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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
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Il gemello e l'amato
Posted by Lucia Capriotti
Il Vangelo di Giovanni, pur citando in alcune occasioni i “Dodici”, non ci fornisce i nomi di tutti, ma solo di sette di essi: Andrea, Simon Pietro, Filippo, Natanaele, Tommaso, Giuda Iscariota e l’altro Giuda; a questi si devono aggiungere i due figli di Zebedeo, di cui però non compaiono i nomi. Non sappiamo se appartenessero ai Dodici altri tre discepoli “innominati”: uno segue per primo Gesù insieme con Andrea, altri due fanno parte del gruppo a cui appare Gesù risorto, sul lago, nell’ultimo capitolo. Forse uno dei due è quello dell’inizio?
Il nome di Simon Pietro – comprese le poche volte in cui è chiamato solo Simone o solo Pietro – ricorre quasi 40 volte: evidentemente è colui, tra i discepoli, su cui l’evangelista vuole attirare di più l’attenzione. Dopo di lui, Giuda Iscariota viene nominato otto volte in quattro scene. Quindi Tommaso sette volte in quattro scene.
Dal capitolo 13 in poi compare il più misterioso e affascinante, dopo Gesù, dei personaggi del quarto Vangelo: di lui non si fa mai il nome, ma viene presentato per sei volte come “il discepolo che Gesù amava” e per due volte come “l’altro discepolo”, di cui una volta si specifica “colui che Gesù amava”. Presente in quattro scene decisive, la prima volta nell’ultima cena, per tre volte è in compagnia di Simon Pietro. Sembra dunque possibile – anche se non detto esplicitamente – considerarlo uno dei Dodici. Di lui si afferma solennemente, in due circostanze (Gv 19,35 e 21,24), che è testimone verace di ciò che ha visto e che ha scritto allo scopo di suscitare la fede in coloro che ascoltano. Pare dunque si possa ritenere che, se non proprio da questo discepolo – identificato dalla tradizione in Giovanni apostolo - il quarto Vangelo sia stato redatto dalla comunità che ha raccolto la sua testimonianza e ha creduto.


La sete di Tommaso
Due particolari, mi pare, avvicinano il misterioso discepolo amato e Tommaso: per tutti e due è difficile rintracciare il nome proprio; tutti e due hanno un rapporto unico con il Costato di Gesù.
Se consideriamo il valore che ha il simbolismo nel Vangelo di Giovanni, il nome di Tommaso suscita più di un interrogativo: il termine aramaico significa gemello; indica dunque una condizione; quasi per timore che non fosse abbastanza chiaro questo significato, per tre volte viene tradotto anche in greco: Didimo – gemello, appunto. L’autore è tanto interessato al significato naturale di questa condizione di gemello o offre piuttosto un simbolo? una indicazione significativa per chi ascolta o legge? gemello di chi? Il gemello è uno che non è solo, ha una particolare vicinanza, somiglianza, legame fraterno con uno o più altri.
Quando Gesù decide di recarsi in Giudea, perché l’amico Lazzaro è morto, i discepoli hanno qualche perplessità, perché là volevano lapidarlo.
"Allora Tommaso, chiamato Dìdimo, disse agli altri discepoli: "Andiamo anche noi a morire con lui!". (Gv 11,16)
Nei discorsi dell’ultima cena, Gesù afferma anche:
“Quando sarò andato e vi avrò preparato un posto, verrò di nuovo e vi prenderò con me, perché dove sono io siate anche voi. E del luogo dove io vado, conoscete la via". Gli disse Tommaso: "Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via?". (Gv 14,3-5)
Notiamo la forte aspirazione di Tommaso a stare con Gesù, a condividerne “il posto” e addirittura il destino di morte. Anche se poi, come gli altri, Tommaso perde il contatto con Gesù durante la passione e la morte e anche dopo.
"Tommaso, uno dei Dodici, chiamato Dìdimo, non era con loro quando venne Gesù. Gli dicevano gli altri discepoli: "Abbiamo visto il Signore!". Ma egli disse loro: "Se non vedo nelle sue mani il segno dei chiodi e non metto il mio dito nel segno dei chiodi e non metto la mia mano nel suo fianco, io non credo". (Gv 20,24-25)
È come se venisse meno il suo essere “gemello”. Stranamente per un “gemello”, è come isolato. Ma il suo desiderio di contatto con Gesù non è svanito, anzi è come acuito ed esasperato dalla gelosia per l’esperienza degli altri che a lui è mancata. Il grido di Tommaso, che vuole vedere e toccare il Maestro amato, richiama il desiderio della sposa del Cantico che cerca lo sposo perduto, e il gesto di Maria di Magdala, nel giardino del sepolcro, che vuole stringere a sé il Risorto. Gesù stesso aveva voluto suscitare nel cuore dei discepoli il necessario desiderio di rimanere con lui, di dimorare nel suo amore, per avere la vita e la sua stessa gioia (cf Gv 15,1-11), preannunciando anche il dolore del distacco e la ritrovata gioia del definitivo incontro. La certezza di questo incontro è la sete del cuore di Tommaso: non era stata anche la sete di Gesù sulla croce? Per realizzare questo “essere nello stesso posto” con i suoi amici, cioè nella casa del Padre, nel cuore del Padre, Gesù è morto; i segni nelle sue mani, la ferita nel fianco sono il grido, la certa testimonianza di questo amore: là anelano gli occhi e le mani, il cuore di Tommaso.
