Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
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19 ottobre 2024
Assemblea italiana, in presenza, a Bologna, e in collegamento online...
grazie ai missionari
“Siamo andati per dare e abbiamo invece ricevuto”.
Con questa frase potrei sintetizzare l’intera esperienza estiva in Albania, a Scutari e nel villaggio di Boric. Siamo partiti dall’Italia motivati a partecipare al campo estivo organizzato dai padri dehoniani, per dare allegria e compagnia ai bambini albanesi, per condividere l’esperienza con i giovani animatori albanesi offrendo la nostra collaborazione e il nostro supporto. Siamo invece tornati a casa più ricchi ed entusiasti ed abbiamo ricevuto più di quanto non abbiamo effettivamente dato. La gioia, la semplicità, l’umiltà dei bambini; la passione, la volontà e la tenacia dei padri, lo spirito di sacrificio e la dedizione delle suore, la voglia di rialzarsi dell’intero popolo albanese sono tutte cose che non dimenticheremo mai. Sono tutte testimonianze di vita che ci hanno dato una carica infinita e che abbiamo riportato nelle nostre vite, nelle nostra quotidianità. Sono rimasto piacevolmente sorpreso dal popolo albanese, un popolo con mille problemi ma con una grande dignità e mille risorse. Non è facile riprendersi da anni di così dura dittatura, ma l’impegno e la volontà soprattutto delle nuove generazioni può essere un importante aiuto. Tuttavia in alcuni tratti il popolo albanese è già simile all’Occidente, lo status symbol rappresentato dalle auto, dal telefonino, dall’abbigliamento sono purtroppo tutti segnali che evidenziano come l’Albania stia prendendo il peggio del nostro continente.
Ritornando all’esperienza del campo personalmente ho potuto constatare con mano cosa significa avere fede e amore verso Gesù. Al ritorno dalla giornata mondiale della gioventù del 2005 ricordo di aver pensato molte volte all’impressionante numero di giovani che da tutto il mondo erano accorsi a Colonia per adorare il Signore. La mia fede uscì rafforzata da quella stupenda esperienza; erano stati i grandi numeri a farmi aprire gli occhi sulla bellezza e sull’attualità del messaggio di Gesù. Queste stesse emozioni le ho provate ora al ritorno dall’Albania, questa volta però non sono stati i grandi numeri ad impressionarmi ma la forza d’animo e la passione di un solo uomo, di pochi uomini.
Mi sono spesso chiesto mentre ero là, cosa spinge, un uomo a 60 anni e più a decidere di lasciare l’Italia e recarsi in una terra sconosciuta, dove c’è diffidenza verso i cristiani, dov’è la lingua sembra essere un ostacolo insormontabile, dove non ci sono strade, strutture e nulla a cui siamo abituati qui da noi? Non sono state le numerose chiese costruite dai padri, le centinaia di persone evangelizzate e le intere famiglie a cui hanno dato un aiuto concreto a darmi la risposta, ma la serenità, la tranquillità e la gioia che sprizza da Padre Mario e da Padre Antonio, mi hanno fatto capire che questa è la strada giusta e il motivo di questa scelta. Per me la figura di Padre Mario, di Padre Antonio, di Padre Giuseppe, di Padre Gianni e delle suore sono testimonianze che Gesù è vivo e presente in mezzo a noi, è più vicino di quanto pensiamo e non ci abbandona mai. E ancora, guardare 10 fedeli attendere ore e ore nei monti l’arrivo di Padre Mario, dell’Eucarestia, mi fa riflettere sulla mia fede, sul mio essere cristiano. Spesso ci vantiamo di essere dei buoni cristiani, perché andiamo a Messa o perché ci comportiamo bene, ma dinanzi a queste cose non possiamo non rimanere sbigottiti.
Porterò nel cuore l’Albania, il suo popolo e i tantissimi bambini (ti veniva voglia di prenderne un paio e portarli a casa con te) a cui credevo di dare ma da cui ho ricevuto tantissimo per la mia vita e il mio futuro. Un ringraziamento va a Lucia, all’associazione Guardare Lontano e ai padri Dehoniani che ci hanno scelti per fare questa esperienza.
Con la gioia nel cuore,
due facce
Per la prima volta noi giovani del gruppo “Amici di san Gerardo” di Sant’Antonio Abate (NA) ci siamo recati in terra di missione. Eravamo otto persone, tra ragazzi e ragazze, con un’accompagnatrice, la missionaria Lucia Capriotti, e per alcuni giorni abbiamo visitato la missione dehoniana di Scutari, in Albania, abbiamo fatto animazione con i bambini insieme ad altri ragazzi italiani grazie alla vigile guida di due giovani padri dehoniani meridionali, padre Giuseppe e padre Gianni, abbiamo scoperto le meraviglie e le contraddizioni di una terra vicina e lontana.
