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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
Compagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia Missionaria
Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
 La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
  • 14 / 05 / 2021
    SOLENNITA\' DEL SACRO CUORE DI GESU\'
    Venerdì 11 giugno 2021... Continua
  • 14 / 05 / 2021
    SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
    Sexta-feira 11 de junho de 2021... Continua
  • 14 / 05 / 2021
    SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
    Viernes 11 de junio de 2021... Continua
evocação de teresa giordani
 
Pensar em Teresa G. remete-me para o seu grupo de pertença, o grupo de vida em família de Bolonha. Um grupo particularmente provado, mas um grupo com uma grande qualidade de vida e de pensamento. Um grupo que, infelizmente, se vai extinguindo a pouco e pouco mas que deixa à CM uma grande herança que deve ser valorizada e posta em destaque. Teresa G., sobretudo a partir dos anos do meu regresso a Moçambique, em 2003, acompanhou-me de modo particular com a sua oração e a sua oferta missionária. Esta proximidade traduzia-se em gestos muito simples mas muito significativos. Um encontro, um bilhete, uma visita e a certeza de uma proximidade profunda que não precisava de muitas palavras, mas que se traduzia verdadeiramente naquela comunhão de espírito que une profundamente as pessoas e as leva a caminhar juntas, apesar das milhas de distância. Sentir que se caminha em conjunto e se perseguem os mesmos objectivos. Uma missionariedade vivida na oferta do quotidiano, na oração e no acompanhamento da vida das missionárias que vivem no terreno como se se estivesse ao lado delas no mesmo lugar. Nestes últimos anos, todas as vezes que voltava à Itália, tinha a oportunidade de me encontrar com ela e de partilhar as nossas experiências de vida. Teresa assegurava-me a sua oração pelas pessoas em formação e pelas novas jovens que iniciam o seu caminho na CM. Isto era para mim uma grande força e verdadeiramente colhia nela um profundo anélito missionário. Procurava estas ocasiões de encontro para lhe falar das pessoas em caminho formativo e para ser apoiada pela sua oração e sentia , de facto, que entre nós existia um laço de fé e de amor. Nos dias da sua “agonia” rezámos muito por ela no nosso grupo de Nampula e também as jovens a puderam conhecer através das minhas narrações. Para as pessoas da África é importante a relação com as pessoas que nos precedem no Reino dos Céus. Elas fazem um todo connosco. Recordo neste momento também a sua irmã Mria e uno-me à sua família para agradecer ao Senhor pela seu testemunho de fé. Em comunhão.
l'eredità di teresa
 
La consacrazione è una pienezza Teresa Giordani è entrata nella CM quando aveva 36 anni, nel 1957, anno della nascita del nostro Istituto. Era già insegnante di scuola elementare. Ha fatto la sua consacrazione a Dio nella CM quattro anni dopo, nel 1961. A proposito della sua consacrazione ho sentito raccontare una storia che ho sempre custodito nello scrigno della mia memoria come qualcosa di prezioso e di significativo. Torniamo alla scuola: alcuni giorni dopo la cerimonia della consacrazione, con l’anello al dito, una delle sue piccole scolare, senza dire niente, le ha preso la mano e l’ha baciata. Teresa raccontava sempre questo fatto emozionata. Quale intuizione ha avuto quella bambina per riuscire a captare il mistero che era avvenuto nella vita della giovane donna, sua maestra? Sono tornata parecchie volte a questo fatto quando cercavo di capire che cos’era la nostra consacrazione, che cosa significava in se stessa e come poteva irradiare, al di qua o al di là del nostro operare. E mi vengono al pensiero alcune parole di Paolo VI (26/9/70) quando dice: «La consacrazione vostra non sarà soltanto un impegno, sarà un aiuto, sarà un sostegno, sarà un amore, sarà una beatitudine, a cui potrete sempre ricorrere; una pienezza, che compenserà ogni rinuncia e che vi abiliterà a quel meraviglioso paradosso della carità: dare, dare agli altri, dare al prossimo per avere in Cristo».Questa nostra consacrazione che, lo sappiamo, si radica nella consacrazione battesimale, ne radicalizza gli impegni e la esprime più perfettamente (cfr. P.C. n. 5), ha una sua consistenza propria, ha un valore in sé stessa, ci segna ontologicamente. È l’ intima e segreta struttura portante del nostro