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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
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Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
 La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
  • 09 / 08 / 2024
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  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
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    19 ottobre 2024
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ricordare per parlare lingue nuove
 
A Bologna il 5 novembre e a S. Antonio Abate (NA) il 26 novembre 2016, la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore ha realizzato due incontri per celebrare i 50 anni di missioni popolari nelle parrocchie italiane. È stata presentata una rilettura del vissuto con lo sguardo rivolto al futuro. 50 anni di missioni popolari. Questa attività risponde al n. 16 dello Statuto della Compagnia Missionaria del Sacro Cuore dove si legge: “La nostra missione si esprime anche attraverso: l'annuncio della Parola di Dio mediante la catechesi, incontri di carattere formativo e di spiritualità, corsi di missioni parrocchiali, preferendo luoghi e persone meno favoriti”. Di seguito si parla della missione ad gentes, del servizio alle varie forme di povertà, dell’animazione del tempo libero. Abbiamo voluto celebrare questo anniversario per due motivi: - Ricordare l’esperienza missionaria vissuta, rileggendone il significato, per rendere grazie al Signore e a tutti coloro che ci hanno dato l’opportunità di realizzarla; - Scrutare il presente per ascoltare ciò che la mutata realtà socio ecclesiale ci chiede e cercare le possibili risposte. La testimonianza del Fondatore Mi sembra importante riascoltare ciò che il nostro fondatore, P. Albino Elegante scj, ebbe a dire nella celebrazione dei 25 anni delle missioni popolari. “Come fondatore dell’Istituto, comincerò con il dire che l’attività delle missioni al popolo è sempre stata una delle iniziative più care al mio spirito. Condotto da un misterioso richiamo, sono stato costretto a socchiudere la porta e a guardare alla moltitudine dei fratelli che tendevano la mano, implorando la rigenerazione in Cristo. Non ho mai fatto mistero della mia ammirazione profonda per don Giovanni Rossi, fondatore della «Pro Civitate Christiana». Tra le varie attività svolte, soprattutto una suscitava il mio entusiasmo e polarizzava le mie simpatie: la predicazione delle Missioni Popolari in uno stile nuovo”. Sull’esempio delle missioni della Pro Civitate, p. Albino impegnò se stesso e le missionarie in questa attività, con una passione straordinaria. La prima missione si tenne a Bologna, nella parrocchia di S. Giuliano, a porta S. Stefano, nel maggio 1966. Ma dobbiamo ricordare che l’evangelizzazione itinerante era già un impegno delle missionarie, fin dai primi anni della Compagnia Missionaria: si trattava soprattutto di incontri di formazione e spiritualità per giovani. In 50 anni sono state animate 297 missioni, in 240 parrocchie. Oltre alle missioni, sono state realizzate tante altre iniziative di evangelizzazione e spiritualità: corsi di formazione per operatori pastorali, esercizi spirituali a gruppi e parrocchie, novene, tridui, settimane bibliche, settimane liturgiche, settimane per le famiglie, settimane eucaristiche, quarantore, incontri per giovani, campi scuola… Centralità della Parola Il servizio di evangelizzazione itinerante attraverso le missioni popolari è sempre stato un dono soprattutto perché impegna le missionarie in un cammino di comunione con le comunità in cui sono chiamate a operare, di ascolto della realtà ecclesiale e sociale in fermento e in continuo cambiamento, di attenzione a offrire ciò che realmente la chiesa del dopo-concilio attende e ciò di cui la società del post-moderno ha bisogno. Si è trattato e si tratta di camminare con la gente, di farsi compagne di strada offrendo, nei modi più adatti, quella ricchezza di cui il mondo ha fame e sete, spesso senza averne consapevolezza. La ricchezza che abbiamo sempre considerato indispensabile condividere con la gente è la Parola di Dio. Anche negli anni ‘60-‘70, fino a metà degli anni ’80, quando spesso, da parte dei vari gruppi anche ecclesiali, ci si chiedeva di trattare problemi di carattere sociale, psicologico, politico, magari “usando marginalmente” la Parola di Dio per sostenere la propria ragione, da una parte e dall’altra, abbiamo sempre mantenuto fede alla centralità della Parola. Nella faticosa ed entusiasmante ricerca di metodi adatti, abbiamo sempre ricordato che è la povertà e la debolezza dell’annuncio che offre luce ai problemi umani, sociali ed ecclesiali, che tocca le coscienze e trasforma la vita, che converte i singoli e germina società nuove, che compone le contese e costruisce la pace. Per molti anni… … protagonisti della missione erano le missionarie con p. Elegante o altri sacerdoti. Naturalmente la missione era preceduta da un tempo e da alcune iniziative di preparazione in collaborazione con i laici impegnati della parrocchia. Con il passare del tempo, è diventato sempre più importante il coinvolgimento del consiglio pastorale e di altre persone disponibili, laici e religiose presenti in parrocchia. I tempi di preparazione si sono dilatati, a volte anche per due o tre anni. Iniziative di questo periodo erano la formulazione di un questionario per le famiglie o addirittura per singoli adulti e giovani; formulazione della preghiera per la missione; pellegrinaggi; ritiri; incontri formativi per gli animatori; divisione della parrocchia in zone; per ogni zona venivano incaricati uno o più animatori che consegnavano prima i questionari e poi il programma della missione; individuazione degli ambienti dove tenere i centri di ascolto serali, quasi sempre ambienti familiari, ma anche sale condominiali, uffici, autoscuola, retrobottega, capannoni industriali, garage, bar; preparazione delle liste delle famiglie da visitare per ogni zona. Durante la missione, l’impegno maggiore delle missionarie consisteva nella visita alle famiglie, ogni missionaria in una zona; la sera la missionaria faceva la catechesi nel centro di ascolto dove si riunivano le famiglie, per tre sere di seguito; sempre a partire dall’ascolto della Parola di Dio, al prima sera si teneva la catechesi sul battesimo, la seconda sulla confessione; la terza sera, un sacerdote celebrava l’eucaristia nel centro di ascolto e la missionaria teneva la catechesi sull’eucaristia; si concludeva con un momento di festa e di condivisione. A seconda della dimensione della parrocchia, la missione durava otto, undici o anche quindici giorni. La missione si apriva con la celebrazione del mandato alle missionarie e al missionario, spesso da parte del Vescovo, o del parroco. Naturalmente non mancavano incontri per coppie, per gruppi parrocchiali, per giovani, per bambini e ragazzi, per anziani; incontri vocazionali; celebrazioni per anziani e malati con l’unzione degli