Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
-
09 / 08 / 2024
Agosto 2024
Edvige Terenghi, amministratrice centrale, visita i gruppi in Mozambico....
-
09 / 08 / 2024
Agosto de 2024
Edvige Terenghi, administradora central, visita os grupos em Moçambique....
-
09 / 08 / 2024
Agosto de 2024
Edvige Terenghi, administradora central, visita los grupos en Mozambique...
-
09 / 08 / 2024
19 ottobre 2024
Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
ricordi di teresa
“ Beati quei servi che il padrone al suo ritorno troverà ancora svegli; in verità vi dico, si cingerà la sue vesti, li metterà a tavola e passerà a servirli” ( Lc. 12,37).
Tra questi servi sono certa che ci sei tu Teresa (nella foto la seconda da destra), che in vita hai servito gli altri , in famiglia, nella parrocchia, nella scuola, nella CM , ma soprattutto sei stata vicina a tua sorella Maria. Adesso il Signore è pronto a servire te perché Lui è venuto per servire i suoi discepoli che si sono distinti per la loro disponibilità al servizio. Lui che è venuto a prenderti due giorni dopo il l tuo ottantanovesimo compleanno!!!.
Ci sono relazioni nella nostra vita che perdurano nel tempo, che rimangono stabili, al di là della vicinanza, dei possibili incontri, delle distanze o dei fatti che succedono. Sono perle preziose che custodiamo gelosamente nello scrigno dei ricordi della nostra vita. E’ qui che si conservano le cose più care, che ogni tanto apriamo per fare memoria, dove affiorano i ricordi più preziosi e belli che abbiamo vissuto e che al solo ricordo, fanno rinnovare l’entusiasmo del nostro cammino. Teresa Giordani è stata per me una di queste perle. Tenterò di svolgere il delicato compito di ripercorrere un po’ il cammino di una persona, quando questa ormai non c’è più.
Teresa Giordani. Così usavamo chiamarla nella nostra Famiglia per distinguerla da altre “Terese“ che abbiamo nell’Istituto. Con Teresa ho percorso un pezzo importante della mia – nostra vita e di conseguenza della vita della CM. Attenzione, affetto, stima e amicizia sono doni che ha riversato nel mio cammino e nella storia della CM. Schietta nella sua maniera di essere, dolce nei suoi rimproveri. E, sempre con quel sottile umorismo che sapeva sdrammatizzare situazioni, alle volte complicate. Quando ci si incontrava erano momenti di festa, in cui sempre si faceva un po’ il ripasso della storia della CM. Il passato, presente e futuro si alternavano, spontaneamente, senza nessuna forzatura. Teresa era una sorella con la quale provavi gusto a parlare della CM. Aveva un senso si appartenenza molto marcato, soprattutto uno sguardo positivo, perché il suo parlare non aveva l’impronta di amarezze o delusioni, ma sempre un fondo di speranza di chi sa dare sapore alla vita, anche quando questa poteva non essere sempre facile.
Ricordo Teresa… nei primi anni del mio cammino nella CM.. Era il tempo in cui con Luisa Chierici stavamo studiando in casa per prepararci al diploma di terza media. Teresa era la nostra “maestra di geografia”, ma soprattutto sentivamo in lei una vera sorella attenta e paziente per stare al nostro passo, alle volte un po’ troppo lento nell’apprendimento…
Ricordo Teresa…Con la prima Assemblea della Compagnia Missionaria celebrata nell’anno 1972 ci siamo ritrovate a lavorare nel primo Consiglio Centrale insieme a p. Albino Elegante, Giuseppina Martucci, Leonia Barbato, Antonietta Biavati e Giancarlo Grandi. Egle Matteuzzi come Amministratrice Centrale. Anni di transizione, anni non sempre facili da gestire… Eravamo un bel gruppo, ma io ero giovane, la più giovane del gruppo e inizialmente mi sentivo un po’ timida e in soggezione con questi personaggi ancora poco conosciuti…Fin dall’inizio, mi aveva colpito in Teresa, la sua capacità di ascolto e il suo equilibrio negli interventi sapienti e saggi, per mantenere la comunione. Teresa faceva salti mortali per non mancare ai nostri incontri, cercava così di equilibrare i suoi impegni di scuola, di parrocchia, ma soprattutto di assicurare la sua presenza e assistenza alla sorella Maria.