essere e del nostro agire. È la nostra ricchezza profonda e nascosta, che le persone in mezzo alle quali viviamo non sanno spiegare e spesso non possono neppure sospettare (cfr. Paolo VI, 20/)/72). È, davvero, un amore, una beatitudine, una pienezza. La consapevolezza della consacrazione, così capita e vissuta, è una delle eredità che io custodisco di Teresa (così come, ad esempio, di Antonietta Biavati). Qualcosa di profondamente spirituale ma non evanescente, qualcosa che si toccava come la più solida delle realtà. Quando ci lamentiamo che oggi la consacrazione in sé stessa non è più percepita come un valore, parliamo degli altri o di noi stesse? Crediamo che la nostra è «una forma di consacrazione nuova e originale», frutto della creatività dello Spirito Santo che ci ha seminato nei solchi della storia e nella discreta trama del tempo? O la lasciamo appassire e scolorire prima che dia i frutti che doveva dare? O passiamo immediatamente al tempo operativo del fare o delle faccende, senza il tempo ontologico dell’essere che è spazio interiore, regno personale, tesoro dove si custodiscono le possibilità nascoste e imprevedibili di ciascuno/a di noi, il suo regno segreto? E senza approdare al tempo contemplativo che non è evasione ma spazio per vivere il dialogo di amore col Dio che rimane per noi un mistero vitale (cfr. St. n. 64) e che ci porta a scoprire l’amore stesso di Dio operante nella storia e a fare nostre le inquietudini dei nostri compagni/e di viaggio e la loro sete di speranza e di salvezza (cfr. St. n. 65), che altro non è che sete di VITA, di vita eterna, una vita in cui niente si perde e a niente si rinuncia, ma tutto si ricupera nella luce di Dio? La capacità di iniziare cose nuove Nel 1981, quando ha iniziato la sua nuova esperienza di lavoro – insegnare in uno degli Ospedali di Bologna – Teresa aveva 60 anni. Non era più la giovane consacrata di un tempo ma, nonostante la sua apparenza tranquilla, per niente irrequieta, non aveva perso la sua capacità di sognare e di iniziare cose nuove. Conservava quella agilità che scaturiva della sua coscienza di donna consacrata; consacrata proprio per una missione di «amore e di servizio nella Chiesa e nel mondo» (St. n.12), una missione le cui concretizzazioni bisognava continuare a cercare e a discernere, dato che il tempo era di cambiamenti, di grandi cambiamenti. Davanti a vite semplici, segnate soprattutto dalla quotidianità, come è stata quella di Teresa, tutto sembra normale, ovvio, previsto. Ma, in realtà, non è proprio così, come possiamo notare, per contrasto, davanti alle resistenze di tante persone (anche tra di noi) a un cambiamento di gruppo, a un nuovo lavoro, ad una iniziativa che ci porti a un ambiente diverso da quello che frequentiamo abitualmente. C’è bisogno di essere scolpite da una serie di virtù che ci rendono agili e che fanno nascere atteggiamenti di pronta risposta a quello che la vita suggerisce e Dio ci chiede. Un’ anziana forte e serena Avere visto invecchiare Teresa, lo considero un regalo che Dio mi ha fatto. L’ho vista pian piano diventare meno agile nel suo corpo, ridurre i suoi movimenti, ma mai cadere in lamentele. Quando le chiedevo come stava, lei diceva la verità: aveva dei dolori, dolori forti. Ho intuito, più di una volta, che per non lasciare sua sorella Maria, si privava di alcune terapie che potevano alleviarla. Ma predominava sempre in lei l’accettazione serena e umoristica (che è già stata ricordata da altre missionarie). Il nostro RdV dice ad un certo punto così: «Vivremo la malattia, l’anzianità ed ogni altra situazione di disagio con senso di fortezza, di non pretesa e come offerta oblativa per la redenzione del mondo». Mi ricordo che quando abbiamo scritto e approvato il RdV, alcune di noi consideravano queste parole molto dure, anche se le dobbiamo leggere in contrappunto con altre espressioni e esigenze che raccomandano la delicatezza, la comunione attiva e la carità con le missionarie ammalate o anziane (cfr. St. e RdV n. 76). È stato così che Tersa ha vissuto i grandi cambiamenti dei suoi ultimi anni: lasciare la sua casa e andare con sua sorella in una casa di riposo; lasciare questa (che doveva essere ristrutturata) e cercarne un’altra. E il successivo stadio con la catena di malattia e di fragilità che è seguita. Nessun vittimismo, nessuna amarezza; a volte la trepidazione di un essere fragile davanti alle convulsioni della vita (penso al momento delicato