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COMPAGNIA MISSIONARIA
DEL SACRO CUORE
una vita nel cuore del mondo al servizio del Regno...
Compagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia MissionariaCompagnia Missionaria
Compagnia Missionaria del Sacro Cuore
 La COMPAGNIA MISSIONARIA DEL SACRO CUORE è un istituto secolare, che ha la sede centrale a Bologna, ma è diffusa in varie regioni d'Italia, in Portogallo, in Mozambico, in Guinea Bissau, in Cile, in Argentina, in Indonesia.
News
  • 14 / 05 / 2021
    SOLENNITA\' DEL SACRO CUORE DI GESU\'
    Venerdì 11 giugno 2021... Continua
  • 14 / 05 / 2021
    SOLENIDADE DO SAGRADO CORAÇÃO DE JESUS
    Sexta-feira 11 de junho de 2021... Continua
  • 14 / 05 / 2021
    SOLEMNIDAD DEL SAGRADO CORAZÓN DE JESÚS
    Viernes 11 de junio de 2021... Continua
incontro tra istituti secolari che fanno riferimento al sacro cuore di gesù
 
Domenica 16 novembre 2008 ha avuto luogo a Milano un incontro tra Istituti Secolari che fanno riferimento al Cuore di Gesù. E’ stato un confronto aperto, in una atmosfera veramente fraterna che ha permesso di mettere in comune esperienze, ma anche problemi e difficoltà. Abbiamo iniziato scambiandoci informazioni su come ogni Istituto vive la spiritualità del S. Cuore e abbiamo notato con piacevole sorpresa che l‘aspetto della riparazione è vivo e presente nella spiritualità di ogni Istituto anche se con termini diversi: volgere lo sguardo al Cuore trafitto e contemplarlo rimanda alla realtà secolare che viviamo e che dobbiamo vivificare e trasformare anche con la riparazione. La giornata, che ha avuto luogo presso la sede della Compagnia Missionaria, aveva come tema “La spiritualità del S.Cuore, quale sfida per l’oggi?” I lavori sono stati avviati dalla riflessione di P. Francesco Duci scj, qui riassunta: La devozione al Sacro Cuore, quale sfida per il mondo di oggi? Il titolo parla di sfida al mondo e penso che ad essere sfidata o diffidata non è proprio la devozione al S. Cuore, ma l’intera fede cristiana. Sfida sproporzionata in fatto di armi: è come tra il piccolo Davide e il gigante Golia. Il guanto della sfida è già stato raccolto dalla Chiesa cattolica: è la sfida di tutto il cristianesimo di fronte al mondo e la risposta è il dialogo aperto. La prima consegna del Concilio Vaticano II è stata quella di polarizzare ogni evangelizzazione sul Vangelo. Forse l’errore è stato di abbandonare le devozioni a se stesse, di lasciarle camminare ai bordi della strada cristiana, quando non anche contromano. E’ la cosiddetta “religione” che pensa di dover mettere sempre in atto qualcosa da fare per onorare Dio. Ora bisogna rigirarsi di 360 gradi, rimettersi nella giusta prospettiva di chi va a ricevere ciò che Dio ha deciso di donarci e ad ascoltare ciò che Dio ha deciso di dirci. “Piacque a Dio…rivelare Se stesso e manifestare il mistero della sua volontà..” (Dei Verbum n. 2) Dio si è mosso verso di noi con l’intento di rivelare e donare se stesso. Ecco il mistero formidabile da far conoscere e desiderare, questa è la missione della Chiesa; la nostra predicazione deve portare il Vangelo, deve parlare di Dio e la devozione al S. Cuore più che laboratorio di sentimenti e di affetti o officina di pratiche, deve essere luogo di evangelizzazione. Ciò che fa difficoltà all’uomo di oggi, non è il vangelo, ma è Dio. L’uomo sta abituandosi a vivere anche senza Dio. Sono molteplici le cause che stanno all’origine di questo impressionante fenomeno e la parte di umanità che ancora crede in Dio, non può disinteressarsene. La sfida è questa e riguarda Dio! Si pensa che basti pronunciare la parola “Dio” per sapere Chi