infermi; celebrazioni penitenziali; celebrazione e adorazione eucaristica quotidiana; adorazione notturna nell’ultima notte; processioni, via crucis, fiaccolate a seconda dei tempi liturgici. La missione si concludeva con l’assemblea di tutta la comunità, durante la quale il gruppo missionario relazionava sul lavoro svolto, offrendo anche suggerimenti e propositi; gli animatori presentavano la loro testimonianza e le loro proposte per il cammino futuro della comunità. Quindi la conclusione del Parroco. Collaborazione con altri gruppi Abbiamo sempre voluto essere attente ai mutamenti sociali, all’evolversi della sensibilità e delle esigenze sociali ed ecclesiali e anche alle esperienze di altri gruppi impegnati nella stessa attività delle missioni popolari. Il numero delle missionarie impegnate in questo servizio non è mai stato molto grande, anche se hanno partecipato missionarie che vivono in fraternità e anche missionarie che vivono in famiglia. È stato quindi naturale chiedere la collaborazione di altri gruppi. E anche noi abbiamo partecipato a missioni organizzate da gruppi religiosi. Mi piace ricordare la collaborazione con le missionarie dell’Immacolata, con le missionarie Saveriane, con Passionisti, con i Domenicani, con i Sacramentini, con i Minori, con i Cappuccini. In particolare pensiamo con profonda gratitudine alla collaborazione fraterna e costruttiva vissuta nelle missioni popolari con i Padri Dehoniani. Una vera esperienza di comunione, nella stima e nella fiducia reciproca, di condivisione della passione per l’annuncio dell’Amore di Dio, per l’avvento del Regno. In 50 anni, oltre a p. Albino Elegante, hanno partecipato alle missioni popolari della Compagnia Missionaria 34 p. Dehoniani dell’Italia Settendrionale e 11 dell’Italia Meridionale. Mi permetto un ricordo personale colmo di gratitudine: grazie all’evangelizzazione itinerante e grazie a p. Enrico Massetti, dehoniano della provincia dell’Italia Meridionale, ho incontrato la Compagnia Missionaria. Quando le diocesi di Bologna e di Roma decisero di preparare l’anno santo del 2000 con le missioni nelle parrocchie, il nostro gruppo fu coinvolto nel lavoro di preparazione insieme con altri gruppi. Queste collaborazioni si sono rivelate provvidenziali e arricchenti. Insieme abbiamo ascoltato le realtà ecclesiali alle quali eravamo inviati, ci siamo scambiati le esperienze e le competenze, abbiamo accolto suggerimenti e sollecitazioni reciproche, scoperto modalità diverse, imparato a lavorare insieme per il Regno. Servizio più impegnativo In questo percorso di riflessione, di collaborazione, di ricerca comune di una missione evangelizzatrice più rispondente alla realtà sociale ed ecclesiale, sempre di più è cresciuta la consapevolezza che la missione non può avere come protagonista il gruppo missionario e come destinataria la popolazione che abita nel territorio di una parrocchia. Già in passato il nostro essere missionarie laiche impegnate ad annunciare il Vangelo, anche nelle liturgie, era testimonianza viva della rivoluzione operata dal Concilio, soprattutto per quanto riguarda l’apostolato dei laici e la loro corresponsabilità nella vita della comunità ecclesiale, la loro missione profetica che scaturisce dal Battesimo. In seguito abbiamo sentito sempre più urgente la necessità di coinvolgere nella missione i laici della parrocchia, non solo nelle iniziative di preparazione, ma nello stesso svolgimento, cioè nell’annuncio del Vangelo, nelle famiglie e nei centri di ascolto. E qui il nostro servizio è diventato più impegnativo e anche più difficile. Troppo spesso, potremmo dire oggi più di ieri, le comunità che chiedono la missione si aspettano che le missionarie vadano a convertire quelli che non vengono in chiesa; pensano che i cosiddetti credenti praticanti e gli operatori pastorali non abbiamo bisogno della missione, ma ne siano solo gli organizzatori; hanno grande difficoltà a sentirsi e a sentirsi ciò che sono: comunità missionarie. Per noi, invece, è diventato essenziale stimolare la parrocchia a riscoprire e assumere con rinnovato impegno la missione evangelizzatrice, a entrare in stato di missione permanente. Per questo è importantissimo il cammino formativo missionario per i laici della parrocchia, per le famiglie, per i giovani, per gli stessi operatori pastorali. Allora l’esperienza condivisa di evangelizzazione diventa un momento di crescita nella comunione e nell’apertura missionaria delle persone e della comunità. Sentiamo che ci appartiene profondamente ciò che il Papa scrive nell’Evangelii Gaudium 120 e 121: In virtù del Battesimo ricevuto, ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19). Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione… Certamente tutti noi siamo chiamati a crescere come evangelizzatori. Mi piace ricordare un’esperienza straordinaria vissuta nel 2015, a S. Antonio Tortal (BL) diocesi di Vittorio Veneto, dove la missione (già sperimentata nel 2002), è stata voluta dai laici e loro stessi ne hanno assunto la responsabilità dello svolgimento, insieme con il gruppo missionario. Grazie al cammino ecclesiale di alcuni gruppi e movimenti, già negli anni 90 abbiamo trovato la collaborazione di laici entusiasti di impegnarsi in questo servizio di evangelizzazione, non solo nella propria parrocchia, ma anche altrove. E anche alcuni familiares della Compagnia Missionaria, a seconda delle possibilità, si sono coinvolti con passione. Così il gruppo missionario si è arricchito di una fisionomia molteplice: missionarie e familiares, sacerdoti dehoniani e religiosi di varie congregazioni, laici di varie realtà ecclesiali, anche in coppia. Tra fedeltà e novità Anche lo svolgimento della missione popolare ha preso una fisionomia diversa, pur mantenendo alcuni aspetti fondamentali. Per missione popolare non si è più inteso la missione al popolo, ma un popolo in missione: protagonista non è più il gruppo missionario, ma la comunità parrocchiale con la collaborazione del gruppo missionario. La missione si apre con il mandato ai missionari “esterni” e ai missionari della parrocchia, che sono l’espressione più avanzata della comunità missionaria. Ciò che è restato fondamentale per noi è l’incontro con le persone e con le famiglie. Anche in questo aspetto ci conforta e motiva la parola del Papa: “Si tratta di portare il Vangelo alle persone con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è anche quella che attua un missionario quando visita una casa […] In questa predicazione, sempre rispettosa e gentile, il primo momento consiste in un dialogo personale, in cui l’altra persona si esprime e condivide le sue gioie, le sue speranze, le preoccupazioni per i suoi cari e tante cose che riempiono il suo cuore. Solo dopo tale conversazione è possibile presentare la Parola, sia con la lettura di qualche passo della Scrittura o in modo narrativo, ma sempre ricordando l’annuncio fondamentale: l’amore personale di Dio che si è fatto uomo, ha dato sé stesso per noi e, vivente, offre la sua