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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
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Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
 La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto 2024
    Edvige Terenghi, amministratrice centrale, visita i gruppi in Mozambico.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
    Edvige Terenghi, administradora central, visita os grupos em Moçambique.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
    Edvige Terenghi, administradora central, visita los grupos en Mozambique... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    19 ottobre 2024
    Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online... Continua
essere betania, spazio di misericordia
 
Ritiro di maggio 2024 dei gruppi Cile e Argentina Dal Vangelo secondo San Giovanni (Gv, 11, 32 – 36) “Quando Maria giunse dove si trovava Gesù, appena lo vide si gettò ai suoi piedi dicendogli:” Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!”. Gesù allora, quando la vide piangere, e piangere anche i Giudei che erano venuti con lei, si commosse profondamente e, molto turbato, domandò: “Dove lo avete posto?”. Gli dissero: “Signore, vieni a vedere!”: Gesù scoppiò in pianto. Dissero allora i Giudei:” Guarda come lo amava!”. Questa riflessione è soprattutto un invito, per noi consacrate, a recuperare e rivedere il palpito, il battito del cuore delle nostre comunità, della nostra missione e di questo mondo pieno di disumanizzazione. Betania, casa del Cuore, dove palpita l’umanità, la vita, ciò che ci identifica pienamente e giustifica il fatto che siamo e viviamo dentro questo nostro mondo. Qualcuno afferma che la radice della parola cuore viene da “saltare”; forse perché il cuore batte continuamente (salta). Quando non batte più, non pulsa più…quando il cuore non “sente” più, non si appassiona più allora il cuore o è malato oppure non sta bene. Cuore: ha relazione con altre parole come concordare, spaventarsi, ricordare, pulsare, vulnerabilità, intuire, battere all’unisono con un’altra persona; a che vedere anche con discordia. Anticamente si credeva che nel cuore c’era la fonte dei sentimenti dei nostri affetti, della nostra memoria. Adesso lo relazioniamo specificatamente con la volontà e il luogo dell’opzione della vita. Umanità: parola tanto forte quanto fragile! E ci dice tanto: bellezza, misericordia, compassione, bontà, però anche miseria, debolezza. Dicono coloro che si intendono di etimologia, che ha qualcosa a che vedere con “humus”, terra, suolo, terreno… è una relazione che ci ricorda il fatto di essere creature, che formiamo parte del congiunto di tutti gli esseri umani che abitano la terra. Tra i sinonimi che incontriamo di umanità possiamo includere: condizione umana, benevolenza, bontà, clemenza, comprensione, pietà, misericordia, carità, cuore, capacità di sentirsi solidali, affetto, compassione verso le persone, disumanità, corpo umano, fragilità, debolezza, proprie dell’umanità. Nello scrivere tutti questi sinonimi risuona nel cuore la parola Incarnazione. Gesù, il Signore, ha assunto questa nostra umanità con tutte queste caratteristiche. “Il Verbo si fece carne e ha posto la sua dimora tra noi e noi abbiamo visto la sua gloria” (Giov. 1, 14). Che cosa dice Betania al nostro cuore, alla nostra passione, alla nostra umanità, alla nostra persona, alle nostre comunità, alle nostre relazioni? Alcune intuizioni: Sentirsi corresponsabili per umanizzare di più. Gesù ci coinvolge tutti in Betania per risuscitare Lazzaro e a qualcuno chiede di togliere la pietra, ad altri di sciogliere le bende…Come possiamo crescere in una corresponsabilità che ci faccia togliere, a tutte e a ciascuna, il meglio di sé stessa per contribuire alla vita, affinché entri la luce nelle nostre relazioni umane, aiuti a costruire comunità che camminano, libere da bende, al ritmo dello Spirito? La donna a BETANIA umanizza, cioè, dà a questo racconto