egli sia. Invece sul suo conto ci si fa una infinità di immagini: un Dio buono, ma enigmatico, un Dio dominatore, onnipotente che tutto dispone a suo beneplacito, un Dio preoccupato della sua legge, severamente applicata. Ma Dio è proprio così? Questa è la sfida, che il mondo di oggi lancia alla Chiesa, alla sua predicazione, alla sua fede e alla sua devozione. Forse è proprio il momento più opportuno perché il cristianesimo presenti di nuovo e più consapevolmente l’immagine del Dio vero. Un Dio ha voluto farsi uomo, per sempre, per tutti, per ognuno! L'Incarnazione e la Risurrezione L’attenzione di questo millennio trascorso si è polarizzata sulla croce e sul peccato umano che l’ha provocata e questo a parziale scapito delle due estremità del mistero di Cristo: l’incarnazione (e non il natale!) e la risurrezione, l’una vista come avvio alla croce, l’altra come un miracolo postumo. La teologia odierna sta riscoprendo la centralità della risurrezione e auspichiamo che avvenga anche una riscoperta di valore per l’incarnazione. Un Dio che avanza verso l’umanità, confondendosi con essa, che assume la condizione di vita dell’uomo, il peso del nostro stesso destino di morte; un Dio che accetta la storia, la accoglie sinceramente per amore; un Dio con noi e come noi; un Dio che non ci costringe con la sua evidenza. Forse un Dio così non lo abbiamo sempre annunciato con la nostra parola, ma speriamo un pò di più con la vita. Questa è la sfida! La devozione al S. Cuore dovrebbe farsi carico di divulgare questo lieto annuncio attraverso la suggestiva immagine del S. Cuore e le belle pratiche di pietà che la caratterizzano. Essa è in grado di parlarci di Dio fatto uomo, e non soltanto di un Dio uomo? Di presentare quel cuore d’uomo per quello che veramente è: Cuore di Dio fatto uomo, Cuore trafitto da indicibile passione, quella passione che condivide con tutti gli uomini. Infatti l’immagine del S. Cuore fa memoria non soltanto della passione, ma anche dell’incarnazione e della risurrezione. Ciò che il Cuore di Gesù ha da dirci oggi di più urgente non riguarda lui, ma il Padre suo, proprio come nella sua vita pubblica: “Chi ha visto me ha visto il Padre mio” (Gv 14,9); “Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione” (Col 1,15); Gesù Cristo ha rivelato Dio soprattutto con la sua morte e la sua risurrezione” (cfr Dei Verbum, 4). [img2bdx] La Carne e il Cuore Carne – è’ la parola usata dal prologo di Giovanni per indicare l’evento dell’umanizzarsi del Verbo di Dio: “si fece… divenne carne” Attenzione a non stemperare il verbo con un generico assunse, rivestì. Carne indica l’intera realtà umana (corpo, spirito, mente, coscienza, volontà, cuore, affettività, esperienza, storia, relazione. Dio ha vissuto autenticamente da uomo, senza sconti né facilitazioni. Mistero bellissimo, che non è rivelato soltanto dalla parola “carne”, ma anche dalla parola: Cuore che costituisce il cardine della nostra devozione. Occorre recuperare la densità antropologica di questa parola biblica. Il cuore è la profondità interiore, è la conoscenza e l’ esperienza di sé, è il luogo in cui l’essere umano esercita la sua libertà nei confronti di Dio e degli altri. Cuore dice l’essere umano nella sua specifica interiorità. Fa parte della sfida non limitarsi a ricordare i sentimenti di Gesù (mitezza, tenerezza, ecc..). A scongiurare questo basta guardare all’immagine del S. Cuore: si tratta del cuore trafitto di un crocifisso. Tutto ci ricorda la sua storia, la sua vita, la passione che ha accettato di subire da parte degli uomini come dimostrazione del suo amore. Forse la devozione si è un po’ troppo attestata