salvezza e la sua amicizia.” (E.G. 127-128). Questo viene fatto dai laici della parrocchia con i missionari, a volte lo fanno anche senza la presenza dei missionari. Altra iniziativa che abbiamo sempre voluto mantenere sono i centri di ascolto del Vangelo, anche per piccoli gruppi di famiglie. Da molto tempo il nostro impegno è quello di preparare i laici della parrocchia per guidarli. Da molti anni, grazie all’incontro con i Padri di Rho, non proponiamo più le catechesi, ma la lectio divina. Anche nell’ultima missione, a Padova, nella Parrocchia del SS. Crocifisso, la lectio divina nei centri di ascolto è stata guidata anche da laici della parrocchia. Esperienza che ridà slancio al cammino Naturalmente, la programmazione della missione tiene sempre conto della situazione sociale culturale e ecclesiale e delle esigenze della popolazione. Ancora oggi sentiamo importante l’assemblea conclusiva, come momento in cui la comunità cristiana contempla l’esperienza vissuta, rende grazie al Signore, cerca, anche con l’aiuto del gruppo missionario, le vie di un cammino rinnovato e di una maggiore apertura missionaria. Al termine della missione a S. Antonio Tortal, lo scorso anno, scrivevo: “Una missione popolare non è un toccasana. Non risolve i problemi della comunità. Non si fa una volta per tutte. E non è vero che sia un fuoco di paglia. Soprattutto se non è affidata solo ai missionari, ma è realizzata nell’impegno condiviso tra missionari e laici della parrocchia. È un’esperienza ecclesiale che rinnova il cammino, ridà slancio, intensifica la vita di fede, impegna a una revisione e spinge a un rinnovamento. La quotidianità rischia di far appassire la fede e l’esperienza ecclesiale. O di stressarla. La missione è come gli esercizi spirituali. Il Papa per primo li vive ogni anno. Certo una missione non si fa una volta l’anno, ma ci sono comunità che sentono spesso il bisogno di ravvivarsi”. Timori e gioie Dopo il 2000, le richieste di missioni da parte delle parrocchie è molto diminuita. Contemporaneamente anche noi missionarie ci siamo orientate a un maggiore inserimento nel territorio e distribuite in località distanti. Non sono mancate richieste diverse: non missioni popolari ma animazione di novene, tridui, esercizi spirituali parrocchiali, quarantore, accompagnamento e formazione di gruppi ecclesiali. Ci sembra di cogliere una progressiva chiusura delle comunità parrocchiali, anche dove c’è una buona progettualità pastorale. Una pastorale ordinaria e troppo spesso tradizionale, povera di spinta missionaria, che risente della difficoltà a uscire verso realtà umane che sono sempre più lontane, indifferenti e sofferenti. Una pastorale di mantenimento, in difesa, più che in apertura e in uscita. Nonostante il rinnovamento conciliare e il magistero dei pontefici, in particolare di papa Francesco e la sua testimonianza, in quest’alba del terzo millennio, a più di 50 anni dal Concilio, ci sembra di vedere una recrudescenza di clericalismo “clericale e laicale” che soffoca la spinta missionaria delle comunità ecclesiali. (cf E.G. 102) In tutti questi anni, però, noi stesse abbiamo vissuto quella gioia di cui il Papa parla: Vedo con piacere come molte donne condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. (E.G. 103). Uscire ancora In questi anni, dunque, anche grazie proprio allo sguardo appassionato di papa Francesco, scopriamo la grande fame e sete di Dio e della sua Parola, presente anche in tanti che non la riconoscono; sentiamo l’urgenza di un rinnovato e continuo annuncio del Vangelo là dove sembra dilagare il vuoto di senso, la solitudine, la lontananza da Dio, non conosciuto come Amore. Sentiamo soprattutto la necessità di svegliare la coscienza missionaria di noi battezzati, di crescere, insieme con le comunità cristiane, nella consapevolezza e nella responsabilità della dignità battesimale di noi laici e di sostenerne la corresponsabilità nella vita della chiesa. Celebrare questo 50° per noi significa guardare in profondità l’oggi della storia per assumerla nello Spirito di comunione e di missione che ci è proprio. Significa interrogarci, con tutta la Compagnia Missionaria, con la Famiglia Dehoniana, con gli altri istituti e gruppi missionari, con le comunità cristiane e con i laici più sensibili all’urgenza dell’evangelizzazione, su quale sia la strada da percorrere, a quali novità di impegno e di servizio lo Spirito ci chiama. Certamente vogliamo mantenerci disponibili alle comunità parrocchiali, ma forse ci è chiesto di guardare anche verso altre realtà umane e sociali che restano ai margini o sono estranee all’esperienza di fede e di comunione della chiesa. Sentiamo rivolto personalmente e comunitariamente a noi l’invito pressante di papa Francesco di uscire verso le periferie esistenziali, sociali ed ecclesiali. Ancora oggi risuona per la Chiesa la parola di Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e questi guariranno” (Mc 16,15-18).
parleranno lingue nuove
 
Il giorno 26 novembre, a S.Antonio Abate, abbiamo celebrato l’evento dei 50 anni di missioni popolari della Compagnia Missionaria con un convegno a cui avevamo dato il titolo “Parleranno lingue nuove”, a indicare che sempre nella storia vanno trovati  linguaggi nuovi secondo i tempi e la cultura, tenendo viva la passione dell’annuncio. Il convegno vero e proprio si è tenuto nel teatro “Padre Dehon” che i padri dehoniani hanno messo a nostra disposizione. Ciò che abbiamo vissuto non è solo la ricchezza di un convegno, ma una grande festa preparata da giorni e giorni da tanti amici, amiche e familiares che ci hanno dato una mano con competenza e grande semplicità e che ci ha fatto sentire ancora di più una grande famiglia. In una rete di collaborazioni ciascuno ha trovato il suo posto nell’allestimento, nella preparazione dei cibi, negli inviti e in tanto altro!...Un vero cantiere di festa! All’inizio della giornata Luisa dà il benvenuto ai convenuti, tra cui il Vescovo di Sorrento Castellammare di Stabia e sacerdoti anche venuti da fuori, ringraziando le molte persone che hanno collaborato con noi e presentando il senso di questo evento di grazia: guardare al passato con gratitudine tenendo vigile la memoria e rivisitando con gli occhi del cuore, attraverso immagini e testimonianze, i tanti volti e le esperienze vissute insieme a laici e sacerdoti nelle missioni popolari, uniti dalla stessa passione di annunciare Cristo in ogni modo e con ogni mezzo (anche in bici…) Una passione che ha preso forza dal Concilio Vaticano II, con la riscoperta coscienza della forza del Battesimo, che ci fa tutti missionari, e della dignità laicale. Paola Berto sottolinea l’aspetto culturale e formativo del convegno come progetto culturale sostenuto dalla nostra Associazione ONLUS “Guardare lontano” e collegato al Centro culturale di Nampula dove offriamo sostegno a studenti mozambicani, privi di mezzi adeguati. Il convegno si è svolto in vari momenti : un intervento di Lucia Capriotti coordinatrice dell’attività di evangelizzazione