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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
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Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
 La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto 2024
    Edvige Terenghi, amministratrice centrale, visita i gruppi in Mozambico.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
    Edvige Terenghi, administradora central, visita os grupos em Moçambique.... Continua
  • 09 / 08 / 2024
    Agosto de 2024
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  • 09 / 08 / 2024
    19 ottobre 2024
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amore e oblazione
 
Le parole chiave della nostra spiritualità Parole chiave della nostra spiritualità. Sono parole che ci immettono nello spirito ed esprimono il contenuto di vita della nostra spiritualità. Sono parole che ci indicano quali pensieri, quali sentimenti, quali atteggiamenti devono essere specifici del nostro mondo interiore ed esteriore per poterci calare veramente nel “proprium” del nostro carisma. Nello studio di queste parole chiave, partiremo prevalentemente dalla contemplazione di Gesù dal fianco squarciato. Però questo avvenimento è l’epilogo di tutta una vita donata agli uomini, alla loro introduzione, all’ammaestramento e alla crescita nello stile di vita di Dio. Pertanto, per immedesimarci pienamente dei sentimenti e delle disposizioni del Cuore di Gesù, scenderemo dal Calvario alle strade della Palestina per accostarci al Gesù del Vangelo e cogliere gli inviti, gli esempi, le precisazioni che sono di assoluta importanza per il traguardo della salvezza. Ad esempio: - “Venite a me, voi tutti che siete affaticati e oppressi, ed io vi ristorerò … imparate da me che sono mite ed umile di cuore e troverete tranquillità per il vostro spirito ( Mt 11, 28 – 29). - “Io sono la via, la verità e la vita. Nessuno viene al Padre se non per mezzo mio” (Gv 14, 6 ). - “Tutto quello che volete che gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro. Questa è tutta la Legge e i Profeti (= il compendio dell’insegnamento biblico”) (Mt 7,12). Per tutto questo, e altro secondo cui si concretizza la pratica e la testimonianza della nostra fede, Gesù si è lasciato aprire il Cuore. Nella mia ferita, Egli sembra dirci, potete leggere tutta la profondità del mio dono a voi. Ma “voi non avete ancora combattuto fino al sangue” (Ebr 12,4). Le “parole chiave” hanno anche un’importanza straordinaria per renderci operatori della salvezza di Dio, secondo le linee del nostro carisma, nell’ambiente della nostra vita quotidiana. Il nostro apostolato può essere anche diretto. Normalmente però è indiretto è un richiamo a Dio attraverso le modalità secondo cui impostiamo e conduciamo la nostra vita. Guardiamo al vangelo. Guardiamo “come” Gesù educa i suoi apostoli. Con le parole certamente. Soprattutto però con l’esempio della vita. Gli apostoli vivono con Gesù, vedono come Lui reagisce in determinate situazioni, come parla, come si comporta. Ecco perché più tardi l’apostolo Pietro potrà affermare: “Non è per essere andati dietro a favole artificiosamente inventate che vi abbiamo parlato della grandezza di Cristo, ma perché siamo stati testimoni oculari” (2 Pt 1,16). Noi certamente non siamo della elevatezza di Cristo. Però il compito specifico dei membri degli Istituti Secolari è di essere “fermento di Dio” in mezzo agli uomini. “Parola chiave”: La vita di amore. La specifichiamo così: Anzitutto è il Cuore di Gesù che ci dona la possibilità di riamarlo intensamente e (oso dire) con capacità divina. L’acqua che sgorga dal suo costato ferito è simbolo della vita, dello Spirito, dei Sacramenti (secondo la tradizione patristica). Ma anche del nostro amore che ricambia il suo amore. Gesù l’aveva preannunciato: “Chi ha sete venga a me e beva, chi crede in me, come dice la Scrittura, fiumi di acqua viva sgorgheranno dal suo seno” (Gv 7, 37-38). E l’evangelista commenta: “Questo Egli disse riferendosi allo Spirito che avrebbero ricevuto i credenti in lui” (Gv 7, 7-39). Dunque il Cuore ferito di Cristo, nel segno dell’acqua, ci dona lo Spirito e nello Spirito la capacità di riamarlo con l’impetuosità di un fiume in piena, cioè potentemente, quasi divinamente. Imploriamo il Cuore di Gesù con le parole della Samaritana: “Dacci di quest’acqua” (cfr. Gv 4,14). Dacci un supplemento di Spirito Santo. Tu che hai detto agli apostoli: “Riceverete forza dallo Spirito Santo…e mi sarete testimoni (cfr. At 1,8). Anche noi per la vocazione che ci hai dato, vogliamo essere tuoi testimoni, e vogliamo esserlo secondo le linee del nostro carisma: “Contrassegnati in tutto e sempre dalla carità, segno visibile della presenza di Dio che è Amore" (Statuto Missionarie N° 9). Ma non è tutto. Raccogliendo l’invito di Gesù: “Rimanete in me ed io in voi”… “Rimanete nel mio amore, come io rimango nell’amore del Padre mio”(Gv. 14,5ss), dobbiamo spingere la nostra devozione al Cuore di Gesù a un vero “cuore a cuore” con Lui. Allora il mistero del Cuore trafitto si fa respiro, alimento, anima della nostra vita. La seconda “parola chiave”: La vita di oblazione Facciamo una precisazione, forse inutile per noi. La parola “oblazione” deriva dal latino e corrisponde alla parola italiana “offerta”. E’ un termine ormai classico nel discorso della devozione al Sacro Cuore. E, probabilmente, “immutabile”. Un passo delle Costituzioni S.C.J. ci dice la ragione e specifica le dimensioni della vita di oblazione. “Coinvolti nel peccato, ma partecipi della grazia redentrice, con il servizio dei nostri diversi compiti, vogliamo essere in comunione con Cristo, presente nella vita del mondo, e in solidarietà con Lui e con tutta l’umanità e tutto il creato, offrirci al Padre, come un’oblazione vivente, santa, a Lui gradita” (cfr. Rom 12,1 ). Dunque l’espressione base della nostra oblazione: “il servizio dei nostri diversi compiti”. Ciascuno, dove è stato posto dalla Provvidenza e nella mansione che gli è specifica, si donerà al proprio impegno con serietà, esattezza, competenza, in unione a Cristo e a tutti i fratelli che lavorano e soffrono … P. Dehon stimola l’aspetto affettivo della nostra oblazione. Dopo aver sottolineato la logicità di una risposta con queste parole: “Come il Cuore di Gesù ha voluto versare il suo sangue fino all’ultima goccia e accordare a tutti gli uomini il frutto della sua passione e della sua morte … così vuole essere amato e onorato da tutti. Particolarmente da coloro che si professano suoi amici … conclude, usando la terminologia del suo tempo, Gesù richiede da noi una vita di abnegazione, di rinuncia alla nostra volontà, alle nostre personali inclinazioni e l’abbandono completo di tutto il nostro essere” (cfr . Dir. Spir. I, 14-15). Oggi diremmo: Gesù ci vuole aperti alla magnanimità dell’offerta. Tutto per Lui, con Lui, e in Lui, in un unico sacrificio e in una sola oblazione. Il campo della nostra oblazione è estesissimo. Va dalla capacità di donare un valore oblativo alle grandi occasioni di accettazione, di rinuncia, di sacrificio ... che incontriamo sul nostro cammino, alla magnanimità nello scoprire, nell’accogliere, nel valorizzare le piccole rinuncie, difficoltà, contrasti, sofferenze della vita quotidiana. Riportiamo una pagina del Card. Martini, vorrei proporre un’espressione di oblazione quasi inedita alla nostra attenzione. Eppure il Card. Martini la definisce – mi pare con piena esattezza – “il cuore del Vangelo”. Si tratta di un particolare momento del sacrificio di Cristo sul Calvario. Il Card. lo chiama il momento delle “tentazioni di Gesù sulla croce”: Le <tentazioni> di Gesù sulla croce: Il popolo stava a vedere, i capi invece lo schernivano dicendo: Ha salvato gli altri, salvi se stesso, se è il Cristo di Dio e suo eletto. Anche i soldati lo schernivano e gli si accostarono per porgergli dell’aceto e dicevano: Se tu sei il re dei Giudei salva te stesso. C’era anche una scritta sopra il suo capo. Questo è il re dei Giudei. Uno dei malfattori appesi alla croce lo insultava: Non sei tu il Cristo? Salva te stesso e noi (Lc. 23,35-59). Gesù si trova in un momento drammatico. Se ascoltasse i suoi interlocutori e scendesse dalla croce, tutti gli crederebbero. Ma se scende dalla croce, come mostrerà l’immagine di un Dio che accetta la morte per amore dell’uomo? Darà, è vero, l’immagine di un Dio potente, un Dio del successo, un Dio di cui ci si può servire per nutrire le proprie ambizioni, però non mostrerà più l’immagine, inedita in tutta la storia delle religioni - e che l’uomo da solo non riesce mai a immaginare - , del Dio che serve, che dona la sua vita per l’uomo, che lo ama fino a spogliarsi di tutto per suo amore, e ad accettare l’annientamento di sé. E’ proprio questa idea di un Dio dominatore, esigente, impaziente, che vuole dall’uomo il proprio vantaggio, che Gesù è venuto a negare. Il Vangelo porta l’immagine di un Dio che è misericordia, che si svuota di sé per amore dell’uomo. A noi, un Dio così, appare sempre un po’ incredibile e sorge un moto di diffidenza, perché è difficile per l’uomo accettarlo: un po’ come Pietro che non voleva accettare che il Maestro morisse per lui, che gli lavasse i piedi. Eppure, è questa immagine rivoluzionaria dell’amore di Dio, così incredibile, che Gesù porta fino in fondo, sul suo corpo, sulla sua carne, sulla croce. Ed è quella da cui gli altri tentano di distoglierlo: salva te stesso, serviti della tua potenza, mostra la tua capacità di dominare. Gesù invece, è venuto a mostrare la capacità di servire. Non contempleremo mai abbastanza questa scena. Qui, siamo proprio nel cuore del Vangelo e, grazie a Dio, abbiamo modo di contemplarla sempre, perché questa è l’Eucarestia, il Cristo fatto pane, fatto nutrimento: questo è il mio Corpo, questo è il mio Sangue dato per voi. Fate questo in memoria di Me. Naturalmente ne segue tutta una diversa concezione della vita: anche noi dobbiamo essere persone che sanno spogliarsi, dimenticarsi per gli altri. Forse resistiamo sempre un po’ a questo concetto di Dio proprio perché, se lo accettiamo, deve cambiare il nostro modo di essere e di vivere.” (Martini: L’evangelizzatore in S. Luca). Voglia il buon Dio che cominciamo a muoverci così e preghiamo “O divino fuoco, o Divino amore, o dolce Ospite dell’anima mia, arrendimi e purificami; sono povero, sono nudo, sono freddo; ma mi abbandono a Te. Lava irriga, sana, piega… Compi nel mio spirito ciò che compisti nel caos primitivo della materia: sii principio di ordine, di luce, di vita …”. (Dagli scritti di p. Albino)