che è stato la ricerca della seconda casa di riposo). Ma fino alla fine ha prevalso il suo sguardo decentrato da sé e posato su gli altri, attento e fiducioso su tutta la nostra Famiglia CM. Nonostante l’ambiente pesante che caratterizza tutte le Case di riposo, quando andavo a vistarla, tornavo a casa sempre con dentro una gran leggerezza, grata per l’esempio di questa missionaria della prima ora, che non viveva la sterile nostalgia di chi guarda indietro e si pone a fare una «lamentazione su un tempo passato, su una qualche gloriosa età dell’oro», cosa che come dice l’arcivescovo di Westminster (cfr. Regno 7/2009), «non è un canto cristiano». «Non è il canto della fede, ma della disperazione, perché la nostra fede ci offre la visione non di ciò che è stato, ma di ciò che sarà» (Ibid). Proprio per questo, come raccontava Santina nell’articolo scritto su “Vinculum” di ottobre 2010, Teresa poteva consegnare il suo lavoro incompiuto e, con fiducia nel Signore che viene dal Futuro e nelle missionarie di oggi, dire:«Adesso, andate avanti voi…». Per finire, soltanto un rapido accenno alla capacità di Teresa d’intessere delle relazioni. Il parroco lo ha ricordato nella messa del funerale quando ha detto che la Messa delle 8.00, alla domenica, era la più bella, già che contava con l’animazione di un gruppo di circa 30 persone, animate da Teresa. Relazioni semplici, ma che duravano nel tempo tanto che alla Messa del funerale si trovava la madre di un suo scolaro! Relazioni che Tersa ha continuato a tessere fino alla fine. Terminata la Messa del funerale una signora, piangendo, si è avvicinata ad Anna Maria e le ha chiesto il testo che lei aveva letto salutando Teresa. E le ha detto: «Io lavoro a “Villa Emma” e la relazione che ho stabilito con Teresa è stata profonda e molto importante per la mia vita». Da notare che il tempo che Teresa ha vissuto in quella Casa è stato meno di due anni! Grazie, Teresa! Aiutami e aiutaci a seguire le orme dei tuoi passi: a vivere con fortezza, con dolcezza, con giovialità tutte le età della nostra vita, anche la terza e la quarta, con tutto quello che le dovrà caratterizzare. E aiutaci ad essere sempre sentinelle nel territorio dove viviamo per leggere i segni dei tempi e fare crescere le sementi del Regno, con la consapevolezza che oggi uno di questi segni è proprio l’appello della relazionalità; l’appello a costruire reti di relazioni semplici, concrete, vitali, esistenziali. Non sarà questo un appello che si coniuga bene con la spiritualità di comunione che ci caratterizza o ci dovrebbe caratterizzare? Reti di comunione che impediscano l’isolamento (di noi stesse e degli altri), sapendo che i sogni buoni possono nascere soltanto in un contesto di solidarietà e di comunione.
a herança que me deixou teresa
 
A consagração é uma plenitude Teresa Giordani ingressou na CM quando tinha 36 anos, em 1957, ano do nascimento do nosso Instituto; era já professora primária. Fez a sua consagração a Deus na CM quatro anos depois, em 1961. A respeito desta consagração ouvi contar uma história que sempre guardei no escrínio da minha memória como algo de muito precioso e significativo. Ao regressar à Escola, dias depois da cerimónia da consagração, com a aliança no dedo, uma das suas pequenas alunas, sem nada dizer, agarrou-lhe a mão e beijou-lha. Teresa contava sempre este facto emocionada. Que intuição fora a daquela criança que a levara a captar o mistério que acontecera na vida da jovem mulher, sua professora? Voltei muitas vezes a este facto quando tentava perceber o que era a nossa consagração, o que ela significava em si mesma e como poderia irradiar, aquém ou além do nosso operar. E vêm-me ao pensamento algumas palavras de Paulo VI (26/9/70) quando diz: «a vossa consagração não será apenas um compromisso, será uma ajuda, será um apoio, será um amor, será uma beatitude a que podeis sempre recorrer; uma plenitude que compensará qualquer renúncia e que vos habilitará para aquele maravilhoso paradoxo da caridade: dar, dar aos outros, dar ao próximo para ter em Cristo». Esta nossa consagração que, sabemo-lo, se radica na consagração baptismal, radicaliza os compromissos da mesma e a exprime mais perfeitamente (cfr. P.C. n.5) tem uma sua consistência, tem um valor em si mesma, marca-nos ontologicamente. É a íntima e secreta estrutura do nosso ser e do nosso agir. É a nossa riqueza profunda e velada que as pessoas no meio das quais vivemos não sabem