itinerante, una lezione di Lorenzo Lattanzi, Presedente dell’associazione AIART-Marche, sull’importanza dei nuovi mezzi di comunicazione e su come educare i ragazzi ad un loro uso consapevole e moderato, la testimonianza della ballerina pittrice Simona Atzori e, a chiusura della giornata, l’intervento del Vescovo Francesco Alfano. Lucia nel suo intervento appassionato è partita dalle motivazioni che ci hanno spinte a realizzare questa giornata “Guardare lontano non è un guardare solo geograficamente; è un guardare lontano per proiettarci nel futuro.” Ricordare i cammini vissuti per scrutare il presente e coglierne le possibilità e le risposte da dare, una storia che parte dalla prima missione del 1966 e si prolunga nel tempo fino ad oggi : 297 missioni in 240 parrocchie. Storia segnata da povertà e piccolezza, eppure intessuta di incontri, cammini fatti in compagnia della gente, di tanti compagni di strada, centri di ascolto, visite alle famiglie, celebrazioni, notti in preghiera e momenti di festa… in una forte esperienza di comunione anche con altri gruppi ed Istituti in uno scambio arricchente. Un raccontare la bellezza e il fascino di cammini attenti ai cambiamenti sociali e aperti ad orizzonti sempre nuovi; un’unica cordata dove ciascuno ha potuto trovare il suo posto e mettersi in gioco. Guardando all’oggi ci conforta l’invito pressante di papa Francesco ad uscire per annunciare e portare Cristo soprattutto nelle periferie sociali ed ecclesiali, ma anche ci interroga sulla realtà ecclesiale di oggi e su come risvegliare una coscienza missionaria . Dopo l’intervento di Lucia, ci sono state risonanze, ricordi, testimonianze, note biografiche comunicate con semplicità da parte di varie persone, soprattutto parroci che hanno condiviso le missioni popolari con noi. Anche le foto proiettate per datare questa nostra storia sono state motivo di rendimento di grazie, ed anche di…emozioni! Abbiamo ricordato in particolare padre Albino ed Ausilia per la passione che li ha animati in questo servizio. Un momento formativo interessante è stata la lezione di Lorenzo Lattanzi sull’ importanza e la complessità dei mezzi di comunicazione di oggi e delle moderne tecnologie. Possono essere luoghi per annunciare il Vangelo, per educare; vere e proprie sfide educative che dobbiamo saper cogliere: come aiutare i giovani ad un uso consapevole, moderato e critico, per lasciare al mondo figli migliori, con quale stile di presenza accompagnarli. Se non le conosciamo, rischiamo di essere stritolati dalle nuove tecnologie che possono manipolare la verità. Un momento particolarmente coinvolgente è stata la testimonianza di Simona Atzori, una storia di vita raccontata anche nel suo libro “Cosa ti manca per essere felice”. Storia di vita segnata dall’amore, nata dalla scelta d’amore dei genitori, in particolare della mamma, che coglie fin dalla nascita della sua bimba la bellezza della vita, le opportunità che essa offre qualunque sia il corpo in cui si esprime, una realtà più profonda che va scoperta, che non si immagina e non si conosce senza gli occhi dell’amore. Solo l’amore permette di andare oltre le paure, gli ostacoli, i giudizi, quegli sguardi di compassione che fanno male. Simona ci parla della bellezza della vita di ogni giorno. Siamo creati per creare la nostra vita in modo unico, straordinario. Col le parole e con il sorriso che la accompagna sempre come un biglietto da visita, ci dice che si sceglie di essere felici , di festeggiare la vita. Quello che conta è il significato che diamo noi alle cose. Non siamo in balia delle onde del mare. La testimonianza semplice e gioiosa di Simona ci provoca a riflettere: quante volte non siamo vivi perché non sappiamo gioire delle piccole cose che la vita ci dona ogni giorno! Chiude il convegno l’intervento del nostro vescovo. Alla fine di questa giornata serena, bella, intensa, ci interpella con la domanda: “Signore, cosa ci stai dicendo oggi?”. E’ una domanda che dobbiamo farci ogni giorno. Non c’è situazione che non può rendere la nostra vita bella come un sorriso. Solo se conserviamo questa domanda nel cuore, possiamo vivere la missione, svegliarci e svegliare il popolo di Dio a nuove sfide, nuove attese. E’ un compito che non possiamo delegare a nessuno e tocca ognuno di noi. Se questo accade, non sono stati vani i nostri 50 anni di missioni popolare e questa stessa giornata.
messaggio della presidente
 
per il 50° anniversario delle missioni popolari Grazie a tutti e tutte per la vostra presenza che ci rallegra e ci stimola a camminare insieme lavorando per il Regno di Dio. In questi cinquant’anni abbiamo ascoltato e riconosciuto la presenza del Signore e soprattutto abbiamo accolto l’eredità di P. Albino Elegante che ci voleva davvero missionarie nella vivacità della donazione. La nostra missionarietà si esprime in vari modi, per molte di noi in modo nascosto vivendo la nostra vita come molte persone semplici, in mezzo alle contraddizioni ed alla bellezza di questo tempo, attraverso una professione in famiglia o da sole. P. Albino ha voluto anche un’espressione di missionarietà con la presenza cristiana nel tempo libero ed è per questo che abbiamo avuto una agenzia di viaggi e attualmente gestiamo una casa per ferie con questo scopo. Un aspetto importante vissuto da vari membri CM è anche la missionarietà ad gentes ed è per questo che siamo presenti in Mozambico, Guinea Bissau, Argentina, Cile ed Indonesia. Si realizza concretamente attraverso l’impegno educativo e la solidarietà con le persone nel bisogno. In tempi più recenti è stata fondata la Onlus Guardare Lontano che appoggia i progetti educativi in particolare in Africa ed in Italia. Si esprime inoltre nell’impegno dell’annuncio e soprattutto nel sentirci laiche tra laici che crescono nella consapevolezza della responsabilità di collaborare alla vita della chiesa e ad una cittadinanza attiva. Le missioni popolari sono state importanti per molte di noi che vi hanno partecipato fin dalla loro adesione iniziale alla CM. P. Albino ci voleva donne preparate e competenti anche per la predicazione e ci chiedeva di essere lampada sopra il moggio – come dice il Vangelo. Siamo grate a Dio che ci dona la gioia di celebrare questi 50 anni di impegno nella evangelizzazione itinerante e che ci stimola a cercare cammini nuovi ascoltando ciò che lo Spirito ci suggerisce attraverso le nuove sfide della storia. Vogliamo cogliere da questo momento celebrativo e dalla riflessione che ne scaturirà possibili espressioni più capaci di entrare nella vita della gente di oggi e di coglierne il desiderio di bene e di autenticità per un incontro davvero gioioso con Gesù nostro maestro e guida. Che lo Spirito sostenga i nostri propositi e ci doni nuove energie per realizzare quanto papa Francesco ci chiede attraverso l’Evangeli Gaudium che dobbiamo fare nostra e rendere realtà viva anche per noi. E che la gioia del Vangelo sia presente in noi e nei nostri volti è questo l’augurio che faccio alla piccola equipe di missionarie e familiares che con vari collaboratori porta avanti questa attività CM. Il Cuore di Cristo ci doni un cuore materno e sensibile e Maria, stella dell’evangelizzazione ci sostenga quale madre e guida della nostra famiglia. In comunione. La presidente Martina Cecini