misericordiae vultus
 
BOLLA DI INDIZIONEDEL GIUBILEO STRAORDINARIODELLA MISERICORDIA  FRANCESCOVESCOVO DI ROMA SERVO DEI SERVI DI DIOA QUANTI LEGGERANNO QUESTA LETTERAGRAZIA, MISERICORDIA E PACE 1. Gesù Cristo è il volto della misericordia del Padre. Il mistero della fede cristiana sembra trovare in questa parola la sua sintesi. Essa è divenuta viva, visibile e ha raggiunto il suo culmine in Gesù di Nazareth. Il Padre, «ricco di misericordia» (Ef 2,4), dopo aver rivelato il suo nome a Mosè come «Dio misericordioso e pietoso, lento all'ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6), non ha cessato di far conoscere in vari modi e in tanti momenti della storia la sua natura divina. Nella «pienezza del tempo» (Gal 4,4), quando tutto era disposto secondo il suo piano di salvezza, Egli mandò suo Figlio nato dalla Vergine Maria per rivelare a noi in modo definitivo il suo amore. Chi vede Lui vede il Padre (cfr Gv 14,9). Gesù di Nazareth con la sua parola, con i suoi gesti e con tutta la sua persona[1] rivela la misericordia di Dio. 2. Abbiamo sempre bisogno di contemplare il mistero della misericordia. È fonte di gioia, di serenità e di pace. È condizione della nostra salvezza. Misericordia: è la parola che rivela il mistero della SS. Trinità. Misericordia: è l’atto ultimo e supremo con il quale Dio ci viene incontro. Misericordia: è la legge fondamentale che abita nel cuore di ogni persona quando guarda con occhi sinceri il fratello che incontra nel cammino della vita. Misericordia: è la via che unisce Dio e l’uomo, perché apre il cuore alla speranza di essere amati per sempre nonostante il limite del nostro peccato. 3. Ci sono momenti nei quali in modo ancora più forte siamo chiamati a tenere fisso lo sguardo sulla misericordia per diventare noi stessi segno efficace dell’agire del Padre. È per questo che ho indetto un Giubileo Straordinario della Misericordia come tempo favorevole per la Chiesa, perché renda più forte ed efficace la testimonianza dei credenti. L’Anno Santo si aprirà l’8 dicembre 2015, solennità dell’Immacolata Concezione. Questa festa liturgica indica il modo dell’agire di Dio fin dai primordi della nostra storia. Dopo il peccato di Adamo ed Eva, Dio non ha voluto lasciare l’umanità sola e in balia del male. Per questo ha pensato e voluto Maria santa e immacolata nell’amore (cfr Ef 1,4), perché diventasse la Madre del Redentore dell’uomo. Dinanzi alla gravità del peccato, Dio risponde con la pienezza del perdono. La misericordia sarà sempre più grande di ogni peccato, e nessuno può porre un limite all’amore di Dio che perdona. Nella festa dell’Immacolata Concezione avrò la gioia di aprire la Porta Santa. Sarà in questa occasione una Porta della Misericordia, dove chiunque entrerà potrà sperimentare l’amore di Dio che consola, che perdona e dona speranza. La domenica successiva, la Terza di Avvento, si aprirà la Porta Santa nella Cattedrale di Roma, la Basilica di San Giovanni in Laterano. Successivamente, si aprirà la Porta Santa nelle altre Basiliche Papali. Nella stessa domenica stabilisco che in ogni Chiesa particolare, nella Cattedrale che è la Chiesa Madre per tutti i fedeli, oppure nella Concattedrale o in una chiesa di speciale significato, si apra per tutto l’Anno Santo una uguale Porta della Misericordia. A scelta dell’Ordinario, essa potrà essere aperta anche nei Santuari, mete di tanti pellegrini, che in questi luoghi sacri spesso sono toccati nel cuore dalla grazia e trovano la via della conversione. Ogni Chiesa particolare, quindi, sarà direttamente coinvolta a vivere questo Anno Santo come un momento straordinario di grazia e di rinnovamento spirituale. Il Giubileo, pertanto, sarà celebrato a Roma così come nelle Chiese particolari quale segno visibile della comunione di tutta la Chiesa. 4. Ho scelto la data dell’8 dicembre perché è carica di significato per la storia recente della Chiesa. Aprirò infatti la Porta Santa nel cinquantesimo anniversario della conclusione del Concilio Ecumenico Vaticano II. La Chiesa sente il bisogno di mantenere vivo quell’evento. Per lei iniziava un nuovo percorso della sua storia. I Padri radunati nel Concilio avevano percepito forte, come un vero soffio dello Spirito, l’esigenza di parlare di Dio agli uomini del loro tempo in un modo più comprensibile. Abbattute le muraglie che per troppo tempo avevano rinchiuso la Chiesa in una cittadella privilegiata, era giunto il tempo di annunciare il Vangelo in modo nuovo. Una nuova tappa dell’evangelizzazione di sempre. Un nuovo impegno per tutti i cristiani per testimoniare con più entusiasmo e convinzione la loro fede. La Chiesa sentiva la responsabilità di essere nel mondo il segno vivo dell’amore del Padre. Tornano alla mente le parole cariche di significato che san Giovanni XXIII pronunciò all’apertura del Concilio per indicare il sentiero da seguire: «Ora la Sposa di Cristo preferisce usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore … La Chiesa Cattolica, mentre con questo Concilio Ecumenico innalza la fiaccola della verità cattolica, vuole mostrarsi madre amorevolissima di tutti, benigna, paziente, mossa da misericordia e da bontà verso i figli da lei separati» [2]. Sullo stesso orizzonte, si poneva anche il beato Paolo VI, che si esprimeva così a conclusione del Concilio: «Vogliamo piuttosto notare come la religione del nostro Concilio sia stata principalmente la carità … L’antica storia del Samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio … Una corrente di affetto e di ammirazione si è riversata dal Concilio sul mondo umano moderno. Riprovati gli errori, sì; perché ciò esige la carità, non meno che la verità; ma per le persone solo richiamo, rispetto ed amore. Invece di deprimenti diagnosi, incoraggianti rimedi; invece di funesti presagi, messaggi di fiducia sono partiti dal Concilio verso il mondo contemporaneo: i suoi valori sono stati non solo rispettati, ma onorati, i suoi sforzi sostenuti, le sue aspirazioni purificate e benedette … Un’altra cosa dovremo rilevare: tutta questa ricchezza dottrinale è rivolta in un’unica direzione: servire l’uomo. L’uomo, diciamo, in ogni sua condizione, in ogni sua infermità, in ogni sua necessità» [3]. Con questi sentimenti di gratitudine per quanto la Chiesa ha ricevuto e di responsabilità per il compito che ci attende, attraverseremo la Porta Santa con piena fiducia di essere accompagnati dalla forza del Signore Risorto che continua a sostenere il nostro pellegrinaggio. Lo Spirito Santo che conduce i passi dei credenti per cooperare all’opera di salvezza operata da Cristo, sia guida e sostegno del Popolo di Dio per aiutarlo a contemplare il volto della misericordia [4]. 5. L’Anno giubilare si concluderà nella solennità liturgica di Gesù Cristo Signore dell’universo, il 20 novembre 2016. In quel giorno, chiudendo la Porta Santa avremo anzitutto sentimenti di gratitudine e di ringraziamento verso la SS. Trinità per averci concesso questo tempo straordinario di grazia. Affideremo la vita della Chiesa, l’umanità intera e il cosmo immenso alla Signoria di Cristo, perché effonda la sua misericordia come la rugiada del mattino per una feconda storia da costruire con l’impegno di tutti nel prossimo futuro. Come desidero che gli anni a venire siano intrisi di misericordia per andare incontro ad ogni persona portando la bontà e la tenerezza di Dio! A tutti, credenti e lontani, possa giungere il balsamo della misericordia come segno del Regno di Dio già presente in mezzo a noi. 6. «È proprio di Dio usare misericordia e specialmente in questo si manifesta la sua onnipotenza» [5]. Le parole di san Tommaso d’Aquino mostrano quanto la misericordia divina non sia affatto un segno di debolezza, ma piuttosto la qualità dell’onnipotenza di Dio. È per questo che la liturgia, in una delle collette più antiche, fa pregare dicendo: «O Dio che riveli la tua onnipotenza soprattutto con la misericordia e il perdono» [6]. Dio sarà per sempre nella storia dell’umanità come Colui che è presente, vicino, provvidente, santo e misericordioso. “Paziente e misericordioso” è il binomio che ricorre spesso nell’Antico Testamento per descrivere la natura di Dio. Il suo essere misericordioso trova riscontro concreto in tante azioni della storia della salvezza dove la sua bontà prevale sulla punizione e la distruzione. I Salmi, in modo particolare, fanno emergere questa grandezza dell’agire divino: «Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e misericordia» (103,3-4). In modo ancora più esplicito, un altro Salmo attesta i segni concreti della misericordia: «Il Signore libera i prigionieri, il Signore ridona la vista ai ciechi, il Signore rialza chi è caduto, il Signore ama i giusti, il Signore protegge i forestieri, egli sostiene l’orfano e la vedova, ma sconvolge le vie dei malvagi» (146,7-9). E da ultimo, ecco altre espressioni del Salmista: «[Il Signore] risana i cuori affranti e fascia le loro ferite. … Il Signore sostiene i poveri, ma abbassa fino a terra i malvagi» (147,3.6). Insomma, la misericordia di Dio non è un’idea astratta, ma una realtà concreta con cui Egli rivela il suo amore come quello di un padre e di una madre che si commuovono fino dal profondo delle viscere per il proprio figlio. È veramente il caso di dire che è un amore “viscerale”. Proviene dall’intimo come un sentimento profondo, naturale, fatto di tenerezza e di compassione, di indulgenza e di perdono. 