L’incertezza ha accompagnato le giornate precedenti alla mia esperienza missionaria. Ripetevo a me stessa di non avere il talento necessario per tale attività in una terra come l’Albania con gravi problemi economici, civili e sociali. Cosa fare in questo paese? Cosa donare a questo popolo martoriato da guerre civili e da secoli di dominazioni straniere? Io non ho doti particolari da donare, sono incapace di svolgere tanti lavori e forse non so nemmeno amare, ma Gesù ci ha insegnato che tutti gli uomini sanno amare, Cristo chiede di amarci reciprocamente come Lui ama noi, allora quale cosa migliore dell’amore da donare al prossimo? Così ho tentato di regalare sorrisi ed affetto ai tanti bambini conosciuti.
Già dal primo giorno in viaggio da Durazzo verso Scutari abbiamo potuto avere una prima visione dell’Albania, una terra per molti aspetti molto simile all’Italia ma in fondo profondamente diversa. Le prime cose che ci hanno colpito sono state le immense distese di campi incolti e le strade strette e disagiate lungo le quali circolavano interminabili file di mercedes. In una settimana di soggiorno abbiamo avuto diverse opportunità per scoprire le due facce dell’Albania, grazie ai racconti dei due padri e alle testimonianze delle persone incontrate, abbiamo constatato quanto nel Paese delle aquile siano presenti povertà e ricchezza. Non si pensi a una terra, a un popolo felice e soddisfatto, organizzato ed efficiente. Basta guardare gli uomini, impegnati nel lavaggio ossessivo di macchine più grandi dei loro sogni. Oppure in attesa che il tempo passi, seduti agli innumerevoli bar rigorosamente vietati a donne e bambini.
Il tempo in Albania è trascorso velocemente tra le ore passate a giocare con i bambini e la scoperta della terra albanese, dei suoi tesori, della sua cultura e delle sue tradizioni. La sera si andava a dormire stanchi in letti scomodi, ma con tanta gioia nel cuore per la serenità ricevuta durante la giornata lavorativa. Dai bambini ho appreso che è la semplicità l’ unica strada della felicità per noi uomini, ma forse già lo sapevo e temo purtroppo di dimenticarlo presto, presa dalle corse quotidiane e dai vari eventi che la vita ti mette davanti. In Italia abbiamo tanto benessere materiale e nonostante questo siamo insoddisfatti delle nostre vite, probabilmente perché non riusciamo ad apprezzare i tanti doni ricevuti dal Signore.
Non dimenticherò i sorrisi e i volti dei tanti ragazzi che percorrevano chilometri a piedi per partecipare ai laboratori da noi organizzati ma anche per andare a Messa la domenica. Ed è proprio osservando la gioia, la spontaneità nel recitare, danzare e giocare dei bambini si comprendono meglio le ragioni di una cultura con i suoi tempi, i suoi ritmi e le sue regole secolari. Con i miei compagni di viaggio ho pregato in chiese semplici e povere ornate da fiori appena raccolti nei campi o da vecchi fiori plastificati a testimoniare la povertà materiale e di spirito che un po’ richiamano San Francesco d’Assisi.
I bambini albanesi sono affettuosi e molto teneri. A loro non importa chi sei, se sei bello, bravo, simpatico, vecchio o giovane; loro ti fanno sentire il loro grazie solo per essere stato lì in mezzo a loro. Non sono tanti i bambini che parlano italiano, ma in un modo o nell’altro ci siamo capiti ugualmente: un sorriso ricambiato, una carezza, un semplice sguardo per dire al bimbo “mi sono accorta di te”, il tono della voce, il fatto di inchinarsi per parlare alla loro altezza.
Il tempo è volato in un lampo e così animatori, bambini, padri e suore ci siamo salutati dicendoci “Faleminderit!” perché quando si sta bene come si fa a non dirsi “grazie”? (Faleminderit in albanese vuol dire grazie) Come si fa a non dire grazie quando si è consapevoli di aver ricevuto tanto da questa fantastica avventura sull’altra sponda dell’Adriatico?
Cosa raccontarvi di più? E’ difficile mettere su carta le sensazioni che si provano nell’affrontare un’avventura così bella ed importante insieme a ragazzi che fino al giorno prima non si conoscevano e subito diventano dei grandi compagni di viaggio.