explicar e, muitas vezes, nem sequer podem suspeitar (cfr. Paulo VI, 20/9/72). È, na verdade, um amor, uma beatitude, uma plenitude. A consciência da consagração assim entendida e vivida é uma das heranças que eu guardo da Teresa (bem como, por exemplo, da Antonieta Biavati). Algo de profundamente espiritual mas não evanescente, algo que se tocava como a mais sólida das realidades. Quando nos lamentamos que hoje a consagração em si mesma deixou de ser captada como um valor, falamos dos outros ou não estaremos a falar de nós mesmas? Acreditamos que a nossa «é uma forma de consagração nova e original», fruto da criatividade do Espírito Santo que nos semeou nos sulcos desta história e na discreta trama do tempo? Ou deixamo-la emurchecer e descolorir antes que dê todos os frutos a que estava destinada? Ou passamos imediatamente ao tempo operativo do fazer e dos afazeres, sem o tempo ontológico do ser que é espaço interior, reino pessoal, tesouro onde se guardam as possibilidades escondidas e imprevisíveis de cada um/a de nós, o seu reino secreto? E sem alcançarmos o tempo contemplativo que não é evasão mas espaço para viver o diálogo de amor com Deus que permanece para nós um mistério vital (cfr. Est. n.64) e que nos leva a descobrir este amor de Deus operante na história e a fazer nossas as inquietações dos nossos companheiros/as de viagem e a sua sede de esperança e salvação (cfr.Est, n.65), que outra coisa não é que sede de VIDA, de vida eterna, uma vida em que nada se perde e a nada se renuncia, mas tudo se recupera na luz de Deus? A capacidade de iniciar coisas novas Em 1981, quando iniciou a nova experiência de trabalho – dar aulas num dos hospitais de Bolonha - Teresa tinha 60 anos. Deixara de ser a jovem consagrada de um tempo mas, apesar do seu ar tranquilo, nada irrequieto, não deixara a sua capacidade de sonhar e de começar coisas novas. Mantinha aquela agilidade que lhe brotava da sua consciência de mulher consagrada; consagrada, precisamente, para uma missão de «amor e serviço na Igreja e no mundo» (Est. n.12), uma missão, cujas concretizações era necessário continuar a buscar e discernir, dado que o tempo era de mudanças, de grandes mudanças. Diante de vidas simples, marcadas sobretudo pela quotidianidade, como foi a da Teresa, tudo parece normal, óbvio, previsto. Mas, de facto, não é, como podemos avaliar, por contraste, diante das resistências de tantas pessoas (também entre nós) a uma mudança de grupo, a um novo trabalho, a uma iniciativa que leve a um ambiente diverso do que habitualmente frequentamos. É necessário ser-se esculpida por uma série de virtudes que dão agilidade ao ser e geram atitudes de pronta resposta ao que a vida sugere e Deus nos pede. Uma anciã forte e serena Ter visto envelhecer a Teresa, considero-o um presente que Deus me fez. Vi-a a pouco e pouco ficar menos ágil no seu corpo, reduzir os seus movimentos, mas nunca se deixou cair em lamúrias. Quando lhe perguntava como estava, ela dizia a verdade: tinha dores, muitas dores. Intui, em alguns momentos, que para não deixar a irmã Maria, se privava de alguns tratamentos que lhe poderiam dar alívio. Mas predominava sempre nela a aceitação serena e humorística (que já foi recordada por outras missionárias). O nosso RdV diz a certo ponto o seguinte: «Viveremos a doença, a velhice e qualquer outra situação difícil com sentido de fortaleza, sem exigências e como oferta oblativa pela redenção do mundo». Lembro-me que quando escrevemos e aprovamos o RdV, algumas de nós achavam este ponto muito duro, também se ele deve ser lido em contraponto com outras expressões e exigências que recomendam a delicadeza, a comunhão activa e a caridade para com as missionárias doentes ou idosas (cfr. Est. e RdV n. 76). Foi assim que Teresa viveu as grandes mudanças dos seus últimos anos: deixar a sua casa e ir com a irmã para uma casa de repouso; deixar esta (que devia ser restaurada) e buscar uma outra. E o sucessivo estádio com a cadeia de doença e de fragilidade que se seguiu. Nenhum vitimismo, nenhum azedume; às vezes a trepidação de um ser frágil diante das convulsões que fazem parte da vida (penso no momento delicado que foi a busca de um novo poiso, quando teve que deixar a primeira casa de repouso). Mas até ao fim prevaleceu o seu olhar descentrado de si e poisado sobre os outros, atento e confiante sobre toda a nossa Família CM. Apesar do ambiente pesado que caracteriza todas as casas de repouso, quando