Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
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19 ottobre 2024
Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
consacrazione a maria
O Maria,
Madre di Dio e Madre nostra,
la Compagnia Missionaria del S. Cuore
si consacra oggi a te,
perchè tu abbia a regnare
nella nostra famiglia
con la tua protezione materna
e con il tuo spirito
modello di ogni virtù.
Degnati di prendere pieno possesso di questa famiglia
che vuole essere il piccolo regno
del Tuo cuore
e del Cuore di Gesù.
Amen
come a betania
Dopo la mia ordinazione sacerdotale, i superiori della mia Congregazione mi incaricarono di diffondere la devozione al S. Cuore di Gesù, come l'aveva praticata e insegnata ai suoi figli spirituali, i Sacerdoti del S. Cuore, il venerato p. Dehon. Eravamo alla fine della seconda guerra mondiale ed era forte la sete di spiritualità; ho potuto così avere contatto con molti sacerdoti, con adulti e con giovani. Alcune ragazze mi comunicarono la volontà di una donazione più piena al Signore: all'inizio ho cercato di indirizzarle all'una o all'altra congregazione feminile che conoscevo; ma altre ragazze, che mi accompagnavano nei vari incontri, espressero il desiderio di rimanere nel cammino della stessa spiritualità a cui avevano già aderito: come a Betania, in atteggiamento di ascolto, nell'amore e nel servizio di Dio e dei fratelli. Così ha avuto inizio la Compagnia Missionaria del S. Cuore di Gesù, la notte di Natale del 1957
nate con gesù a natale
La giornata tanto attesa finalmente è arrivata. Sembrava che questi giorni non passassero più tanto era il nostro desiderio di vedere spuntare l’alba del 24.12.57.
Incominciano a farsi sentire i primi squilli di campanello: ognuna di noi va a gara per correre ad aprire la porta alle nostre sorelle esterne che con noi oggi faranno una giornata di ritiro in preparazione alla funzione di accettazione nella Compagnia...
...alle 8,30 ci si ritrova in Cappella. Il Padre, dopo aver proceduto alla benedizione dell’Altare e di tutti gli oggetti sacri, si accinge a celebrare la S.Messa. Non si può dire che cosa provavano i nostri cuori in quel momento.
La prima S.Messa celebrata nella nostra casa, la S.Messa che ci avrebbe permesso di avere sempre Gesù in mezzo a noi! Non potevano sgorgare dai nostri cuori che sentimenti di viva riconoscenza per la grazia che il Signore in quel momento ci faceva, per tutte le grazie che ci aveva fatto preferendoci a tante altre ben più buone di noi. Questi sentimenti sono stati gli stessi che il Padre ci ha proposto alla nostra prima meditazione, all’inizio del ritiro...
...il Padre ci ha comunicato, con nostra grande gioia che la Direttrice della Compagnia Missionaria del S.Cuore, sarà in perpetuo la Madonna.
Costituita dalla sapienza Divina la Direttrice di Gesù è giusto che sia anche la Direttrice delle anime che compongono la nuova famiglia di Gesù. Ciò detto il Padre ha consacrato solennemente il primo nucleo della Compagnia Missionaria alla Madonna...
...Per esprimere in concreto la nostra dipendenza dalla Madonna, le lasceremo oggi e sempre il primo posto nella nostra comunità: in Cappella, nel laboratorio, in refettorio, in dormitorio etc…
La sua immagine oppure un piccolo mazzo di fiori ci richiamerà la sua presenza e a Lei porteremo tutti i nostri problemi, tutte le nostre ansietà, tutte le nostre pene e da Lei ci attenderemo la soluzione, la guida e il conforto.
La S.Messa di mezzanotte ha inizio mentre una profonda commozione pervade i nostri cuori: con Gesù anche noi stiamo nascendo ad una nuova vita. In quel momento più niente ci è sembrato aver importanza; nessuna distrazione venne in quel momento a distoglierci da questa realtà: stavamo per promettere a Gesù in forma solenne che per la vita e per la morte saremmo state sue.
Dopo la S.Messa viene esposto il SS. Sacramento ed ha così inizio la funzione circa la nostra prima accettazione nella Compagnia Missionaria del Sacro Cuore...