7. “Eterna è la sua misericordia”: è il ritornello che viene riportato ad ogni versetto del Salmo 136 mentre si narra la storia della rivelazione di Dio. In forza della misericordia, tutte le vicende dell’antico testamento sono cariche di un profondo valore salvifico. La misericordia rende la storia di Dio con Israele una storia di salvezza. Ripetere continuamente: “Eterna è la sua misericordia”, come fa il Salmo, sembra voler spezzare il cerchio dello spazio e del tempo per inserire tutto nel mistero eterno dell’amore. È come se si volesse dire che non solo nella storia, ma per l’eternità l’uomo sarà sempre sotto lo sguardo misericordioso del Padre. Non è un caso che il popolo di Israele abbia voluto inserire questo Salmo, il “Grande hallel” come viene chiamato, nelle feste liturgiche più importanti. Prima della Passione Gesù ha pregato con questo Salmo della misericordia. Lo attesta l’evangelista Matteo quando dice che «dopo aver cantato l’inno» (26,30), Gesù con i discepoli uscirono verso il monte degli ulivi. Mentre Egli istituiva l’Eucaristia, quale memoriale perenne di Lui e della sua Pasqua, poneva simbolicamente questo atto supremo della Rivelazione alla luce della misericordia. Nello stesso orizzonte della misericordia, Gesù viveva la sua passione e morte, cosciente del grande mistero di amore che si sarebbe compiuto sulla croce. Sapere che Gesù stesso ha pregato con questo Salmo, lo rende per noi cristiani ancora più importante e ci impegna ad assumerne il ritornello nella nostra quotidiana  preghiera di lode: “Eterna è la sua misericordia”. 8. Con lo sguardo fisso su Gesù e il suo volto misericordioso possiamo cogliere l’amore della SS. Trinità. La missione che Gesù ha ricevuto dal Padre è stata quella di rivelare il mistero dell’amore divino nella sua pienezza. «Dio è amore» (1 Gv 4,8.16), afferma per la prima e unica volta in tutta la Sacra Scrittura l’evangelista Giovanni. Questo amore è ormai reso visibile e tangibile in tutta la vita di Gesù. La sua persona non è altro che amore, un amore che si dona gratuitamente. Le sue relazioni con le persone che lo accostano manifestano qualcosa di unico e di irripetibile. I segni che compie, soprattutto nei confronti dei peccatori, delle persone povere, escluse, malate e sofferenti, sono all’insegna della misericordia. Tutto in Lui parla di misericordia. Nulla in Lui è privo di compassione. Gesù, dinanzi alla moltitudine di persone che lo seguivano, vedendo che erano stanche e sfinite, smarrite e senza guida, sentì fin dal profondo del cuore una forte compassione per loro (cfr Mt 9,36). In forza di questo amore compassionevole guarì i malati che gli venivano presentati (cfr Mt 14,14), e con pochi pani e pesci sfamò grandi folle (cfr Mt 15,37). Ciò che muoveva Gesù in tutte le circostanze non era altro che la misericordia, con la quale leggeva nel cuore dei suoi interlocutori e rispondeva al loro bisogno più vero. Quando incontrò la vedova di Naim che portava il suo unico figlio al sepolcro, provò grande compassione per quel dolore immenso della madre in pianto, e le riconsegnò il figlio risuscitandolo dalla morte (cfr Lc 7,15). Dopo aver liberato l’indemoniato di Gerasa, gli affida questa missione: «Annuncia ciò che il Signore ti ha fatto e la misericordia che ha avuto per te» (Mc 5,19). Anche la vocazione di Matteo è inserita nell’orizzonte della misericordia. Passando dinanzi al banco delle imposte gli occhi di Gesù fissarono quelli di Matteo. Era uno sguardo carico di misericordia che perdonava i peccati di quell’uomo e, vincendo le resistenze degli altri discepoli, scelse lui, il peccatore e pubblicano, per diventare uno dei Dodici. San Beda il Venerabile, commentando questa scena del Vangelo, ha scritto che Gesù guardò Matteo con amore misericordioso e lo scelse: miserando atque eligendo[7]. Mi ha sempre impressionato questa espressione, tanto da farla diventare il mio motto. 9. Nelle parabole dedicate alla misericordia, Gesù rivela la natura di Dio come quella di un Padre che non si dà mai per vinto fino a quando non ha dissolto il peccato e vinto il rifiuto, con la compassione e la misericordia. Conosciamo queste parabole, tre in particolare: quelle della pecora smarrita e della moneta perduta, e quella del padre e i due figli (cfr Lc 15,1-32). In queste parabole, Dio viene sempre presentato come colmo di gioia, soprattutto quando perdona. In esse troviamo il nucleo del Vangelo e della nostra fede, perché la misericordia è presentata come la forza che tutto vince, che riempie il cuore di amore e che consola con il perdono. Da un’altra parabola, inoltre, ricaviamo un insegnamento per il nostro stile di vita cristiano. Provocato dalla domanda di Pietro su quante volte fosse necessario perdonare, Gesù rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette» (Mt 18,22), e raccontò la parabola del “servo spietato”. Costui, chiamato dal padrone a restituire una grande somma, lo supplica in ginocchio e il padrone gli condona il debito. Ma subito dopo incontra un altro servo come lui che gli era debitore di pochi centesimi, il quale lo supplica in ginocchio di avere pietà, ma lui si rifiuta e lo fa imprigionare. Allora il padrone, venuto a conoscenza del fatto, si adira molto e richiamato quel servo gli dice: «Non dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di te?» (Mt18,33). E Gesù concluse: «Così anche il Padre mio celeste farà con voi se non perdonerete di cuore, ciascuno al proprio fratello» (Mt 18,35). La parabola contiene un profondo insegnamento per ciascuno di noi. Gesù afferma che la misericordia non è solo l’agire del Padre, ma diventa il criterio per capire chi sono i suoi veri figli. Insomma, siamo chiamati a vivere di misericordia, perché a noi per primi è stata usata misericordia. Il perdono delle offese diventa l’espressione più evidente dell’amore misericordioso e per noi cristiani è un imperativo da cui non possiamo prescindere. Come sembra difficile tante volte perdonare! Eppure, il perdono è lo strumento posto nelle nostre fragili mani per raggiungere la serenità del cuore. Lasciar cadere il rancore, la rabbia, la violenza e la vendetta sono condizioni necessarie per vivere felici. Accogliamo quindi l’esortazione dell’apostolo: «Non tramonti il sole sopra la vostra ira» (Ef4,26). E soprattutto ascoltiamo la parola di Gesù che ha posto la misericordia come un ideale di vita e come criterio di credibilità per la nostra fede: «Beati i misericordiosi, perché troveranno misericordia» (Mt 5,7) è la beatitudine a cui ispirarsi con particolare impegno in questo Anno Santo. Come si nota, la misericordia nella Sacra Scrittura è la parola-chiave per indicare l’agire di Dio verso di noi. Egli non si limita ad affermare il suo amore, ma lo rende visibile e tangibile. L’amore, d’altronde, non potrebbe mai essere una parola astratta. Per sua stessa natura è vita concreta: intenzioni, atteggiamenti, comportamenti che si verificano nell’agire quotidiano. La misericordia di Dio è la sua responsabilità per noi. Lui si sente responsabile, cioè desidera il nostro bene e vuole vederci felici, colmi di gioia e sereni. È sulla stessa lunghezza d’onda che si deve orientare l’amore misericordioso dei cristiani. Come ama il Padre così amano i figli. Come è misericordioso Lui, così siamo chiamati ad essere misericordiosi noi, gli uni verso gli altri. 10. L’architrave che sorregge la vita della Chiesa è la misericordia. Tutto della sua azione pastorale dovrebbe essere avvolto dalla tenerezza con cui si indirizza ai credenti; nulla del suo annuncio e della sua testimonianza verso il mondo può essere privo di misericordia. La credibilità della Chiesa passa attraverso la strada dell’amore misericordioso e compassionevole. La Chiesa «vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia»[8]. Forse per tanto tempo abbiamo dimenticato di indicare e di vivere la via della misericordia. La tentazione, da una parte, di pretendere sempre e solo la giustizia ha fatto dimenticare che questa è il primo passo, necessario e indispensabile, ma la Chiesa ha bisogno di andare oltre per raggiungere una meta più alta e più significativa. Dall’altra parte, è triste dover vedere come l’esperienza del perdono nella nostra cultura si faccia sempre più diradata. Perfino la parola stessa in alcuni momenti sembra svanire. Senza la testimonianza del perdono, tuttavia, rimane solo una vita infeconda e sterile, come se si vivesse in un deserto desolato. È giunto di nuovo per la Chiesa il tempo di farsi carico dell’annuncio gioioso del perdono. È il tempo del ritorno all’essenziale per farci carico delle debolezze e delle difficoltà dei nostri fratelli. Il perdono è una forza che risuscita a vita nuova e infonde il coraggio per guardare al futuro con speranza. 