a ia visitar, voltava sempre com uma ligeireza dentro, grata pelo exemplo desta missionária da primeira hora, que não vivia a estéril nostalgia de quem olha para trás e se põe a fazer «uma lamentação sobre o tempo passado, sobre uma gloriosa idade de ouro», coisa que como diz o arcebispo de Westminster (cfr. Regno 7/2009), «não é um canto cristão». «Não é o canto da fé, mas do desespero, porque a nossa fé oferece-nos a visão não do que foi, mas do que será» (Ibid). E, por isso, como contava Santina no artigo escrito em “Vinculum” de Outubro 2010, Teresa podia entregar o seu trabalho inacabado e, com confiança no Senhor que vem do Futuro e nas missionárias de hoje, dizer: «Agora ide vós em frente...». Para terminar, apenas um aceno à capacidade de Teresa de tecer relações. O pároco recordou-o na missa do funeral quando disse que a missa das 8, ao domingo, era a mais bela, já que contava com a animação de um grupo de cerca de 30 pessoas, que Teresa animava. Relações simples, mas que perduravam no tempo. Sempre na missa do funeral estava a mãe de um seu aluno! Relações que Teresa continuou a tecer até ao fim. No final da missa do funeral uma senhora, chorando, aproximou-se de Ana Maria e pediu-lhe o texto que ela lera a despedir-se de Teresa. E disse-lhe: «Eu trabalho em “Villa Emma” e a relação que estabeleci com Teresa foi profunda e muito importante para a minha vida». De notar que o tempo que Teresa viveu naquela casa não chegou a dois anos! Bem-hajas, Teresa! Ajuda-me e ajuda-nos a seguir os teus passos: a viver com fortaleza, com doçura, com jovialidade todas as idades da nossa vida, também a terceira e a quarta, com tudo aquilo que as há-de caracterizar. E ajuda-nos a ser sempre sentinelas no território onde vivemos para ler os sinais dos tempos e fazer crescer as sementes do Reino, conscientes que hoje um destes sinais é, precisamente, o apelo da relacionalidade; o apelo a construir redes de relações simples, concretas, vitais, existenciais. Não será este um apelo que se conjuga bem com a espiritualidade de comunhão que nos caracteriza ou deveria caracterizar? Redes de comunhão que impeçam o isolamento (de nós mesmas e dos outros), sabendo que os sonhos bons só podem nascer num contexto de solidariedade e de comunhão.
alle missionarie e ai familiares
 
Carissimi, siamo alla fine della nostra esperienza qui in Italia. Tra pochi giorni ritorneremo in Indonesia, al nostro paese. Pensando al cammino fatto insieme a voi in questo tempo dobbiamo riconoscere che è stato molto positivo. E’ stato un periodo molto dinamico in cui oltre a studiare la lingua italiana, abbiamo visitato un po’ l’Italia e conosciuto di più la sua storia e cultura. Ma la cosa più importante è stata la possibilità di condividere un po’ del nostro e vostro cammino in quasi tutti i gruppi CM: prima a Bologna, dove abbiamo avuto la grazia di conoscere e dialogare anche con il nostro Fondatore p. Albino, poi a Brugherio, a Monguelfo, a Sant’Antonio Abate e qui conoscere anche un po’ della realtà dei Familiares. Siamo contente perché tutto questo ci ha fatto conoscere diverse esperienze e diverse dinamiche per organizzare i gruppi. Abbiamo colto ovunque uno spirito di gioia, di comunione, di serenità, un vissuto sullo stile delle prime comunità cristiane: Atti 2, 42 – 48. In ogni gruppo abbiamo ricevuto molto: il valore della fraternità, della preghiera insieme, dell’ascolto, dell’insegnamento, l’amore per gli altri, il perdono reciproco e specialmente abbiamo capito di più la spiritualità della Compagnia Missionaria. Per questo ringraziamo Dio e tutte le sorelle e fratelli della Compagnia Missionaria, perché sentiamo che con il vostro esempio siamo cresciute molto nell’appartenenza e nello spirito della Compagnia Missionaria. Tutto quanto abbiamo ricevuto è per noi una sfida che portiamo con noi in Indonesia, perché vogliamo trasmettere questi doni alle altre sorelle: Mudji, Antonia, Susi, Anet, Ina e pensare che anche noi possiamo iniziare qualche nuova attività che ci aiuti a creare i familiares, a comunicare la nostra spiritualità ai giovani, alle famiglie ecc. Ringraziamo tutti per averci accompagnato e fatte sentire a “casa nostra”, soprattutto per la pazienza che avete avuto con noi nei primi mesi, quando ancora non sapevamo la lingua e facevamo fatica a capirci! E chiediamo a tutti scusa se qualche volta non siamo state brave… Venite a trovarci vi aspettiamo! Grazie di cuore a tutti.