...Questa notte non siamo riuscite a trattenere in noi la gioia per il grande beneficio che il Signore ci ha fatto, non siamo riuscite a coricarci subito e tanto meno chiudere quei benedetti occhi. Sentivamo tanto amore per Gesù nelle nostre anime!
intervista per l'80° compleanno
Bologna, 15 novembre 1999
Rivolgere lo sguardo al passato, per riconoscere nella storia l’agire di Dio, è sempre motivo di gratitudine e alimento della speranza, per questo abbiamo chiesto a p. Albino di offrirci brevemente qualche ricordo della sua vita, soprattutto riguardante la sua famiglia e la sua vocazione.
La famiglia e la vocazione
«Sono nato a Caldogno – racconta – in provincia di Vicenza, da una famiglia povera, molto povera. Mio padre, Giovanni, lavorava i campi, ma il sabato e la domenica faceva il barbiere; la mamma, Maria, era semplicemente casalinga e, nella sua povertà, aveva da offrire una gran ricchezza alla famiglia: il suo grande affetto. Ebbero tre figli: Angelo, Gemma e io, ma dopo il primo la mamma aveva avuto due aborti spontanei, chissà… forse dovuti alla fatica e agli stenti.
Andavo alla scuola elementare e riuscivo bene, per questo qualcuno cominciò a chiedermi se volevo farmi prete: l’unica possibilità di studiare, allora, era andare in seminario; ma io mi arrabbiavo molto, quando mi facevano questa domanda.
Una sera, però, quando frequentavo la quarta classe, presi in mano le Letture Cattoliche di D. Bosco. Non so di chi fosse quel libro e come lo avessi avuto. In seguito l’ho cercato spesso e non sono più riuscito a trovarlo, ma rivedo ancora com’era fatto. In quell’opera lessi la storia di un missionario, che era andato in Cina ed era morto martire, decapitato. Ho presente l’immagine che lo raffigurava in piedi, sul parapetto della nave, mentre guardava lontano…
Anziché spaventarmi e confermarmi nel rifiuto di farmi prete, quella lettura fece sorgere in me un grande desiderio. Piansi quella sera e mi dissi: “Domani vado a farmi prete”. Andai dal parroco, che mi chiese: “Che classe fai?”. “La quarta”, risposi. “Finisci la quinta - concluse - e poi ne riparliamo”.
Alla scuola apostolica
Terminata la scuola, l’anno successivo, fu il parroco a chiedermi: “Vuoi ancora farti prete?”. Risposi di sì e lui mi accompagnò alla scuola apostolica dei Sacerdoti del Sacro Cuore, ad Albino, in provincia di Bergamo, perché pochi giorni prima aveva ricevuto un foglietto, diffuso per far conoscere questa scuola. I miei genitori non avrebbero potuto pagare la retta del seminario diocesano. Anche ad Albino chiesero una retta, ma mio padre disse che, se questa era la condizione, avrebbe dovuto portarmi a casa. Fui accettato ugualmente. Certo la scelta di Albino fu per me molto dura: la mia casa distava 170 km; troppo. La nostalgia della famiglia mi fece piangere per molte notti. In cinque anni, venne a trovarmi una volta il papà e una volta la mamma, mentre i ragazzi bergamaschi ricevevano le visite dei parenti, con relativi pacchetti, ogni quindici giorni. Potei tornare a casa, la prima volta, in vacanza, dopo quattro anni.
Ero arrivato alla scuola apostolica in ottobre; il 25 marzo successivo, festa dell’Annunciazione, feci la vestizione; eravamo in tanti, tanti bambini vestiti da prete. Ci creava non poca fatica, fisica e psicologica, quell’abito.
Religioso del Sacro Cuore
Dopo il ginnasio, andai ad Albisola Superiore (SV), per il noviziato, durante il quale si interrompeva la scuola: si era impegnati unicamente nella formazione spirituale. Dopo i primi voti, emessi il 29 settembre 1937, iniziai il liceo: il primo anno a Spotorno (SV), gli altri due a Oropa (NO). Si era in montagna; faceva molto freddo e noi eravamo senza riscaldamento. Si desiderava andare al santuario della Madonna per scaldarci.
