere dentro di noi questa mentalità che mette al centro il concetto di processo e non di stato, di condizione è importante perché altrimenti noi facciamo sempre delle confusioni. Riusciamo a far bene una volta e pensiamo di essere arrivati, mentre invece non è così. Questa è l’umiltà. L’umiltà è sapere che per quanto abbiamo fatto cose belle c’è ancora da camminare, da imparare. In questo modo si vive bene anche il traguardo che si è raggiunto ogni giorno. La condizione per lasciare che Dio ci metta in piena comunione con Lui e l’ascolto della parola avviene sempre in un equilibrio, in un bilanciamento tra quello che ci dice la parola e l’avventura della nostra storia personale e sociale ed ecclesiale. Riuscire a fare un inserimento o una aggiornamento, tirare giù oggi la parola di Dio che è valida per sempre, questo è compito nostro e in questo abbiamo molto da aiutarci. Mi sembra che questo sia davvero uno degli aiuti che non dovrebbe mai mancare nelle nostre comunità, nei nostri incontri, cioè avere le sensibilità di saper leggere le vicende della storia alla luce della parola di Dio, e nelle vicende della storia saper cogliere come la parola di Dio ci invita ad entrarci in modo evangelico perché anche là le sorprese della storia quotidiana sono provocate dalla provvidenza di Dio e quindi sono parte della Sua parola e della Sua volontà. In questo senso papa Francesco ci stimola continuamente a saper stare nella storia perché se noi ci limitiamo ad andare a leggere, rileggere, rispolverare il vangelo ma non lo inseriamo nella storia diventiamo gente che vive dalla mansarda in su, non sta con i fondamenti della terra, della storia e quando diventiamo teorici del vangelo siamo distanti dalla vita e dalla realtà dei nostri fratelli. Ecco perche è importante riuscire a mantenere sempre in un bilanciamento equilibrato la storia e la parola di Dio, il nostro ascolto della parola di Dio e la capacità di stare nella storia alla luce di questa parola. Ed aggiungo anche questa sottolineatura, presente nel messaggio di Graciela, dell’attenzione ai nuovi linguaggi, soprattutto nel mondo giovanile. Questo mi fa fare una riflessione: È verissimo che c’è bisogno di imparare nuovi linguaggi perché altrimenti non ci si capisce. E anche vero che i linguaggi, gli idiomi cambiano. Il Vangelo rimane sempre quello. Allora in che modo essere attenti ai nuovi linguaggi, diventare capaci di comprendere il mondo giovanile che usa i nuovi linguaggi stando radicati nel vangelo e in quello che abbiamo detto prima, e cioè, se non abbiamo la capacità di sentire che la libertà evangelica ci permette di stare in dialogo con tutti, senza tagliar fuori nessuno, senza escludere nessuno, se abbiamo questa consapevolezza e cerchiamo di metterla in pratica allora davvero la nostra vita, il nostro rapporto anche coi giovani diventa arricchente. Non solo per loro ma anche per noi perché non bisogna mai scordare che c’è un criterio di reciprocità che è sempre in funzione se noi pensiamo di insegnare soltanto siamo fuori posto, son loro che non ci capiscono, perché nessuno è dottore o professore, tutti siamo umani, viandanti, tutti in cammino. Certo chi ha più esperienza, più conoscenza ha qualcosa in più da condividere ma questo non ci fa’ delle persone che non hanno più nulla da imparare. Ecco perché è importante l’apprendimento dei nuovi idiomi e linguaggi soprattutto nel mondo giovanile senza dimenticare che l’unico modo per rimanere sempre giovani nonostante l’età che passa è vivere una vita evangelica cioè imparare la libertà di Gesù Cristo che non si nascondeva dietro i traguardi già raggiunti, e ma lei non sa chi sono io, e tutte queste storie. stava semplicemente attento alle persone, si lasciava toccare dalla vita delle persone. Avete poi toccato l’aspetto della formazione permanente. È qui che arriva il punto più importante e che ci permette di fare sintesi perché nella formazione permanente non sono i corsi che facciamo è la vita quotidiana vissuta alla luce del vangelo. Questa è la formazione permanente, questa è la conversione permanente