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La Lezione di Bakhita
Posted by Admin
Nel Numero di “Noi Familiares” del mese scorso, Clemente ha dato l’avvio del nuovo argomento che deve rifulgere nell’esempio della nostra vita cristiana, per vivere nell’autenticità della nostra vocazione ed essere fortemente efficaci nella nostra testimonianza: la vita di fede.

Io vorrei continuare l’argomento valendomi di una pagina dell’ultima Enciclica di Benedetto XVI : “ Salvati dalla speranza”.

Una domanda: in che cosa consiste questa speranza che ci salva. La risposta è data nel brano della lettera agli Efesini, in cui è affermato che prima dell’incontro con Cristo erano senza speranza, perché erano “senza Dio nel mondo” (Ef 2, 12).

Per noi che viviamo da sempre con il concetto cristiano di Dio e ci siamo assuefati ad esso, il possesso della speranza che proviene dall’incontro reale con questo Dio, quasi non è più percepibile.

L’esempio di una santa del nostro tempo può in qualche misura aiutarci a capire che cosa significhi incontrare per la prima volta e realmente questo Dio.

Penso all’africana Giuseppina Bakhita canonizzata da Papa Giovanni Paolo II. Era nata nel 1969 circa – lei stessa non sapeva la data precisa – nel Darfur, in Sudan. All’età di 9 anni fu rapita da trafficanti di schiavi, picchiata a sangue e venduta cinque volte sui mercati del Sudan. Da ultimo, come schiava si ritrovò al servizio della madre e della moglie di un generale e lì ogni giorno veniva fustigata fino al sangue; in conseguenza di ciò le rimasero per tutta la vita 144 cicatrici. Infine, nel 1882 fu comprata da un mercante italiana per il console italiano Callisto Legnani che di fronte all’avanzata dei mahdisti, tornò in Italia. Qui, dopo “padroni” così terribili che fino a quel momento era stata proprietà, Bakhita venne a conoscere un “padrone” totalmente diverso (che nel dialetto veneziano, che aveva imparato, chiamava “paròn” il Dio vivente, il Dio di Gesù Cristo) .

Fino ad allora aveva conosciuto solo padroni che la disprezzavano, che la maltrattavano o, nel caso migliore, la consideravano una schiava utile. Ora, però, sentiva dire che esiste un “paròn” al di sopra di tutti i padroni, il Signore di tutti i signori, e che questo Signore è buono, la bontà in persona. Veniva a sapere che questo Signore conosceva anche lei, aveva creato anche lei, anzi che Egli l’amava.

Anche lei era amata, e proprio dal “Paròn” supremo, davanti al quale tutti gli altri padroni sono essi stessi miseri servi. Lei era conosciuta e amata ed era attesa.

Anzi, questo Padrone aveva affrontato in prima persona il destino di essere picchiato e ora l’aspettava “alla destra di Dio Padre” Ora lei aveva “speranza” – non più solo la piccola speranza di trovare padroni meno crudeli, ma la grande speranza: io sono definitivamente amata e qualunque cosa accada – io sono attesa da questo Amore.

E così la mia vita è buona. Mediante la conoscenza di questa speranza lei era “redenta”, non si sentiva più schiava, ma libera figlia di Dio. Capiva ciò che Paolo intendeva quando ricordava agli Efesini che prima erano senza speranza e senza Dio nel mondo – senza speranza perché senza Dio.

Così, quando si volle riportarla nel Sudan, Bakhita si rifiutò; non era disposta a farsi di nuovo separare dal suo “Paròn”.

Il 9 gennaio 1890, fu battezzata e cresimata e ricevette la prima santa Comunione dalle mani del Patriarca di Venezia. L’8 dicembre 1896, a Verona, pronunciò i voti nella congregazione delle suore Canossiane e da allora – accanto ai suoi lavori nella sagrestia e nella portineria del chiostro – cercò, in vari viaggi, in Italia soprattutto, di sollecitare alla missione.

La liberazione che aveva ricevuto mediante con l’incontro di Dio di Gesù Cristo, sentiva di doverla estendere, di donarla anche ad altri, al maggior numero di persone. La speranza che era nata per lei e che l’aveva “redenta”, non poterla tenere per sé; questa speranza doveva raggiungere molti, raggiungere tutti”.

È questa è anche la nostra missione.

A cura di Padre Albino
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