Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
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Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
ricordare per parlare lingue nuove
A Bologna il 5 novembre e a S. Antonio Abate (NA)
il 26 novembre 2016, la Compagnia Missionaria del Sacro Cuore ha realizzato due
incontri per celebrare i 50 anni di missioni popolari nelle parrocchie
italiane. È stata presentata una rilettura del vissuto con lo sguardo rivolto
al futuro.
50
anni di missioni popolari.
Questa
attività risponde al n. 16 dello Statuto della Compagnia Missionaria del Sacro
Cuore dove si legge:
“La nostra missione si esprime anche attraverso:
l'annuncio della Parola di Dio
mediante la catechesi, incontri di carattere formativo e di spiritualità, corsi
di missioni parrocchiali, preferendo luoghi e persone meno favoriti”.
Di seguito si parla della missione ad gentes, del servizio alle varie forme
di povertà, dell’animazione del tempo libero.
Abbiamo voluto celebrare questo anniversario per due motivi:
- Ricordare l’esperienza missionaria vissuta,
rileggendone il significato, per rendere grazie al Signore e a tutti coloro che
ci hanno dato l’opportunità di realizzarla;
- Scrutare il presente per ascoltare ciò che la mutata
realtà socio ecclesiale ci chiede e cercare le possibili risposte.
La testimonianza del Fondatore
Mi sembra
importante riascoltare ciò che il nostro fondatore, P. Albino Elegante scj,
ebbe a dire nella celebrazione dei 25 anni delle missioni popolari.
“Come fondatore dell’Istituto, comincerò con il dire che l’attività delle
missioni al popolo è sempre stata una delle iniziative più care al mio spirito.
Condotto da un misterioso richiamo, sono stato costretto a socchiudere la porta
e a guardare alla moltitudine dei fratelli che tendevano la mano, implorando la
rigenerazione in Cristo.
Non ho mai fatto mistero della mia ammirazione profonda per don Giovanni
Rossi, fondatore della «Pro Civitate Christiana». Tra le varie attività svolte,
soprattutto una suscitava il mio entusiasmo e polarizzava le mie simpatie: la
predicazione delle Missioni Popolari in uno stile nuovo”.
Sull’esempio
delle missioni della Pro Civitate, p. Albino impegnò se stesso e le missionarie
in questa attività, con una passione straordinaria.
La prima
missione si tenne a Bologna, nella parrocchia di S. Giuliano, a porta S.
Stefano, nel maggio 1966. Ma dobbiamo ricordare che l’evangelizzazione
itinerante era già un impegno delle missionarie, fin dai primi anni della
Compagnia Missionaria: si trattava soprattutto di incontri di formazione e
spiritualità per giovani.
In 50 anni sono
state animate 297 missioni, in 240 parrocchie. Oltre alle missioni, sono state realizzate
tante altre iniziative di evangelizzazione e spiritualità: corsi di formazione
per operatori pastorali, esercizi spirituali a gruppi e parrocchie, novene,
tridui, settimane bibliche, settimane liturgiche, settimane per le famiglie,
settimane eucaristiche, quarantore, incontri per giovani, campi scuola…
Centralità della Parola
Il servizio di
evangelizzazione itinerante attraverso le missioni popolari è sempre stato un
dono soprattutto perché impegna le missionarie in un cammino di comunione
con le comunità in cui sono chiamate a operare, di ascolto della realtà
ecclesiale e sociale in fermento e in continuo cambiamento, di attenzione
a offrire ciò che realmente la chiesa del dopo-concilio attende e ciò di cui la
società del post-moderno ha bisogno. Si è trattato e si tratta di camminare con
la gente, di farsi compagne di strada offrendo, nei modi più adatti, quella
ricchezza di cui il mondo ha fame e sete, spesso senza averne consapevolezza.
La ricchezza
che abbiamo sempre considerato indispensabile condividere con la gente è la
Parola di Dio.
Anche negli
anni ‘60-‘70, fino a metà degli anni ’80, quando spesso, da parte dei vari
gruppi anche ecclesiali, ci si chiedeva di trattare problemi di carattere
sociale, psicologico, politico, magari “usando marginalmente” la Parola di Dio per sostenere
la propria ragione, da una parte e dall’altra, abbiamo sempre mantenuto fede
alla centralità della Parola. Nella faticosa ed entusiasmante ricerca di
metodi adatti, abbiamo sempre ricordato che è la povertà e la debolezza
dell’annuncio che offre luce ai problemi umani, sociali ed ecclesiali, che
tocca le coscienze e trasforma la vita, che converte i singoli e germina
società nuove, che compone le contese e costruisce la pace.
Per molti anni…
… protagonisti
della missione erano le missionarie con p. Elegante o altri sacerdoti.
Naturalmente la missione era preceduta da un tempo e da alcune iniziative di
preparazione in collaborazione con i laici impegnati della parrocchia.
Con il passare
del tempo, è diventato sempre più importante il coinvolgimento del consiglio
pastorale e di altre persone disponibili, laici e religiose presenti in
parrocchia. I tempi di preparazione si sono dilatati, a volte anche per due o
tre anni. Iniziative di questo periodo erano la formulazione di un questionario
per le famiglie o addirittura per singoli adulti e giovani; formulazione della
preghiera per la missione; pellegrinaggi; ritiri; incontri formativi per gli
animatori; divisione della parrocchia in zone; per ogni zona venivano
incaricati uno o più animatori che consegnavano prima i questionari e poi il
programma della missione; individuazione degli ambienti dove tenere i centri di
ascolto serali, quasi sempre ambienti familiari, ma anche sale condominiali,
uffici, autoscuola, retrobottega, capannoni industriali, garage, bar;
preparazione delle liste delle famiglie da visitare per ogni zona.
Durante la
missione, l’impegno maggiore delle missionarie consisteva nella visita alle
famiglie, ogni missionaria in una zona; la sera la missionaria faceva la
catechesi nel centro di ascolto dove si riunivano le famiglie, per tre sere di
seguito; sempre a partire dall’ascolto della Parola di Dio, al prima sera si
teneva la catechesi sul battesimo, la seconda sulla confessione; la terza sera,
un sacerdote celebrava l’eucaristia nel centro di ascolto e la missionaria
teneva la catechesi sull’eucaristia; si concludeva con un momento di festa e di
condivisione.
A seconda della
dimensione della parrocchia, la missione durava otto, undici o anche quindici
giorni. La missione si apriva con la celebrazione del mandato alle missionarie
e al missionario, spesso da parte del Vescovo, o del parroco. Naturalmente non
mancavano incontri per coppie, per gruppi parrocchiali, per giovani, per bambini
e ragazzi, per anziani; incontri vocazionali; celebrazioni per anziani e malati
con l’unzione degli infermi; celebrazioni penitenziali; celebrazione e
adorazione eucaristica quotidiana; adorazione notturna nell’ultima notte;
processioni, via crucis, fiaccolate a seconda dei tempi liturgici. La missione
si concludeva con l’assemblea di tutta la comunità, durante la quale il gruppo
missionario relazionava sul lavoro svolto, offrendo anche suggerimenti e
propositi; gli animatori presentavano la loro testimonianza e le loro proposte
per il cammino futuro della comunità. Quindi la conclusione del Parroco.
Collaborazione con altri gruppi
Abbiamo sempre
voluto essere attente ai mutamenti sociali, all’evolversi della sensibilità e
delle esigenze sociali ed ecclesiali e anche alle esperienze di altri gruppi
impegnati nella stessa attività delle missioni popolari.