"Otto giorni dopo i discepoli erano di nuovo in casa e c'era con loro anche Tommaso. Venne Gesù, a porte chiuse, stette in mezzo e disse: "Pace a voi!". Poi disse a Tommaso: "Metti qui il tuo dito e guarda le mie mani; tendi la tua mano e mettila nel mio fianco; e non essere incredulo, ma credente!". Gli rispose Tommaso: "Mio Signore e mio Dio!". Gesù gli disse: "Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto!". (Gv 20, 26-29)
Sembra che a Gesù non sia dispiaciuta la pretesa di Tommaso, perché pur facendogli attendere l’ottavo giorno – il giorno dell’incontro! –, quando si manifesta ai discepoli, si affretta a soddisfare il suo desiderio. Anche Gesù vuole che Tommaso non solo veda, ma penetri nell’amore: “Metti la mano nel mio fianco”! Ma ormai è la fede che gli permette di toccare il Risorto: “Mio Signore e mio Dio!” Poiché vede, Tommaso può credere, così sono beati quelli che per la sua testimonianza certa possono credere, pur senza aver visto. E credendo possono riconoscere nel Cuore trafitto di Gesù la Via dell’amore che conduce al Padre, unica Casa e Riposo per tutti. Forse in Tommaso ci viene indicato il destino di tutti noi discepoli: diventare – toccati dall’amore e illuminati dalla fede - gemelli di Gesù, figli nel Figlio e condividere con Lui l’amore nel seno del Padre.

Testimoniare l’amore
“Il Figlio unigenito, che è Dio
ed è nel seno del Padre,
è lui che lo ha rivelato” (Gv 1,18)
“Ora uno dei discepoli, quello che Gesù amava, si trovava a tavola nel seno di Gesù. Simon Pietro gli fece cenno di informarsi chi fosse quello di cui parlava. Ed egli, chinandosi sul petto di Gesù, gli disse: "Signore, chi è?". (Gv 13, 23-25)
Il seno è termine normalmente riferito alla madre, indica l’utero, là dove il figlio viene generato e formato nell’amore. Il seno del Padre è il luogo della generazione eterna del Figlio amato, là dove il Figlio conosce il Padre nella tenerezza dell’amore. “Io e il Padre siamo uno” (Gv 10,30). All’inizio del Vangelo di Giovanni viene anche dichiarata qual è la missione del Figlio: “A quanti lo hanno accolto ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). E i discepoli che diventano figli contemplano la sua gloria (cf Gv 1,14), cioè la manifestazione di Dio che è Amore. E allora il discepolo amato dal Figlio, come il Figlio è amato dal Padre (cf Gv 15,9-10), è “naturalmente” nel seno di Gesù, durante la cena, rivelazione celebrazione e profezia della vita generata e donata nella libertà dell’amore. E può avvicinarsi dalla stanza della vita – il seno – alla stanza dell’amore – il petto-cuore – per cominciare a intuire almeno la via dell’amore sino alla fine (cf Gv 13,1) intrapresa dal Maestro e Fratello, tradito dall’amico.
"Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria madre di Clèopa e Maria di Màgdala. Gesù allora, vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che egli amava, disse alla madre: "Donna, ecco tuo figlio!". Poi disse al discepolo: "Ecco tua madre!". E da quell'ora il discepolo l'accolse con sé [...]
Venuti (i soldati) da Gesù, vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe, ma uno dei soldati con la lancia gli colpì il fianco, e subito ne uscì sangue e acqua. Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. Questo infatti avvenne perché si compisse la Scrittura: Non gli sarà spezzato alcun osso. E un altro passo della Scrittura dice ancora: Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto. (Gv 19,25-27.33-37))
Mentre sta per dare la vita, consegnando il suo stesso spirito, per rendere i discepoli figli dello stesso suo Padre, Gesù consegna al discepolo amato la stessa sua madre, Donna e Sposa nuova, chiamata ad essere madre di figli redenti, fratelli del Figlio. Con la madre, l’amato può contemplare la gloria dell’Unigenito trafitto che, dal Costato aperto, offre il sangue e lo Spirito per generare una moltitudine di fratelli. “Volgere lo sguardo a colui che hanno trafitto” è dunque condizione, origine e culmine della fede che rigenera a vita eterna i figli del peccato e della morte.
La missione del Figlio si compie ed è resa feconda nella risurrezione, che consacra come testimonianza inequivocabile dell’amore e fonte eterna di salvezza i segni dei chiodi e il Costato aperto. Per questo il Crocifisso Risorto li offre alla contemplazione dei discepoli tutti, perché ciò che è stato dato come primizia all’amato sia consegnato a tutti, finché ci saranno figli dell’uomo sulla terra.
Comprendiamo dunque il desiderio ardente di Tommaso, generosamente esaudito da Gesù, e l’invito insistentemente ripetuto dal discepolo amato ad accogliere la testimonianza di chi – egli stesso, il gemello e gli altri – ha udito, visto e toccato la manifestazione dell’amore divino nel Figlio, perché ognuno raggiunga la pienezza della gioia promessa (cf 1Gv 1, 1-4) . A chi accoglie questa testimonianza nella fede è dato di “vedere e toccare” l’amore ed esserne ogni giorno di nuovo rigenerato. Ognuno può sperimentare, pur nelle contraddizioni e nelle debolezze e nel peccato, di essere l’amato, come il Figlio del Padre e come il discepolo. Ed è inviato come testimone della sorprendente misericordia ricevuta che chiede di essere condivisa.
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