dal sogno alla realtà
 
Fraternità accogliente A volte è bello risvegliarsi dai sogni, perché la realtà è migliore degli incubi. A volte. In genere, si dice che i sogni sono migliori della realtà e nei sogni avvengono anche i miracoli. Senza scomodare i miracoli, dovremo pur dare conto che la Provvidenza ha chiuso porta e spalancato portoni, ci ha lasciati cadere a terra, ma ci ha risollevati. E non abbiamo idea di cosa ha in mente ancora per il futuro. La carambola è cominciata nel 2013. A quei tempi, l’idea di una “fraternità accogliente” (ci siamo sempre qualificati genericamente così; ci daremo un nome quando finalmente avremo una dimora stabile), in cerca di un ubi consistar, dopo ricerche frustranti e al di fuori di queste, si era vista offrire una quanto mai allettante possibilità in quel di Pian di Venola. Per più di un anno abbiamo creduto nel sogno, destreggiandoci fra resistenze interne ed esterne. La cosa certa sembrava allora la dimora. Quella incerta, il gruppo. Anche all’interno della CM – per quanto ne so – cominciava già allora a girare l’interrogativo se aderire o no al progetto della fraternità accogliente, che prospettava una convivenza di vocazioni diverse: religiosi/e, consacrati/e, laici e laiche. Ricordo un’espressione di Dolores durante uno degli incontri “bilaterali” fra dehoniani (ITS e ITM) e CM in vista di progetti comuni: «Sarebbe una follia se la CM si sottraesse». Quando poi il gruppo si è costituito, è arrivato il primo sbarramento. Stavamo partendo – il nostro piccolo drappello – per ritirarci qualche giorno a Sottosoglio quando, mentre stavo entrando in macchina per partire, arriva la telefonata che mi chiede: «È vero che hanno venduto Pian di Venola?». Tramortisco. Risulterà vero, ma dalla proprietà (la Fondazione Opera Pia Da Via Bargellini, è bene che i nomi si sappiano) né dalla curia una sola telefonata per darci la notizia come diretti interessati o per dirci: «Il progetto finisce qui». Atteggiamento molto ecclesiastico e poco ecclesiale, che ci fa barcollare ma non mollare. Con l’autorizzazione delle autorità coinvolte, ripartiamo con la ricerca. Ci viene indicata la canonica della parrocchia di San Vitalino (Longara), che stava per essere lasciata da don Francesco Ondedei chiamato ad altro incarico. I parroci della zona (don Marco Bonfiglioli e don Franco Fiorini) danno il consenso. Date le dimensioni della canonica saremmo stati un po’ stretti, ma il sogno riparte. Verso la fine di novembre don Franco ci consegna le chiavi. Nel frattempo si era fatta avanti la diocesi di Pisa chiedendo una presenza nella casa di accoglienza per detenuti in misura alternativa per la quale era pronto un progetto. Proprio nel giorno in cui il p. provinciale dei dehoniani, p. Oliviero, si stava recando a Calci per vedere i luoghi e soprattutto incontrare le persone (ora Calci è una bella realtà avviata) arriva a me un messaggio nel quale don Franco mi chiede di restituirgli le chiavi perché non intende più dare ospitalità al nostro progetto. Dalla curia nessuna contromisura. Atteggiamento molto ecclesiastico e poco ecclesiale. Il 10 dicembre il vescovo Matteo Zuppi entra in Bologna. Dopo 30 anni di apnea si ricomincia a respirare. Per il lunedì 14 dicembre sera ci era stato dato appuntamento dal padre Provinciale dehoniano sostanzialmente per comunicarci che, dopo il nuovo voltafaccia, la Provincia ritirava il suo consenso, per quanto esplorativo, al progetto. Il nostro piccolo gruppetto, bastonato, si incontra la domenica sera per concordare la linea da tenere nell’incontro con il Provinciale. Concludiamo di chiedere coralmente un tempo supplementare, confidando che con il nuovo vescovo si potessero aprire vedute più ampie. Andando a letto, abbiamo tutti, non solo io credo, l’impressione di trovarci a percorrere l’ultimo tratto di un binario morto. La mattina del lunedì 14 vado come mio solito alla Casa della Carità per il mio turno di aiuto all’alzata. E mentre stavo per venire via – il cuore sempre morto – sr. Silvia (ma questo non si deve sapere) mi ferma e mi dice: «Ho saputo che don Franco non intende ospitarvi a San Vitalino. Perché non chiedete se si possa destinare al vostro progetto la Casa del Contadino per la quale la Parrocchia di Corticella sta da tempo cercando una destinazione?». Non credo ai miei orecchi e faccio fatica a credere al mio cuore. Chiedo un appuntamento urgente con il parroco don Luciano Bortolazzi, che me lo accorda per la sera stessa, prima che io andassi a celebrare la messa alla Casa della Carità. Don Luciano si mostra da subito aperto alla richiesta e paventa la possibilità di parlarne la sera stessa al Consiglio pastorale. Proprio mentre noi avremmo incontrato il Provinciale. Telefono subito a p. Oliviero per dirgli che sì, sappiamo bene qual è l’orientamento attuale del Direttivo, ma metti all’ordine del giorno del nostro incontro una proposta dell’ultima ora che solo stasera potrò illustrarti. All’incontro della sera, dopo una discussione indimenticabile, p. Oliviero accettò di darci e darsi un po’ di tempo per esplorare la fattibilità della soluzione Corticella. Così il 23 febbraio successivo (2016) il Consiglio pastorale e il Consiglio affari economici della parrocchia di Corticella consegnarono al parroco il parere favorevole alla destinazione della Casa del contadino al progetto della fraternità accogliente e della casa di accoglienza per detenuti in misura alternativa. Qualche mese dopo, il vescovo, il parroco, la Provincia ITS e il CEIS (che avrà l’incarico della conduzione della casa di accoglienza per detenuti) firmano un protocollo di intesa che dà il via alla progettazione architettonica affidata allo Studio Moretti. Come l’altra volta, ora che sembrava consolidarsi la prospettiva della struttura ad andare in crisi è il gruppo. Nella settimana di Sottosoglio dell’estate 2016 la famiglia Pierotti si ritira e noi ci si trova di nuovo scossi. Nell’estate 2016, dunque, comincia la lunga lavorazione per la ristrutturazione radicale della Casa del Contadino. Si sarebbe voluto consegnare la casa ristrutturata alla diocesi in occasione del Congresso eucaristico diocesano (2017) e invece tutto giace ancora incompiuto. Nel luglio 2018 si è provveduto alla fase destruens, ma al momento (fine gennaio 2019) la fase costruens non è ancora iniziata, anzi non è ancora partita la gara di appalto per l’assegnazione della commessa. Vedendo il succedersi sfibrante delle continue proroghe dei lavori, a maggio 2018 abbiamo chiesto, io e p. Maurizio, al p. Provinciale, p. Oliviero, di sondare la possibilità di una residenza temporanea per la fraternità o almeno un suo nucleo in qualche canonica della città. Il vescovo ci indirizzò a mons. Silvagni, il quale ci invitò