Il numero delle
missionarie impegnate in questo servizio non è mai stato molto grande, anche se
hanno partecipato missionarie che vivono in fraternità e anche missionarie che
vivono in famiglia. È stato quindi naturale chiedere la collaborazione di altri
gruppi. E anche noi abbiamo partecipato a missioni organizzate da gruppi
religiosi. Mi piace ricordare la collaborazione con le missionarie dell’Immacolata,
con le missionarie Saveriane, con Passionisti, con i Domenicani, con i
Sacramentini, con i Minori, con i Cappuccini.
In particolare
pensiamo con profonda gratitudine alla collaborazione fraterna e costruttiva
vissuta nelle missioni popolari con i Padri Dehoniani. Una vera esperienza di
comunione, nella stima e nella fiducia reciproca, di condivisione della
passione per l’annuncio dell’Amore di Dio, per l’avvento del Regno. In 50 anni,
oltre a p. Albino Elegante, hanno partecipato alle missioni popolari della
Compagnia Missionaria 34 p. Dehoniani dell’Italia Settendrionale e 11 dell’Italia
Meridionale. Mi permetto un ricordo personale colmo di gratitudine: grazie
all’evangelizzazione itinerante e grazie a p. Enrico Massetti, dehoniano della
provincia dell’Italia Meridionale, ho incontrato la Compagnia Missionaria.
Quando le
diocesi di Bologna e di Roma decisero di preparare l’anno santo del 2000 con le
missioni nelle parrocchie, il nostro gruppo fu coinvolto nel lavoro di
preparazione insieme con altri gruppi.
Queste
collaborazioni si sono rivelate provvidenziali e arricchenti. Insieme abbiamo
ascoltato le realtà ecclesiali alle quali eravamo inviati, ci siamo scambiati
le esperienze e le competenze, abbiamo accolto suggerimenti e sollecitazioni
reciproche, scoperto modalità diverse, imparato a lavorare insieme per il
Regno.
Servizio più impegnativo
In questo
percorso di riflessione, di collaborazione, di ricerca comune di una missione
evangelizzatrice più rispondente alla realtà sociale ed ecclesiale, sempre di
più è cresciuta la consapevolezza che la missione non può avere come
protagonista il gruppo missionario e come destinataria la popolazione che abita
nel territorio di una parrocchia. Già in passato il nostro essere missionarie
laiche impegnate ad annunciare il Vangelo, anche nelle liturgie, era
testimonianza viva della rivoluzione operata dal Concilio, soprattutto per
quanto riguarda l’apostolato dei laici e la loro corresponsabilità nella vita
della comunità ecclesiale, la loro missione profetica che scaturisce dal
Battesimo.
In seguito
abbiamo sentito sempre più urgente la necessità di coinvolgere nella missione i
laici della parrocchia, non solo nelle iniziative di preparazione, ma nello
stesso svolgimento, cioè nell’annuncio del Vangelo, nelle famiglie e nei centri
di ascolto.
E qui il nostro
servizio è diventato più impegnativo e anche più difficile.
Troppo spesso,
potremmo dire oggi più di ieri, le comunità che chiedono la missione si
aspettano che le missionarie vadano a convertire quelli che non vengono in
chiesa; pensano che i cosiddetti credenti praticanti e gli operatori pastorali
non abbiamo bisogno della missione, ma ne siano solo gli organizzatori; hanno
grande difficoltà a sentirsi e a sentirsi ciò che sono: comunità missionarie.
Per noi, invece, è diventato essenziale stimolare la parrocchia a riscoprire e
assumere con rinnovato impegno la missione evangelizzatrice, a entrare in stato
di missione permanente. Per questo è importantissimo il cammino formativo
missionario per i laici della parrocchia, per le famiglie, per i giovani, per
gli stessi operatori pastorali. Allora l’esperienza condivisa di
evangelizzazione diventa un momento di crescita nella comunione e nell’apertura
missionaria delle persone e della comunità.
Sentiamo che ci
appartiene profondamente ciò che il Papa scrive nell’Evangelii Gaudium 120 e
121: In virtù del Battesimo ricevuto,
ogni membro del Popolo di Dio è diventato discepolo missionario (cfr Mt 28,19).
Ciascun battezzato, qualunque sia la sua funzione nella Chiesa e il grado di
istruzione della sua fede, è un soggetto attivo di evangelizzazione… Certamente
tutti noi siamo chiamati a crescere come evangelizzatori.
Mi piace
ricordare un’esperienza straordinaria vissuta nel 2015, a S. Antonio Tortal
(BL) diocesi di Vittorio Veneto, dove la missione (già sperimentata nel 2002),
è stata voluta dai laici e loro stessi ne hanno assunto la responsabilità dello
svolgimento, insieme con il gruppo missionario.
Grazie al
cammino ecclesiale di alcuni gruppi e movimenti, già negli anni 90 abbiamo trovato la collaborazione di laici
entusiasti di impegnarsi in questo servizio di evangelizzazione, non solo nella
propria parrocchia, ma anche altrove. E anche alcuni familiares della Compagnia
Missionaria, a seconda delle possibilità, si sono coinvolti con passione.
Così il gruppo
missionario si è arricchito di una fisionomia molteplice: missionarie e
familiares, sacerdoti dehoniani e religiosi di varie congregazioni, laici di
varie realtà ecclesiali, anche in coppia.
Tra fedeltà e novità
Anche lo
svolgimento della missione popolare ha preso una fisionomia diversa, pur
mantenendo alcuni aspetti fondamentali.
Per missione
popolare non si è più inteso la missione al popolo, ma un popolo in missione:
protagonista non è più il gruppo missionario, ma la comunità parrocchiale con
la collaborazione del gruppo missionario.
La missione si
apre con il mandato ai missionari “esterni” e ai missionari della parrocchia,
che sono l’espressione più avanzata della comunità missionaria.
Ciò che è
restato fondamentale per noi è l’incontro con le persone e con le famiglie.
Anche in questo aspetto ci conforta e motiva la parola del Papa: “Si tratta di portare il Vangelo alle persone
con cui ciascuno ha a che fare, tanto ai più vicini quanto agli sconosciuti. È
la predicazione informale che si può realizzare durante una conversazione ed è
anche quella che attua un missionario quando visita una casa […]
In questa predicazione, sempre rispettosa e gentile, il primo momento
consiste in un dialogo personale, in cui l’altra persona si esprime e condivide
le sue gioie, le sue speranze, le preoccupazioni per i suoi cari e tante cose
che riempiono il suo cuore. Solo dopo tale conversazione è possibile presentare
la Parola, sia con la lettura di qualche passo della Scrittura o in modo
narrativo, ma sempre ricordando l’annuncio fondamentale: l’amore personale di
Dio che si è fatto uomo, ha dato sé stesso per noi e, vivente, offre la sua salvezza
e la sua amicizia.” (E.G. 127-128).
Questo viene
fatto dai laici della parrocchia con i missionari, a volte lo fanno anche senza
la presenza dei missionari. Altra iniziativa che abbiamo sempre voluto
mantenere sono i centri di ascolto del Vangelo, anche per piccoli gruppi di
famiglie. Da molto tempo il nostro impegno è quello di preparare i laici della
parrocchia per guidarli. Da molti anni, grazie all’incontro con i Padri di Rho,
non proponiamo più le catechesi, ma la lectio divina. Anche nell’ultima
missione, a Padova, nella Parrocchia del SS. Crocifisso, la lectio divina nei
centri di ascolto è stata guidata anche da laici della parrocchia.