insieme a vitorchiano
 
Al termine del corso di esercizi fatto ad Assisi in agosto, è sorta l’idea di ritrovarsi il 31 ottobre e il primo di novembre a Vitorchiano (VT) in una casa dei Padri Dehoniani per cercare insieme qualche altro elemento che ci aiuti a fare un salto di qualità verso una riconciliazione con noi stesse, col gruppo di appartenenza e con l’Istituto. Relazione di Anna Maria Anna Maria ha espresso tutta la sua gratitudine al Coordinamento italiano per aver promosso questo incontro. Sono presenti buona parte delle Missionarie e dei Familiares: 28 in tutti. Qual è l’obiettivo di questo ritrovarci? Il desiderio di cercare insieme qualcosa che vitalizzi la nostra scelta e ci aiuti a camminare insieme per essere veramente l’anima del mondo. L’anno della riconciliazione con noi stesse, col gruppo di appartenenza e con l’Istituto si proponeva di aiutarci a riprogettare la CM verso il futuro. Per approfondire quest’ultima idea, Anna Maria è partita dal passo biblico: Nm 12,1-16. Aronne e Maria rivolgono al fratello Mosè due rimproveri. Il primo, Mosè ha sposato una donna che non appartiene al suo clan. Col secondo contestano la sua funzione di portavoce del Signore. Maria e Aronne rivendicano la loro qualità di profeti e la stessa preferenza nel ricevere le comunicazioni di Dio. Il Signore incontra i due nella tenda del convegno e giudica la loro pretesa un peccato contro l’autorità di Mosè. Maria è punita con la lebbra che la costringe a star fuori dall’accampamento per sette giorni; Aronne continua a presiedere al culto, ma Dio non comunica con lui “ a faccia a faccia” come fa con Mosè, ma attraverso visioni e sogni. Dio vuole riabilitare l’autorità di Mosè dalla contestazione, sottolineando che la sua particolare vicinanza a Dio lo investe della potenza del suo spirito abilitandolo non solo ad insegnare, ma anche ad operare prodigi in mezzo al suo popolo. Questo brano evidenzia : -che c’è un conflitto - il luogo dove si affronta il conflitto è la sala del convegno, cioè davanti a Dio - la punizione e l’attesa del popolo per ripartire insieme fanno capire a Maria e ad Aronne che devono occupare il posto che Dio ha stabilito per ciascuno, se non vogliono ricadere nella peste. Anche tra di noi ci sono delle situazioni che rallentano il passo come quando si sente dire :”ai miei tempi..”, oppure si coglie qualche sospetto, paura, pregiudizio, ecc. Qual è il luogo dove si può sciogliere il malessere che sentiamo? Il gruppo di appartenenza è la nostra sala del convegno: “dove due o più persone sono unite in mio nome, io sono in mezzo a loro”. In questo anno della riconciliazione ogni gruppo si è riservato degli spazi, dei tempi per un confronto, per dare un nome alle nostre divisioni, per lasciarci inondare dallo Spirito. E’affinando la capacità di ascolto e allenandoci all’umiltà che ci apriamo ad un’ accoglienza senza riserve e alla pluralità dell’unità dell’”Ecce venio” come Istituto. Questo è il nuovo stile da portare avanti con fedeltà, perché ci abilita ad esercitare la profezia dentro la CM e ci proietta in avanti verso mete inedite. Anna Maria ha concluso il suo intervento con la lettura di due brani (Cor. 5, 14-21 e 3,17-21) dove Paolo giustifica le forti esigenze che nutre verso i Corinti. La carità cristiana si alimenta al momento fontale della croce: in virtù dell’unità a Cristo, la sua morte è la nostra e la sua vita è la nostra. “ Quindi se uno è in Cristo, è una creatura nuova; le cose vecchie sono passate, ecco ne sono nate di nuove” Questa novità si chiama riconciliazione. Risonanze dei presenti • Chiedo che si approfondisca meglio che cosa vuol dire fedeltà al passato, al presente e al futuro. Risposta. La CM non è un museo di persone statiche, ma è una realtà di persone vive che si evolvono, studiano, si aggiornano, tentano di decifrare il contenuto della spiritualità. In tutte c’è un’apertura alla novità di uno stile, di un linguaggio che sia aderente ai tempi che cambiano o alla cultura dove nasce un nuovo gruppo CM. Questo