evangelico un tocco di realismo umano quando affrontiamo con turbamento situazioni di morte, quando davanti a situazioni difficili reclamiamo apertamente e diciamo a Dio: “Se tu fossi stato qui…”. Quanti “se tu fossi stato qui…” abbiamo dentro il cuore e poco lo dialoghiamo, lo affrontiamo nella preghiera… Gesù, davanti a Marta, non sembra rimanere male del rimprovero, anzi sembra voglia abbracciarla per condividere con lei il dolore fatto protesta e trasformarlo in fiducia, affinché possa far emergere da lei la sua fede profonda: sì, Gesù è la vita, e se Lui adesso è ancora lì, Lazzaro avrà di nuovo la vita. Dare spazio al femminile è darci l’opportunità, tra noi fratelli e sorelle, di dire le nostre contrarietà, di parlarne con apertura, decisione, però come Marta, aperti a quanto l’Altro, gli altri, mi propongono e mi aiutino a vedere le cose in distinte maniere. Maria, sua sorella, ci rivela un’altra realtà molto umana, la necessità della compagnia, della consolazione; lei giudica le cose in maniera diversa da quella di Marta: rimane in casa, nel suo cuore e dà un’interpretazione un po’ superficiale a quanto successo. Però la parte femminile di Maria è quella di rispondere e alzarsi immediatamente davanti alla chiamata di Gesù, perché solo davanti alla voce dell’Amato è capace di uscire da sé per consolidare questo processo di fede che richiederà il suo tempo. Ci umanizza anche la tenerezza, la bontà, il trattarci con cordialità, quando ridiamo o piangiamo con il fratello. Così ha fatto Gesù a Betania, dimostrò la sua vulnerabilità umana davanti all’amico “che dormiva”. Alle volte sembra che le consacrate e i consacrati siano persone perfette, forti (dure) che non sentono le difficoltà della vita, che non si piegano facilmente davanti alle difficoltà oppure non vogliamo manifestare le nostre debolezze né a noi né agli altri. E’ bello invece, incontrarci con una persona consacrata generosa, piena di calore umano, alla quale si può apertamente aprire il cuore sia nei momenti di tristezza che di gioia. Il servizio di ungere i piedi ai fratelli ci umanizza, perché è un modo che ci pone di fronte alla necessità di chi cammina al nostro fianco. C’è un gruppo apostolico di laiche che ogni settimana ungono i piedi stanchi, feriti, dei migranti ospitati in un albergo vicino alla stazione del treno. Gli occhi, le mani, il sorriso di queste persone che aiutano, riflettono e comunicano una grande umanità. Nelle nostre comunità serviamo o siamo serviti? Sappiamo ungere le persone con parole di consolazione, di comprensione, o al contrario aspettiamo che siano gli altri ad ungerci di adulazioni? Sederci a tavola, condividere la fede e la vita…anche questo eleva il livello della nostra umanità. Dopo la risurrezione di Lazzaro, al banchetto pre-pasquale di Betania, si racconta che stavano condividendo il pasto a tavola. Quante tavole abbiamo nelle nostre comunità? In quale di queste noi condividiamo maggiormente, “condividiamo con” gli altri i nostri sogni, ciò che abbiamo nel cuore? Ci umanizza anche la solidarietà, la non indifferenza, perché mi sento parte integrale dell’Umanità e perché questa Umanità è il Corpo Mistico di Cristo lacerato per tante disumanità, ingiustizia, disuguaglianza. Papa Francesco ci ha invitati ad “essere misericordiosi e generare misericordia”. La solidarietà nasce da un cuore misericordioso, che si interessa per alleggerire, anche con piccoli gesti, le disumanizzazioni che si vivono in tante situazioni di marginalità. In definitiva, Gesù ci umanizza. Quando Lui è al centro dei nostri cuori, della nostra comunità, della nostra missione, allora anche la nostra consacrazione si umanizza, si fa “carne” si radica nella storia. Lo Spirito Santo realizza in Lui l’Incarnazione, questo mistero inaudito del suo amore per noi. Si è fatto uno di noi, ha preso la nostra Umanità. ( Da: Escuchemos a Dios donde la vida clama – Conferencia caribena y latinoamericana de religiosos/as – CLAR) PER PREGARE · Rdv e Statuto n. 