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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
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Come vivere la nostra secolarità oggi alla luce dei cambiamenti sociali ed ecclesiali
Posted by Maria Rosa Zamboni

(prima parte) 

Premessa

E’ importante una premessa.

In che contesto noi viviamo?

Il contesto ecclesiale in cui si pone questo nostro momento di riflessione è caratterizzato dallo svolgimento del Sinodo sulla Sinodalità.

Il contesto socio-culturale, invece, è segnato dalla pandemia e dalla guerra in Europa, che si aggiunge alle numerose guerre in atto e dalla crisi economica, divenuta presto anche sociale ed etica, capace com’è stata di mettere a nudo le diseguaglianze, gli abusi di potere e i comportamenti immorali di singoli cittadini e della stessa classe dirigente. In Italia è diminuita la fiducia nella partecipazione, ha preso piede una forma strisciante di egoistico “fai da te” da parte di singoli e di gruppi, la disperazione si palesa nei suicidi, nelle depressioni, in diverse forme di violenza, anche privata.

Per quanto attiene il carisma della secolarità consacrata rimane confermato lo scarso impatto che esso ha nella realtà ecclesiale e a livello di rilevanza sociale. Nella Chiesa non è più riconosciuto come una novità e, dato il limitato numero dei membri e la loro età avanzata, non incide significativamente nell’elaborazione della sua identità e della sua missione. Nella società la mancanza di fiducia nelle istituzioni ha fatto crescere il sospetto anche nei confronti delle persone impegnate cristianamente, fatte salvo quelle che operano nel campo del volontariato e della carità.

Il luogo della santificazione personale di noi laici consacrati è, senza dubbio, il mondo con quello che implica l’essere immersi nelle sue vicende e nella storia. Il modo in cui esserci esige un continuo discernimento secondo la Parola di Dio e il mistero della vita di Gesù di Nazaret, prima della sua vita pubblica, a cui far riferimento per vivere in pienezza la vocazione secolare.

L’impegno secolare trova la sua massima espressione nel lavoro (come impegno, esecuzione, competenza, esercizio professionale e assolvimento del comando divino di assoggettare le cose). Accanto ad esso e non di importanza secondaria sono le attività di “pubblico servizio”, sia in ambito associativo che attraverso un impegno diretto in politica. E’ edificante la testimonianza del come i primi membri degli Istituti secolari siano riusciti a conciliare gli impegni anche onerosi, sotto l’aspetto della presenza secolare nei vari ambiti, con fedeltà assoluta alla preghiera, fondamentale per ogni vocazione.

Quale testimonianza chiede a noi il Signore? E’ la domanda sempre attuale, che ci poniamo per verificare se il nostro cristianesimo nella vita ordinaria è rivolto tutto alla costruzione del “Regno”, senza riserve e ripensamenti.

Il cammino compiuto in questi 75 anni dagli Istituti secolari, dalla Provida Mater Ecclesia a oggi, sia a livello di riflessione teologica e magisteriale che a livello di esperienza di vita, ci permette di affrontare l’argomento di questo incontro tenendo sullo sfondo gli elementi prima ricordati.

Oggi però si stagliano in primo piano alcune suggestioni di grande attualità, sottolineate dal magistero di papa Francesco, che conferiscono agli Istituti secolari e al loro carisma una rinnovata connotazione profetica.

Basti citare alcune definizioni che il papa ha dato degli Istituti secolari all’Udienza concessa ai Responsabili italiani il 10 maggio 2014.

A partire da una lettura attenta del suo discorso mi sembra si possano individuare 5 suggestioni.


Custodire la contemplazione

… (verso il Signore e nei confronti del mondo).

Ha a che fare con la consacrazione.

L’espressione è stata usata da papa Francesco nella conversazione libera. Precisamente egli ha affermato: “E da quel tempo (il tempo della Provida Mater) fino ad ora è tanto grande il bene che voi fate nella Chiesa, con coraggio perché c’è bisogno di coraggio per vivere nel mondo (…). Tutti i giorni, fare la vita di una persona che vive nel mondo, e nello stesso tempo custodire la contemplazione, questa dimensione contemplativa verso il Signore e anche nei confronti del mondo, contemplare la realtà, come contemplare le bellezze del mondo, e anche i grossi peccati della società, le deviazioni, tutte queste cose, e sempre in tensione spirituale …”

Nella Evangelii Gaudium (EG) al n. 264 aveva scritto: “E’ urgente recuperare uno spirito contemplativo, che ci permetta di riscoprire ogni giorno che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri”.

Vengono spontanee alcune considerazioni.

Innanzitutto, va focalizzato l’oggetto primario della nostra consacrazione che è il Signore Gesù. È al suo amore che noi aderiamo, alla sua chiamata che noi diciamo il nostro ‘sì’; è del suo progetto che noi ci mettiamo a servizio. La stessa professione dei voti, quindi, va nel senso di quell’incontro personale con Gesù che ci mette in movimento dietro di lui dentro la storia.

Va poi specificato che, intesa in questo senso, la consacrazione non porta fuori, non distrae, non separa dalla realtà mondana, positiva o negativa che essa sia, ma offre piuttosto una prospettiva pasquale, di redenzione e di speranza. Addirittura, la relazione personale con Cristo passa attraverso le vicende umane e si sostanzia di tutto ciò che noi portiamo della nostra esistenza concreta.