a cui siamo chiamati e che funziona davvero se ci sentiamo sempre in cammino. Se sentiamo che la sorella che è vicina accanto a noi non è lì per caso o purtroppo, ma è lì perché insieme ci aiutiamo a diventare capaci di amare, liberi di amare. Se non crediamo(?) nelle cose di questo mondo io credo davvero che di formazione permanente ne possiamo fare a quintali ma non serve a niente non portano in nessuna parte perché la formazione permanente non è cose da sapere, nozioni da mettere in testa ma è vita, è vita da vivere. E allora facciamo subito mente locale: la formazione permanente per me che cos’è? Sono le sorelle che vivono con me, è la situazione in cui mi trovo. Questa è la formazione permanente. Se stiamo lì un anno a vivere male con chi abbiamo accanto e aspettiamo che arrivi la formazione permanente siamo fuori pista, siamo fuori strada perché la formazione permanente non fa’ dei miracoli, anzi normalmente proprio diventa dannosa perché la viviamo come una giustificazione: ma io l’ho fatta la formazione permanente. Non è cambiato niente. Però ho fatto la formazione permanente. I rischi sono questi per noi, e dobbiamo essere molto realistici sui rischi di una umanità che appunto corre il rischio di rimane lì, ancora in germe non pienamente sbocciata e, quindi, incapace di portare frutti abbondanti. Non perché il Signore non ci ha dotato, non ci ha equipaggiato di doni, di capacità e di talenti ma perché noi viviamo al di sotto delle nostre possibilità, ancora inseriti in un quadro di riferimento che non è quello suggerito dal vangelo e dalla vita di Gesù. Ma ci facciamo altri viaggi: l’efficienza, produrre dei risultati. Sarebbe già un risultato che noi ci volessimo così bene e non sono uno che fa’ un discorso minimalista, perché questo è un discorso enorme, che noi riusciamo a vivere il vangelo gli uni accanto agli altri. Perché se non facciamo questo che cosa ci può far credere o pensare che andando agli altri poi porteremo dei frutti. Lo capiscono subito, lo sgamano subito quelli che ci ascoltano se siamo veri o se non siamo veri, se siamo coerenti oppure no. E allora mi sembra, appunto, che questa formazione permanente sia soprattutto da vivere nella vita quotidiana, nelle relazioni, nel sentirci responsabili gli uni degli altri, le une delle altre, nel non leggere le differenze individuali come un problema, o un ostacolo alla nostra crescita ma come la via preferenziale per arrivare alla nostra crescita, ad essere, cioè veramente figli. Non perché il Signore si diverte a metterci in difficoltà ma perché, oggi, quella è la persona che ho accanto. E se non so vivere accanto a questa, accettando, magari, i suoi limiti che sono insuperabili, non riuscirò a vivere neanche con qualcun altro, da un’altra parte. Responsabili gli uni degli altri e consapevoli, questo mi sembra un aspetto molto importante, di essere mediazione nell’opera di Dio, nella grazia di Dio. Il Signore non giunge a noi attraverso delle situazioni mistiche, normalmente. Può succedere anche questo, ma normalmente non arriva a noi con delle sedute spiritiche, con delle esperienze mistiche. Arriva a noi attraverso la faccia simpatica o antipatica di chi ci sta accanto. Allora anche noi siamo una mediazione di un altro come l’altro lo è per me. Accettare questo è una bella sfida perché noi vediamo una buccia e tante volte la buccia non ci piace. Però se noi riusciamo ad andare oltre la superficie e a capire che anche la persona più problematica è comunque amata da Dio e ha la possibilità di fare un passaggio di crescita che noi non conosciamo già, neanche lei, forse, ma che è possibile se noi ci mettiamo in un determinato atteggiamento che è appunto di accoglienza, di ascolto, di condivisione, di pazienza, di perdono ecc. Questi sono i frutti dello Spirito. E allora se andiamo a vedere quali sono i frutti dello Spirito riusciamo a comprendere in che modo è possibile essere mediazione nell’ottica di Dio, per cui a tutte voi tanti auguri per questo cammino che è il cammino di tutti.
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