Esperienza che ridà slancio al cammino
Naturalmente,
la programmazione della missione tiene sempre conto della situazione sociale
culturale e ecclesiale e delle esigenze della popolazione. Ancora oggi sentiamo
importante l’assemblea conclusiva, come momento in cui la comunità cristiana
contempla l’esperienza vissuta, rende grazie al Signore, cerca, anche con l’aiuto
del gruppo missionario, le vie di un cammino rinnovato e di una maggiore
apertura missionaria.
Al termine
della missione a S. Antonio Tortal, lo scorso anno, scrivevo:
“Una missione
popolare non è un toccasana. Non risolve i problemi della comunità. Non si fa
una volta per tutte. E non è vero che sia un fuoco di paglia. Soprattutto se
non è affidata solo ai missionari, ma è realizzata nell’impegno condiviso tra
missionari e laici della parrocchia. È un’esperienza ecclesiale che rinnova il
cammino, ridà slancio, intensifica la vita di fede, impegna a una revisione e
spinge a un rinnovamento. La quotidianità rischia di far appassire la fede e
l’esperienza ecclesiale. O di stressarla. La missione è come gli esercizi
spirituali. Il Papa per primo li vive ogni anno. Certo una missione non si fa
una volta l’anno, ma ci sono comunità che sentono spesso il bisogno di
ravvivarsi”.
Timori e gioie
Dopo il 2000,
le richieste di missioni da parte delle parrocchie è molto diminuita.
Contemporaneamente anche noi missionarie ci siamo orientate a un maggiore
inserimento nel territorio e distribuite in località distanti.
Non sono
mancate richieste diverse: non missioni popolari ma animazione di novene,
tridui, esercizi spirituali parrocchiali, quarantore, accompagnamento e
formazione di gruppi ecclesiali.
Ci sembra di
cogliere una progressiva chiusura delle comunità parrocchiali, anche dove c’è
una buona progettualità pastorale. Una pastorale ordinaria e troppo spesso
tradizionale, povera di spinta missionaria, che risente della difficoltà a
uscire verso realtà umane che sono sempre più lontane, indifferenti e
sofferenti. Una pastorale di mantenimento, in difesa, più che in apertura e in
uscita.
Nonostante il
rinnovamento conciliare e il magistero dei pontefici, in particolare di papa
Francesco e la sua testimonianza, in quest’alba del terzo millennio, a più di
50 anni dal Concilio, ci sembra di vedere una recrudescenza di clericalismo
“clericale e laicale” che soffoca la spinta missionaria delle comunità
ecclesiali. (cf E.G. 102)
In tutti questi
anni, però, noi stesse abbiamo vissuto quella gioia di cui il Papa parla: Vedo con piacere come molte donne
condividono responsabilità pastorali insieme con i sacerdoti, danno il loro
contributo per l’accompagnamento di persone, di famiglie o di gruppi ed offrono
nuovi apporti alla riflessione teologica. Ma c’è ancora bisogno di allargare
gli spazi per una presenza femminile più incisiva nella Chiesa. (E.G. 103).
Uscire ancora
In questi anni,
dunque, anche grazie proprio allo sguardo appassionato di papa Francesco,
scopriamo la grande fame e sete di Dio e della sua Parola, presente anche in
tanti che non la riconoscono; sentiamo l’urgenza di un rinnovato e continuo
annuncio del Vangelo là dove sembra dilagare il vuoto di senso, la solitudine,
la lontananza da Dio, non conosciuto come Amore.
Sentiamo
soprattutto la necessità di svegliare la coscienza missionaria di noi
battezzati, di crescere, insieme con le
comunità cristiane, nella consapevolezza e nella responsabilità della dignità
battesimale di noi laici e di sostenerne la corresponsabilità nella vita della
chiesa.
Celebrare
questo 50° per noi significa guardare in profondità l’oggi della storia per
assumerla nello Spirito di comunione e di missione che ci è proprio. Significa
interrogarci, con tutta la Compagnia Missionaria, con la Famiglia Dehoniana,
con gli altri istituti e gruppi missionari, con le comunità cristiane e con i
laici più sensibili all’urgenza dell’evangelizzazione, su quale sia la strada
da percorrere, a quali novità di impegno e di servizio lo Spirito ci chiama.
Certamente
vogliamo mantenerci disponibili alle comunità parrocchiali, ma forse ci è
chiesto di guardare anche verso altre realtà umane e sociali che restano ai
margini o sono estranee all’esperienza di fede e di comunione della chiesa.
Sentiamo
rivolto personalmente e comunitariamente a noi l’invito pressante di papa
Francesco di uscire verso le periferie esistenziali, sociali ed ecclesiali.
Ancora oggi
risuona per la Chiesa la parola di Gesù: “Andate in tutto il mondo e proclamate
il Vangelo a ogni creatura. Chi crederà e sarà battezzato sarà salvato, ma chi
non crederà sarà condannato. Questi saranno i segni che accompagneranno quelli
che credono: nel mio nome scacceranno demoni, parleranno lingue nuove, prenderanno in mano serpenti e, se
berranno qualche veleno, non recherà loro danno; imporranno le mani ai malati e
questi guariranno” (Mc 16,15-18).
parleranno lingue nuove
Il giorno 26 novembre, a S.Antonio Abate, abbiamo celebrato
l’evento dei 50 anni di missioni popolari della Compagnia Missionaria con un
convegno a cui avevamo dato il titolo “Parleranno lingue nuove”, a indicare che
sempre nella storia vanno trovati
linguaggi nuovi secondo i tempi e la cultura, tenendo viva la passione
dell’annuncio. Il convegno vero e proprio si è tenuto nel teatro “Padre Dehon”
che i padri dehoniani hanno messo a nostra disposizione. Ciò che abbiamo
vissuto non è solo la ricchezza di un convegno, ma una grande festa preparata
da giorni e giorni da tanti amici, amiche e familiares che ci hanno dato una mano con competenza e grande
semplicità e che ci ha fatto sentire
ancora di più una grande famiglia. In
una rete di collaborazioni ciascuno ha trovato il suo posto nell’allestimento,
nella preparazione dei cibi, negli inviti e in tanto altro!...Un vero cantiere
di festa!
All’inizio della giornata Luisa dà il benvenuto ai convenuti,
tra cui il Vescovo di Sorrento Castellammare di Stabia e sacerdoti anche venuti
da fuori, ringraziando le molte persone che hanno collaborato con noi e presentando il senso di questo evento di grazia: guardare al passato
con gratitudine tenendo vigile la memoria e rivisitando con gli occhi del
cuore, attraverso immagini e testimonianze, i tanti volti e le esperienze
vissute insieme a laici e sacerdoti
nelle missioni popolari, uniti dalla
stessa passione di annunciare Cristo in ogni modo e con ogni mezzo (anche in
bici…) Una passione che ha preso forza dal Concilio Vaticano II, con la riscoperta coscienza della forza del
Battesimo, che ci fa tutti missionari, e della dignità laicale.
Paola Berto sottolinea l’aspetto culturale e formativo del
convegno come progetto culturale sostenuto dalla nostra Associazione ONLUS “Guardare lontano” e collegato al Centro
culturale di Nampula dove offriamo sostegno a studenti mozambicani, privi di mezzi adeguati.