Terminato il liceo venni allo studentato, qui a Bologna, per lo studio della teologia, ma dovemmo sfollare a Castiglione dei Pepoli, sull’Appennino, a causa della guerra. Dopo tre anni fui ordinato sacerdote, il 25 giugno 1944, dal Cardinale Nasalli Rocca, nella vecchia chiesina del Suffragio, qui a Bologna, ma la mia famiglia non poté essere presente. Dopo tre giorni la raggiunsi io e celebrai la prima messa a Caldogno. Il treno che mi portò a casa fu l’ultimo che riuscì a passare. Fu bombardata la linea ferroviaria. Il quarto anno di teologia l’ho trascorso in famiglia, studiando sui libri del parroco. Erano stati anni difficili: c’era poco da mangiare a Castiglione, per giovani che avevano sempre un buon appetito. Quando arrivai a casa, la mamma mi disse che ero diventato trasparente.
L’Apostolato della Riparazione
Tornato a Bologna, al termine della guerra, il superiore mi chiese se volevo fare il professore allo studentato o dedicarmi all’apostolato; era questo il mio desiderio. Mi nominò, dunque, direttore dell’Apostolato della Riparazione, un’associazione che diffondeva la spiritualità del S. Cuore, nella forma che p. Dehon aveva consegnato alla sua congregazione: vita d’amore e di riparazione per l’avvento del Regno del Cuore di Gesù nelle anime e nelle società. Furono anni bellissimi, di grandi soddisfazioni. Insieme con p. Moro, che seguiva gli Amici di Gesù, associazione di bambini che vivevano la stessa spiritualità, ho girato l’Italia, per diffondere l’associazione, formarne i membri, predicare gli esercizi spirituali.
La Compagnia Missionaria
Tra le giovani iscritte all’Apostolato della Riparazione, alcune volevano consacrarsi totalmente al Signore e io indicavo loro gli istituti dedicati al S. Cuore, ma finalmente, a Cesuna (VI), durante un corso di esercizi, con un piccolo gruppo di giovani che desideravano la vita di consacrazione, decidemmo di dare inizio ad una nuova realtà. Fu quello il primo passo verso la Compagnia Missionaria. Pensammo di aprire una casa per esercizi e dedicarci a quel servizio; dopo aver cercato in diverse diocesi, finalmente trovammo una casa a Padova con l’approvazione del vescovo, ma mentre ero in viaggio per andare a comprarla, abbi un grave incidente e il progetto svanì.
La Compagnia Missionaria nacque così a Bologna, e le missionarie si dedicarono ad altre attività. A Natale compie quarantadue anni ed è ormai diffusa in tre continenti”.
Guardare lontano
Una vita intensa, quella di p. Albino, dedicata al Signore fin dall’infanzia, offerta con grande dinamismo a servizio del Regno, con quella carica d’amore che sgorga dal Cuore di Cristo.
Né il distacco e la lontananza dalla famiglia, né la disciplina e le esigenze della vita di seminario, né l’ingombrante talare indossata da bambino, né le ristrettezze e le tribolazioni causate dalla guerra e nessuna delle contrarietà della vita gli hanno impedito di seguire il Signore e vivere il suo progetto. All’omelia della messa del suo compleanno ci ha chiesto che lo aiutassimo a gridare a Dio il suo grazie, per tutto ciò che Egli ha compiuto nella sua vita. Quasi mai si ferma a ricordare fatti o persone che gli hanno creato problema, mentre continua a spendersi per il Regno di Dio, con grande impegno e fiducia, soprattutto accompagnando il cammino e la crescita della Compagnia Missionaria, senza timore di affrontare ancora lunghi viaggi e di esercitarsi a parlare in diverse lingue e adattarsi a diversi costumi.