11. Non possiamo dimenticare il grande insegnamento che san Giovanni Paolo II ha offerto con la sua seconda Enciclica Dives in misericordia, che all’epoca giunse inaspettata e colse molti di sorpresa per il tema che veniva affrontato. Due espressioni in particolare desidero ricordare. Anzitutto, il santo Papa rilevava la dimenticanza del tema della misericordia nella cultura dei nostri giorni: «La mentalità contemporanea, forse più di quella dell’uomo del passato, sembra opporsi al Dio di misericordia e tende altresì ad emarginare dalla vita e a distogliere dal cuore umano l’idea stessa della misericordia. La parola e il concetto di misericordia sembrano porre a disagio l’uomo, il quale, grazie all’enorme sviluppo della scienza e della tecnica, non mai prima conosciuto nella storia, è diventato padrone ed ha soggiogato e dominato la terra (cfr Gen 1,28). Tale dominio sulla terra, inteso talvolta unilateralmente e superficialmente, sembra che non lasci spazio alla misericordia … Ed è per questo che, nell’odierna situazione della Chiesa e del mondo, molti uomini e molti ambienti guidati da un vivo senso di fede si rivolgono, direi, quasi spontaneamente alla misericordia di Dio» [9]. Inoltre, san Giovanni Paolo II così motivava l’urgenza di annunciare e testimoniare la misericordia nel mondo contemporaneo: «Essa è dettata dall’amore verso l’uomo, verso tutto ciò che è umano e che, secondo l’intuizione di gran parte dei contemporanei, è minacciato da un pericolo immenso. Il mistero di Cristo … mi obbliga a proclamare la misericordia quale amore misericordioso di Dio, rivelato nello stesso mistero di Cristo. Esso mi obbliga anche a richiamarmi a tale misericordia e ad implorarla in questa difficile, critica fase della storia della Chiesa e del mondo» [10]. Tale suo insegnamento è più che mai attuale e merita di essere ripreso in questo Anno Santo. Accogliamo nuovamente le sue parole: «La Chiesa vive una vita autentica quando professa e proclama la misericordia – il più stupendo attributo del Creatore e del Redentore – e quando accosta gli uomini alle fonti della misericordia del Salvatore di cui essa è depositaria e dispensatrice» [11]. 12. La Chiesa ha la missione di annunciare la misericordia di Dio, cuore pulsante del Vangelo, che per mezzo suo deve raggiungere il cuore e la mente di ogni persona. La Sposa di Cristo fa suo il comportamento del Figlio di Dio che a tutti va incontro senza escludere nessuno. Nel nostro tempo, in cui la Chiesa è impegnata nella nuova evangelizzazione, il tema della misericordia esige di essere riproposto con nuovo entusiasmo e con una rinnovata azione pastorale. È determinante per la Chiesa e per la credibilità del suo annuncio che essa viva e testimoni in prima persona la misericordia. Il suo linguaggio e i suoi gesti devono trasmettere misericordia per penetrare nel cuore delle persone e provocarle a ritrovare la strada per ritornare al Padre. La prima verità della Chiesa è l’amore di Cristo. Di questo amore, che giunge fino al perdono e al dono di sé, la Chiesa si fa serva e mediatrice presso gli uomini. Pertanto, dove la Chiesa è presente, là deve essere evidente la misericordia del Padre. Nelle nostre parrocchie, nelle comunità, nelle associazioni e nei movimenti, insomma, dovunque vi sono dei cristiani, chiunque deve poter trovare un’oasi di misericordia. 13. Vogliamo vivere questo Anno Giubilare alla luce della parola del Signore: Misericordiosi come il Padre. L’evangelista riporta l’insegnamento di Gesù che dice: «Siate misericordiosi, come il Padre vostro è misericordioso» (Lc 6,36). È un programma di vita tanto impegnativo quanto ricco di gioia e di pace. L’imperativo di Gesù è rivolto a quanti ascoltano la sua voce (cfr Lc 6,27). Per essere capaci di misericordia, quindi, dobbiamo in primo luogo porci in ascolto della Parola di Dio. Ciò significa recuperare il valore del silenzio per meditare la Parola che ci viene rivolta. In questo modo è possibile contemplare la misericordia di Dio e assumerlo come proprio stile di vita. 14. Il pellegrinaggio è un segno peculiare nell’Anno Santo, perché è icona del cammino che ogni persona compie nella sua esistenza. La vita è un pellegrinaggio e l’essere umano è viator, un pellegrino che percorre una strada fino alla meta agognata. Anche per raggiungere la Porta Santa a Roma e in ogni altro luogo, ognuno dovrà compiere, secondo le proprie forze, un pellegrinaggio. Esso sarà un segno del fatto che anche la misericordia è una meta da raggiungere e che richiede impegno e sacrificio. Il pellegrinaggio, quindi, sia stimolo alla conversione: attraversando la Porta Santa ci lasceremo abbracciare dalla misericordia di Dio e ci impegneremo ad essere misericordiosi con gli altri come il Padre lo è con noi. Il Signore Gesù indica le tappe del pellegrinaggio attraverso cui è possibile raggiungere questa meta: «Non giudicate e non sarete giudicati; non condannate e non sarete condannati; perdonate e sarete perdonati. Date e vi sarà dato: una misura buona, pigiata, colma e traboccante vi sarà versata nel grembo, perché con la misura con la quale misurate, sarà misurato a voi in cambio» (Lc6,37-38). Dice anzitutto di non giudicare e di non condannare. Se non si vuole incorrere nel giudizio di Dio, nessuno può diventare giudice del proprio fratello. Gli uomini, infatti, con il loro giudizio si fermano alla superficie, mentre il Padre guarda nell’intimo. Quanto male fanno le parole quando sono mosse da sentimenti di gelosia e invidia! Parlare male del fratello in sua assenza equivale a porlo in cattiva luce, a compromettere la sua reputazione e lasciarlo in balia della chiacchiera. Non giudicare e non condannare significa, in positivo, saper cogliere ciò che di buono c’è in ogni persona e non permettere che abbia a soffrire per il nostro giudizio parziale e la nostra presunzione di sapere tutto. Ma questo non è ancora sufficiente per esprimere la misericordia. Gesù chiede anche di perdonare e di donare. Essere strumenti del perdono, perché noi per primi lo abbiamo ottenuto da Dio. Essere generosi nei confronti di tutti, sapendo che anche Dio elargisce la sua benevolenza su di noi con grande magnanimità. Misericordiosi come il Padre, dunque, è il “motto” dell’Anno Santo. Nella misericordia abbiamo la prova di come Dio ama. Egli dà tutto se stesso, per sempre, gratuitamente, e senza nulla chiedere in cambio. Viene in nostro aiuto quando lo invochiamo. È bello che la preghiera quotidiana della Chiesa inizi con queste parole: «O Dio, vieni a salvarmi, Signore, vieni presto in mio aiuto» (Sal70,2). L’aiuto che invochiamo è già il primo passo della misericordia di Dio verso di noi. Egli viene a salvarci dalla condizione di debolezza in cui viviamo. E il suo aiuto consiste nel farci cogliere la sua presenza e la sua vicinanza. Giorno per giorno, toccati dalla sua compassione, possiamo anche noi diventare compassionevoli verso tutti. 15. In questo Anno Santo, potremo fare l’esperienza di aprire il cuore a quanti vivono nelle più disparate periferie esistenziali, che spesso il mondo moderno crea in maniera drammatica. Quante situazioni di precarietà e sofferenza sono presenti nel mondo di oggi! Quante ferite sono impresse nella carne di tanti che non hanno più voce perché il loro grido si è affievolito e spento a causa dell’indifferenza dei popoli ricchi. In questo Giubileo ancora di più la Chiesa sarà chiamata a curare queste ferite, a lenirle con l’olio della consolazione, fasciarle con la misericordia e curarle con la solidarietà e l’attenzione dovuta. Non cadiamo nell’indifferenza che umilia, nell’abitudinarietà che anestetizza l’animo e impedisce di scoprire la novità, nel cinismo che distrugge. Apriamo i nostri occhi per guardare le miserie del mondo, le ferite di tanti fratelli e sorelle privati della dignità, e sentiamoci provocati ad ascoltare il loro grido di aiuto. Le nostre mani stringano le loro mani, e tiriamoli a noi perché sentano il calore della nostra presenza, dell’amicizia e della fraternità. Che il loro grido diventi il nostro e insieme possiamo spezzare la barriera di indifferenza che spesso regna sovrana per nascondere l’ipocrisia e l’egoismo. È mio vivo desiderio che il popolo cristiano rifletta durante il Giubileo sulle opere di misericordia corporale e spirituale. Sarà un modo per risvegliare la nostra coscienza spesso assopita davanti al dramma della povertà e per entrare sempre di più nel cuore del Vangelo, dove i poveri sono i privilegiati della misericordia divina. La predicazione di Gesù ci presenta queste opere di misericordia perché possiamo capire se viviamo o no come suoi discepoli. Riscopriamo le opere di misericordia corporale: dare da mangiare agli affamati, dare da bere agli assetati, vestire gli ignudi, accogliere i forestieri, assistere gli ammalati, visitare i carcerati, seppellire i morti. E non dimentichiamo le opere di misericordia spirituale: consigliare i dubbiosi, insegnare agli ignoranti, ammonire i peccatori, consolare gli afflitti, perdonare le offese, sopportare pazientemente le persone moleste, pregare Dio per i vivi e per i morti. Non possiamo sfuggire alle parole del Signore e in base ad esse saremo giudicati: se avremo dato da mangiare a chi ha fame e da bere a chi ha sete. Se avremo accolto il forestiero e vestito chi è nudo. Se avremo avuto tempo per stare con chi è malato e prigioniero (cfr Mt 25,31-45). Ugualmente, ci sarà chiesto se avremo aiutato ad uscire dal dubbio che fa cadere nella paura e che spesso è fonte di solitudine; se saremo stati capaci di vincere l’ignoranza in cui vivono milioni di persone, soprattutto i bambini privati dell’aiuto necessario per essere riscattati dalla povertà; se saremo stati vicini a chi è solo e afflitto; se avremo perdonato chi ci offende e respinto ogni forma di rancore e di odio che porta alla violenza; se avremo avuto pazienza sull’esempio di Dio che è tanto paziente con noi; se, infine, avremo affidato al Signore nella preghiera i nostri fratelli e sorelle. In ognuno di questi “più piccoli” è presente Cristo stesso. La sua carne diventa di nuovo visibile come corpo martoriato, piagato, flagellato, denutrito, in fuga… per essere da noi riconosciuto, toccato e assistito con cura. Non dimentichiamo le parole di san Giovanni della Croce: «Alla sera della vita, saremo giudicati sull’amore» [12]. 