Avere uno spirito contemplativo significa allora dedicarsi consapevolmente a tutto ciò che è bene, che rende migliore l’uomo e la società, che qualifica la storia come ‘storia di salvezza’. Custodire la contemplazione è proprio di chi, a diretto contatto con il mondo, ne conosce le dinamiche e vi incarna la fede attraverso il suo vissuto.

La consacrazione ci chiede di essere, in mezzo agli altri, sacramento vivo di Dio. Noi siamo chiamate a manifestare questo primato di Dio, a proclamare che Lui è al centro delle nostre vite e l’unico vero significato della nostra esistenza. A questo scopo, mettiamo a disposizione la visibilità, nella nostra umanità, del Dio silenzioso, nascosto, del Dio “debole”, in modo che ancora una volta tra gli uomini e le donne del nostro tempo possano rendersi visibili l’amore fraterno di Cristo, la paternità del Padre, la sua misericordia, la sua tenerezza, il suo perdono, la sua speranza …

La profezia sta nella chiamata a tenere sempre uniti fede e vita, dimensione spirituale e vissuto concreto, celebrazione dei sacramenti e impegno storico…o, ancora meglio, il nostro essere nel mondo e il nostro essere di Dio senza che questo costituisca dicotomia ma generi continuità e si configuri come preannuncio del Regno.

Camminare per le strade del mondo e abitare le periferie…

(… in uscita, andare oltre e in mezzo, lì dove si gioca tutto: la politica, l’economia, l’educazione, la famiglia…)

Ha a che fare con la secolarità.

Anche questa espressione è stata usata dal Papa all’Udienza, in questo preciso contesto: “Non perdete mai lo slancio di camminare per le strade del mondo, la consapevolezza che camminare, andare anche con passo incerto e zoppicando, è sempre meglio che stare fermi, chiusi nelle proprie domande o nelle proprie sicurezze. La passione missionaria, la gioia dell’incontro con Cristo che vi spinge a condividere con gli altri la bellezza della fede, allontana il rischio di restare bloccati nell’individualismo”.

Nella EG al n.20 aveva scritto: “Ogni cristiano e ogni comunità discernerà quale sia il cammino che il Signore chiede, però tutti siamo invitati ad accettare questa chiamata: uscire dalla propria comodità e avere il coraggio di raggiungere tutte le periferie che hanno bisogno della luce del Vangelo”. E al n.46: “La Chiesa ‘in uscita’ è una Chiesa con le porte aperte. Uscire verso gli altri per giungere alle periferie umane non vuol dire correre verso il mondo senza una direzione e senza senso. Molte volte è meglio rallentare il passo, mettere da parte l’ansietà per guardare negli occhi e ascoltare, o rinunciare alle urgenze per accompagnare chi è rimasto al bordo della strada. A volte è come il padre del figlio prodigo, che rimane con le porte aperte perché quando ritornerà possa entrare senza difficoltà”.

Anche qui alcune considerazioni.

La Chiesa vive nel mondo e in dialogo con esso. Il Signore Gesù ha voluto la Chiesa come sacramento della sua presenza di risorto nella storia. Ora Cristo continua “a prendere l’iniziativa”, a “precedere nell’amore, (come spiega il n.24 dell’EG) e quindi la Chiesa è chiamata a “coinvolgersi” (“La comunità evangelizzatrice mediante opere e gesti si mette nella vita quotidiana degli altri, accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario, e assume la vita umana…”), ad “accompagnare” (“Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica. Usa molta pazienza ed evita di non tener conto dei limiti…”), a “fruttificare” Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova, benché apparentemente siano imperfetti e incompiuti…”) e a “festeggiare” (“Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti (…) si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene…”).

Sono 4 verbi della secolarità, cioè di una presenza operosa ed incisiva in ogni angolo di umanità dove risuonano più forti gli interrogativi degli uomini e dei popoli.

La Chiesa abita le periferie attraverso di noi che, per vocazione, siamo chiamati a restare “in saeculo” e ad agire “con i mezzi che sono propri del mondo” senza alcuna distinzione che non sia la testimonianza di fedeltà al Vangelo che connota le nostre scelte e il conseguente stile di vita.

Secolarità è anche andare, non restare bloccate sulle proprie posizioni e le proprie sicurezze. Richiede la capacità di porsi delle domande e non solo di dare delle risposte, rischiando nella ricerca, ascoltando la realtà della vita prima di stigmatizzarla con delle norme.

La profezia sta nella chiamata a non temere nessun luogo e nessuna situazione, anzi a leggere e a collaborare nel compimento della storia della salvezza proprio a partire da lì, dove la persona è al limite dell’esclusione, soffre l’indifferenza, è svuotata della sua dignità.

“Voi fate parte di quella Chiesa povera e in uscita che sogno!”: ci ha detto papa Francesco.

Ci sono tante questioni che ci spiazzano, nella vita, nella fede e nella Chiesa. Camminare con responsabilità significa rifiutare ogni soluzione facile e ogni scorciatoia, per percorrere i sentieri più ardui del pensiero, della ricerca e del dialogo.

Qui è sempre attuale l’immagine che ci ha affidato Paolo VI: essere laboratori sperimentali… con tutto ciò che questa immagine significa…

Maria Rosa Zamboni

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