Il convegno si è svolto in vari momenti : un intervento
di Lucia Capriotti coordinatrice
dell’attività di evangelizzazione itinerante, una lezione di Lorenzo Lattanzi,
Presedente dell’associazione AIART-Marche, sull’importanza dei nuovi mezzi di
comunicazione e su come educare i
ragazzi ad un loro uso consapevole e moderato, la testimonianza della ballerina
pittrice Simona Atzori e, a chiusura della giornata, l’intervento del Vescovo Francesco Alfano.
Lucia nel suo intervento appassionato è partita dalle motivazioni che ci hanno spinte a
realizzare questa giornata “Guardare
lontano non è un guardare solo geograficamente; è un guardare lontano per
proiettarci nel futuro.” Ricordare i
cammini vissuti per scrutare il presente e coglierne le possibilità e le risposte da dare, una storia che parte dalla prima missione del
1966 e si prolunga nel tempo fino ad oggi : 297 missioni in 240
parrocchie. Storia segnata da povertà e
piccolezza, eppure intessuta di incontri, cammini fatti in compagnia della gente, di tanti compagni di strada, centri di
ascolto, visite alle famiglie, celebrazioni, notti in preghiera e momenti di festa… in una forte esperienza di
comunione anche con altri gruppi ed Istituti in uno scambio arricchente. Un raccontare la bellezza e il fascino di cammini attenti ai cambiamenti sociali e aperti ad orizzonti sempre nuovi; un’unica cordata dove ciascuno ha potuto
trovare il suo posto e mettersi in gioco. Guardando all’oggi ci conforta l’invito pressante di papa Francesco ad
uscire per annunciare e portare Cristo
soprattutto nelle periferie sociali ed ecclesiali, ma anche ci interroga sulla
realtà ecclesiale di oggi e su come
risvegliare una coscienza missionaria .
Dopo l’intervento di Lucia, ci sono state risonanze, ricordi,
testimonianze, note biografiche comunicate con semplicità da parte di varie persone, soprattutto parroci che hanno condiviso le missioni popolari con noi. Anche le foto
proiettate per datare questa nostra storia sono state motivo di rendimento di grazie, ed anche di…emozioni! Abbiamo
ricordato in particolare padre Albino ed
Ausilia per la passione che li ha animati in questo servizio.
Un momento formativo interessante è stata la lezione di
Lorenzo Lattanzi sull’ importanza e la complessità dei mezzi di comunicazione
di oggi e delle moderne tecnologie. Possono essere luoghi per annunciare il
Vangelo, per educare; vere e proprie sfide educative che dobbiamo saper
cogliere: come aiutare i giovani ad un
uso consapevole, moderato e critico, per
lasciare al mondo figli migliori, con quale stile di presenza accompagnarli. Se non le conosciamo, rischiamo di essere
stritolati dalle nuove tecnologie che
possono manipolare la verità.
Un momento particolarmente coinvolgente è stata la testimonianza di Simona Atzori, una storia di vita raccontata anche nel suo
libro “Cosa ti manca per essere felice”. Storia di vita segnata dall’amore,
nata dalla scelta d’amore dei genitori, in particolare della mamma, che coglie
fin dalla nascita della sua bimba la bellezza della vita, le opportunità che
essa offre qualunque sia il corpo in cui si esprime, una realtà più profonda
che va scoperta, che non si immagina e non si conosce senza gli occhi
dell’amore. Solo l’amore permette di andare oltre le paure, gli ostacoli, i
giudizi, quegli sguardi di compassione che fanno male. Simona ci parla della
bellezza della vita di ogni giorno.
Siamo creati per creare la nostra vita in modo unico, straordinario. Col le
parole e con il sorriso che la
accompagna sempre come un biglietto da visita, ci dice che si sceglie di essere
felici , di festeggiare la vita. Quello che conta è il significato che diamo
noi alle cose. Non siamo in balia delle onde del mare. La testimonianza
semplice e gioiosa di Simona ci provoca a riflettere: quante volte non siamo
vivi perché non sappiamo gioire delle piccole cose che la vita ci dona ogni
giorno!
Chiude il convegno l’intervento del nostro vescovo. Alla fine
di questa giornata serena, bella, intensa, ci interpella con la domanda:
“Signore, cosa ci stai dicendo oggi?”. E’ una domanda che dobbiamo farci ogni
giorno. Non c’è situazione che non può rendere la nostra vita bella come un
sorriso. Solo se conserviamo questa domanda nel cuore, possiamo vivere la missione,
svegliarci e svegliare il popolo di Dio a nuove sfide, nuove attese. E’ un
compito che non possiamo delegare a nessuno e tocca ognuno di noi. Se questo
accade, non sono stati vani i nostri 50 anni di missioni popolare e questa
stessa giornata.
messaggio della presidente
per il 50° anniversario delle missioni popolari
Grazie a tutti e tutte per la
vostra presenza che ci rallegra e ci stimola a camminare insieme lavorando per
il Regno di Dio.
In questi cinquant’anni abbiamo
ascoltato e riconosciuto la presenza del Signore e soprattutto abbiamo accolto
l’eredità di P. Albino Elegante che ci voleva davvero missionarie nella
vivacità della donazione.
La nostra missionarietà si
esprime in vari modi, per molte di noi in modo nascosto vivendo la nostra vita
come molte persone semplici, in mezzo alle contraddizioni ed alla bellezza di
questo tempo, attraverso una professione in famiglia o da sole.
P. Albino ha voluto anche
un’espressione di missionarietà con la presenza cristiana nel tempo libero ed è
per questo che abbiamo avuto una agenzia di viaggi e attualmente gestiamo una
casa per ferie con questo scopo.
Un aspetto importante vissuto
da vari membri CM è anche la missionarietà ad gentes ed è per questo che siamo
presenti in Mozambico, Guinea Bissau, Argentina, Cile ed Indonesia. Si realizza
concretamente attraverso l’impegno
educativo e la solidarietà con le persone nel bisogno. In tempi più recenti è
stata fondata la Onlus Guardare Lontano che appoggia i progetti educativi in
particolare in Africa ed in Italia.
Si esprime inoltre nell’impegno
dell’annuncio e soprattutto nel sentirci laiche tra laici che crescono nella
consapevolezza della responsabilità di collaborare alla vita della chiesa e ad
una cittadinanza attiva.
Le missioni popolari sono state
importanti per molte di noi che vi hanno
partecipato fin dalla loro adesione iniziale alla CM. P. Albino ci voleva donne preparate e
competenti anche per la predicazione e ci chiedeva di essere lampada sopra il
moggio – come dice il Vangelo. Siamo grate a Dio che ci dona la gioia di
celebrare questi 50 anni di impegno nella evangelizzazione itinerante e che ci
stimola a cercare cammini nuovi ascoltando ciò che lo Spirito ci suggerisce
attraverso le nuove sfide della storia. Vogliamo cogliere da questo momento
celebrativo e dalla riflessione che ne scaturirà possibili espressioni più
capaci di entrare nella vita della gente di oggi e di coglierne il desiderio di
bene e di autenticità per un incontro davvero gioioso con Gesù nostro maestro e
guida.
Che lo Spirito sostenga i
nostri propositi e ci doni nuove energie per realizzare quanto papa Francesco
ci chiede attraverso l’Evangeli Gaudium che dobbiamo fare nostra e rendere
realtà viva anche per noi.
E che la gioia del Vangelo sia
presente in noi e nei nostri volti è questo l’augurio che faccio alla piccola
equipe di missionarie e familiares che con vari collaboratori porta avanti
questa attività CM.
Il Cuore di Cristo ci doni un
cuore materno e sensibile e Maria, stella dell’evangelizzazione ci sostenga
quale madre e guida della nostra famiglia.