16. Nel Vangelo di Luca troviamo un altro aspetto importante per vivere con fede il Giubileo. Racconta l’evangelista che Gesù, un sabato, ritornò a Nazaret e, come era solito fare, entrò nella Sinagoga. Lo chiamarono a leggere la Scrittura e commentarla. Il passo era quello del profeta Isaia dove sta scritto: «Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di misericordia del Signore» (61,1-2). “Un anno di misericordia”: è questo quanto viene annunciato dal Signore e che noi desideriamo vivere. Questo Anno Santo porta con sé la ricchezza della missione di Gesù che risuona nelle parole del Profeta: portare una parola e un gesto di consolazione ai poveri, annunciare la liberazione a quanti sono prigionieri delle nuove schiavitù della società moderna, restituire la vista a chi non riesce più a vedere perché curvo su sé stesso, e restituire dignità a quanti ne sono stati privati. La predicazione di Gesù si rende di nuovo visibile nelle risposte di fede che la testimonianza dei cristiani è chiamata ad offrire. Ci accompagnino le parole dell’Apostolo: «Chi fa opere di misericordia, le compia con gioia» (Rm 12,8). 17. La Quaresima di questo Anno Giubilare sia vissuta più intensamente come momento forte per celebrare e sperimentare la misericordia di Dio. Quante pagine della Sacra Scrittura possono essere meditate nelle settimane della Quaresima per riscoprire il volto misericordioso del Padre! Con le parole del profeta Michea possiamo anche noi ripetere: Tu, o Signore, sei un Dio che toglie l’iniquità e perdona il peccato, che non serbi per sempre la tua ira, ma ti compiaci di usare misericordia. Tu, Signore, ritornerai a noi e avrai pietà del tuo popolo. Calpesterai le nostre colpe e getterai in fondo al mare tutti i nostri peccati (cfr 7,18-19). Le pagine del profeta Isaia potranno essere meditate più concretamente in questo tempo di preghiera, digiuno e carità: «Non è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo? Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato, nell’introdurre in casa i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza trascurare i tuoi parenti? Allora la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto. Davanti a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà. Allora invocherai e il Signore ti risponderà, implorerai aiuto ed egli dirà: “Eccomi!”. Se toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio, se aprirai il tuo cuore all’affamato, se sazierai l’afflitto di cuore, allora brillerà fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio. Ti guiderà sempre il Signore, ti sazierà in terreni aridi, rinvigorirà le tue ossa; sarai come un giardino irrigato e come una sorgente le cui acque non inaridiscono» (58,6-11). L’iniziativa “24 ore per il Signore”, da celebrarsi nel venerdì e sabato che precedono la IV Domenica di Quaresima, è da incrementare nelle Diocesi. Tante persone si stanno riavvicinando al sacramento della Riconciliazione e tra questi molti giovani, che in tale esperienza ritrovano spesso il cammino per ritornare al Signore, per vivere un momento di intensa preghiera e riscoprire il senso della propria vita. Poniamo di nuovo al centro con convinzione il sacramento della Riconciliazione, perché permette di toccare con mano la grandezza della misericordia. Sarà per ogni penitente fonte di vera pace interiore. Non mi stancherò mai di insistere perché i confessori siano un vero segno della misericordia del Padre. Non ci si improvvisa confessori. Lo si diventa quando, anzitutto, ci facciamo noi per primi penitenti in cerca di perdono. Non dimentichiamo mai che essere confessori significa partecipare della stessa missione di Gesù ed essere segno concreto della continuità di un amore divino che perdona e che salva. Ognuno di noi ha ricevuto il dono dello Spirito Santo per il perdono dei peccati, di questo siamo responsabili. Nessuno di noi è padrone del Sacramento, ma un fedele servitore del perdono di Dio. Ogni confessore dovrà accogliere i fedeli come il padre nella parabola del figlio prodigo: un padre che corre incontro al figlio nonostante avesse dissipato i suoi beni. I confessori sono chiamati a stringere a sé quel figlio pentito che ritorna a casa e ad esprimere la gioia per averlo ritrovato. Non si stancheranno di andare anche verso l’altro figlio rimasto fuori e incapace di gioire, per spiegargli che il suo giudizio severo è ingiusto, e non ha senso dinanzi alla misericordia del Padre che non ha confini. Non porranno domande impertinenti, ma come il padre della parabola interromperanno il discorso preparato dal figlio prodigo, perché sapranno cogliere nel cuore di ogni penitente l’invocazione di aiuto e la richiesta di perdono. Insomma, i confessori sono chiamati ad essere sempre, dovunque, in ogni situazione e nonostante tutto, il segno del primato della misericordia. 18. Nella Quaresima di questo Anno Santo ho l’intenzione di inviare i Missionari della Misericordia. Saranno un segno della sollecitudine materna della Chiesa per il Popolo di Dio, perché entri in profondità nella ricchezza di questo mistero così fondamentale per la fede. Saranno sacerdoti a cui darò l’autorità di perdonare anche i peccati che sono riservati alla Sede Apostolica, perché sia resa evidente l’ampiezza del loro mandato. Saranno, soprattutto, segno vivo di come il Padre accoglie quanti sono in ricerca del suo perdono. Saranno dei missionari della misericordia perché si faranno artefici presso tutti di un incontro carico di umanità, sorgente di liberazione, ricco di responsabilità per superare gli ostacoli e riprendere la vita nuova del Battesimo. Si lasceranno condurre nella loro missione dalle parole dell’Apostolo: «Dio ha rinchiuso tutti nella disobbedienza, per essere misericordioso verso tutti» (Rm 11,32). Tutti infatti, nessuno escluso, sono chiamati a cogliere l’appello alla misericordia. I missionari vivano questa chiamata sapendo di poter fissare lo sguardo su Gesù, «sommo sacerdote misericordioso e degno di fede» (Eb 2,17). Chiedo ai confratelli Vescovi di invitare e di accogliere questi Missionari, perché siano anzitutto predicatori convincenti della misericordia. Si organizzino nelle Diocesi delle “missioni al popolo”, in modo che questi Missionari siano annunciatori della gioia del perdono. Si chieda loro di celebrare il sacramento della Riconciliazione per il popolo, perché il tempo di grazia donato nell’Anno Giubilare permetta a tanti figli lontani di ritrovare il cammino verso la casa paterna. I Pastori, specialmente durante il tempo forte della Quaresima, siano solleciti nel richiamare i fedeli ad accostarsi «al trono della grazia per ricevere misericordia e trovare grazia» (Eb 4,16). 19. La parola del perdono possa giungere a tutti e la chiamata a sperimentare la misericordia non lasci nessuno indifferente. Il mio invito alla conversione si rivolge con ancora più insistenza verso quelle persone che si trovano lontane dalla grazia di Dio per la loro condotta di vita. Penso in modo particolare agli uomini e alle donne che appartengono a un gruppo criminale, qualunque esso sia. Per il vostro bene, vi chiedo di cambiare vita. Ve lo chiedo nel nome del Figlio di Dio che, pur combattendo il peccato, non ha mai rifiutato nessun peccatore. Non cadete nella terribile trappola di pensare che la vita dipende dal denaro e che di fronte ad esso tutto il resto diventa privo di valore e di dignità. È solo un’illusione. Non portiamo il denaro con noi nell’al di là. Il denaro non ci dà la vera felicità. La violenza usata per ammassare soldi che grondano sangue non rende potenti né immortali. Per tutti, presto o tardi, viene il giudizio di Dio a cui nessuno potrà sfuggire. Lo stesso invito giunga anche alle persone fautrici o complici di corruzione. Questa piaga putrefatta della società è un grave peccato che grida verso il cielo, perché mina fin dalle fondamenta la vita personale e sociale. La corruzione impedisce di guardare al futuro con speranza, perché con la sua prepotenza e avidità distrugge i progetti dei deboli e schiaccia i più poveri. E’ un male che si annida nei gesti quotidiani per estendersi poi negli scandali pubblici. La corruzione è un accanimento nel peccato, che intende sostituire Dio con l’illusione del denaro come forma di potenza. È un’opera delle tenebre, sostenuta dal sospetto e dall’intrigo. Corruptio optimi pessima, diceva con ragione san Gregorio Magno, per indicare che nessuno può sentirsi immune da questa tentazione. Per debellarla dalla vita personale e sociale sono necessarie prudenza, vigilanza, lealtà, trasparenza, unite al coraggio della denuncia. Se non la si combatte apertamente, presto o tardi rende complici e distrugge l’esistenza. Questo è il momento favorevole per cambiare vita! Questo è il tempo di lasciarsi toccare il cuore. Davanti al male commesso, anche a crimini gravi, è il momento di ascoltare il pianto delle persone innocenti depredate dei beni, della dignità, degli affetti, della stessa vita. Rimanere sulla via del male è solo fonte di illusione e di tristezza. La vera vita è ben altro. Dio non si stanca di tendere la mano. È sempre disposto ad ascoltare, e anch’io lo sono, come i miei fratelli vescovi e sacerdoti. È sufficiente solo accogliere l’invito alla conversione e sottoporsi alla giustizia, mentre la Chiesa offre la misericordia. 