a chiedere se don Marco Grossi, parroco di Santa Caterina al Pilastro e Sant’Andrea a Quarto Superiore, potesse metterci temporaneamente a disposizione la canonica di Quarto. Ci siamo recati da lui in gruppo nel giugno 2018 e lo abbiamo trovato benevolmente disponibile. Le condizioni della canonica, che avrebbero richiesto un intervento non soltanto di profonda pulizia, ci scoraggiarono dal raccogliere la disponibilità, visto che, in prospettiva, si sarebbe trattato comunque di un alloggio temporaneo. Abbiamo perciò sondato, a settembre, la disponibilità della comunità di Via Nosadella a ospitarci secondo certe condizioni di autonomia, ma la comunità di Nosadella non ne vedeva la fattibilità. Ora che il gruppo si era di nuovo consolidato e rafforzato, con il consenso dato dalla CM a Mariolina di inserirsi nel progetto, la coperta si scopriva dalla parte della struttura di residenza. E qui la provvidenza ha scoperto un’altra carta. Don Vittorio Zanata, parroco a San Donnino, stava per lasciare la canonica per la cessazione del suo mandato. La parrocchia di San Donnino veniva affidata alla cura pastorale di don Marco Grossi e così siamo tornati da lui con un’altra proposta: abitare temporaneamente nella canonica di San Donnino. Anche questa volta lo abbiamo trovato benevolmente disponibile. Così, con il consenso del vescovo, del parroco e del Provinciale p. Enzo Brena, che nel frattempo aveva assunto l’incarico, abbiamo incominciato ad organizzare la nostra convivenza temporanea a San Donnino. L’accoglienza che la comunità parrocchiale ci ha riservato e la simpatia con la quale ci sta accompagnando è superiore a ogni nostro merito e ogni nostro operato. Credo fermamente che sia un segno della provvidenza. Ad ogni porta che si è chiusa, un portone si è aperto. Ci siamo installati – all’insegna della precarietà – a San Donnino, dove condividiamo la vita quotidiana e domestica, restando dediti ciascuno (Elvira, Marcello, Mariolina e Maurizio; Francesco al momento deve dedicarsi alla madre ammalata) ai propri impegni. Condividere la vita quotidiana vuol dire pensare all’andamento della casa senza assumere collaboratori e nel contempo non trascurare l’inserimento nel territorio; è sorta così un’espressione spontanea di fraternità semplice. Ciascuno si è messo in gioco e ha messo a disposizione quello che sapeva già fare, ma anche attento ad apprendere dall’altro quello che sapeva fare all’incirca. È venuta fuori così una gara di solidarietà nel prevenire quello di cui l’altro avrebbe potuto aver bisogno, ma anche di comunicazione profonda e di messa in comune del nostro “essere”. La nostra attenzione non tanto ai nostri bisogni, ma soprattutto alla condivisione del nostro essere e saper fare ci ha portato a testimoniare la gioia del vivere insieme. Ogni giorno condividiamo con la comunità parrocchiale l’eucaristia del mattino, le lodi e l’adorazione la sera; la domenica proponiamo i vespri. I pochi che vivono insieme a San Donnino sono solo una minoranza-rappresentanza del gruppo più ampio, al quale partecipano (al momento) Flavia, Giuseppe, Mimma, Silvano, Martina, Serafina, Alessandro, Lorenzo. Abbiamo sempre tenuto a custodire come una specialità della nostra fraternità accoglierci secondo le modalità di adesione che sono possibili a ciascuno. Non c’è una o due sole modalità rigide di appartenenza; ciascuno partecipa per quanto gli è consentito dalle circostanze e dalle responsabilità che ciascuno si è assunto verso altri. È fondamentale che ognuno si sappia accolto e si senta invitato a dare il suo apporto perché insieme si possa crescere nella fraternità. I membri del gruppo sanno che lì è casa di tutti, tutti hanno la chiave e possono venire e sostare quando vogliono. Ogni giovedì ci troviamo tutti insieme per pregare, cenare e incontrarci intorno alla Parola di Dio o ai problemi di vita quotidiana. L’andamento a pendolo della nostra avventura ci ha portati a pagare ora il prezzo forse più alto: p. Enzo Franchini, che ha ispirato, alimentato e sostenuto (e credo lo faccia ancora) il nostro progetto e percorso non se l’è sentita di affrontare un trasferimento, tanto più se temporaneo, alla sua età e nelle sue condizioni e ha chiesto di essere inserito nella comunità di Bolognano. A Santo Stefano è stato con noi a San Donnino tutto il giorno e ci ha ancora una volta profondamente ispirati. Sono curioso di vedere quale sarà la prossima mossa della Provvidenza, perché sono fiducioso che, per quanto ci chiede, di più ci dà. Marcello
fare memoria per...
 
INCONTRO DI STUDIO E DI FESTA A BOLOGNA PER 50 ANNI DI MISSIONI POPOLARI  Insieme per celebrare 50 anni di missioni parrocchiali. Insieme per celebrare un giubileo ricco di grazia e di semina abbondante. Insieme per fare memoria, sì, perché senza di essa non c’è presente né futuro. Con questo intento ci siamo ritrovati per un Convegno organizzato nella sede della Compagnia Missionaria a Bologna il 5 novembre 2016. Erano presenti, oltre alle missionarie, amici e collaboratori di lunga data: laici, Padri Dehoniani, nostri cari fratelli e qualche sacerdote diocesano. Un significativo stimolo alla riflessione su questo evento e come guardare al futuro ci è stato offerto da Rosanna Virgili, biblista, con un linguaggio chiaro, coinvolgente e con una competenza mai ostentata e sempre convincente. Partendo dal significato biblico del termine “giubileo”, la relatrice ci ha invitate a vivere il nostro lavoro di evangelizzazione portato avanti in questi 50 anni come dono di grazia, benedizione e a trasformarlo in una libera e gioiosa offerta al Padre, Sì, perché, ha proseguito Rosanna Virgili, non siamo proprietari di quello che abbiamo fatto e che facciamo. Il dono esige di imparare a vivere la perdita di noi stessi come castità dell’amore. In quest’ottica la Virgili si è poi addentrata nel tema specifico, cioè dell’evangelizzazione fatta da donne, sottolineando che ciò ha potuto avvenire a partire dal Vaticano II e grazie ad esso. Ed è proprio a partire da questo evento di svolta nella Chiesa che le donne hanno potuto accedere agli studi biblici e teologici. Evangelizzazione portata avanti da donne Per quanto riguarda il ruolo o meglio il servizio delle donne nella Chiesa, che ha bisogno di essere ancora approfondito, ha proseguito la relatrice, abbiamo un’apposita Commissione voluta da papa Francesco per studiare la possibilità del diaconato femminile. Quindi l’evangelizzazione portata avanti da donne è ora sulla “scrivania” della Chiesa. I vostri 50 anni di missioni parrocchiali, attuate soprattutto da donne, s’inquadra in quest’ottica e ci porta ad interrogarci su quali erano i ruoli e i ministeri delle donne nella Chiesa primitiva. Rosanna Virgili si è addentrata nel NT e soprattutto Atti e Lettere paoline, con la competenza che le è propria, offrendo numerosi spunti di riflessione riguardo alla partecipazione attiva delle donne nelle prime comunità cristiane. Esempi che ci dicono come la profezia richieda coraggio e sapienza per penetrare il