percorso non nasce di punto in bianco, ma è legato a un passato (che non si può ripetere), lo si costruisce passo dopo passo ed è proiettato al futuro. • Questo continuo aggiustamento costituisce la croce quotidiana, ma è anche una breccia di novità per il futuro perché è ricerca insieme di dove la CM si deve collocare nel piano di Dio. • Incontri come questo dove ci è data la possibilità non solo di ascoltarci, ma anche di esprimerci, favoriscono la riconciliazione. • La riconciliazione richiede la fatica di superare l’io per far spazio al noi. L’appartenenza ad un gruppo non ci autorizza a fare quello che ci passa per la mente, ma richiede dialogo, ascolto , preghiera e ricerca compatta per aderire al disegno di Dio. • La spinta della riconciliazione non parte da noi, ma da Dio. Ne segue che uno, più è in comunione con Dio, più getta ponti di riconciliazione con i fratelli. • La lebbra colpisce Maria e la costringe a star fuori dall’accampamento per sette giorni cioè quel tempo sufficiente per ravvedersi e rientrare nel gruppo in modo positivo. • Preparando la storia del gruppo,richiesta dal CC, ho rispolverato un aspetto che davo per scontato: la nostra famiglia non è composta solo da Missionarie, ma anche da Familiares. La riconciliazione richiede di tener presente questa composizione e di educarci a potare ciò che non favorisce la comunione nella diversità. Momento di preghiera Dopo cena ci siamo ritrovate per una mezz’ora di preghiera. • Canto di apertura • Un solista ha letto una preghiera eucaristica • Lettura del brano di Zaccheo, seguito da una pausa di silenzio-riflessione • Canto delle litanie dei Santi • Lettura dei nomi dei defunti della CM. Due solisti si sono alternati nella lettura e dopo tre nomi ripetevamo insieme un ritornello • Un canto mariano ha concluso questo momento. [img2bcx] Altri spunti di riflessione Il secondo giorno, dopo le lodi, Anna Maria ha fatto un breve intervento offrendoci questi spunti di riflessione: La parola di Dio quando è letta insieme illumina tutti, ma in modo diverso. La lettura breve delle lodi è stato un invito a guardare il futuro con speranza. Abbiamo una sola vita da vivere. Senza divagazioni puntiamo sull’obiettivo finale: condividere i doni dello Spirito per proiettarci nel solco tracciato da Dio per la CM. S. Paolo (Rom 2 ,9-18 e RdV n. 74) ci fornisce delle spinte potenti per superare il rispetto umano e per favorire una vita fraterna con ripercussioni inedite per il futuro della CM: Accoglienza e stima reciproca, rapporto sincero superando il sospetto e dando fiducia all’altro anche se è l’ultima vocazione arrivata, preghiera le une per le altre, attrattiva per le cose umili, convergenza sui valori essenziali e il rispetto per la libertà e la personalità di ognuna. Risonanze dei presenti • La fragilità è la via scelta da Dio per rivelarsi all’uomo. La nostra famiglia è composta da persone fragili. Addirittura quando una sorella apre bocca per comunicare sappiamo già dove va a parare. Eppure ogni volta che ci ritroviamo avvertiamo che siamo una famiglia e quando ritorniamo ai nostri gruppi sentiamo di aver dentro una carica nuova. • Tutte siamo attirate da personaggi famosi, ma la vera riconciliazione esige di stimare e preferire gli ultimi perché è proprio in loro che Dio semina con larghezza i suoi doni. • La via della riconciliazione implica due tappe: guarigione delle ferite del passato e condivisione della parola di Dio. Attraverso l’oblazione delle sofferenze, Dio scrive una storia sacra. • La riconciliazione è mettere insieme i cocci della nostra esistenza per ricominciare. Non basta guardare con dispiacere il mucchio dei cocci, occorre costruire ciò che è rotto. La riconciliazione è la fatica di superare la chiusura; è il coraggio di fare il primo passo per comunicare; è spogliarsi dalla tentazione di sentirci dalla parte di chi ha ragione; insomma è qualcosa che si acquista lentamente perché si tratta di ricostruire stima e fiducia. • Alla riconciliazione si arriva con cuore ferito o