Ricordo… Altri momenti di crescita insieme sono stati, in seguito, la partecipazione agli “Incontri di comunione”, di spiritualità a Terzolas (Trento), di formazione insieme alle sorelle del gruppo di vita in famiglia di Bologna: Egle, Nilva, Antonietta, Giuseppina Martinelli… P. Albino Elegante guidava questi incontri ed è forse grazie anche a questi momenti che in Teresa è cresciuta una profonda stima e affetto per p.Albino. Quando ci lasciavamo dopo ogni nostro incontro, immancabilmente mi diceva: salutami il Padre, così chiamava p. Albino. Con lui aveva un rapporto molto bello.
Gli ultimi anni della sua vita Teresa li ha trascorsi con la sorella Maria in una “Casa di riposo per anziani”, la prima in Via Nosadella a Bologna, vicino a Via Guidotti. Qui era contenta perché vicina a casa nostra e questo facilitava anche il contatto tra noi. La vedevo spesso e i nostri incontri erano sempre per lei una bella festa.
Un giorno mi ha telefonato perché voleva che andassi da lei, doveva parlarmi. Aveva da consegnarmi una busta per Anna Maria la Presidente. Dentro conteneva i suoi ultimi suggerimenti che riguardavano la revisione del nostro Statuto. “Mi dispiace - mi disse - è tutto quanto ho potuto fare. Non riesco più a scrivere, adesso andate avanti voi…”. Il tono della voce così deciso mi aveva molto impressionato. Ho ricevuto quella busta come consegna di una storia quasi sacra che per lei non finiva lì, ma sapeva che sarebbe continuata ancora da tutti noi. Era il suo ultimo contributo che non era riuscita ad ultimare per l’artrosi alle mani e quindi difficoltà a scrivere.
Una testimonianza molto bella l’abbiamo raccolta recentemente nella seconda Casa di riposo, dove Teresa, sempre con la sorella Maria, aveva dovuto spostarsi a causa dei lavori di riforma della prima Casa di riposo.
Alcune settimane prima di morire, una domenica, io, Anna Maria, Ludo e Lucy siamo andate a trovarla. Mentre eravamo accanto al suo letto è arrivata una signora.
Ci siamo presentate. La signora ha ricordato Teresa così: sono la mamma di un alunno di Teresa. Mio figlio era ricoverato all’ospedale maggiore di Bologna. Teresa in quel periodo insegnava ai bambini ammalati. I maestri di mio figlio mi dicevano sempre che il bambino non sapeva scrivere, soprattutto dicevano, scrive storto! Teresa l’ha preso a cuore, con la sua pazienza e attenzione è riuscita a fargli scrivere bene. Mio figlio oggi scrive diritto. Sono qui per ringraziarla!
Al suo funerale Don Francesco il parroco, nell’omelia così ha parlato di lei: Teresa è tornata oggi nella sua parrocchia di Santa Maria Madre della Chiesa (e aggiungo io: la stessa di Giancarlo Grandi: due persone “GRANDI” della CM). La presenza di Teresa in parrocchia è stata molto significativa soprattutto perché sempre presente per animare la messa delle 8, la messa più organizzata e partecipata…
Le cose da raccontare sono tante ma i miei ricordi si fermano qui. Chi ha conosciuto Teresa Giordani può raccontare tante cose, basterebbe aprire il cuore di ciascuno per far emergere un po’ della sua vita che è anche la nostra.
Carissima Teresa, adesso sei entrata in una vita radicalmente nuova e abitata dalla presenza di Dio. In questa vita nuova hai certamente incontrato le nostre sorelle e fratelli della CM, la comunità che ora vive in cielo. Un gruppo che sta diventando sempre più numeroso… Insieme a te e a loro oggi vogliamo pregare la Consacrazione a Maria: “O Maria, Madre di Dio e Madre nostra la Compagna Missionaria del Sacro Cuore si consacra oggi a te perché…Teresa, sii tu intermediaria perché il nostro coro si unisca unanime in questa preghiera e ottenga da Maria la sua protezione materna oggi e sempre.