presente e scavare il futuro. L’interesse suscitato dalla relatrice è stato vivo, insieme al desiderio di intessere un dialogo aperto e sincero con la stessa. Il tempo non l’ha permesso perché Rosanna avendo un successivo impegno a Milano, ci ha lasciate in tutta fretta. A sua volta, la responsabile del gruppo missioni, Lucia Capriotti, ci ha fatto ripercorrere questi 50 anni di missioni parrocchiali mediante una relazione puntuale, dettagliata, stimolante riportandoci alle radici che sgorgano dal nostro carisma CM e dall’intuito profetico del nostro fondatore p. Albino Elegante s.c.j. Ce lo conferma quanto egli stesso confessò in occasione della celebrazione dei 25 anni delle missioni parrocchiali: “L’attività delle missioni al popolo è sempre stata una delle iniziative più care al mio spirito. Condotto da un misterioso richiamo, sono stato costretto a socchiudere la porta e a guardare alla moltitudine di fratelli che tendevano la mano, implorando la rigenerazione in Cristo”. E questa celebrazione giubilare l’abbiamo voluta per ricordare l’esperienza vissuta, per rendere grazie al Signore e a tutti coloro che ci hanno dato l’opportunità di realizzarla, ha sottolineato Lucia, ma anche per scrutare il presente e ascoltare ciò che la mutata realtà socio ecclesiale ci chiede e cercare possibili risposte. In 50 anni sono state animate 297 missioni in circa 240 parrocchie. Dietro a questi numeri c’è stata una semina abbondante, curata e, certe volte faticosa della Parola di Dio da parte di un pugno di donne che, con stile laicale, hanno saputo avvalersi di altri collaboratori laici, insieme alla presenza indispensabile del sacerdote, soprattutto per la celebrazione dei Sacramenti. Un cammino fatto di ascolto e di annuncio Questo servizio di evangelizzazione itinerante è stato un grande dono per coloro che l’hanno vissuto in prima persona perché impegnati in un cammino di comunione tra loro e con le stesse comunità interessate: un cammino fatto di ascolto delle persone e delle realtà sociali ed ecclesiali in continuo cambiamento; di attenzione ad offrire ciò che la Chiesa del dopo –Concilio attende e ciò di cui la società del post-moderno ha bisogno; facendosi compagni di strada e mantenendo sempre la centralità della Parola. Nella faticosa ed entusiasmante ricerca di metodi adatti, ha proseguito la relatrice, abbiamo sempre ricordato che è la povertà e la debolezza dell’annuncio che offre luce ai problemi umani, sociali ed ecclesiali, che tocca le coscienze e trasforma la vita, che converte i singoli e germina società nuove, che compone le contese e costruisce la pace. Nel corso degli anni c’è stato anche un cambio di metodo importante: non più protagonisti della missione soltanto le missionarie e p. Albino Elegante o altri sacerdoti, ma è diventato importante il coinvolgimento del consiglio pastorale o di altre persone disponibili, laici o religiose presenti in parrocchia, ha fatto notare Lucia. E questo ha fatto dilatare i tempi di preparazione della missione a volte anche di anni, ma con il vantaggio di trovare poi un “terreno” più predisposto alla semina perché più consapevole dell’evento missione nella propria parrocchia. In questo impegno di lavoro itinerante, ha rilevato ancora Lucia, ci sono state collaborazioni rivelatesi provvidenziali e arricchenti, in particolare quella con i Padri Dehoniani: una collaborazione fraterna e costruttiva che ha favorito una vera esperienza di comunione, nella stima e fiducia reciproca, nella condivisione della passione per l’annuncio dell’amore di Dio. Nel corso degli anni, soprattutto dopo il 2000, ha affermato la relatrice, nonostante il rinnovamento conciliare, si è notata una recrudescenza di clericalismo “clericale e laicale” che soffoca la spinta missionaria delle comunità locali. E allo stesso tempo, grazie allo sguardo appassionato di papa Francesco, si avverte la grande fame e sete di Dio e della sua Parola, presente anche in tanti che non la conoscono. “Celebrare il 50◦, ha concluso Lucia, significa interrogarci su quale sia la strada da percorrere, a quali novità di impegno e di servizio lo Spirito ci chiama. Forse ci è chiesto di guardare, oltre alle comunità cristiane, anche verso altre realtà umane e sociali che restano ai margini o sono estranee all’esperienza di fede e di comunione della chiesa. Non essere custodi di ceneri ma del fuoco dell’amore Nel pomeriggio è seguito un breve ma vitale intervento dell’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi con cui ha voluto incoraggiarci tutti, in sintonia con papa Francesco, a metterci in cammino, ad uscire, a vivere con una certa radicalità il Vaticano II. E questo per non scambiare l’autunno con la primavera. Convinti però che occorre una nuova conversione pastorale. Ha proseguito inoltre sottolineando con forza che l’Evangelii Gaudium ci ridà la missione popolare. Un invito quindi a non mettere il carisma in bottiglie né ad essere custodi di ceneri, ma ad alimentare il fuoco della fede, dell’amore e cercare di scoprire soggetti nelle comunità parrocchiali per l’animazione delle stesse. Oggi più che mai ci vuole coraggio, ci è chiesto il coraggio della passione e uno sguardo di misericordia. Infine, la Presidente della Compagnia Missionaria, Martina Cecini ha ringraziato tutti i partecipanti dicendo che la loro presenza è stata motivo di gioia e di stimolo a camminare insieme lavorando per il Regno di Dio. Ha proseguito dicendo che “in questi cinquant’anni abbiamo ascoltato e riconosciuto la presenza del Signore e accolto l’eredità di p. Albino Elegante che ci ha volute missionarie nella vivacità della donazione. Una missionarietà che si esprime per molte di noi in modo nascosto in mezzo alle contraddizioni e alla bellezza di questo tempo… Un aspetto importante vissuto da vari membri CM è anche la missione Ad Gentes in Mozambico, Guinea Bissau, Argentina, Cile e Indonesia mediante l’impegno educativo e alla solidarietà con le persone nel bisogno. … Vogliamo cogliere da questo momento celebrativo e dalla riflessione che ne scaturirà possibili espressioni più capaci di entrare nella vita della gente di oggi e di coglierne il desiderio di bene e di autenticità per un incontro davvero gioioso con Gesù nostro maestro e guida”. Mi pare opportuno affermare che la nota dominante, o meglio la fonte d’ispirazione che ha caratterizzato questa intensa giornata è stata l’Evangelii Gaudium, documento pastorale programmatico del Papa attuale. È lì che dobbiamo spesso ritornare per vivere quel cambiamento a cui tutti siamo chiamati. Concludo con una piccola e toccante testimonianza del Padre Generale dei Dehoniani dell’8/9/2014. Prendendomi la mano seriamente, papa Francesco mi ha detto: “Io ti chiedo molto insistentemente di promuovere lo studio della Evangelii Gaudium. Vi troverete al centro del cambiamento necessario: cambiamento della mente e del cuore”. Davvero l’esortazione apostolica e questo 50◦ celebrato possano rinnovare la nostra vita e missione con gioia, generosità e speranza.