20. Non sarà inutile in questo contesto richiamare al rapporto tra giustizia e misericordia. Non sono due aspetti in contrasto tra di loro, ma due dimensioni di un’unica realtà che si sviluppa progressivamente fino a raggiungere il suo apice nella pienezza dell’amore. La giustizia è un concetto fondamentale per la società civile quando, normalmente, si fa riferimento a un ordine giuridico attraverso il quale si applica la legge. Per giustizia si intende anche che a ciascuno deve essere dato ciò che gli è dovuto. Nella Bibbia, molte volte si fa riferimento alla giustizia divina e a Dio come giudice. La si intende di solito come l’osservanza integrale della Legge e il comportamento di ogni buon israelita conforme ai comandamenti dati da Dio. Questa visione, tuttavia, ha portato non poche volte a cadere nel legalismo, mistificando il senso originario e oscurando il valore profondo che la giustizia possiede. Per superare la prospettiva legalista, bisognerebbe ricordare che nella Sacra Scrittura la giustizia è concepita essenzialmente come un abbandonarsi fiducioso alla volontà di Dio. Da parte sua, Gesù parla più volte dell’importanza della fede, piuttosto che dell’osservanza della legge. È in questo senso che dobbiamo comprendere le sue parole quando, trovandosi a tavola con Matteo e altri pubblicani e peccatori, dice ai farisei che lo contestavano: «Andate e imparate che cosa vuol dire: Misericordia io voglio e non sacrifici. Io non sono venuto infatti a chiamare i giusti, ma i peccatori» (Mt 9,13). Davanti alla visione di una giustizia come mera osservanza della legge, che giudica dividendo le persone in giusti e peccatori, Gesù punta a mostrare il grande dono della misericordia che ricerca i peccatori per offrire loro il perdono e la salvezza. Si comprende perché, a causa di questa sua visione così liberatrice e fonte di rinnovamento, Gesù sia stato rifiutato dai farisei e dai dottori della legge. Questi per essere fedeli alla legge ponevano solo pesi sulle spalle delle persone, vanificando però la misericordia del Padre. Il richiamo all’osservanza della legge non può ostacolare l’attenzione per le necessità che toccano la dignità delle persone. Il richiamo che Gesù fa al testo del profeta Osea – «voglio l’amore e non il sacrificio» (6,6) – è molto significativo in proposito. Gesù afferma che d’ora in avanti la regola di vita dei suoi discepoli dovrà essere quella che prevede il primato della misericordia, come Lui stesso testimonia condividendo il pasto con i peccatori. La misericordia, ancora una volta, viene rivelata come dimensione fondamentale della missione di Gesù. Essa è una vera sfida dinanzi ai suoi interlocutori che si fermavano al rispetto formale della legge. Gesù, invece, va oltre la legge; la sua condivisione con quelli che la legge considerava peccatori fa comprendere fin dove arriva la sua misericordia. Anche l’apostolo Paolo ha fatto un percorso simile. Prima di incontrare Cristo sulla via di Damasco, la sua vita era dedicata a perseguire in maniera irreprensibile la giustizia della legge (cfr Fil 3,6). La conversione a Cristo lo portò a ribaltare la sua visione, a tal punto che nella Lettera ai Galati afferma: «Abbiamo creduto anche noi in Cristo Gesù per essere giustificati per la fede in Cristo e non per le opere della Legge» (2,16). La sua comprensione della giustizia cambia radicalmente. Paolo ora pone al primo posto la fede e non più la legge. Non è l’osservanza della legge che salva, ma la fede in Gesù Cristo, che con la sua morte e resurrezione porta la salvezza con la misericordia che giustifica. La giustizia di Dio diventa adesso la liberazione per quanti sono oppressi dalla schiavitù del peccato e di tutte le sue conseguenze. La giustizia di Dio è il suo perdono (cfr Sal 51,11-16). 21. La misericordia non è contraria alla giustizia ma esprime il comportamento di Dio verso il peccatore, offrendogli un’ulteriore possibilità per ravvedersi, convertirsi e credere. L’esperienza del profeta Osea ci viene in aiuto per mostrarci il superamento della giustizia nella direzione della misericordia. L’epoca di questo profeta è tra le più drammatiche della storia del popolo ebraico. Il Regno è vicino alla distruzione; il popolo non è rimasto fedele all’alleanza, si è allontanato da Dio e ha perso la fede dei Padri. Secondo una logica umana, è giusto che Dio pensi di rifiutare il popolo infedele: non ha osservato il patto stipulato e quindi merita la dovuta pena, cioè l’esilio. Le parole del profeta lo attestano: «Non ritornerà al paese d’Egitto, ma Assur sarà il suo re, perché non hanno voluto convertirsi» (Os 11,5). Eppure, dopo questa reazione che si richiama alla giustizia, il profeta modifica radicalmente il suo linguaggio e rivela il vero volto di Dio: «Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione. Non darò sfogo all’ardore della mia ira, non tornerò a distruggere Èfraim, perché sono Dio e non uomo; sono il Santo in mezzo a te e non verrò da te nella mia ira» (11,8-9). Sant’Agostino, quasi a commentare le parole del profeta dice: «È più facile che Dio trattenga l’ira più che la misericordia»[13]. È proprio così. L’ira di Dio dura un istante, mentre la sua misericordia dura in eterno. Se Dio si fermasse alla giustizia cesserebbe di essere Dio, sarebbe come tutti gli uomini che invocano il rispetto della legge. La giustizia da sola non basta, e l’esperienza insegna che appellarsi solo ad essa rischia di distruggerla. Per questo Dio va oltre la giustizia con la misericordia e il perdono. Ciò non significa svalutare la giustizia o renderla superflua, al contrario. Chi sbaglia dovrà scontare la pena. Solo che questo non è il fine, ma l’inizio della conversione, perché si sperimenta la tenerezza del perdono. Dio non rifiuta la giustizia. Egli la ingloba e supera in un evento superiore dove si sperimenta l’amore che è a fondamento di una vera giustizia. Dobbiamo prestare molta attenzione a quanto scrive Paolo per non cadere nello stesso errore che l’Apostolo rimproverava ai Giudei suoi contemporanei: «Ignorando la giustizia di Dio e cercando di stabilire la propria, non si sono sottomessi alla giustizia di Dio. Ora, il termine della Legge è Cristo, perché la giustizia sia data a chiunque crede» (Rm 10,3-4). Questa giustizia di Dio è la misericordia concessa a tutti come grazia in forza della morte e risurrezione di Gesù Cristo. La Croce di Cristo, dunque, è il giudizio di Dio su tutti noi e sul mondo, perché ci offre la certezza dell’amore e della vita nuova. 22. Il Giubileo porta con sé anche il riferimento all’indulgenza. Nell’Anno Santo della Misericordia essa acquista un rilievo particolare. Il perdono di Dio per i nostri peccati non conosce confini. Nella morte e risurrezione di Gesù Cristo, Dio rende evidente questo suo amore che giunge fino a distruggere il peccato degli uomini. Lasciarsi riconciliare con Dio è possibile attraverso il mistero pasquale e la mediazione della Chiesa. Dio quindi è sempre disponibile al perdono e non si stanca mai di offrirlo in maniera sempre nuova e inaspettata. Noi tutti, tuttavia, facciamo esperienza del peccato. Sappiamo di essere chiamati alla perfezione (cfr Mt 5,48), ma sentiamo forte il peso del peccato. Mentre percepiamo la potenza della grazia che ci trasforma, sperimentiamo anche la forza del peccato che ci condiziona. Nonostante il perdono, nella nostra vita portiamo le contraddizioni che sono la conseguenza dei nostri peccati. Nel sacramento della Riconciliazione Dio perdona i peccati, che sono davvero cancellati; eppure, l’impronta negativa che i peccati hanno lasciato nei nostri comportamenti e nei nostri pensieri rimane. La misericordia di Dio però è più forte anche di questo. Essa diventa indulgenza del Padre che attraverso la Sposa di Cristo raggiunge il peccatore perdonato e lo libera da ogni residuo della conseguenza del peccato, abilitandolo ad agire con carità, a crescere nell’amore piuttosto che ricadere nel peccato. La Chiesa vive la comunione dei Santi. Nell’Eucaristia questa comunione, che è dono di Dio, si attua come unione spirituale che lega noi credenti con i Santi e i Beati il cui numero è incalcolabile (cfr Ap 7,4). La loro santità viene in aiuto alla nostra fragilità, e così la Madre Chiesa è capace con la sua preghiera e la sua vita di venire incontro alla debolezza di alcuni con la santità di altri. Vivere dunque l’indulgenza nell’Anno Santo significa accostarsi alla misericordia del Padre con la certezza che il suo perdono si estende su tutta la vita del credente. Indulgenza è sperimentare la santità della Chiesa che partecipa a tutti i benefici della redenzione di Cristo, perché il perdono sia esteso fino alle estreme conseguenze a cui giunge l’amore di Dio. Viviamo intensamente il Giubileo chiedendo al Padre il perdono dei peccati e l’estensione della sua indulgenza misericordiosa. 23. La misericordia possiede una valenza che va oltre i confini della Chiesa. Essa ci relaziona all’Ebraismo e all’Islam, che la considerano uno degli attributi più qualificanti di Dio. Israele per primo ha ricevuto questa rivelazione, che permane nella storia come inizio di una ricchezza incommensurabile da offrire all’intera umanità. Come abbiamo visto, le pagine dell’Antico Testamento sono intrise di misericordia, perché narrano le opere che il Signore ha compiuto a favore del suo popolo nei momenti più difficili della sua storia. L’Islam, da parte sua, tra i nomi attribuiti al Creatore pone quello di Misericordioso e Clemente. Questa invocazione è spesso sulle labbra dei fedeli musulmani, che si sentono accompagnati e sostenuti dalla misericordia nella loro quotidiana debolezza. Anch’essi credono che nessuno può limitare la misericordia divina perché le sue porte sono sempre aperte. Questo Anno Giubilare vissuto nella misericordia possa favorire l’incontro con queste religioni e con le altre nobili tradizioni religiose; ci renda più aperti al dialogo per meglio conoscerci e comprenderci; elimini ogni forma di chiusura e di disprezzo ed espella ogni forma di violenza e di discriminazione. 