Santina
[img2bcx]
Carissima Teresa,
quando mi è giunta la notizia della tua morte, ho sentito un fremito nel mio cuore e subito ti ho affidata al Signore, al Suo amore misericordioso, poi mi sono soffermata a pensare a te, alla tua vita, alle tue scelte di vita così ben orientate verso ciò che è essenziale, con semplicità, con gioia, senza appesantire nulla, ma solo abbandonata al Signore, sempre.
Teresa cara, lasciami fare memoria dei bei tempi in cui facevi lezione a me e a Santina. Com’era bello studiare con te, lavoravamo seriamente, ma con quanta gioia nel cuore e con quante folli risate…
Ricordo ancora quando, in confessione, p. Moro mi scambiò per te e mi chiese: “ Dimmi Teresa le fai ancora le tue teresate?...” E così, ebbi la soddisfazione di sapere che facevi le “teresate” anche se non so ancora cosa fossero. Come ci divertimmo quando a lezione raccontai questo fatto e quanti ricami ci facemmo su …
Teresa, ora davvero ti penso davanti a Dio, nella gloria degli Angeli e dei Santi. Per te ora è tutto chiaro e tutto è paradiso… Mentre ti ricordo nella preghiera, gioisco della tua gioia e non posso non dirti: brava Teresa, ti ammiro perché tu il Signore l’hai amato sul serio e sul serio hai servito gli altri, i tuoi bimbi, tua sorella, con gioia, con passione, con amore, spendendo tutta te stessa proprio come ha fatto Gesù. Sei stata per me, per tutte noi, un bell’esempio di carità.
Il sorriso costante ti coronava il volto rendendoti amabile a accattivante – trasparente della bellezza di Dio. Mi sentivo bene con te. La tua presenza liberante mi metteva a mio agio. Sapevi scorgere il lato positivo in ogni persona e in ogni avvenimento e sapevi usare una saggia ironia specie nelle circostanze difficili e dolorose. Dio ti ha abitata- e tu hai posto in Lui la tua dimora, ora vivi con lui per sempre.
Grazie Teresa, sei stata grande perché hai saputo essere te stessa: umile, sapiente, generosa, vera… Per me rimani un faro di luce che mi indica la via da seguire: Gesù Cristo perché Lui è la via la verità e la vita che conduce alla salvezza. Ti voglio bene Teresa e tu dal cielo guarda verso di noi e portaci nel tuo canto di lode al Signore.
Luisa
le campane della mia terra
Sono stata educata fin da piccola all’ascolto delle campane, quelle del mio paese. Esse chiamavano, ricordavano, convocavano e invitavano a lasciare tutto per recarsi in chiesa, la casa di Dio. Non era un imperativo, ma come amiche che richiamano all’essenziale: dare il primato a Dio, festeggiare la vita, riconoscere che “non solo di pane vive l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio”.
Ho imparato ad ascoltare il suono delle campane e a rispondere affermativamente al loro appello, con i genitori, i vicini e con la gente semplice e credente del mio paese. Si usa dire che “è quando la pianticella è piccola che la si può raddrizzare”, ma io dico che è da piccoli che si impara a considerarsi creature davanti al Creatore e, come afferma D. Antonio Ferreira Gomes: “a rimanere in piedi davanti agli uomini e in ginocchio davanti a Dio”. Era, è e sarà per inginocchiarsi davanti a Dio e per alimentare la comunione fraterna a cui le campane ci chiamano e ci sfidano.
Tante volte ho ripensato, con una gratitudine immensa come l’oceano, alle persone con cui ho imparato ad ascoltare il suono delle campane e andare all’incontro con Colui che mi chiama e ama e con tutti coloro che, in seguito allo stesso suono, hanno lasciato tutto per recarsi in chiesa. Rivedendo il film della mia vita e ricordando i volti di coloro che mi hanno trasmesso la fede – alcuni di loro, comprese le figure più unite a me da stretti vincoli, già sono ritornate alla casa del Padre – mi invadono sentimenti di affetto, di riconoscenza… e sento la responsabilità di continuare a comunicare, con fedeltà, alle nuove generazioni l’eredità ricevuta.