Gli ottant’anni di p. Albino ci parlano di una indomita speranza radicata nell’amore del Cuore di Cristo e in una profonda fiducia nella sua misericordia. Espressione di questa speranza è il motto che ha sempre avuto caro e ha voluto consegnare alla Compagnia Missionaria: Guardare lontano. In esso scopriamo la fedeltà di p. Albino alla sua vocazione, a quel progetto di Dio che per la prima volta gli si rivelò attraverso la storia e l’immagine di un missionario che, lasciando la sua terra, guardava lontano, proteso verso i traguardi sconfinati dell’amore che non ha età.
per diffondere l'amore
25 giugno 2004
60 anni di sacerdozio di p. Elegante
Dice la Scrittura che il valore di una vita non si calcola dal numero degli anni, ma dai suoi frutti, dall’intensità con cui è vissuta. È vero che non c’è merito nel vivere a lungo, ma c’è nel vivere compiendo il bene. In p. Albino, una lunga vita e i buoni frutti stanno insieme e fanno sgorgare, dal suo e dal nostro cuore, gratitudine e gioia e speranza.
L’inizio di una lunga storia
60 anni di sacerdozio, compiuti il 25 giugno, sono una bella cifra; scritta in crema al limone su una deliziosa torta alla panna suscita una simpatica allegria e calorosi complimenti, ma rischierebbe di restare… vuota. Si riempie, invece, e suscita grata commozione, quando si va a guardare dentro: il contenuto di questi anni.
Anni pieni, anzitutto, della grazia e della misericordia di Dio. Quel magrissimo ragazzo ventiquattrenne, vestito in talare e cinto del cordone nero”dehoniano”, fotografato nel giorno dell’ordinazione sacerdotale, il 25 giugno 1944, sapeva di essere oggetto dell’amore di predilezione di Dio, che lo aveva chiamato, ancora bambino, alla vita consacrata e al sacerdozio per diffondere il regno del S. Cuore di Gesù nelle anime e nelle società. Dopo sessant’anni, l’anziano sacerdote che celebra l’eucaristia nella cappella della Compagnia Missionaria del S. Cuore a Bologna, rende lode e ringraziamento a Dio Amore per le sorprendenti manifestazioni e gli innumerevoli frutti che hanno dato volto e fecondità a quella grazia.
Dopo l’ordinazione, in quel lontano e dolorosamente memorabile 1944, il novello sacerdote, quasi inseguito dai furori della guerra, raggiunse la sua famiglia nel paese natale, a Caldogno (VI) e si sentì dire da sua madre che era diventato “trasparente”. Celebrò la sua prima messa al paese e vi restò per un anno, bloccato dall’interruzione della ferrovia bombardata. Chissà: forse la Provvidenza si servì di quella ferrovia interrotta per riconsegnare prolungatamente all’affetto della famiglia quel giovane che, per rispondere alla chiamata divina, aveva lasciato, ancora bambino, secondo l’uso di quel tempo, papà e mamma, fratello e sorella, piangendo calde lacrime per lunghe notti. Certamente, quando tornò tra i suoi confratelli, a Bologna, aveva perso la trasparenza… quella “fisica” causata dalla giovane fame quasi mai saziata, durante gli ultimi anni che gli studenti dehoniani avevano vissuto da sfollati a Castiglione dei Pepoli, sull’Appennino bolognese.
Trasparenza di Dio
Un’altra “trasparenza” p. Albino, che allora si chiamava p. Giuseppe (era uso, prima del Concilio Vaticano II, che i religiosi sostituissero al nome di battesimo il cosiddetto “nome di religione”; dopo il Concilio, molti hanno scelto di riprendere il nome di battesimo) si sforzò di non perdere, anzi certamente cercò di coltivare: la trasparenza dell’agire di Dio nella sua persona. La missione che le fu affidata dai superiori esigeva questa trasparenza in modo speciale. Fu nominato direttore nazionale dell’Apostolato della Riparazione, associazione composta di laici e sacerdoti che si impegnava a vivere, testimoniare e diffondere la spiritualità di amore e riparazione in comunione con il Cuore di Cristo, secondo l’insegnamento di p. Dehon. Proprio all’interno di questa associazione è maturata l’esigenza di una nuova forma di vita consacrata concretizzatasi nella Compagnia Missionaria del S. Cuore, fondata da p. Albino a Bologna nel Natale 1957.