Non posso concludere senza prima rivolgere un FALEMINDERIT speciale, di cuore, a tutti coloro che ci hanno permesso di conoscere meglio l’Albania.
un indimenticabile avventura…
Al mio ritorno, molte volte mi è stata posta la domanda “Com’è andato il viaggio in Albania?”. La mia risposta, pur variando nella forma, non varia mai nel significato “E’ di certo stata l’esperienza più forte della mia vita”. Poi, puntualmente, il mio pensiero lascia per un attimo quelle facce attonite, a tratti sorprese dalle parole appena pronunciate, ed inizia a ripercorrere qualche piccolo pezzo della mia indimenticabile avventura. E diventa allora così difficile cercare di spiegare a parole quello che hai provato la prima volta che hai toccato quella terra, ben diversa da come l’avevi dipinta, che vive tempi e ritmi ancora tanto lontani dai nostri. Una terra ricca di tradizioni, cultura, storia, ma allo stesso tempo sofferente a causa del regime comunista che ha cercato con ogni mezzo di distruggere gli ideali, i valori di questo popolo, un popolo che sicuramente ha molto da insegnarci in materia di dignità e la cui sofferenza è ancora oggi pienamente visibile. Difficile spiegare a parole il perché hai deciso di partire per questa esperienza sfidando le tue insicurezze, mettendo alla prova te stessa e le tue paure; difficile spiegare i dubbi, che prima della partenza affollavano i tuoi pensieri, o le domande che ti ponevi ed alle quali cercavi inutilmente di dare una risposta: ma che ci sono venuta a fare? Domande che sono svanite il secondo giorno, non appena hai messo piede giù dal pullmino ed hai visto con i tuoi occhi quei bimbi senza alcune pretesa se non il desiderio di vivere un’estate degna della loro età…
Difficile spiegare a parole il sorriso di quei bimbi, la cui lingua, a te sconosciuta, rappresentava teoricamente una barriera, superata dal reciproco desiderio di un contatto profondo. In realtà, infatti, i loro occhi pieni di speranze lasciavano trasparire più di quanto ci servisse per capirci e più che mai ho sperimentato un linguaggio nuovo, quello della fratellanza. Carezze, abbracci, una stretta di mano o semplicemente uno sguardo…ognuno di questi gesti assumeva per loro un significato importante, ben diverso da quello che di solito noi, nella nostra superficialità, siamo abituati a dare.
Difficile spiegare a parole l’armonia, la collaborazione, la sintonia che fin da subito hai creato con chi conoscevi da solo poche ore e che indiscutibilmente è diventato tuo compagno di avventure; mi sono sentita parte di una vera squadra i cui capi, Padre Giuseppe, Padre Gianni, Padre Mario e Padre Antonio, con il valido aiuto delle dolcissime suore, hanno saputo guidare verso la meta da raggiungere, con estremo entusiasmo ed attenzione. Difficile da spiegare a parole tutto ciò che hai imparato in quei giorni che trascorrevano così velocemente tanto che a sera, ti soffermavi a pensare alle ore appena trascorse, cercando di imprimere nella mente ogni piccolo episodio.
Difficile spiegare cosa provavi ogni volta che ti sentivi chiamata per nome da quei piccini che ti hanno regalato parole, sguardi, lacrime, silenzi ricchi di significato, e che giorno per giorno, sentivi sempre più vicini, sempre più tuoi o quello che hai provato quando hai dovuto lasciarli… Perché è vero che è difficile spiegare i ricordi, le emozioni,…quelle sensazioni che ti sono chiare dentro, che custodisci in quella scatola chiamata ”cuore”e che non sempre riescono ad uscire… ma è anche vero che, in fin dei conti spiegare alle volte non serve perché ormai senti che l’Albania è qualcosa che adesso ti appartiene, che grida nei tuoi pensieri, nel tuo cuore...e più di tutto capisci che questo viaggio, dono immenso del Signore, che ringrazio infinitamente, assume una valenza maggiore in base alla testimonianza che ognuno di noi seminerà nei propri ambienti.
una realtà difficile
Non avrei mai immaginato il percorso che mi ha portato oggi a raccontare l'avventura dell'Albania, iniziata quasi per caso e cresciuta col tempo, fino a riconoscerla come avventura di Dio.
Tutto è iniziato quando la nostra cara missionaria Lucia ha ricevuto la proposta di padre Giuseppe e padre Gianni, due giovani dehoniani, a far partecipare un gruppo di suoi giovani ad un'esperienza estiva in Albania, nei dintorni della città di Scutari. Il gruppo ha accettato con entusiasmo la sfida, ed ha accolto questa come una chiamata a... servire la pace, perché questo significa incontrare e conoscere popoli diversi, condividendo un’esperienza di vita. Si trattava in fondo di sacrificare un po’ delle nostre vacanze per una 'nobile causa'. O almeno, questo era il presupposto da cui io partivo....