I genitori del mondo attuale si sforzano di dare tutto ai figli e certamente in questo senso fanno tutto il possibile. Temo, però, che i veri valori rimangano offuscati, sottovalutati, ignorati e, di conseguenza, venga interrotta quella trasmissione di valori che noi abbiamo ricevuto. C’è bisogno di recuperare la nostra scala di valori e di discernere, alla luce di Dio, quali sono quelli che umanizzano la vita, accrescono la dignità della persona, aiutano a trovare il senso della vita, a costruire un progetto di felicità in sintonia con l’opzione fondamentale, a vivere nella fedeltà a noi stessi, a Dio e agli altri.
Mi dà gioia guardare indietro e vedere che, pure in altre parti dove non si sentiva il suono delle campane, ho continuato a fare l’esperienza che ogni uomo è mio fratello, che la mensa della condivisione del pane, della fede, della Parola e dell’Eucaristia è sempre preparata e c’è sempre un posto per tutti. Riconosco e ringrazio per la dedizione di tante persone – alcune di queste non so che volto abbiano – nel curare la chiesa con tutto ciò che comporta: pulizie, fiori, tovaglie…liturgia, canti perché hanno contribuito a rendere bello il luogo di culto e a creare uno spazio accogliente e festoso.
La vita non è mai sufficiente per lodare e benedire Dio e i suoi mediatori per gli innumerevoli beni ricevuti. Beato chi ascolta la chiamata di Dio e mette i suoi talenti a servizio della comunità. Mi chiedo spesso che cosa ne sarebbe della mia vita se non avessi imparato a sentire il suono delle campane, a lasciare tutto e dare tempo al Signore del tempo… Certamente la vita sarebbe molto diversa!
riconoscere e servire
Carissimi
siamo ancora nella scia del clima pasquale e di pentecoste. La liturgia in questo tempo ci ha immersi nel mistero di morte e resurrezione del Signore, e ci ha fatto contemplare, negli Atti degli Apostoli, il crescere di una comunità che si è formata proprio intorno a questo mistero. La solennità di Pentecoste ha concluso questo cammino iniziato con l’imposizione delle ceneri. Mi colpisce sempre il fatto che questa solennità non abbia un seguito (come per esempio il Natale e la Pasqua che per otto giorni la liturgia ci fa vivere l’evento) ma ci immerge immediatamente nella ferialità bruscamente. Dalla solennità si passa subito al “tempo ordinario”. Sì, dopo Pentecoste si rientra nella “normalità” ma con la forza e la luce dello Spirito che solo Lui può donare. E solo lo Spirito ti fa fare il passaggio, ogni giorno, dalla paura al coraggio, dal passo incerto al camminare sicuro… come gli apostoli nel cenacolo.
E’ questo Spirito che ci dà modo di riconoscere il Risorto, come ha fatto il discepolo amato sul lago di Tiberiade quando dice a Pietro: “E’ il Signore!” (Gv.21,7). E Pietro: “si cinse i fianchi del camiciotto, poiché era spogliato, e si gettò in mare…”. Il Discepolo amato e Pietro ci indicano il cammino per vivere il nostro quotidiano come una continua Pentecoste. L’uno ci insegna a riconoscere il Signore e l’altro il cammino del servizio, “…si è cinto i fianchi…” (anche Gesù nell’ultima cena si è cinto i fianchi per la lavanda dei piedi). Riconoscere e servire. Coniugare questi verbi ci aiuterà a vivere il cammino del giorno dopo giorno illuminati dallo Spirito che ci darà quella forza necessaria per vivere l’obbedienza alla vita. Andiamo incontro alla festa del sacro Cuore coniugando questi due verbi: Riconoscere e servire.
Riconoscere il grande amore che il Signore ha per noi; la sua presenza in noi e attorno a noi; il suo grido di lamento (Mt 11,20-24) e di giubilo (Mt 11,25-27); riconoscere il cammino verso il Golgota e volgere lo sguardo verso di Lui; riconoscere la sua voce e il suo sguardo in tutti i fratelli e sorelle che la provvidenza pone sul nostro cammino… e proprio perché lo riconosciamo la nostra risposta non può essere che il servizio. Cingiamoci i fianchi, come Pietro, e nell’incontro con il Signore comprenderemo come servire. “Volgendo lo sguardo a colui che hanno trafitto” riconosceremo il Signore e lui stesso ci inviterà a volgere lo sguardo a chi ci circonda, a quel mondo a cui Lui con passione ancora oggi rivolge la sua Parola. Dobbiamo guardarci intorno e servire.