5, 14 · “Tutti siamo figli. Imparare a vivere insieme in questo modo…occorre avere un cuore misericordioso, questo è l’obiettivo del nostro cammino di vita perché la misericordia è di Dio” (Lettera Programmatica) Quali attitudini dobbiamo potenziare nei nostri gruppi, in noi stesse, per crescere nel Cuore dell’Umanità? Di cosa ha bisogno la nostra Betania per essere più umana e misericordiosa? Elisabeth Tiayna Mollo In preparazione a questo evento e pensando ai temi da proporre il nostro gruppo indonesiano CM ha maturato questa riflessione. La base della vera gioia è essere consapevoli e credere che Dio ci ama molto. Dimorare nell'amore di Dio è il modo migliore per sperimentare la gioia al massimo. La famiglia di Betania si presenta consapevolmente e volontariamente per vivere insieme in "comunione" con Dio che è adorato, lodato e glorificato attraverso il lavoro e il servizio nella vita. La formazione della famiglia di Betania è dovuta all'amore di Dio, non perché fossero dello stesso sangue, ma per la Sua volontà. È questa consapevolezza della forza dell'amore che ogni persona (Marta, Maria e Lazzaro) diventa un buon sistema di sostegno; sostenetevi l'un l'altro in ogni situazione, con empatia e ascolto, fidarsi pienamente a Dio e affidarsi a Lui sopra ogni altra cosa. Questo deve diventare il nostro modello. La spiritualità e l'offerta di sé della famiglia di Betania dovrebbero essere una motivazione e uno spirito importante nella nostra vita, fino a quando non sarà radicata nella nostra anima, nel nostro lavoro e nel mondo. Equilibrio! La vita di preghiera/contemplazione e di lavoro reale diventa un vero e proprio "carattere" che vive nella famiglia di Betania, questo dovrebbe essere un'ispirazione per noi come Istituto Secolare che ci dedichiamo in mezzo al mondo per santificare il mondo da dentro. La peculiarità della famiglia di Betania è la "Casa", un luogo dove ogni persona si riunisce per trovare la presenza di Dio ed esprimere a Dio ogni lode, gratitudine, necessità, preoccupazione. Perché se la famiglia prega insieme, rimarrà unita. Insieme, grazie alla comunione, alla fraternità con Dio, al senso di appartenenza, al sentimento del cuore di Dio, questo rende i membri capaci di superare ogni difficoltà, nonostante le situazioni di tensione che si troveranno ad affrontare. Però credono pienamente nell'amore di Dio che è in grado di dare vita all'anima umana. La fratellanza della famiglia di Betania è una fratellanza divina! Non è una normale fratellanza umana. Questo dovrebbe animare il nostro cammino come Istituto Secolare. La fratellanza fa piccole cose con grande amore, con amore sincero e disinteressato, amore per il Signore Gesù. Con questa base, noi CM saremo abilitati da Dio a "partorire" valori concreti nella vita quotidiana come: Amorevolezza, apertura, accettando gli altri così come sono (malati, anziani), perdono, premura, compassione, onestà, umiltà, sacrificio e altro ancora. Grazie. Grazie Antonia Theresia Ingi
la parola di dio nella consulta delle responsabili
 
IL BUON SAMARITANO Lc. 10, 25 - 37 (cliccare sull'icona sottostante per scaricare il power point)
mistero e grandezza di donne incinte
 
«39In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. 40Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. 41Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo . Elisabetta fu colmata di Spirito Santo 42ed esclamò a gran voce: "Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! 43A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? 44Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo . 45E beata colei che ha creduto nell'adempimento di ciò che il Signore le ha detto» (Lc 1,39-45) Una donna incinta: sacramento di speranza. Testimone della presenza creatrice e salvatrice di Dio, nel mondo. Attesa di una donna incinta è attesa di un popolo. Una donna incinta contiene, custodisce e alleva un progetto di vita, un progetto di Dio. Una donna incinta rivela Dio al mondo. L'agire di Dio creatore e padre passa attraverso un rapporto d'amore umano, attraverso il mistero che vive nel corpo di una donna incinta. E quando il tempo giunge a pienezza, finalmente partorirà colei che deve partorire, colei che è sgorgata dal cuore del Creatore fin dai giorni più remoti; il Figlio, infatti, ha le sue origini nell'antichità. Ma nascerà dalla carne di una donna, nella piccola Betlemme. E sarà la pace del suo popolo. Proprio perché sceglie ciò che è piccolo, come Betlemme. Ciò che non è riconosciuto, apprezzato, ciò che non è sacro, come il corpo di una donna, incinta. Un Figlio che è l'attesa, la speranza, la gioia, la salvezza. Un Figlio che è la pace, perché nel suo corpo compie la volontà di amore, di vita, di salvezza del Padre. Un corpo umano di questo Figlio è il luogo sacro in cui si celebra e si compie la volontà del Santo. Volontà di pace e di salvezza. Nell'incontro di due donne incinte si compie la proclamazione di un evangelo, lieto annuncio di salvezza, che raggiunge l'umanità nella beatitudine della fede. Una donna incinta porta Dio nel frutto del suo grembo e il frutto del grembo dell'altra lo riconosce e lei è piena di Spirito Santo. Una pentecoste che passa attraverso i grembi di due donne incinte. Profezia di una umanità chiamata a diventare gravida di Dio, chiamata a generare Cristo nel mondo, attraverso la beatitudine della fede. Come Maria di Nazaret, proclamata beata e benedetta da Elisabetta, in casa dell'incredulo Zaccaria, sacerdote. L'attesa, la santa fragilità della speranza, la dolorosa tribolazione e la gioia esuberante del parto diventano paradigma che illumina e rivela il senso della vita di ogni persona che nasce dal  grembo di una donna, per essere figlio amato del Padre, destinato alla vita. Perché ciò che il Signore dice, si compirà. Per la fede. Attraverso un cammino misterioso e impensabile, sorprendente, come la danza di un nascituro nel grembo di sua madre. Come la generazione, nella carne umana di una donna, del Verbo di Dio che deve nascere nella piccola Betlemme, Casa del Pane.
gioia della bellezza
 
«14,15Se mi amate, osserverete i miei comandamenti; 16e io pregherò il Padre ed egli vi darà un altro Paràclito perché rimanga con voi per sempre, 17lo Spirito della verità, che il mondo non può ricevere perché non lo vede e non lo conosce. Voi lo conoscete perché egli rimane presso di voi e sarà in voi.  15,9Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore. 10Se osserverete i miei comandamenti, rimarrete nel mio amore, come io ho osservato i comandamenti del Padre mio e rimango nel suo amore. 11Vi ho detto queste cose perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena. 12Questo è il mio comandamento: che vi amiate gli uni gli altri come io ho amato voi» (Gv 14,15-17. 15,9-12) La gioia cristiana è nel consegnarsi  a un Dio che è famiglia. Una famiglia feconda. La gioia cristiana è nel contemplare nella famiglia l’immagine vera del Dio che è famiglia. L’amore - un amore fatto di carne, non di pensieri, di filosofia, di emozioni - è la radice dell’esistenza umana, la prima esperienza di vita che ci è data. Siamo generati nell’amore, un amore di carne e sangue. La carne e il sangue che un uomo e una donna si scambiano. La carne e il sangue che una donna offre alla persona generata nel suo seno. Da sempre, dal primo istante di esistenza so che cos’è l’amore. Dal primo istante di esistenza, in me è scritto l’amore come marchio di fuoco, incancellabile. L’immagine di Dio Amore. Il Dio Amore che vedo nella famiglia umana, generata nell’amore umano. La gioia cristiana è nel poter contemplare la bellezza di Dio famiglia. Gioisco della tua bellezza, o Padre del Figlio Gesù. Della tua bellezza che è il tuo nome: Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà. Non è l’amore e la fedeltà il desiderio più profondo del mio cuore? Quell’amore e quella fedeltà così piccoli e pure così prepotenti in me, quell’amore e quella fedeltà che sono la lotta, la povertà e la ricchezza, la