Manifestare al mondo, con la parola e con la testimonianza, l’amore di Dio che si rivela in modo eminente nel Cuore trafitto di Cristo crocifisso e impegnare, per questo, la totalità della vita con la professione dei consigli evangelici di castità, povertà, obbedienza; diffondere e vivificare con l’annuncio e la testimonianza di questo amore ogni realtà umana, ogni ambiente dove uomini e donne vivono, lavorano, sperano, soffrono… perché ogni persona ritrovi se stessa in Cristo e realizzi la propria vita secondo il progetto di bene del Creatore: questo il sogno che Dio ha affidato a p. Albino e alle donne che hanno voluto, con lui, rispondere “Ecce venio, Ecce ancilla” ( Eccomi, io vengo, Eccomi sono la serva del Signore).
Il cammino, iniziato con tanto entusiasmo e tante speranze, ha richiesto ascolto e impegno, ricerca e fatica per comprendere i sentieri di Dio: vivere la piena consacrazione per una missione di evangelizzazione e promozione umana, ma restando laiche all’interno del popolo di Dio, facendosi compagne di cammino con i fedeli laici che, dal Concilio Vaticano II, andavano e vanno ancora scoprendo e assumendo responsabilmente la vocazione alla santità e la missione ecclesiale; vivere come laiche consacrate in gruppi di vita fraterna o da sole o nella famiglia di origine; incarnare la spiritualità di amore e di oblazione, di obbedienza e di servizio, di immolazione e di comunione, in una missione espressa nell’evangelizzazione diretta e nel lavoro professionale o casalingo, nel volontariato e nell’impegno socio-politico, nella missione ad gentes, accolta e voluta fin dai primi anni sotto la spinta del motto “guardare lontano”.
Famiglia in crescita
E mentre la Compagnia Missionaria, arricchitasi fin dai primi anni di consacrate portoghesi, nella seconda metà degli anni ’60 andava intraprendendo vie nuove, aprendosi alle esigenze ecclesiali del dopo-concilio, p. Albino doveva sempre più farsi attento al soffio sorprendente dello Spirito, che non lascia mai nulla parcheggiato nelle aree dello scontato e del ripetitivo: le missionarie studiavano teologia con gli studenti dehoniani, si preparavano a partire per il Mozambico, cominciavano ad impegnarsi nell’animazione del tempo libero con la gestione stagionale di una casa per ferie e con l’ITER, in diretta collaborazione con p. Albino offrivano alle parrocchie il servizio di evangelizzazione nella forma delle missioni popolari. Sempre con un unico scopo: offrire al mondo la testimonianza dell’amore di Dio, anche con i segni dell’accoglienza, della disponibilità, del sorriso, della condivisione, della festa…
Cominciava intanto a bussare alla porta un’altra realtà, che p. Albino accolse, coltivò, cercando di darle, nel volgere del tempo, una fisionomia sempre più chiara: i familiares, laici uomini e donne che assumono la spiritualità e partecipano alla missione della Compagnia Missionaria senza i voti di consacrazione.
Nell’apertura allo Spirito, nonostante gli ostacoli dei limiti e fragilità umane, nel dialogo a volte faticoso, nell’impegno a camminare con la Chiesa e a farsi compagni di strada dell’umanità, nell’accoglienza e condivisione di gioie, speranze, delusioni e tribolazioni, nell’offerta quotidiana della vita, la Compagnia Missionaria è cresciuta e si è diffusa ormai in quattro continenti, costringendo il fondatore e viaggiare molto, a imparare diverse lingue e… a prendere molta confidenza con computer e posta elettronica: degno figlio di p. Dehon che apprezzava molto e si serviva con gioia dei mezzi sempre nuovi che il progresso offriva tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo. P. Elegante ormai ha intrapreso la via del XXI secolo e pare la percorra con una certa disinvoltura.
Gratitudine nella comunione
Tutta la Compagnia Missionaria ha festeggiato con gioia e gratitudine i sessant’anni di sacerdozio di p. Elegante. Un grosso album ha raccolto auguri e testimonianze scritti per l’occasione da missionarie e familiares dei vari gruppi sparsi nel mondo. Ma soprattutto ogni membro della famiglia era presente, anche se fisicamente lontano, alla celebrazione eucaristica tenutasi in via Guidotti a Bologna, sabato 26 giugno. Un alberello di ulivo rendeva in qualche modo visibile la presenza di tutti: ai rami erano attaccati biglietti con i nomi di ciascuno dei membri viventi e, sulla terra, erano appoggiati i nomi di quella parte di Compagnia Missionaria che ha già raggiunto la meta.