Auguro a tutti di prepararsi alla festa del Sacro Cuore con questo desiderio di saper riconoscere e servire il Signore perché il suo Regno si compia oggi nel nostro cammino e in ogni persona e avvenimento che il vivere ci pone dinanzi.
Il Cuore di Cristo, maestro nel servire, ci benedica!
In comunione
Anna Maria
Noi siamo "caricati" di energia senza proporzioni con le misure del mondo: la fede che solleva le montagne, la speranza che nega l'impossibile, la carità che fa ardere la terra. Ogni minuto della giornata, non importa dove esso ci voglia o per che cosa, permette a Cristo di vivere in noi in mezzo gli uomini.
La fede non è l'impegno temporale della vita eterna? Per vivere della nostra fede nel nostro tempo e nel nostro mondo oggi e qui; per poter realizzare la nostra vocazione alla fede, essere davvero in questo mondo e in questo tempo, siamo forzati ad accordare la nostra vita cristiana a tutto ciò che è, attualmente, accelerato, momentaneo, immediato, siamo forzati non a credere diversamente, ma a vivere diversamente, non ad adattare la fede a questa realtà temporale movimentata fino all'eccesso; ma ad adattarci a questo movimento, adattarci a riconoscere, scegliere, fare la volontà di Dio in questo movimento. Dobbiamo imparare ad adattare rapidamente alla fede noi stessi e le circostanze. Ora noi non siamo preparati al rapidamente.
M: Delbrêl
l'agnello mistico
Fabrice Hadjadj, trentotto anni, francese, nato da genitori ebrei di origini tunisine e convinzioni maoiste, ama presentarsi come un «ebreo di nome arabo e di confessione cattolica». Al cattolicesimo è approdato dopo una giovinezza trascorsa tra l’ammirazione degli ideali rivoluzionari della Comune di Parigi e l’immersione nella lettura dei grandi nichilisti del Novecento. Ha scelto di battezzarsi e diventare cattolico alla soglia dei trent’anni e se gli domandi perché l’ha fatto replica divertito: «Sono io che mi chiedo: perché non l’ho fatto prima?». Fabrice Hadjadj insegna in un liceo e nel seminario diocesano di Tolone, ma è soprattutto un filosofo, una specie di Nietzsche cattolico, autore di una decina di libri in forma di saggi e drammi teatrali. È sposato e ha tre figlie. Il suo percorso ci parla del modo meraviglioso come Dio ci conduce e testimonia di una Europa che, nonostante le sue stravaganze, ha ancora linfa sufficiente per fare scaturire personalità cristiane significative.
[img2bcx]
Cristo immolato
Nella tradizione, il Cristo è simbolizzato da differenti specie di animali: pesce, leone, montone, capro, aquila, pellicano, gallina, ed anche dal serpente (quello di bronzo che Mosè alza nel deserto), o ancora dal verme di terra…Il Verbo fatto uomo ricapitola in lui sia la fauna sia tutto il cosmo. (Uomini e bestie tu salvi, Signore, dice un versetto del salmo 36, principio ancora inconcepibile di un’ecologia soprannaturale). Ma, tra tutte le specie di questo zoo mistico, l’agnello è sempre l’animale prediletto. Per il suo candore, per la sua grazia, per la sua età e la sua docilità, lui rappresenta meglio degli altri la vittima innocente. La sua immagine si trova già nelle catacombe. Possiamo dire che ha la stessa età della Croce. Sul legno del supplizio, i primi crocifissi sospendono un agnello, non un uomo…E, la porta dei tabernacoli, ancora oggi, è abitualmente ornata da un agnello attraversato da una croce simile ad una lancia.