Tuttavia credo di non aver mai sperimentato meglio in vita mia le parole di Gesù che assicurano che"c'è più gioia nel dare che nel ricevere".
L'esperienza in Albania è stata infatti per me un susseguirsi di accadimenti, di doni, di emozioni......Cioè, altro che dare! Io non ho smesso un istante di ricevere! Innanzitutto l'affetto dei bambini, che ci hanno atteso (ed ogni mattina ci attendevano ansiosi davanti al pullmino che ci portava al villaggio!) e che ci hanno amato! Abbiamo vissuto con loro e con alcuni giovani incontri di catechesi, una serie di laboratori divertenti che metteva in moto la creatività di tutti . Abbiamo danzato, recitato, impasticciato con il gesso, giocato con la carta e con i palloncini....
Tirando le somme, oltre l'affetto dei bimbi, una delle cose più belle che mi sono portato a casa è stata la stima per il popolo albanese, verso cui a volte noi Italiani nutriamo tanti pregiudizi. E' un popolo che ha conservato una grande fede, nonostante il comunismo avesse messo al bando la religione e avesse condannato la professione di qualsiasi credo. Si tratta di un popolo che ha sofferto grandi dolori, e che tuttavia vive con impareggiabile dignità una condizione di povertà e di precarietà. Eppure solo ora mi accorgo che sono davvero tanti gli albanesi in Italia, che vengono qui spinti dal mito di un paese ricco e libero, e che accettano i lavori più umili, con delle sotto-paghe ridicole, perché con quei pochi soldi messi da parte, rimpatriati, loro riescono poi a costruirsi una casa, ad aiutare i genitori, a sostenere la famiglia, i figli. Certo, si tratta a volte di persone emarginate e che hanno anche commesso reati e creato disordini. Ma forse ci fa ancora comodo pensarli così: emarginati, diversi, fragili, inadeguati, per non dover ammettere il nostro fallimento, quindi la nostra responsabilità.
Può infatti anche sbalordire il fatto che in Albania esista, e sia ancora molto radicata, la tradizionale legge del taglione secondo la quale, se una famiglia subisce un omicidio, tutti i maschi di quella famiglia sono tenuti a vendicarsi sulla famiglia del colpevole. Se gli albanesi son arrivati a questo, è perché non hanno visto un'alternativa, non hanno trovato punti di riferimento (lo stato è praticamente assente, e una polizia fantasma corrotta e degradata), luoghi precisi dove poter gustare valori diversi. Non li hanno trovati neppure nella Chiesa, frequentata, come in Italia, solo dalle donne.
Eppure, una delle testimonianze più forti è proprio quella dei padri missionari, Mario e Antonio, che hanno investito la propria vita in una missione difficile, quella in Albania. Sono arrivati negli anni bui, quando si usciva dalla guerra e quando quella terra devastata soffriva di tanti, troppi disagi: non c'era nessun servizio, non c'era elettricità, non c'era acqua. E soprattutto, c'era la diffidenza e la paura della gente.
Ancora oggi la sanità è fatiscente in Albania. In teoria, gli ospedali dovrebbero essere gratuiti e aperti a tutti, ma siccome i medici e gli infermieri percepiscono stipendi troppo bassi (che oscillano tra i 100 e i 150 euro al mese), c'è da pagare una sorta di tangente. Risultato: solo chi ha forza economica si cura, e questo ancora una volta a discapito dei poveri. Tutto questo è inconcepibile, se si pensa solo per un istante che l'Albania non si trova in Africa....ma in Europa!!
So di essermi soffermato troppo su questi aspetti sociali e poco sull'esperienza in sè, ma per me è stato importante l'approccio con la realtà albanese. E soprattutto so che i miei piedi sono, (ringraziando Dio, dico ora), su questo suolo italiano, e che l'impegno non può e non deve fermarsi all'esperienza dell'estate. C'è tanto da fare per gli albanesi in Italia, e spero di poter intraprendere qualche attività in questo senso con il mio gruppo; c'è da aiutare chi continua a impegnarsi e a sporcarsi le mani sul campo, e soprattutto a pregare per la missione in Albania. Non dimentichiamo infatti che Santa Teresa di Lisieux è la santa delle missioni, lei che non si è mai mossa dal suo piccolo convento, ma che con la sua preghiera e con la sua vita contemplativa ha offerto tutto e sostenuto più di tutti i missionari.