Una forte e commovente esperienza di comunione, e, nella gratitudine profonda, anche un momento di verifica e di riconferma della vocazione ad essere testimonianza luminosa, serena, coraggiosa dell’amore che Dio ha riversato in noi: questi, in sintesi, i sentimenti e il desiderio espressi da p. Albino durante la celebrazione, in riferimento a se stesso e ai membri della Compagnia Missionaria.
Qualche settimana prima, c’era stata un’anteprima della festa, a S. Antonio Abate, dove p. Elegante aveva incontrato un gruppo di giovani e, successivamente, familiares e missionarie; in due momenti si era dato spazio ai ricordi, alla testimonianza, alla preghiera, alla celebrazione eucaristica, alla festa condivisa, nella gioia e nella gratitudine a Dio Amore per i doni della sua grazia, ma anche a p. Albino per la generosità della risposta e a quanti – anzitutto i genitori Giovanni e Maria e tutti i suoi formatori – lo hanno educato alla fede e guidato sulle vie di Dio.
amore oltre ogni desiderio
Quella sera, Simone fissava le acque del lago; su quella riva aveva incontrato per la prima volta il Maestro; sui riflessi della luna incurvata a oriente, rivedeva l’incontro che aveva cambiato la sua esistenza e i giorni trascorsi con Lui. Ma soprattutto i riflessi argentei della luna gli riflettevano lo sguardo di Gesù, mentre usciva dalla casa di Caifa, la notte del tradimento. Era stata quella l’ultima volta che l’aveva visto; poi era fuggito fuori a piangere, mentre il cuore sussultava nel desiderio spasimante di una parola di perdono.
No, Simone, come tutti gli altri ad eccezione di uno, non lo aveva visto crocifisso, però... i segni dell’amore sulle sue mani, sui piedi e sul costato, Gesù, risorto, li aveva fatti contemplare e toccare anche a lui e agli altri, il giorno dopo il sabato, là nella sala della cena... Era una gioia strana quella che aveva provato, mescolata a timore e incredulità, a stupore e anche a rimpianto... a un lancinante pentimento...Quelle ferite aperte sul corpo misterioso del Risorto lo ferivano dentro e non sapeva ancora se di gioia o di dolore, o forse di tutt’e due...
Credendo di vincere il groviglio dei sentimenti, decise di andare a pescare e gli altri lo seguirono, ma quella notte ogni sforzo risultò inutile.
Le parole di Simone
Dice la Scrittura che la bocca parla per l’abbondanza del cuore. E quella notte, il mormorio delle onde del lago gli ripetevano l’eco delle parole che tante volte gli erano uscite dal cuore e dalla bocca davanti a Gesù, a volte senza sapere bene ciò che diceva, perché i pensieri del suo cuore non sempre erano i pensieri del cuore di Dio. Ma proprio quella sua parola schietta, sincera, immediata, aveva rivelato la semplicità e anche la debolezza del suo cuore di uomo. Sì, era un altro il discepolo che Gesù amava, ma su Simone il Maestro aveva sempre fissato lo sguardo in modo diverso, fin dalla prima volta.
“Tu sei Simone, figlio di Giovanni, ti chiamerai Roccia”. Come aveva potuto permettersi di dirgli una cosa simile, con quale autorità? come poteva impossessarsi di lui fino a quel punto? ed era solo il primo incontro! Quella volta aveva taciuto solo perché lo stupore gli aveva paralizzato il cuore e la lingua. Avrebbe fatto bene a tacere altre volte, come quando, dopo una pesca strabiliante, gli aveva gridato: “Allontanati da me che sono peccatore!” E Lui, invece gli aveva promesso una pesca più importante. Poi quella volta sul monte: “Maestro, facciamo qui tre tende...” Davvero non sapeva neanche lui cosa stesse dicendo. Però, qualche volta le sue labbra avevano espresso l’abbondanza della fede che era fiorita quasi a sua insaputa nel suo cuore di uomo semplice, ma assetato di Dio. “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”, gli aveva risposto a Cesarea con entusiasmo. “Signore, tu solo hai parole di vita eterna”, era stata la professione di una fede sofferta e tentata, nella sinagoga di Cafarnao. Ma c’erano alcune parole che, ora, avrebbe voluto non aver mai pronunciato, a costo della vita, ma ormai... Avevano abbandonato da poco Cesarea e il suo entusiasmo si era scontrato con una inaccettabile profezia di sofferenza e di morte e lui aveva gridato: “No, Signore, questo non deve accaderti mai!”. Mai Gesù gli aveva detto una parola così dura e dolorosa: “Tu sei satana!”. E proprio quando quella profezia stava per compiersi, egli, Simone la Roccia, aveva sentito sciogliersi come cera il suo cuore per la paura e la delusione e anche la rabbia e per tre volte, di fronte a una serva, aveva giurato: “Non conosco quell’uomo”.