Questa preminenza simbolica dell’agnello viene dalle Scritture sante e si vede confermata dalla liturgia della Chiesa. Nella Genesi, è senza dubbio la prima offerta gradita a Dio: Abele presentò a sua volta primogeniti del suo gregge e il loro grasso (Gen. 4, 4). Nell’Esodo, è l’animale della Pasqua che gli Ebrei devono mangiare: il suo sangue sugli stipiti e sull’architrave delle case li proteggerà dal passaggio dell’angelo sterminatore. In Isaia e in Geremia, è la metafora del Messia sofferente: Il Signore fece ricadere su di lui l’iniquità di noi tutti. Maltrattato, si lasciò umiliare e non aprì la sua bocca; era come agnello condotto al macello (Is. 53, 6-7) – E io, come agnello mansueto che viene portato al macello…(Ger. 11, 19). Anche il Battista designa Gesù come l’Agnello di Dio… (Gv. 1,29 e 36). Questo stesso vangelo dice ancora, al momento del colpo di lancia: Non gli sarà spezzato alcun osso (Gv. 19, 36), prescrizione dell’Esodo riguardo all’agnello pasquale (12,46). È una citazione cruciale, giacché fa della Passione il compimento della Pasqua giudaica, e del Crocifisso il vero Agnello. San Paolo può dire ai Corinzi: Cristo, nostra Pasqua, è stato immolato! (1Cor. 5,7). Infine, nel Apocalisse, la vittima sofferente diviene vittima trionfante: L’Agnello, che è stato immolato, è degno di ricevere potenza e ricchezza, sapienza e forza, onore, gloria e benedizione (Ap. 5,12).
Il legame diretto con l’agnello mangiato durante la cena pasquale fa di lui il simbolo per eccellenza dell’Eucaristia: parla allo stesso tempo del sacrificio e della comunione, ma parla anche della triplice dimensione di memoriale, di viatico e di anticipazione della gloria futura. Proprio prima di consumarla, il prete presenta l’ostia usando le parole di Giovanni Battista: Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo! E la riforma liturgica aggiunge queste parole sublimi: Beati qui ad coenam Agni vocati sunt, “Beati quelli che sono chiamati alla cena dell’Agnello”.
Vediamo dunque l’Agnello Mistico in piedi sulla tovaglia bianca dell’altare l’arteria forata e il suo sangue che scaturisce e cade nel calice d’oro. Il rosso del sangue è rafforzato dal rosso dell’altare. Intorno, gli angeli agitano il turibolo, otto sono in ginocchio a mani giunte, quattro tengono le Arma Christi. Da destra a sinistra, il primo tiene gli steli di canna e la colonna della flagellazione; il secondo il flagello e, sopra un’asta, la spugna imbevuta di aceto; il terzo la lancia e i chiodi; il quarto la corona di spine e la Croce sormontata dall’iscrizione in ebraico, greco e latino: Gesù Nazareno, re dei Giudei. Nessuna arma, nessun attrezzo, nessuna macchina è più efficace di questi stessi strumenti. Loro sono i gioielli insuperabili della tecnica. Sono gli strumenti della Salvezza.
[img3bcx]
La fontana della vita
Centriamo adesso la nostra attenzione sulla striscia scura che spezza a metà la parte bassa del Retablo aperto. Essa ci conduce alla fine dell’Apocalisse. Il suo ultimo capitolo comincia con queste parole: L’angelo mi mostrò poi un fiume d’acqua viva, limpido come cristallo, che scaturiva dal trono di Dio e dell’Agnello (Ap. 22, 1). Qui il fiume è una fontana. Questa fontana irriga tutta la Gerusalemme celeste. È il principio ecologico della sua flora trasfigurata. Questo stesso messaggio è scritto sul bordo di marmo della fontana: Ecco la sorgente dell’acqua viva che scaturisce dal trono di Dio e dell’Agnello. Quest’ultimo nome è rivelatore: questa fontana esce da una piaga. La sorgente profonda è nel cuore di Cristo, Agnello immolato, aperto dal colpo di lancia del soldato. Anche questo, Giovanni l’ha visto. Prima ancora che nella Città celeste, l’angelo gli fa vedere il fiume di vita sul Golgota; lì Giovanni ha visto scorrere il sangue e l’acqua (Gv. 19, 33-35). La Chiesa esce così dal fianco di Cristo come Eva è uscita dal fianco di Adamo. Il sangue e l’acqua corrispondono ai due principali sacramenti che la generano. «Dal fianco di Cristo scaturisce l’acqua che lava e il sangue che riscatta. Per questo il sangue si rapporta al sacramento dell’Eucaristia, e l’acqua a quello del Battesimo» (Santo Tommaso d’Aquino).