ricerca e la sete, il dolore e la gioia di ogni istante? E in mezzo alle rughe del mio cuore e alle povertà della mia carne scopro la bellezza inesauribile del tuo volto, o Babbo - Abbà, in cui ogni paternità ha origine in cielo e in terra! La bellezza del tuo volto di Babbo, tenero e perciò esigente, paziente e perciò luminoso di speranza, amante e perciò ferito dal sorriso e dalle lacrime. Libero di imprigionarsi nelle catene eterne dell’amore. Gioisco della tua bellezza, o Figlio del Padre, Signore Gesù. Gioisco di scoprire in te, nella tua carne e nel tuo sangue, la mia carne e il mio sangue, quello di una Donna, Maria di Nazaret. Gioisco della tua bellezza di Fratello mio, Fratello nostro, Gesù, Figlio dello stesso Padre e di Maria. Gioisco della tua bellezza di Figlio, perché anch’io sono figlia. Cos’è essere figlio se non essere piccolo, ricevuto e consegnato, amato e portato tra le braccia? Nella tua carne crocifissa e nel tuo sangue sparso scopro e contemplo ineffabilmente la bellezza di essere figlio, in te, con te. Perché quando sono ferita, abbandonata, spaventata, sofferente, là arriva la tenerezza e l’abbraccio sicuro e forte del Babbo, che piange e sorride con me  e con te. E prepara la risurrezione, la vittoria, la libertà. Gioisco della tua bellezza, o Figlio Gesù, Fratello, perché in te, nei tuoi occhi e nelle tue mani, nel tuo cuore di carne, nei tuoi pensieri e nei tuoi sentimenti umani e divini, scopro la bellezza di essere sorella, la bellezza di non essere sola. Gioisco della tua bellezza, o Amore del Padre e del Figlio, che li unisci e li rendi grembo fecondo da cui sgorgano figli amati nell’Amato: NOI UMANITÀ, NOI CHIESA. Non è bene che l’uomo sia solo, perché Dio è famiglia, è amore. Gioisco della tua bellezza, o Amore che unisci e apri, che generi nascostamente ogni vita, che respiri umilmente in me e in noi, che accarezzi con il respiro dell’aria, che  guidi con la mitezza forte della Luce della Parola, che curi e vivifichi con il Sangue e la Carne dell’Agnello immolato e vivente in eterno.   SANDRO BOTTICELLI, Trinità, 1491 Eccomi, Bellezza Trinitaria nascosta e rivelata, potente e debole della potenza e della debolezza dell’Amore. Eccomi, Bellezza Trinitaria che ha tanto amato il mondo, da non arrendersi al rifiuto e al tradimento, all’oblio e all’odio. Eccomi, Bellezza Trinitaria, invincibile, perché crocifissa e risorta, Famiglia Divina, ricca di amore e di fedeltà.
vivere il mistero della visitazione
 
È la carità che muove Maria. Si alza in fretta, si fa incontro alla cugina Elisabetta quando “era già il sesto mese per lei”. E l’incontro delle due donne si fa teofania. L’exultet nasce dal riconoscersi destinatarie, nel mistero dell'incarnazione, del disegno di Salvezza. Anna e Simeone sono profeti perché vedono coi loro occhi “la salvezza” preparata per tutti i popoli. E il servizio al tempio può concludersi, Simeone può andare in pace. La “visitazione” ci porta a vedere “nell'oscura notte del male” la presenza del Regno. Senza il “Magnificat” che risuona nel tempo saremmo solo uomini e donne pessimisti, o, come i discepoli di Emmaus, delusi: «Speravamo … e invece, purtroppo… ormai…». Ma il Signore ci visita nella desolazione e nella fatica, si affianca a noi e “ci rivela il senso delle scritture”: «Vuoi forse essere seme e poter vedere la pianta? Non sai che se non muori nella terra non vedrai la generazione della vita?» Allora lasciamo che lo Spirito Santo ci metta in moto, ci faccia capaci di “visitare” per entrare nel “senso” della nostra vita, per vivere nella gioia la nostra consacrazione nella CM! Vieni Spirito Santo, mettici in cammino verso l'altro, mettici in cammino con l'altro, perché possiamo celebrare nella vita il mistero della salvezza. PONTORMO, Visitazione, 1528-30
aprire gli occhi, e la mente e il cuore
 