In
comunione.
La presidente
Martina Cecini
dal sogno alla realtà
Fraternità
accogliente
A volte è bello risvegliarsi dai sogni, perché la realtà è
migliore degli incubi. A volte. In genere, si dice che i sogni sono migliori
della realtà e nei sogni avvengono anche i miracoli.
Senza scomodare i miracoli, dovremo pur dare conto che la
Provvidenza ha chiuso porta e spalancato portoni, ci ha lasciati cadere a
terra, ma ci ha risollevati. E non abbiamo idea di cosa ha in mente ancora per
il futuro.
La carambola è cominciata nel 2013. A quei tempi, l’idea di una
“fraternità accogliente” (ci siamo sempre qualificati genericamente così; ci
daremo un nome quando finalmente avremo una dimora stabile), in cerca di un ubi consistar, dopo ricerche frustranti
e al di fuori di queste, si era vista offrire una quanto mai allettante
possibilità in quel di Pian di Venola.
Per più di un anno abbiamo creduto nel sogno, destreggiandoci fra
resistenze interne ed esterne. La cosa certa sembrava allora la dimora. Quella
incerta, il gruppo. Anche all’interno della CM – per quanto ne so – cominciava
già allora a girare l’interrogativo se aderire o no al progetto della
fraternità accogliente, che prospettava una convivenza di vocazioni diverse:
religiosi/e, consacrati/e, laici e laiche. Ricordo un’espressione di Dolores
durante uno degli incontri “bilaterali” fra dehoniani (ITS e ITM) e CM in vista
di progetti comuni: «Sarebbe una follia se la CM si sottraesse».
Quando poi il gruppo si è costituito, è arrivato il primo
sbarramento. Stavamo partendo – il nostro piccolo drappello – per ritirarci
qualche giorno a Sottosoglio quando, mentre stavo entrando in macchina per
partire, arriva la telefonata che mi chiede: «È vero che hanno venduto Pian di
Venola?». Tramortisco. Risulterà vero, ma dalla proprietà (la Fondazione Opera
Pia Da Via Bargellini, è bene che i nomi si sappiano) né dalla curia una sola
telefonata per darci la notizia come diretti interessati o per dirci: «Il
progetto finisce qui».
Atteggiamento molto ecclesiastico e poco ecclesiale, che ci fa
barcollare ma non mollare. Con l’autorizzazione delle autorità coinvolte,
ripartiamo con la ricerca. Ci viene indicata la canonica della parrocchia di
San Vitalino (Longara), che stava per essere lasciata da don Francesco Ondedei
chiamato ad altro incarico. I parroci della zona (don Marco Bonfiglioli e don
Franco Fiorini) danno il consenso. Date le dimensioni della canonica saremmo
stati un po’ stretti, ma il sogno riparte. Verso la fine di novembre don Franco
ci consegna le chiavi.
Nel frattempo si era fatta avanti la diocesi di Pisa chiedendo una
presenza nella casa di accoglienza per detenuti in misura alternativa per la
quale era pronto un progetto. Proprio nel giorno in cui il p. provinciale dei
dehoniani, p. Oliviero, si stava recando a Calci per vedere i luoghi e
soprattutto incontrare le persone (ora Calci è una bella realtà avviata) arriva
a me un messaggio nel quale don Franco mi chiede di restituirgli le chiavi
perché non intende più dare ospitalità al nostro progetto. Dalla curia nessuna
contromisura. Atteggiamento molto ecclesiastico e poco ecclesiale.
Il 10 dicembre il vescovo Matteo Zuppi entra in Bologna. Dopo 30
anni di apnea si ricomincia a respirare. Per il lunedì 14 dicembre sera ci era
stato dato appuntamento dal padre Provinciale dehoniano sostanzialmente per
comunicarci che, dopo il nuovo voltafaccia, la Provincia ritirava il suo
consenso, per quanto esplorativo, al progetto. Il nostro piccolo gruppetto,
bastonato, si incontra la domenica sera per concordare la linea da tenere
nell’incontro con il Provinciale. Concludiamo di chiedere coralmente un tempo
supplementare, confidando che con il nuovo vescovo si potessero aprire vedute
più ampie. Andando a letto, abbiamo tutti, non solo io credo, l’impressione di
trovarci a percorrere l’ultimo tratto di un binario morto.
La mattina del lunedì 14 vado come mio solito alla Casa della
Carità per il mio turno di aiuto all’alzata. E mentre stavo per venire via – il
cuore sempre morto – sr. Silvia (ma questo non si deve sapere) mi ferma e mi
dice: «Ho saputo che don Franco non intende ospitarvi a San Vitalino. Perché
non chiedete se si possa destinare al vostro progetto la Casa del Contadino per
la quale la Parrocchia di Corticella sta da tempo cercando una destinazione?».
Non credo ai miei orecchi e faccio fatica a credere al mio cuore.
Chiedo un appuntamento urgente con il parroco don Luciano Bortolazzi, che me lo
accorda per la sera stessa, prima che io andassi a celebrare la messa alla Casa
della Carità. Don Luciano si mostra da subito aperto alla richiesta e paventa
la possibilità di parlarne la sera stessa al Consiglio pastorale. Proprio
mentre noi avremmo incontrato il Provinciale. Telefono subito a p. Oliviero per
dirgli che sì, sappiamo bene qual è l’orientamento attuale del Direttivo, ma
metti all’ordine del giorno del nostro incontro una proposta dell’ultima ora
che solo stasera potrò illustrarti.
All’incontro della sera, dopo una discussione indimenticabile, p.
Oliviero accettò di darci e darsi un po’ di tempo per esplorare la fattibilità
della soluzione Corticella. Così il 23 febbraio successivo (2016) il Consiglio
pastorale e il Consiglio affari economici della parrocchia di Corticella
consegnarono al parroco il parere favorevole alla destinazione della Casa del
contadino al progetto della fraternità accogliente e della casa di accoglienza
per detenuti in misura alternativa. Qualche mese dopo, il vescovo, il parroco,
la Provincia ITS e il CEIS (che avrà l’incarico della conduzione della casa di
accoglienza per detenuti) firmano un protocollo di intesa che dà il via alla
progettazione architettonica affidata allo Studio Moretti.
Come l’altra volta, ora che sembrava consolidarsi la prospettiva
della struttura ad andare in crisi è il gruppo. Nella settimana di Sottosoglio
dell’estate 2016 la famiglia Pierotti si ritira e noi ci si trova di nuovo
scossi.
Nell’estate 2016, dunque, comincia la lunga lavorazione per la
ristrutturazione radicale della Casa del Contadino. Si sarebbe voluto
consegnare la casa ristrutturata alla diocesi in occasione del Congresso
eucaristico diocesano (2017) e invece tutto giace ancora incompiuto. Nel luglio
2018 si è provveduto alla fase destruens,
ma al momento (fine gennaio 2019) la fase costruens
non è ancora iniziata, anzi non è ancora partita la gara di appalto per
l’assegnazione della commessa.
Vedendo il succedersi sfibrante delle continue proroghe dei
lavori, a maggio 2018 abbiamo chiesto, io e p. Maurizio, al p. Provinciale, p.
Oliviero, di sondare la possibilità di una residenza temporanea per la
fraternità o almeno un suo nucleo in qualche canonica della città. Il vescovo
ci indirizzò a mons. Silvagni, il quale ci invitò a chiedere se don Marco
Grossi, parroco di Santa Caterina al Pilastro e Sant’Andrea a Quarto Superiore,
potesse metterci temporaneamente a disposizione la canonica di Quarto.