Il catino della fontana è ottagonale. Sono numerosi i Battisteri che hanno questa forma. Il numero otto rimanda alle beatitudini (Mt. 5, 3-10): Beati i poveri…Beati i perseguitati…Ci ricorda che il peso della gloria si dirige di preferenza verso la Croce. Ma ci ricorda anche che il peso della Croce sbocca nella gloria: è questa la cifra della Risurrezione. La Risurrezione di Cristo è avvenuta in una domenica, primo giorno della settimana. Ma questa domenica si può comprendere come il giorno dopo il settimo giorno: questo ottavo giorno dove la settimana esce dai binari, dove tutta la Creazione varcherà il muro del tempo per entrare nello splendore dell’Eterno. Possiamo dire che la prospettiva di questo catino ottagonale comanda tutta la composizione del pannello. Se la fontana irriga il Paradiso, non è certo per dei canali tracciati a righello, ma in una forma veramente pittorica.
Questa si allarga alla forma ottagonale degli angeli intorno all’altare e poi ancora ai quattro gruppi dei beati. La sua freschezza si irradia per omotetìa, come un fiore che si apre.
Come la colomba irradia con grande splendore nella parte superiore, la fontana irradia discretamente nella parte inferiore. Questa si situa nell’asse verticale della divinità [guardare tutto il polittico]. Quest’asse parte dal cielo per arrivare alla terra, dalla presenza di Dio in lui stesso alla presenza di Dio nei sacramenti. Comincia con il Signore in maestà, continua con la colomba dello Spirito, incontra il candore eucaristico dell’Agnello, finisce su questo catino battesimale allo stesso tempo limpido e oscuro. Se a partire da esso tutto sembra aprirsi, tutto in esso sembra anche riassorbirsi. Esso conduce agli elementi i più materiali. All’acqua e alla creta dell’origine. Origine della Genesi e origine dell’opera stessa. La terra e l’acqua forniscono i materiali alla pittura. Ma essi costituiscono anche i suoi due limiti formali: l’informe e la trasparenza. Siamo allora alla sorgente simbolica e reale, allo stesso tempo, dell’arte e della vita. E il pittore ci invita a bere a questa sorgente. Non vedete proprio in basso questo rivolo oscuro che ci chiama? L’asse della divinità finisce in una canalizzazione. Essa vuole riversarsi sopra l’altare, al di fuori del quadro. Vuole anche discendere fino allo spettatore. A tal punto da fare di questo spettatore un attore e che questo ascolti, per finire, alcune delle ultime parole dell’Apocalisse: Lo Spirito e la Sposa dicono:”Vieni!”. E chi ascolta, ripeta: “Vieni!”. Chi ha sete, venga; chi vuole, prenda gratuitamente l’acqua della vita (Ap. 22, 17).
cristo risorto e vivente!
È ancora buio e le donne al sepolcro.
La debolezza delle donne
piange di inutili nostalgie
e unge di inutili profumate carezze i corpi amati
anche quando sono morti.
La forza virile può smuovere i macigni
e può chiuderli, i sepolcri,
e cercare strategie di difesa
nelle sale a porte blindate
che il soffio del Vento basterà, solo, a violare.
“Gesù il nazareno non è qui, è risuscitato!
Non cercate tra i morti Colui che è vivo!”
Luce bianca esplosa dalla tenebra di morte
vinta dalla sua preda.
Per sempre.
Cristo risorto e vivente!
La tua luce bianca squarci ancora la nostra tenebra
apra gli occhi, infiammi il cuore,
renda ali alla fragile speranza
e fecondità al povero amore.
Anche gridando la nostra sete di luce
neppure sapendo ciò che facciamo
sappiamo solo uscire nella notte.
Canti la tua Parola per noi come il gallo
che annuncia il nuovo sole
del perdono senza tramonto.