Entro nel silenzio: del corpo (cerco una posizione in cui stare comoda, ma concentrata e ferma), della mente, del cuore, della bocca. Prendo consapevolezza della presenza di Dio, che vuole parlarmi e invoco lo Spirito Santo. Leggo attentamente il brano. Se siamo in gruppo una persona proclama la Parola: Gv 9,1-41 In silenzio rileggo, cercando di cogliere, anche sottolineando, le parole o frasi che attirano la mia attenzione, che suscitano un sentimento di commozione, di gioia, di timore, che provocano perplessità, incomprensione… Per cogliere il significato di alcune frasi o parole, è utile andare a leggere ciò che precede il brano che voglio meditare, o cercare in altri brani frasi simili. Si tratta di leggere la Bibbia con la Bibbia. È molto utile entrare nell’episodio descritto, fare la composizione del luogo: immaginare il posto, al situazione, le persone, l’avvenimento che viene narrato, e porre me stessa all’interno del racconto, trovare il mio ruolo; posso identificarmi con uno dei personaggi presenti, comunque è importante coinvolgermi in ciò che leggo. Medito. Se siamo in gruppo, una persona può suggerire alcuni spunti di meditazione. vv. 1-5: “Chi ha peccato? …. Io sono la luce del mondo” Se sei malato, sicuramente sei colpevole e la malattia è la punizione del peccato. Una delle certezze più diffuse, purtroppo anche tra i discepoli del Signore, ancora oggi! Una certezza che rivela una non conoscenza di Dio, del Dio di Gesù Cristo. Una certezza che scandalizza, soprattutto davanti al dolore innocente, e impedisce di incontrare Dio, il Dio di Gesù Cristo. È misterioso il dolore, spesso incomprensibile, ma Gesù assicura che anche il dolore può diventare strada per incontrare Dio. Questi primi versetti sono la chiave di lettura di tutto il brano. Siamo davanti a uno che è nato cieco, che non ha mai visto un volto umano, il sole, i fiori… nulla. Solo buio. Poi ci sono i discepoli di Gesù, che sono ancora in penombra, ma hanno la possibilità di arrivare a vedere pienamente, perché chiedono luce a Gesù. Solo alla sua luce vediamo la luce (cf Salmo 36,10), la mente e il cuore possono comprendere la verità, rivelata da ciò che gli occhi possono vedere. E poi ci saranno altri ciechi… vv. 6-7: “Fece del fango … va’ a lavarti … e ci vedeva” Nella prima creazione Dio formò l’uomo dal fango della terra. Ora il fango è prodotto con la saliva di Gesù, un liquido che sgorga da lui, come lo Spirito che sgorgherà con l’acqua dal suo costato trafitto. Quel fango è segno di Gesù stesso, l’uomo nuovo, venuto a ricreare l’umanità a sua immagine di Figlio di Dio. Pone se stesso-luce sugli occhi bui del cieco. E lo manda a lavarsi alla piscina di Siloe-inviato. Gesù vuole che il cieco “collabori” alla guarigione miracolosa, chiede la sua adesione alla sua volontà di guarirlo. Nessuno guarisce veramente se non vuole guarire, se non fa nulla per guarire. Il cieco, necessariamente accompagnato da qualcuno - è fondamentale la compagnia umana – si lava alla piscina dell’Inviato e ci vede. Anche l’acqua con cui si lava è segno di Gesù, l’Inviato del Padre per sanare l’umanità ferita e accecata dal male. vv. 8-12: “Non è lui? … Sono io!” Lo stupore e la fatica di capire ciò che è accaduto. Inizia un processo di ricerca per comprendere ciò che si vede, ciò che è accaduto. Cercare il significato di ciò che vediamo è essenziale, altrimenti siamo come ciechi. Ma l’ex cieco, anche se deve fare un percorso fino alla piena illuminazione, è già testimone di verità. Ha assunto in pieno la sua nuova condizione: “Sono io!”. Colui che prima non vedeva è lo stesso che ora vede: una nuova creazione è avvenuta. Nel buio del caos, Dio creò per prima la luce, perché la luce è la radice della vita. vv. 13-17: “Era un sabato il giorno in cui Gesù aveva fatto quel fango” Ci si stupisce davanti all’agire di Dio, ma può essere uno stupore positivo, come quello dei discepoli, della gente, oppure uno stupore negativo, quello provocato dal pregiudizio, dall’ideologia, quando la legge e la tradizione vengono prima del bene della persona. Il pregiudizio e l’ideologia vivono nel buio. La luce li stupisce perché li disturba. Pregiudizio e