Ci siamo recati da lui in gruppo nel giugno 2018 e lo abbiamo
trovato benevolmente disponibile. Le condizioni della canonica, che avrebbero
richiesto un intervento non soltanto di profonda pulizia, ci scoraggiarono dal
raccogliere la disponibilità, visto che, in prospettiva, si sarebbe trattato
comunque di un alloggio temporaneo.
Abbiamo perciò sondato, a settembre, la disponibilità della
comunità di Via Nosadella a ospitarci secondo certe condizioni di autonomia, ma
la comunità di Nosadella non ne vedeva la fattibilità.
Ora che il gruppo si era di nuovo consolidato e rafforzato, con il
consenso dato dalla CM a Mariolina
di inserirsi nel progetto, la coperta si scopriva dalla parte della struttura
di residenza. E qui la provvidenza ha scoperto un’altra carta. Don Vittorio
Zanata, parroco a San Donnino, stava per lasciare la canonica per la cessazione
del suo mandato. La parrocchia di San Donnino veniva affidata alla cura pastorale
di don Marco Grossi e così siamo tornati da lui con un’altra proposta: abitare
temporaneamente nella canonica di San Donnino. Anche questa volta lo abbiamo
trovato benevolmente disponibile.
Così, con il consenso del vescovo, del parroco e del Provinciale
p. Enzo Brena, che nel frattempo aveva assunto l’incarico, abbiamo incominciato
ad organizzare la nostra convivenza temporanea a San Donnino.
L’accoglienza che la comunità parrocchiale ci ha riservato e la
simpatia con la quale ci sta accompagnando è superiore a ogni nostro merito e
ogni nostro operato. Credo fermamente che sia un segno della provvidenza.
Ad ogni porta che si è chiusa, un portone si è aperto. Ci siamo
installati – all’insegna della precarietà – a San Donnino, dove condividiamo la
vita quotidiana e domestica, restando dediti ciascuno (Elvira, Marcello,
Mariolina e Maurizio; Francesco al momento deve dedicarsi alla madre ammalata)
ai propri impegni.
Condividere la vita quotidiana vuol dire pensare all’andamento
della casa senza assumere collaboratori e nel contempo non trascurare
l’inserimento nel territorio; è sorta così un’espressione spontanea di
fraternità semplice. Ciascuno si è messo in gioco e ha messo a disposizione
quello che sapeva già fare, ma anche attento ad apprendere dall’altro quello
che sapeva fare all’incirca. È venuta fuori così una gara di solidarietà nel
prevenire quello di cui l’altro avrebbe potuto aver bisogno, ma anche di
comunicazione profonda e di messa in comune del nostro “essere”.
La nostra attenzione non tanto ai nostri bisogni, ma soprattutto
alla condivisione del nostro essere e saper fare ci ha portato a testimoniare
la gioia del vivere insieme.
Ogni giorno condividiamo con la comunità parrocchiale l’eucaristia
del mattino, le lodi e l’adorazione la sera; la domenica proponiamo i vespri.
I pochi che vivono insieme a San Donnino sono solo una
minoranza-rappresentanza del gruppo più ampio, al quale partecipano (al
momento) Flavia, Giuseppe, Mimma, Silvano, Martina, Serafina, Alessandro,
Lorenzo. Abbiamo sempre tenuto a custodire come una specialità della nostra
fraternità accoglierci secondo le modalità di adesione che sono possibili a
ciascuno. Non c’è una o due sole modalità rigide di appartenenza; ciascuno
partecipa per quanto gli è consentito dalle circostanze e dalle responsabilità
che ciascuno si è assunto verso altri. È fondamentale che ognuno si sappia
accolto e si senta invitato a dare il suo apporto perché insieme si possa
crescere nella fraternità.
I membri del gruppo sanno che lì è casa di tutti, tutti hanno la
chiave e possono venire e sostare quando vogliono. Ogni giovedì ci troviamo
tutti insieme per pregare, cenare e incontrarci
intorno alla Parola di Dio o ai problemi di vita quotidiana.
L’andamento a pendolo della nostra avventura ci ha portati a pagare
ora il prezzo forse più alto: p. Enzo Franchini, che ha ispirato, alimentato e
sostenuto (e credo lo faccia ancora) il nostro progetto e percorso non se l’è
sentita di affrontare un trasferimento, tanto più se temporaneo, alla sua età e
nelle sue condizioni e ha chiesto di essere inserito nella comunità di
Bolognano. A Santo Stefano è stato con noi a San Donnino tutto il giorno e ci
ha ancora una volta profondamente ispirati.
Sono curioso di vedere quale sarà la prossima mossa della
Provvidenza, perché sono fiducioso che, per quanto ci chiede, di più ci dà.
Marcello
fare memoria per...
INCONTRO DI STUDIO E DI FESTA
A BOLOGNA
PER 50 ANNI DI MISSIONI POPOLARI
Insieme per celebrare 50 anni
di missioni parrocchiali. Insieme per celebrare un giubileo ricco di grazia e
di semina abbondante. Insieme per fare memoria, sì, perché senza di essa non
c’è presente né futuro. Con questo intento ci siamo ritrovati per un Convegno
organizzato nella sede della Compagnia Missionaria a Bologna il 5 novembre
2016. Erano presenti, oltre alle missionarie, amici e collaboratori di lunga
data: laici, Padri Dehoniani, nostri cari fratelli e qualche sacerdote
diocesano.
Un significativo stimolo alla
riflessione su questo evento e come guardare al futuro ci è stato offerto da
Rosanna Virgili, biblista, con un linguaggio chiaro, coinvolgente e con una
competenza mai ostentata e sempre convincente.
Partendo dal significato
biblico del termine “giubileo”, la relatrice ci ha invitate a vivere il nostro
lavoro di evangelizzazione portato avanti in questi 50 anni come dono di
grazia, benedizione e a trasformarlo in una libera e gioiosa offerta al Padre,
Sì, perché, ha proseguito Rosanna Virgili, non siamo proprietari di quello che
abbiamo fatto e che facciamo. Il dono esige di imparare a vivere la perdita di
noi stessi come castità dell’amore.
In quest’ottica la Virgili si
è poi addentrata nel tema specifico, cioè dell’evangelizzazione fatta da donne,
sottolineando che ciò ha potuto avvenire a partire dal Vaticano II e grazie ad
esso. Ed è proprio a partire da questo evento di svolta nella Chiesa che le
donne hanno potuto accedere agli studi biblici e teologici.
Evangelizzazione portata avanti da donne
Per quanto riguarda il ruolo
o meglio il servizio delle donne nella Chiesa, che ha bisogno di essere ancora
approfondito, ha proseguito la relatrice, abbiamo un’apposita Commissione
voluta da papa Francesco per studiare la possibilità del diaconato femminile.
Quindi l’evangelizzazione portata avanti da donne è ora sulla “scrivania” della
Chiesa. I vostri 50 anni di missioni parrocchiali, attuate soprattutto da donne, s’inquadra in
quest’ottica e ci porta ad interrogarci su quali erano i ruoli e i ministeri
delle donne nella Chiesa primitiva. Rosanna Virgili si è addentrata nel NT e
soprattutto Atti e Lettere paoline, con la competenza che le è propria,
offrendo numerosi spunti di riflessione riguardo alla partecipazione attiva
delle donne nelle prime comunità cristiane. Esempi che ci dicono come la
profezia richieda coraggio e sapienza per penetrare il presente e scavare il
futuro.