E forse rischieremo di fare della nostra vita
la Memoria di te donato
-ciò che ho fatto io anche voi fate -
nel pane spezzato e nel sangue sparso
e nelle ginocchia piegate
a lavare piedi sporchi di terra e sangue.
E ci sarà dato di riconoscerti,
noi povera Maddalena chiamata per nome
- Maria! -
tua Chiesa sposa finalmente ritrovata,
nel giardino,
e dissetata di nuovo amore
rigenerata debole messaggera di luce.
riconciliazione
Carissimi,
ho ancora nel cuore e negli occhi il viaggio che ho compiuto in Mozambico e in Portogallo, dove ho incontrato i gruppi per una tappa formativa e verifica del cammino dei gruppi. Ringrazio il Signore per ciò che ho potuto vivere e grazie a tutti coloro che hanno accompagnato questo mio viaggio.
Ritornare in Mozambico è sempre un po' ritornare a casa e incontrare molti volti conosciuti ed è per me rendere grazie per tutto ciò che ho ricevuto da questo popolo.
Il viaggio in Mozambico è stato segnato, oltre che dall'incontro con la porzione di Compagnia Missionaria che si trova in questa terra, dalla prima emissione dei voti di Julieta e l'entrata in orientamento di tre giovani.
Sono segni di speranza che dobbiamo accogliere con gioia e responsabilità.
Ci siamo impegnati, quest'anno, a vivere l'anno della Riconsiliazione, rispondendo all'esortazione di S. Paolo: "Vi supplichiamo in nome di Cristo: lasciatevi riconciliare con Dio" (2Cor 5,20). La Quaresima ci fa fare questo cammino di conversione per poterci, in Dio, riconciliare con noi stessi e con le realtà dove si srotola la nostra vita quotidiana.
Riconciliazione che parte dall'amore appassionato di Gesù per tutti noi, un amore senza logica e senza calcolo, che lo porterà a pronunciare sulla croce: "Tutto è compiuto", e il suo fianco trafitto è il sigillo di questo amore.[img2bdx]
In un mondo dove tutto ha un profitto, dove non c'è spazio per la gratuità, Gesù ci insegna a non fare nessun tipo di conti e rendiconti, c'è solo spazio all'amore senza calcolo. Per capire questo mistero di dono e riconciliazione, è necessario entrare nello stesso cammino di Gesù. per fare questo è vitale accostarci al Vangelo, come luogo di preghiera e di ricerca di luce; è questa Parola che ci fa scoprire la concretezza del dono di Gesù e di come dobbiamo incarnare questo amore che si deve rendere concreto ogni giorno e che solo un cuore "in pace" può realizzare.
Il triduo pasquale diventa per noi scuola dove siamo chiamati a comprendere il mistero del dono: nel gesto della lavanda dei piedi (giovedì santo) siamo invitati a metterci quel grmbiule, di cui si è cinto Gesù, per far sì che il dono diventi servizio; nel volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto (venerdì santo), riconosciamo la nostra pochezza e il nostro peccato; nel silenzio e nell'attesa del sabato santo, la speranza ci faccia strada, quella speranza che diventa certezza perché "sperare è attendere con illimitata fiducia qualcosa che non si conosce, ma da parte di Colui del quale si conosce l'amore" (M. Delbrel); il servizio, il perdono, la speranza ci fanno strada per incontrare il Risorto nel giorno di Pasqua.
Buona Pasqua a tutti e che Colui che è vivo ci doni ogni benedizione.
In comunione
Anna Maria
[img3bsx]IL CATINO DI ACQUA SPORCA
Se dovessi scegliere una reliquia della tua passione
prenderei proprio quel catino colmo di acqua sporca.
Girare il mondo con quel recipiente
e ad ogni piede cingermi dell'asciugatoio
e curvarmi giù in basso,
non alzando mai la testa oltre il polpaccio
per non distinguere i nemici dagli amici
e lavare i piedi del vagabondo, dell'ateo, del drogato,
del carcerato, dell'omicida, di chi non mi saluta più,
di quel compagno per cui non prego mai,
in silenzio,
finsché tutti abbiamo capito nel mio
il tuo Amore.
(Madeleine Delbrel)