È il Signore!
Stentava a riconoscersi e a capirsi, Simone. La sua vita era stata sconvolta da un incontro e da un’esperienza che gli rivelava se stesso più dell’acqua del lago nei giorni di bonaccia assolata..., ma quell’immagine non gli piaceva: era deluso, terribilmente deluso di se stesso... neanche più pescare sapeva... Forse, quando avesse di nuovo visto il Maestro, avrebbe dovuto ripetergli la confessione struggente: “Allontanati da me che sono un peccatore”, ma ormai, davanti a lui, gli riusciva solo di tacere..., eppure, che desiderio ardente di vederlo, di ascoltare ancora la sua voce!
“Figlioli, non avete nulla da mangiare?”
Ora Simone non sapeva cosa fosse successo: un gesto di noia e di rassegnazione e aveva gettato con gli altri la rete a destra, secondo l’indicazione di quell’uomo sulla riva. Era l’alba: un giorno nuovo. Ma non riuscivano più a ritirare la rete... Ma questo era già successo un’altra volta...! “E’ il Signore!” gli aveva gridato quello che Gesù amava. E lui, Simone la Roccia era già in acqua; giunto prima degli altri sulla riva, lo osservava; quasi non lo riconosceva più; possibile che fosse così cambiato, in pochi giorni, o era cambiato lui, Simone o era la sua fede che, nell’ora delle tenebre aveva perso lo smalto? Intanto Gesù aveva preparato la colazione, li serviva; oh, allora se li serviva, allora era proprio lui!
Mi ami tu?
Ed ecco che lo chiamò in disparte: il cuore di Simone sussultò; era l’ora della verità, dopo la tragedia del rinnegamento. “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. “No, non è possibile che mi rivolga una domanda così, proprio a me!” Ora le parole facevano fatica a uscire dal cuore e dalla bocca di Simone; sarebbe stato più facile rispondere ad un rimprovero... E invece Lui, il Maestro crocifisso e risorto era venuto lì, all’alba, a rivolgergli una richiesta di amore, ma di quello totale! “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Ma Gesù aveva insistito ancora, fino a tre volte e Simone aveva avuto l’impressione dolorosa che Gesù stesse tentando di aprirgli il cuore, così come la lancia aveva aperto il suo. E allora Simone si consegnò totalmente, in un abbandono e una fiducia irreversibili: “Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti voglio bene”.
Doveva, però, anche comprendere che Gesù non gli chiedeva un amore pieno solo per Sé; glielo chiedeva per l’umanità, quella umanità peccatrice, così uguale a Simone, che Egli, Gesù, aveva amato fino a morire. Simone la Roccia, dopo aver fatto l’esperienza drammatica della debolezza e del peccato, inseguito e raggiunto da un amore totale che lo rivestiva di perdono, riceveva in eredità un’umanità da amare, da perdonare, da servire, fino alla morte. Non si ama il Maestro senza ricevere una innumerevole schiera di fratelli e sorelle da amare, per i quali offrire la vita.
“Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” E aggiunse: “Seguimi”.
E Simone la Roccia, da quel momento, definitivamente, lasciò tutto e sacrificò la vita, sulle orme del Maestro, testimone coraggioso e fedele della gioia, della vita, dell’amore, insieme con il discepolo che Gesù amava e con tutti gli altri.
“Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato... noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi annunciamo, perché la nostra gioia sia perfetta” (1 Gv. 1, 1-4).