L’interesse suscitato dalla
relatrice è stato vivo, insieme al desiderio di intessere un dialogo aperto e
sincero con la stessa. Il tempo non l’ha permesso perché Rosanna avendo un successivo
impegno a Milano, ci ha lasciate in tutta fretta.
A sua volta, la responsabile
del gruppo missioni, Lucia Capriotti, ci ha fatto ripercorrere questi 50 anni
di missioni parrocchiali mediante una relazione puntuale, dettagliata,
stimolante riportandoci alle radici che sgorgano dal nostro carisma CM e
dall’intuito profetico del nostro fondatore p. Albino Elegante s.c.j. Ce lo
conferma quanto egli stesso confessò in occasione della celebrazione dei 25 anni
delle missioni parrocchiali: “L’attività delle missioni al popolo è sempre
stata una delle iniziative più care al mio spirito. Condotto da un misterioso
richiamo, sono stato costretto a socchiudere la porta e a guardare alla
moltitudine di fratelli che tendevano la mano, implorando la rigenerazione in
Cristo”. E questa celebrazione giubilare l’abbiamo voluta per ricordare
l’esperienza vissuta, per rendere grazie al Signore e a tutti coloro che ci
hanno dato l’opportunità di realizzarla, ha sottolineato Lucia, ma anche per
scrutare il presente e ascoltare ciò che la mutata realtà socio ecclesiale ci
chiede e cercare possibili risposte.
In 50 anni sono state animate
297 missioni in circa 240 parrocchie. Dietro a questi numeri c’è stata una
semina abbondante, curata e, certe volte faticosa della Parola di Dio da parte
di un pugno di donne che, con stile laicale, hanno saputo avvalersi di altri
collaboratori laici, insieme alla presenza indispensabile del sacerdote,
soprattutto per la celebrazione dei Sacramenti.
Un cammino fatto di ascolto e di annuncio
Questo servizio di
evangelizzazione itinerante è stato un grande dono per coloro che l’hanno
vissuto in prima persona perché impegnati in un cammino di comunione tra loro e
con le stesse comunità interessate: un cammino fatto di ascolto delle persone e
delle realtà sociali ed ecclesiali in continuo cambiamento; di attenzione ad offrire ciò che la Chiesa
del dopo –Concilio attende e ciò di cui la società del post-moderno ha bisogno;
facendosi compagni di strada e mantenendo sempre la centralità della Parola.
Nella faticosa ed entusiasmante ricerca di metodi adatti, ha proseguito la
relatrice, abbiamo sempre ricordato che è la povertà e la debolezza
dell’annuncio che offre luce ai problemi umani, sociali ed ecclesiali, che
tocca le coscienze e trasforma la vita, che converte i singoli e germina
società nuove, che compone le contese e costruisce la pace.
Nel corso degli anni c’è
stato anche un cambio di metodo importante: non più protagonisti della missione
soltanto le missionarie e p. Albino Elegante o altri sacerdoti, ma è diventato
importante il coinvolgimento del consiglio pastorale o di altre persone
disponibili, laici o religiose presenti in parrocchia, ha fatto notare Lucia. E
questo ha fatto dilatare i tempi di preparazione della missione a volte anche
di anni, ma con il vantaggio di trovare poi un “terreno” più predisposto alla
semina perché più consapevole dell’evento missione nella propria parrocchia.
In questo impegno di lavoro
itinerante, ha rilevato ancora Lucia, ci sono state collaborazioni rivelatesi
provvidenziali e arricchenti, in particolare quella con i Padri Dehoniani: una
collaborazione fraterna e costruttiva che ha favorito una vera esperienza di
comunione, nella stima e fiducia reciproca, nella condivisione della passione
per l’annuncio dell’amore di Dio.
Nel corso degli anni,
soprattutto dopo il 2000, ha affermato la relatrice, nonostante il rinnovamento
conciliare, si è notata una recrudescenza di clericalismo “clericale e laicale”
che soffoca la spinta missionaria delle comunità locali. E allo stesso tempo,
grazie allo sguardo appassionato di papa Francesco, si avverte la grande fame e
sete di Dio e della sua Parola, presente anche in tanti che non la conoscono.
“Celebrare il 50◦, ha concluso Lucia, significa interrogarci su quale
sia la strada da percorrere, a quali novità di impegno e di servizio lo Spirito
ci chiama. Forse ci è chiesto di guardare, oltre alle comunità cristiane, anche
verso altre realtà umane e sociali che restano ai margini o sono estranee
all’esperienza di fede e di comunione della chiesa.
Non essere custodi di ceneri ma del fuoco dell’amore
Nel pomeriggio è seguito un
breve ma vitale intervento dell’arcivescovo di Bologna, Matteo Maria Zuppi con
cui ha voluto incoraggiarci tutti, in sintonia con papa Francesco, a metterci
in cammino, ad uscire, a vivere con una certa radicalità il Vaticano II. E
questo per non scambiare l’autunno con la primavera. Convinti però che occorre
una nuova conversione pastorale. Ha proseguito inoltre sottolineando con forza
che l’Evangelii Gaudium ci ridà la missione popolare. Un invito quindi a non
mettere il carisma in bottiglie né ad essere custodi di ceneri, ma ad
alimentare il fuoco della fede, dell’amore e cercare di scoprire soggetti nelle
comunità parrocchiali per l’animazione delle stesse. Oggi più che mai ci vuole
coraggio, ci è chiesto il coraggio della passione e uno sguardo di
misericordia.
Infine, la Presidente della
Compagnia Missionaria, Martina Cecini ha ringraziato tutti i partecipanti
dicendo che la loro presenza è stata motivo di gioia e di stimolo a camminare
insieme lavorando per il Regno di Dio. Ha proseguito dicendo che “in questi cinquant’anni
abbiamo ascoltato e riconosciuto la presenza del Signore e accolto l’eredità di
p. Albino Elegante che ci ha volute missionarie nella vivacità della donazione.
Una missionarietà che si esprime per molte di noi in modo nascosto in mezzo
alle contraddizioni e alla bellezza di questo tempo… Un aspetto importante
vissuto da vari membri CM è anche la missione Ad Gentes in Mozambico, Guinea
Bissau, Argentina, Cile e Indonesia mediante l’impegno educativo e alla
solidarietà con le persone nel bisogno. … Vogliamo cogliere da questo momento
celebrativo e dalla riflessione che ne scaturirà possibili espressioni più
capaci di entrare nella vita della gente di oggi e di coglierne il desiderio di
bene e di autenticità per un incontro davvero gioioso con Gesù nostro maestro e
guida”.