24. Il pensiero ora si volge alla Madre della Misericordia. La dolcezza del suo sguardo ci accompagni in questo Anno Santo, perché tutti possiamo riscoprire la gioia della tenerezza di Dio. Nessuno come Maria ha conosciuto la profondità del mistero di Dio fatto uomo. Tutto nella sua vita è stato plasmato dalla presenza della misericordia fatta carne. La Madre del Crocifisso Risorto è entrata nel santuario della misericordia divina perché ha partecipato intimamente al mistero del suo amore. Scelta per essere la Madre del Figlio di Dio, Maria è stata da sempre preparata dall’amore del Padre per essere Arca dell’Alleanzatra Dio e gli uomini. Ha custodito nel suo cuore la divina misericordia in perfetta sintonia con il suo Figlio Gesù. Il suo canto di lode, sulla soglia della casa di Elisabetta, fu dedicato alla misericordia che si estende «di generazione in generazione» (Lc 1,50). Anche noi eravamo presenti in quelle parole profetiche della Vergine Maria. Questo ci sarà di conforto e di sostegno mentre attraverseremo la Porta Santa per sperimentare i frutti della misericordia divina. Presso la croce, Maria insieme a Giovanni, il discepolo dell’amore, è testimone delle parole di perdono che escono dalle labbra di Gesù. Il perdono supremo offerto a chi lo ha crocifisso ci mostra fin dove può arrivare la misericordia di Dio. Maria attesta che la misericordia del Figlio di Dio non conosce confini e raggiunge tutti senza escludere nessuno. Rivolgiamo a lei la preghiera antica e sempre nuova della Salve Regina, perché non si stanchi mai di rivolgere a noi i suoi occhi misericordiosi e ci renda degni di contemplare il volto della misericordia, suo Figlio Gesù. La nostra preghiera si estenda anche ai tanti Santi e Beati che hanno fatto della misericordia la loro missione di vita. In particolare il pensiero è rivolto alla grande apostola della misericordia, santa Faustina Kowalska. Lei, che fu chiamata ad entrare nelle profondità della divina misericordia, interceda per noi e ci ottenga di vivere e camminare sempre nel perdono di Dio e nell’incrollabile fiducia nel suo amore. 25. Un Anno Santo straordinario, dunque, per vivere nella vita di ogni giorno la misericordia che da sempre il Padre estende verso di noi. In questo Giubileo lasciamoci sorprendere da Dio. Lui non si stanca mai di spalancare la porta del suo cuore per ripetere che ci ama e vuole condividere con noi la sua vita. La Chiesa sente in maniera forte l’urgenza di annunciare la misericordia di Dio. La sua vita è autentica e credibile quando fa della misericordia il suo annuncio convinto. Essa sa che il suo primo compito, soprattutto in un momento come il nostro colmo di grandi speranze e forti contraddizioni, è quello di introdurre tutti nel grande mistero della misericordia di Dio, contemplando il volto di Cristo. La Chiesa è chiamata per prima ad essere testimone veritiera della misericordia professandola e vivendola come il centro della Rivelazione di Gesù Cristo. Dal cuore della Trinità, dall’intimo più profondo del mistero di Dio, sgorga e scorre senza sosta il grande fiume della misericordia. Questa fonte non potrà mai esaurirsi, per quanti siano quelli che vi si accostano. Ogni volta che ognuno ne avrà bisogno, potrà accedere ad essa, perché la misericordia di Dio è senza fine. Tanto è imperscrutabile la profondità del mistero che racchiude, tanto è inesauribile la ricchezza che da essa proviene. In questo Anno Giubilare la Chiesa si faccia eco della Parola di Dio che risuona forte e convincente come una parola e un gesto di perdono, di sostegno, di aiuto, di amore. Non si stanchi mai di offrire misericordia e sia sempre paziente nel confortare e perdonare. La Chiesa si faccia voce di ogni uomo e ogni donna e ripeta con fiducia e senza sosta: «Ricordati, Signore, della tua misericordia e del tuo amore, che è da sempre» (Sal 25,6). Dato a Roma, presso San Pietro, l’11 aprile, Vigilia della II Domenica di Pasqua o della Divina Misericordia, dell’Anno del Signore 2015, terzo di pontificato. Franciscus [1] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Dei Verbum, 4. [2] Discorso di apertura del Conc. Ecum. Vat. II, Gaudet Mater Ecclesia, 11 ottobre 1962, 2-3. [3] Allocuzione nell’ultima sessione pubblica, 7 dicembre 1965. [4] Cfr Conc. Ecum. Vat. II, Cost. dogm. Lumen Gentium, 16; Cost. past. Gaudium et spes, 15. [5] TOMMASO D’AQUINO, Summa Theologiae, II-II, q. 30, a. 4. [6] XXVI Domenica del Tempo Ordinario. Questa colletta appare già, nell’VIII secolo, tra i testi eucologici del Sacramentario Gelasiano (1198). [7] Cfr Om. 21: CCL 122, 149-151. [8] Esort. ap. Evangelii gaudium, 24. [9] N. 2. [10] Giovanni Paolo II, Lett. Enc. Dives in misericordia,15. [11] Ibid., 13. [12] Parole di luce e di amore, 57. [13] Enarr. in Ps. 76, 11.
eccomi: parola dell'amore
 
La lettera agli Ebrei attribuisce a Cristo, nel momento dell'incarnazione, le parole del salmo 40: «Eccomi, io vengo, o Dio, per fare la tua volontà». Certamente non c'è modo migliore, per vivere il tempo quaresimale, che entrare in comunione con questa disposizione del Figlio verso il Padre. Il nostro cammino di conversione non può che realizzarsi in questa progressiva adesione al progetto del Padre su di noi, come persone e come comunità cristiana, come missionarie e come familiares. E proprio in questo tempo quaresimale cade la festa dell'Annunciazione del Signore, cioè la festa dell'Incarnazione. Questo giorno, 25 marzo, è proprio quello in cui celebriamo l'«eccomi» di Cristo unito a quello di sua Madre. Possiamo dire che queste due risposte, mentre sono ambedue rivolte al Padre, sono anche reciproche; sono l'identica risposta di due persone che si incontrano. si accolgono, si consegnano irreversibilmente l'una all'altra. Il Figlio di Dio, per diventare fratello dell'umanità, per ricevere cittadinanza nel mondo, per farsi carne, ha bisogno di una madre, per essere in tutto uguale a noi. Maria, la fanciulla di Nazaret, promessa sposa a Giuseppe, della casa di Davide, per essere semplicemente ciò che è, donna e membro del popolo di Dio, per ottenere il senso della propria vita e la cittadinanza del Regno di Dio, ha bisogno di accogliere totalmente quel Dio che viene nella debolezza di un bambino, per ricondurre l'umanità alla vita piena, nella casa del Padre. La catena rotta Eccomi è una parola-chiave per comprendere tutta la Scrittura. È la parola dell'incontro, la risposta di chi scopre la presenza di Dio nella propria vita e non se ne sottrae, ma ne ascolta la voce, è l'obbediente e amorevole assenso di chi accoglie liberamente la sua Signoria. E’ la parola consueta - libera cosciente adorante - sulla bocca dei patriarchi, a cominciare da Abramo, e dei profeti, a cominciare da Samuele. È la parola che, anche quando non è esplicitamente espressa con le labbra, informa comunque gli atteggiamenti e le scelte difficili, anticonformiste e incomprensibili di uomini e donne, di Noè che costruisce l'arca, di Tobia che seppellisce i morti contro l'ordine del re, di Ester che rischia la sua vita per salvare il suo popolo, della madre dei Maccabei che incoraggia i suoi sette figli ad accettare la morte piuttosto che disobbedire alla legge di Dio. Sembrerebbe una lunga catena di «eccomi» che si susseguono in una storia di secoli, ma, a ben guardare, ci si accorge che sono solo spezzoni, che già all'inizio la catena è rotta: manca il primo anello e ne mancano, poi, tanti altri: sono maglie rotte che testimoniano le mancate risposte o gli aperti rifiuti di singoli personaggi e di un intero popolo, capace di costruirsi vitelli d'oro e idoli ciechi, sordi e senza respiro, da contrapporre al Dio vivente. Ma queste maglie rotte non sono che la conseguenza, il frutto, la ripetizione di quel primo anello mancante. Dio in cerca dell’uomo «Poi udirono il Signore che passeggiava nel giardino alla brezza del giorno e l'uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio, in mezzo agli alberi del giardino. Ma il Signore Dio chiamò l'uomo e gli disse: “Dove sei?”» (Gn. 3,8-9). Il nascondersi dell'umanità, il sottrarsi all'incontro con Dio, suo creatore, non è che la manifestazione del rifiuto più radicale espresso nella scelta disobbediente del peccato. Una scelta che rompe, rifiutandola, la reciprocità con un «eccomi» iniziale, originario, che è proprio quello pronunciato dal Creatore fin dall'inizio. «E Dio disse: "Facciamo L'uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza, e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutte le bestie selvatiche e su tutti i rettili che strisciano sulla terra”. Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò; maschio e femmina li creò. Dio li benedisse e disse loro: “Siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra; soggiogatela e dominate sui peschi del mare e sugli uccelli del cielo e su ogni essere vivente, che striscia sulla terra”... Dio vide quanto aveva fatto, ed ecco, era cosa molto buona» (Gn. l, 26-28.31). «Il Signore Dio prese l'uomo e lo pose nel giardino di Eden, perché lo coltivasse e lo custodisse» (Gn. 2,15-16). Ascoltando la Scrittura, ci si accorge come agli alterni rifiuti e accoglienze dell'umanità nei confronti di Dio, si affianca, instancabile inesauribile eterno, l'«eccomi» di Dio a coloro che ha creato a sua immagine, a quell'umanità che, nonostante tutto, sceglie e ama come sua sposa. Un uomo e una donna Nel giardino di Eden, due innocenti, un uomo e una donna, si erano resi colpevoli, rifiutando la risposta di amore obbediente. Ma il Dio eterno è Colui che non perde la speranza e sa attendere. Dopo tanti secoli, in una povera casa di Nazaret, un Uomo e una Donna, innocenti, a nome di una umanità peccatrice, riconsegnano a Lui il fedele e definitivo «sì», riparando la reciprocità ferita di un amore che finalmente è totalmente accolto e donato. «Allora Maria disse: “Eccomi, sono la serva del Signore, avvenga di me quello che hai detto”» (Lc.1,38). «Entrando nel mondo, Cristo dice: “...Eccomi, io vengo per fare, o Dio, la tua volontà”» (Eb. 10,5.7). L'«eccomi» di Cristo e di Maria sono l'asse portante, l'espressione in cui si compendia la spiritualità di amore e di oblazione che la Compagnia Missionaria riceve dalla contemplazione di Cristo nel mistero del suo Cuore trafitto. E’ proprio il Crocifisso dal cuore trafitto l'espressione piena ed estrema della risposta d'amore obbediente, che aveva avuto inizio a Nazaret nell'«eccomi» del nuovo Adamo e della nuova Eva. In loro la catena rotta è stata riparata. In loro l'umanità ha accolto finalmente l'eterno «eccomi» di Dio che raggiunge l'inattesa vetta dell'offerta sacrificale nella morte, e risponde a sua volta «eccomi» con confidente amore, nella consegna di sé. Pure ci accorgiamo inevitabilmente che, ancora oggi, con spaventosa superficialità e oscura sfrontatezza, da tante parti si continua ad opporre ingrato ed empio rifiuto alla Parola di Verità, di Amore, di Vita, di Misericordia salvifica di Dio Amore. E nessuno di noi è del tutto estraneo a questo rifiuto che è sordità e mutismo, menzogna, egoismo, odio, cecità e morte. Ma se accogliamo con decisione e libertà l'identità di cristiani, membra del Corpo di Cristo che è la Chiesa, in particolare se siamo stati chiamati a vivere la spiritualità e il carisma ereditati dall' esperienza spirituale di p. Dehon, sappiamo che la nostra vocazione e la nostra missione si realizzano nella partecipazione all'«eccomi» di Gesù e di Maria sua madre, con una adesione quotidiana al progetto del Padre. Spirito di immolazione «Con Cristo e assieme a tutta l'umanità, ci offriremo al Padre, in docilità allo Spirito, come oblazione viva, santa e gradita a Dio, nell'accoglienza umile e serena della sua volontà in qualunque forma si manifesti. Come Gesù e la Madonna ci manterremo aperte al “sì” e disponibili al “servizio” per amore» (Statuto CM 7). «La vita d'amore così intesa e vissuta farà di noi un complemento reale dell'immolazione di Cristo e ci renderà cooperatrici della sua opera di redenzione all'interno del mondo. Per questa finalità valorizzeremo tutta la nostra vita con le sue gioie e speranze, con il suo peso di lavoro, di fatica e di prova, in comunione con le sofferenze e la morte di Cristo» (St. CM l0). Il nostro “sì” deve essere lotta a tutto ciò che nel mondo, nella nostra società, nella nostra famiglia, nel nostro stesso cuore vorrebbe essere rifiuto o indifferenza al progetto di Amore e di Vita del Padre. Il nostro «eccomi», con quello di Maria, vuole essere comunione al sacrificio riparatore di Cristo: l'umanità e la creazione, ferite dal peccato, trovano in Lui guarigione e vita. «In queste parole: Ecce venio, Deus, ut faciam voluntatem tuam, e in queste: Ecce ancilla Domini, fiat mihi secundum verbun tuum, si trovano tutta la nostra vocazione, il nostro fine, il nostro dovere, le nostre promesse» (p. Dehon).
scuola di autenticità cristiana
 
E’ la S. Messa. Chi ne ha tracciato, nel corso dei tempi, l’impostazione e lo sviluppo è stato ispirato e condotto dallo Spirito Santo. Il cui compito è proprio questo: donare alla nostra fede la strada sicura che conduce a salvezza. Naturalmente nostra e dei nostri fratelli, per i quali, in ogni circostanza noi dobbiamo essere richiamo e guida a Dio. Lo saremo in modo assolutamente positivo per due circostanze che abbiamo modo di incontrare quotidianamente nella partecipazione alla S. Messa di cui lo Statuto della C.M. fa un obbligo preciso a ogni membro dell’Istituto, qualunque sia la modalità con cui ha dato la sua adesione alla Compagnia Missionaria. Porteremo alla S. Messa un profondo spirito di fede: “Ogni celebrazione liturgica - ci ha detto il Concilio Vaticano II° - in quanto opera di Cristo sacerdote e del suo corpo che è la Chiesa, è azione sacra per eccellenza, e nessun’altra azione della Chiesa ne uguaglia l’efficacia” (Costituzione su la Sacra Liturgia, n. 7). “Ad ottenere questa piena efficacia – continua il Vaticano II° - è necessario che i fedeli si accostino alla sacra liturgia con disposizioni d’animo retto, conformino la loro mente alle parole e alle opere e cooperino con la grazia divina per non riceverla invano. Perciò i sacri pastori devono vigilare affinché nell’azione liturgica i fedeli vi prendano parte e diano la loro collaborazione… consapevolmente, attivamente e fruttuosamente".(n. 11). Le forme della collaborazione dei fedeli Quelle domandate normalmente ai fedeli sono due: 1) Leggere il primo (e quando c’è) il secondo brano Scritturale; 2) Partecipare alla processione offertoriale con cui viene portato all’altare il pane e il vino che alla Consacrazione diverranno il corpo e il sangue di Cristo. Tutte e due queste forme di collaborazione sono, a mio parere, forme di “primo piano”. Soffermiamoci un momento a sottolineare la grandiosità di questi atti che la mediocrità del nostro linguaggio osa definire “complementari” della sostanza divina della S. Messa. La lettura della Parola di Dio. Normalmente, come già specificato, della prima (e seconda) lettura della messa domenicale e delle solennità. Dovremmo sentirci profondamente commossi di prestare la nostra voce a Dio e di essere scelti/e a ripetere ai nostri fratelli e sorelle quanto è realizzazione del cammino che porta a salvezza. Naturalmente al nostro annuncio uniremo il segno luminoso della testimonianza. Quanti sono presenti alla celebrazione eucaristica in cui ci è dato l’incarico di una, o più letture, dovrebbero poter notare nel corso della settimana, e possibilmente oltre, che quanto il buon Dio ha proposto a tutta l’Assemblea è divenuto impegno abituale del nostro comportamento. Così la S. Messa ci è di forte stimolo, anche a motivo dell’esempio, a vivere e mostrare la pienezza della realtà cristiana in tutti i casi, anche i più ordinari, della nostra vita Il Concilio Vaticano II° da molta importanza a quanto può essere fatto a integrazione dell’azione sacerdotale, a una liturgia che parla attraverso la vita di tutti i giorni. Al n. 48 della Costituzione liturgica dice . “La Chiesa volge attente premure affinché i fedeli non assistano come estranei e muti spettatori a questo mistero di fede (la santa Messa), ma comprendendolo bene per mezzo dei riti e delle preghiere partecipino all’azione sacra consapevolmente, piamente, e attivamente…offrendo l’ostia immacolata, non soltanto per le mani del sacerdote, ma insieme con lui...". Il dono delle offerte. Portare all’altare, a nome di tutta l’Assemblea, il pane e il vino che permetteranno al sacerdote di dare compimento alla celebrazione della Santa Messa trasformandoli, in virtù della sua particolare consacrazione, nel corpo e nel sangue di Cristo, l’abbiamo già definito “azione di primo piano”: Peccato! Che non sia molto in uso, e in vari casi sia ritenuta “azione da… ragazzi”, che vanno all’altare senza nessuna attenzione e preoccupazione per la sacralità dell’atto. E’impensabile poi il suo compimento oltre la celebrazione della Messa della domenica o di altra particolarissima circostanza. Che dirò alle missionarie, soprattutto a quelle di vita di famiglia, che, andando alla celebrazione della santa Messa, si trovano quotidianamente di fronte a questa situazione? Dirò loro: mettete in moto il vostro cuore e con il cuore accompagnate quanto il sacerdote compie nell’offerta del pane (l’ostia) e del vino. Mi pare che l’atto possa essere ritenuto un “significato rinnovato quotidianamente” dell’ offerta che voi pure un giorno avete fatto a Dio di tutto voi stesse. Implorate dalla sua misericordia che vi mantenga nell’interezza di fedeltà e nella perseveranza della gioia di quel giorno. Ma c’è da sperare che anche nelle vostre parrocchie, almeno nelle Messe principali della domenica, sia fatta la processione offertoriale con cui l’Assemblea esprime la sua parteci-pazione al sacrificio dell’altare. Se l’una o l’altra di voi sarà invitata a parteciparvi non si rifiuti, non avanzi mille scuse per sottrarsi a un esempio di fede e di fattiva collaborazione. Ricordi la sua particolare situazione di vita e si faccia serena testimonianza di particolare amore a Dio e ai fratelli. Dio gliene renderà merito. Credo che lascerà la chiesa con il cuore che le canterà di gioia: oggi tu hai rinnovato in Cristo e con Cristo la tua offerta d’amore.. Concludendo Ringraziamo insieme il Signore per avere seminato nel nostro cammino una circostanza di grazia che può e vuole mantenerci nella disposizione abituale dell’offerta fresca e integrale della nostra consacrazione e ricordiamo che qui troveremo anticipatamente il nostro paradiso perché come ricordava S. Paolo agli anziani della chiesa di Efeso quanto era gia stato assicurato dalla parola di Gesù. VI E’ PIÙ GIOIA NEL DARE CHE NEL RICEVERE (At.20,35)
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