sul fronte degli affetti (affetti di Gesù verso di noi, affetti nostri verso Gesù). C’è uno scarto troppo largo tra devozione e Vangelo, troppa distanza. La devozione viene ad aggiungere di suo un numero di pratiche di pietà caratteristiche, oltre naturalmente a un linguaggio affettivo, che riesce ad aggregare un certo numero di persone che in questo linguaggio si sentono a casa loro. La devozione deve essere un collante che alla professione di fede sa integrare gli affetti, l’elemento emozionale. Consigli Non sfrondare la devozione, ma arricchirla di profondità contemplativa. Il mondo della devozione al S.Cuore. è l’amore. L’amore non si accontenta: questa sfida è con noi stessi. Se Dio ha scelto di farsi uomo, anche noi dobbiamo intraprendere questa strada di abbandono progressivo di noi stessi, per darci anima e corpo al servizio dei fratelli. Anche questa è una sfida con noi stessi. Nel mondo di oggi è spesso difficile parlare dell’amore di Dio, ma cerchiamo di farlo: il silenzio è un grande servizio negato. L’amore di Dio non consiste in un sentimento, ma in un dono: Dio dona suo Figlio (cfr.Gv 3,16). L’amore di Dio non è tanto un sentire, ma un impegno attivo. E’ seguito un vivace dibattito di cui riportiamo soltanto gli interventi più ricorrenti che sottolineano l’importanza di: parlare di spiritualità del S. Cuore più che di devozione, una spiritualità forte, incarnata, secolare. Occorre mutare atteggiamenti, avere il coraggio di svestirsi di tutto ciò che è scontato, cambiare respiro. sottolineare la risurrezione perché siamo stati salvati dalla morte e giustificati dalla risurrezione: questa la speranza, questa è la spiritualità del S. Cuore. Si risorge ogni giorno nel nostro quotidiano, nella ferialità del primo giorno dopo il sabato. cogliere alcuni passaggi fondamentali: quale immagine di Dio proponiamo, che volto mostriamo ai nostri fratelli, gli atteggiamenti e i linguaggi che usiamo dicono accoglienza dell’altro? recuperare il senso di tutto quanto detto che dobbiamo continuare a declinare nella nostra vita. Non è tanto questione di linguaggio, ma di vita. essere donne di speranza, in questo mondo e in questa Chiesa. La fedeltà è importante, ma occorre anche un respiro nuovo. Al termine della giornata tutti i presenti hanno sottolineato la gioia e l’importanza di questo ritrovarsi insieme. Siamo Istituti Secolari con un carisma in parte comune, incentrato sulla spiritualità del S. Cuore che si diversifica poi nei diversi Istituti e assume modalità carismatiche diverse, quasi comune ricchezza che, partita dal Cuore di Gesù, ha poi diversificato le strade. L’esperienza è stata certamente positiva e ci ha spronato ad approfondire lo studio della nostra spiritualità e a rivedere i nostri cammini formativi in questa luce.
volgeranno lo sguardo...
 
L'anelito di Gesù: "Ecco il Cuore che ha tanto amato gli uomini eppure dalla maggior parte di essi e spesso anche dai suoi prediletti non riceve che freddezze, indifferenza e ingratitudine..." ... ci interpella costantemente.... - E' necessario guardare di continuo il Crocifisso ed avere un confronto costante con la Scrittura per scoprire il grande AMORE manifestato da Dio Padre in Gesù e per imparare, a nostra volta, a corrispondere, senza "ma" e senza "se", incondizionatamente a Cristo che ha dato tutto se stesso. Qualche passo della Scrittura che ci pone in atteggiamento di riflessione: * 1. "Volgeranno lo sguardo a Colui che hanno trafitto..." (Gv 19, 37); * 2. "Quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me" (Gv 12, 32); * 3. "Io sono il Buon Pastore. Il Buon Pastore offre la vita per le pecore..." (Gv 10, 11).