va' e fa' uscire il mio popolo
 
Missione popolare a S. Antonio Tortal (BL) dal 10 al 17 maggio 2015 In febbraio 2002 fummo impegnate nella missione popolare a S. Antonio Tortal (BL) – 700 m. di altitudine in vista dei monti del Cadore - insieme con alcuni fratelli cappuccini provenienti dalla Parrocchia di S. Giuseppe Sposo a Bologna, a cui appartiene la nostra fraternità di via Guidotti. A parte il freddo e il ghiaccio che ogni mattina bisognava togliere dall’auto, fu un’esperienza molto positiva e interessante, per l’entusiasmo del Parroco di allora D. Francesco Prade e per la preziosa collaborazione degli animatori giovani e adulti. Con alcuni di loro si sono mantenuti alcuni contatti, soprattutto quando ci hanno comunicato avvenimenti speciali: matrimoni, nascite e l’ordinazione sacerdotale di uno dei giovani. In particolare ci è rimasta impressa nel cuore la simpatica espressione di D. Francesco, che da qualche anno è andato a riposare in Dio: “È la nuova moderna missione”. E lui di missioni in parrocchia ne aveva fatte spesso con diversi gruppi di religiosi. Un momento del musical dei ragazzi Con gioia e gratitudine, più di un anno fa, ci è giunta la richiesta di una nuova missione. Proprio gli animatori laici hanno proposto al nuovo parroco D. Egidio Dal Magro di ripetere l’esperienza della missione di cui sentivano il bisogno, per ridare nuova forza alla vita della comunità, che si trova ad affrontare, come altrove, mutate situazioni sociali e ecclesiali. Il Parroco ci ha confessato con semplicità di non aver mai fatto esperienza di missione popolare, ma uno degli animatori più impegnati, Ezechiele, è il fratello di D. Egidio e, con sua moglie Barbara, non hanno fatto fatica a convincerlo del valore dell’iniziativa. Gli altri animatori sono in parte i giovani di 13 anni fa, oggi sposati con figli. Figlio di Ezechiele e Barbara è don Marco, giovane animatore di allora che oggi è viceparroco in un paese non lontano. Quando noi missionarie abbiamo incontrato il consiglio pastorale abbiamo trovato una sorprendente disponibilità a cercare insieme metodi e iniziative per preparare la missione e per realizzarla. Bisogna notare che il D. Egidio è parroco a Trichiana (4000 abitanti) e a S. Antonio (1000 abitanti). La distanza tra i due paesi è 5 km di curve. Insomma il tempo che può dedicare a S. Antonio è limitato, nonostante il suo impegno: la gente è preoccupata che lavori troppo ed è grata per il suo servizio. In questa situazione, il consiglio pastorale, le catechiste, gli animatori dei giovani e tutti i collaboratori hanno capito che la vita della comunità è affidata, oltre che al servizio del Parroco, anche alla loro responsabilità di laici battezzati. Potremmo dire che questa missione è stata una grande testimonianza dell’importanza della corresponsabilità dei laici nella vita della chiesa e nella sua missione evangelizzatrice. Scherzando, abbiamo soprannominato Barbara “viceparroco”. Nonostante il suo lavoro presso la Scuola materna, ha avuto in mano l’organizzazione della visita alle famiglie e agli ammalati, distribuendo il lavoro alle missionarie, al missionario P. Rocco Nigro dehoniano e agli accompagnatori. Alcuni di questi hanno saputo mettere in atto strategie simpatiche e intelligenti per preparare la visita delle missionarie e predisporre le famiglie all’accoglienza. Tutti loro, alcuni più timidi, altri più intraprendenti, ci hanno testimoniato di aver vissuto un’esperienza forte, di essersi sentiti missionari, di aver imparato a conoscere di più le persone e le famiglie. Numerosi sono stati i centri di ascolto del Vangelo nelle famiglie, la sera. Molti di coloro che ospitavano hanno sentito viva la responsabilità di invitare vicini e conoscenti. Grazie a tutti loro, non ci sono state perdite di tempo, abbiamo lavorato intensamente. Domenica 10 maggio, la missione si è aperta con il mandato missionario al mattino e con due momenti molto significativi e intensi nel pomeriggio: la processione con l’immagine della Madonna del Rosario cui è seguito il musical di bambini ragazzi e giovani, registe le catechiste. Titolo del musical il tema della missione che è anche il tema dell’anno pastorale diocesano: VA’ E FA’ USCIRE IL MIO POPOLO. Mosè è stato inviato da Dio a liberare Israele e Gesù è venuto a liberarci dal peccato e dalla morte. I discepoli di Gesù sono ancora oggi inviati ad annunciare il Vangelo, buona notizia di amore e di libertà per tutti. E questo è lo scopo della missione: ridare slancio all’impegno missionario della comunità cristiana per il bene di ogni persona, dai piccoli, ai grandi, agli anziani, ai malati. Naturalmente tutta la settimana di missione ha trovato vitalità nella celebrazione e nell’adorazione eucaristica quotidiane. Nonostante il temporale – unico in una settimana piena di sole – un gruppo di anziani ha partecipato alla celebrazione eucaristica in cui è stato amministrato anche il sacramento dell’Unzione. Assemblea parrocchiale Dopo gli incontri con i giovani, con alcune famiglie giovani e le confessioni del venerdì sera, il sabato numerosi sono stati i partecipanti all’adorazione eucaristica dalle 20 alle 24, nonostante che i giovani fossero andati a vivere un’esperienza di comunione e di riflessione in montagna con il parroco. Quando già la chiesa si stava chiudendo, a mezzanotte, sono arrivati e hanno chiesto di fermarsi un po’ anche loro davanti all’Eucaristia. Veramente è stata una richiesta commovente, che Orielda ha subito esaudito, accompagnandoli nella preghiera. Domenica 17, festa delle prime comunioni, al pomeriggio la missione si è conclusa con una partecipatissima assemblea parrocchiale in cui gli animatori, alcuni giovani e ragazzi hanno pubblicamente testimoniato la ricchezza dell’esperienza vissuta e espresso desideri propositi e suggerimenti per il cammino futuro della comunità. Noi missionarie, per bocca di Orielda, che ha accompagnato la preparazione della missione, abbiamo dato la nostra testimonianza, espresso la gratitudine al Signore e a tutti coloro che hanno lavorato alla realizzazione di questa esperienza d fede, di spiritualità, di missionarietà ecclesiale. Abbiamo anche lasciato alcuni suggerimenti e incoraggiato un cammino sempre più responsabile e generoso. Testimonianze durante l'assemblea Una missione popolare non è un toccasana. Non risolve tutti i problemi della comunità. Non si fa una volta per tutte. E non è vero che sia un fuoco di paglia. Soprattutto se non è affidata solo ai missionari, ma esige l’impegno condiviso tra missionari e laici della parrocchia. È un’esperienza ecclesiale che rinnova il cammino, ridà slancio, intensifica la vita di fede, impegna a una revisione e spinge a un rinnovamento. La quotidianità rischia di far appassire la fede e l’esperienza ecclesiale. O di stressarla. La missione è come gli esercizi spirituali. Il Papa per primo li vive ogni anno. Certo una missione non si fa una volta l’anno, ma ci sono comunità che sentono spesso il bisogno di ravvivarsi.
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COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE
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