frantumato. Perché? Una relazione si interrompe quando l’altro ferisce l’immagine che io ho di me. Addirittura si aguzza l’ingegno per incastrare l’altro dentro lo schema che conferma l’immagine che io ho di me. Questa è una maschera. La riconciliazione è rompere questa maschera per guardarmi come sono e per accogliere la parte di verità che l’altro mi rivela colpendo la maschera. In altre parole la riconciliazione scatta quando termino di scansare i colpi ed impugno la lanterna dell’umiltà per scoprire la verità. Conclusione Dopo alcune comunicazioni, Anna Maria ha riportato al centro del nostro ritrovarci la Parola di Dio. Ha letto il brano di Michea 6,6-8 dove Dio interroga il suo popolo e gli chiede ironicamente di formulare le sue accuse. “Popolo mio, che cosa ti ho fatto, in che cosa ti ho stancato? Rispondimi!”. Davanti alle esigenze di Dio il popolo smarrito e pentito risponde che non sa come placare la sua ira. E’ cosciente che gli atti di culto esterni non riparano il male compiuto. Dio sbaracca questo modo obsoleto di ragionare e inietta nel popolo un sapore evangelico nell’affrontare la vita, invitandolo a praticare la giustizia, a camminare umilmente con Lui e ad amare con tenerezza. E’ evidente che Dio non condanna, ma perdona. Ritorna il tema della riconciliazione vista come “rivoluzione” che contagia ogni atteggiamento obbligandoci a tramutarlo da negativo in positivo, facendo perciò un salto di qualità. Prima di concludere queste due giornate, Anna Maria ha consegnato a tutti i partecipanti un libretto: “Tu sei una benedizione” del benedettino Anselm Grün, Queriniana e lo ha consegnato invitandoci singolarmente a vivere la giustizia, l’amore e l’umiltà.
caríssimas missionárias e familiares
 
Estamos a chegar ao fim desta nossa experiência, aqui na Itália. Dentro de poucos dias regressaremos à Indonésia, ao nosso país. Pensando no caminho feito juntamente convosco, neste tempo, devemos reconhecer que foi muito positivo. Foi um período muito dinâmico em que, além do estudo da língua, visitámos um pouco a Itália e conhecemos a sua história e cultura. Mas a coisa mais importante foi a possibilidade de partilhar um pouco do nosso e vosso caminho em quase todos os grupos CM: primeiro em Bolonha, onde tivemos a graça de conhecer e dialogar também com o nosso Fundador, P. Albino, depois em Brugherio, em Monguelfo, em Sant’Antonio Abate e, aqui, conhecer também um pouco a realidade dos Familiares. Estamos contentes porque tudo isto nos permitiu conhecer diversas experiências e diversas dinâmicas para organizar os grupos. Captámos em toda a parte um espírito de alegria, de comunhão, de serenidade, uma vivência segundo o estilo das primeiras comunidades cristâs: Actos 2, 42-48. Em cada grupo recebemos muito: o valor da fraternidade, da oração comunitária, da escuta, do ensino, o amor pelos outros, o perdão recíproco e especialmente compreendemos melhor a espiritualidade da Companhia Missionária. Por tudo isto agradecemos a Deus e a todas as irmãs e irmãos da Companhia Missionária, porque sentimos que com o vosso exemplo crescemos muito na pertença e no espírito da Companhia Missionária. Tudo quanto recebemos é para nós um desafio que levamos connosco para a Indonésia, porque queremos transmitir estes dons às outras nossas irmãs: Mudji, Antónia, Susi, Anet, Ina e pensar que também nós podemos iniciar uma ou outra actividade nova que nos ajude a criar os Familiares, a comunicar a nossa espiritualidade aos jovens, às famílias, etc. Agradecemos a todas/os por nos terem acompanhado e nos terem feito sentir em “nossa casa”, sobretudo pela paciência que tiveram connosco nos primeiros meses, quando ainda não sabíamos a língua e tínhamos dificuldade em nos entendermos! E pedimos desculpa se uma vez ou outra não nos portamos bem...Vinde visitar-nos, esperamo-vos! Agradecemos de todo o coração a todas/os.
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COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE
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