Mi pare opportuno affermare
che la nota dominante, o meglio la fonte d’ispirazione che ha caratterizzato
questa intensa giornata è stata l’Evangelii Gaudium, documento pastorale programmatico
del Papa attuale. È lì che dobbiamo spesso ritornare per vivere quel
cambiamento a cui tutti siamo chiamati. Concludo con una piccola e toccante
testimonianza del Padre Generale dei Dehoniani dell’8/9/2014. Prendendomi la
mano seriamente, papa Francesco mi ha detto: “Io ti chiedo molto insistentemente
di promuovere lo studio della Evangelii Gaudium. Vi troverete al centro del
cambiamento necessario: cambiamento della mente e del cuore”. Davvero
l’esortazione apostolica e questo 50◦ celebrato possano rinnovare la nostra vita e missione
con gioia, generosità e speranza.
va' e fa' uscire il mio popolo
Missione popolare a S. Antonio Tortal
(BL) dal 10 al 17 maggio 2015
In febbraio 2002 fummo impegnate nella
missione popolare a S. Antonio Tortal (BL) – 700 m. di altitudine in vista dei monti del Cadore - insieme con
alcuni fratelli cappuccini provenienti dalla Parrocchia di S. Giuseppe Sposo a
Bologna, a cui appartiene la nostra fraternità di via Guidotti. A parte il
freddo e il ghiaccio che ogni mattina bisognava togliere dall’auto, fu
un’esperienza molto positiva e interessante, per l’entusiasmo del Parroco di
allora D. Francesco Prade e per la preziosa collaborazione degli animatori
giovani e adulti. Con alcuni di loro si
sono mantenuti alcuni contatti, soprattutto quando ci hanno comunicato
avvenimenti speciali: matrimoni, nascite e l’ordinazione sacerdotale di uno dei
giovani. In particolare ci è rimasta impressa nel cuore la simpatica
espressione di D. Francesco, che da qualche anno è andato a riposare in Dio: “È
la nuova moderna missione”. E lui di missioni in parrocchia ne aveva fatte
spesso con diversi gruppi di religiosi.
Un momento del musical dei ragazzi
Con gioia e gratitudine, più di un anno
fa, ci è giunta la richiesta di una nuova missione. Proprio gli animatori laici
hanno proposto al nuovo parroco D. Egidio Dal Magro di ripetere l’esperienza
della missione di cui sentivano il bisogno, per ridare nuova forza alla vita
della comunità, che si trova ad affrontare, come altrove, mutate situazioni
sociali e ecclesiali. Il Parroco ci ha confessato con semplicità di non aver
mai fatto esperienza di missione popolare, ma uno degli animatori più
impegnati, Ezechiele, è il fratello di D. Egidio e, con sua moglie Barbara, non
hanno fatto fatica a convincerlo del valore dell’iniziativa. Gli altri
animatori sono in parte i giovani di 13 anni fa, oggi sposati con figli. Figlio
di Ezechiele e Barbara è don Marco, giovane animatore di allora che oggi è
viceparroco in un paese non lontano.
Quando noi missionarie abbiamo
incontrato il consiglio pastorale abbiamo trovato una sorprendente disponibilità a cercare insieme metodi
e iniziative per preparare la missione e per realizzarla. Bisogna notare che il
D. Egidio è parroco a Trichiana (4000 abitanti) e a S. Antonio (1000 abitanti).
La distanza tra i due paesi è 5 km di curve. Insomma il tempo che può dedicare
a S. Antonio è limitato, nonostante il suo impegno: la gente è preoccupata che
lavori troppo ed è grata per il suo servizio. In questa situazione, il
consiglio pastorale, le catechiste, gli animatori dei giovani e tutti i
collaboratori hanno capito che la vita della comunità è affidata, oltre che al
servizio del Parroco, anche alla loro responsabilità di laici battezzati.
Potremmo dire che questa missione è
stata una grande testimonianza dell’importanza della corresponsabilità dei
laici nella vita della chiesa e nella sua missione evangelizzatrice.
Scherzando, abbiamo soprannominato
Barbara “viceparroco”. Nonostante il suo lavoro presso la Scuola materna, ha
avuto in mano l’organizzazione della visita alle famiglie e agli ammalati,
distribuendo il lavoro alle missionarie, al missionario P. Rocco Nigro
dehoniano e agli accompagnatori. Alcuni di questi hanno saputo mettere in atto
strategie simpatiche e intelligenti per preparare la visita delle missionarie e
predisporre le famiglie all’accoglienza. Tutti loro, alcuni più timidi, altri
più intraprendenti, ci hanno testimoniato di aver vissuto un’esperienza forte,
di essersi sentiti missionari, di aver imparato a conoscere di più le persone e
le famiglie. Numerosi sono stati i centri di ascolto del Vangelo nelle
famiglie, la sera. Molti di coloro che ospitavano hanno sentito viva la
responsabilità di invitare vicini e conoscenti. Grazie a tutti loro, non ci
sono state perdite di tempo, abbiamo lavorato intensamente.
Domenica 10 maggio, la missione si è
aperta con il mandato missionario al mattino e con due momenti molto
significativi e intensi nel pomeriggio: la processione con l’immagine della
Madonna del Rosario cui è seguito il musical di bambini ragazzi e giovani,
registe le catechiste. Titolo del musical il tema della missione che è anche il
tema dell’anno pastorale diocesano: VA’ E FA’ USCIRE IL MIO POPOLO.
Mosè è stato inviato da Dio a liberare
Israele e Gesù è venuto a liberarci dal peccato e dalla morte. I discepoli di
Gesù sono ancora oggi inviati ad annunciare il Vangelo, buona notizia di amore
e di libertà per tutti. E questo è lo scopo della missione: ridare slancio
all’impegno missionario della comunità cristiana per il bene di ogni persona,
dai piccoli, ai grandi, agli anziani, ai malati.
Naturalmente tutta la settimana di
missione ha trovato vitalità nella celebrazione e nell’adorazione eucaristica
quotidiane. Nonostante il temporale – unico in una settimana piena di sole – un
gruppo di anziani ha partecipato alla celebrazione eucaristica in cui è stato
amministrato anche il sacramento dell’Unzione.
Assemblea parrocchiale
Dopo gli incontri con i giovani, con
alcune famiglie giovani e le confessioni del venerdì sera, il sabato numerosi
sono stati i partecipanti all’adorazione eucaristica dalle 20 alle 24, nonostante
che i giovani fossero andati a vivere
un’esperienza di comunione e di riflessione in montagna con il parroco. Quando
già la chiesa si stava chiudendo, a mezzanotte, sono arrivati e hanno chiesto
di fermarsi un po’ anche loro davanti all’Eucaristia. Veramente è stata una
richiesta commovente, che Orielda ha subito esaudito, accompagnandoli nella
preghiera.
Domenica 17, festa delle prime
comunioni, al pomeriggio la missione si è conclusa con una partecipatissima
assemblea parrocchiale in cui gli animatori, alcuni giovani e ragazzi hanno
pubblicamente testimoniato la ricchezza dell’esperienza vissuta e espresso
desideri propositi e suggerimenti per il cammino futuro della comunità.
Noi missionarie, per bocca di Orielda,
che ha accompagnato la preparazione della missione, abbiamo dato la nostra
testimonianza, espresso la gratitudine al Signore e a tutti coloro che hanno
lavorato alla realizzazione di questa esperienza d fede, di spiritualità, di
missionarietà ecclesiale. Abbiamo anche lasciato alcuni suggerimenti e
incoraggiato un cammino sempre più responsabile e generoso.
Testimonianze durante l'assemblea
Una missione popolare non è un
toccasana. Non risolve tutti i problemi della comunità. Non si fa una volta per
tutte. E non è vero che sia un fuoco di paglia. Soprattutto se non è affidata
solo ai missionari, ma esige l’impegno condiviso tra missionari e laici della
parrocchia. È un’esperienza ecclesiale che rinnova il cammino, ridà slancio,
intensifica la vita di fede, impegna a una revisione e spinge a un
rinnovamento. La quotidianità rischia di far appassire la fede e l’esperienza
ecclesiale. O di stressarla. La missione è come gli esercizi spirituali. Il
Papa per primo li vive ogni anno. Certo una missione non si fa una volta
l’anno, ma ci sono comunità che sentono spesso il bisogno di ravvivarsi.