ideologia rifiutano la luce, perché la luce li minaccia, li vince, li uccide. Invece di vedere l’uomo che era cieco e ora vede, l’uomo “ricreato”, i farisei vedono solo che il fango è stato fatto in giorno di sabato, quando era proibito fare questa azione. Quando la legge fatta per il bene e la libertà dell’umanità diventa ideologia, si trasforma in prigione per l’umanità. E l’ideologia è sempre a servizio di un potere disumanizzante. La luce, invece, mette in crisi il potere e dà la libertà di incamminarsi sulla via della verità: l’uomo guarito può dichiarare, anche se non lo conosce, che Gesù è un profeta. vv. 18-34: “Non credettero … e lo cacciarono fuori” Il cieco era andato a togliersi il buio dagli occhi, lavandosi alla piscina; i farisei si bendano per non vedere e per continuare a negare la luce: sono ridicoli. L’uomo che era nel buio ora è felice perché è nella luce. Era al buio, come un morto nella tomba. Ora è venuto alla luce, come un neonato, un uomo nuovo. Coloro che si arrogano il potere di giudicare perché dicono di “vedere”, rifiutano la luce, scelgono il buio. Negano la realtà: decidono che non era cieco. Anche i genitori identificano il loro figlio, assicurano che era nato cieco, ma la paura del potere impedisce loro di gioire e sostenerlo. Forse anche loro avrebbero preferito che nulla fosse cambiato: non si troverebbero ad essere chiamati in giudizio, con il rischio di essere scomunicati (=cacciati dalla sinagoga). E’ sempre rischioso schierarsi per la verità. Tutto il Vangelo di Giovanni mostra lo scontro tra le tenebre e la luce, cioè tra la menzogna e la verità, tra Gesù e i poteri del mondo. E chiede inesorabilmente di schierarsi, o per l’una o per l’altro. Non c’è via di mezzo. “Non lo sappiamo” significa scegliere le tenebre. Non potendo negare ciò che è sotto gli occhi di tutti, il bene compiuto da un uomo e ricevuto da un altro uomo (in fondo è un’immagine di paradiso un uomo che fa il bene di un altro uomo), per salvare un potere iniquo e geloso, quindi cieco, che si nasconde dietro la legge e il nome di Dio, non sanno fare altro che condannare ed escludere: cacciano l’ex cieco dalla sinagoga, cioè dalla comunione con Dio, come se questo fosse nel loro potere. Ciechi e quindi illusi. Una condizione in cui facilmente possiamo trovarci. Una condizione che ci rassicura e addormenta la coscienza. vv. 35-41: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?” La scena cambia: cacciato dalla sinagoga, l’uomo che ora vede, incontra Gesù, che non aveva mai visto. Sembra che Gesù abbia fatto in modo di incontrarlo. Gesù introduce l’incontro e il dialogo con una domanda decisiva: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”. Dopo avergli aperto gli occhi, vuole condurlo alla fede, cioè alla pienezza della luce. Mi metto nei panni dell’ex cieco che ha solo cominciato a vedere. E vedo Gesù davanti a me che mi chiede: “Tu credi nel Figlio dell’uomo?”. Resto in silenzio. Riascolto in silenzio il dialogo tra l’uomo e Gesù. Mi lascio coinvolgere. Sono io che chiedo: “Chi è, Signore, perché io creda in lui?”. “Lo hai visto: è colui che parla con te”. Davvero voglio sapere chi è per poter credere? Davvero lo vedo davanti a me? Davvero lo ascolto per vederlo? Perché non potrò vederlo, se non lo ascolto. La sua Parola è la luce. Posso rispondere: “Credo, Signore!”, prostrandomi davanti a lui? Sono un ex cieco che arriva alla piena illuminazione? Egli è la luce e la luce giudica, perché rivela la verità, perché manifesta l’amore. E allora gli chiediamo: “Siamo ciechi anche noi, Signore?”. Se è così, vinci le nostre tenebre con la dolce violenza della tua luce, perché non restiamo nel nostro peccato. Dacci il desiderio della tua luce! Se siamo in gruppo, dopo qualche momento di silenzio, è bene fare la condivisione, dove ciascuno parla e ascolta, senza discussione. È lo Spirito che parla in ognuno. Infine prego o preghiamo a partire dalla Parola ascoltata.
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