amore oltre ogni desiderio
 
Quella sera, Simone fissava le acque del lago; su quella riva aveva incontrato per la prima volta il Maestro; sui riflessi della luna incurvata a oriente, rivedeva l’incontro che aveva cambiato la sua esistenza e i giorni trascorsi con Lui. Ma soprattutto i riflessi argentei della luna gli riflettevano lo sguardo di Gesù, mentre usciva dalla casa di Caifa, la notte del tradimento. Era stata quella l’ultima volta che l’aveva visto; poi era fuggito fuori a piangere, mentre il cuore sussultava nel desiderio spasimante di una parola di perdono. No, Simone, come tutti gli altri ad eccezione di uno, non lo aveva visto crocifisso, però... i segni dell’amore sulle sue mani, sui piedi e sul costato, Gesù, risorto, li aveva fatti contemplare e toccare anche a lui e agli altri, il giorno dopo il sabato, là nella sala della cena... Era una gioia strana quella che aveva provato, mescolata a timore e incredulità, a stupore e anche a rimpianto... a un lancinante pentimento...Quelle ferite aperte sul corpo misterioso del Risorto lo ferivano dentro e non sapeva ancora se di gioia o di dolore, o forse di tutt’e due... Credendo di vincere il groviglio dei sentimenti, decise di andare a pescare e gli altri lo seguirono, ma quella notte ogni sforzo risultò inutile. Le parole di Simone Dice la Scrittura che la bocca parla per l’abbondanza del cuore. E quella notte, il mormorio delle onde del lago gli ripetevano l’eco delle parole che tante volte gli erano uscite dal cuore e dalla bocca davanti a Gesù, a volte senza sapere bene ciò che diceva, perché i pensieri del suo cuore non sempre erano i pensieri del cuore di Dio. Ma proprio quella sua parola schietta, sincera, immediata, aveva rivelato la semplicità e anche la debolezza del suo cuore di uomo. Sì, era un altro il discepolo che Gesù amava, ma su Simone il Maestro aveva sempre fissato lo sguardo in modo diverso, fin dalla prima volta. “Tu sei Simone, figlio di Giovanni, ti chiamerai Roccia”. Come aveva potuto permettersi di dirgli una cosa simile, con quale autorità? come poteva impossessarsi di lui fino a quel punto? ed era solo il primo incontro! Quella volta aveva taciuto solo perché lo stupore gli aveva paralizzato il cuore e la lingua. Avrebbe fatto bene a tacere altre volte, come quando, dopo una pesca strabiliante, gli aveva gridato: “Allontanati da me che sono peccatore!” E Lui, invece gli aveva promesso una pesca più importante. Poi quella volta sul monte: “Maestro, facciamo qui tre tende...” Davvero non sapeva neanche lui cosa stesse dicendo. Però, qualche volta le sue labbra avevano espresso l’abbondanza della fede che era fiorita quasi a sua insaputa nel suo cuore di uomo semplice, ma assetato di Dio. “Tu sei il Cristo, il figlio del Dio vivente”, gli aveva risposto a Cesarea con entusiasmo. “Signore, tu solo hai parole di vita eterna”, era stata la professione di una fede sofferta e tentata, nella sinagoga di Cafarnao. Ma c’erano alcune parole che, ora, avrebbe voluto non aver mai pronunciato, a costo della vita, ma ormai... Avevano abbandonato da poco Cesarea e il suo entusiasmo si era scontrato con una inaccettabile profezia di sofferenza e di morte e lui aveva gridato: “No, Signore, questo non deve accaderti mai!”. Mai Gesù gli aveva detto una parola così dura e dolorosa: “Tu sei satana!”. E proprio quando quella profezia stava per compiersi, egli, Simone la Roccia, aveva sentito sciogliersi come cera il suo cuore per la paura e la delusione e anche la rabbia e per tre volte, di fronte a una serva, aveva giurato: “Non conosco quell’uomo”. È il Signore! Stentava a riconoscersi e a capirsi, Simone. La sua vita era stata sconvolta da un incontro e da un’esperienza che gli rivelava se stesso più dell’acqua del lago nei giorni di bonaccia assolata..., ma quell’immagine non gli piaceva: era deluso, terribilmente deluso di se stesso... neanche più pescare sapeva... Forse, quando avesse di nuovo visto il Maestro, avrebbe dovuto ripetergli la confessione struggente: “Allontanati da me che sono un peccatore”, ma ormai, davanti a lui, gli riusciva solo di tacere..., eppure, che desiderio ardente di vederlo, di ascoltare ancora la sua voce! “Figlioli, non avete nulla da mangiare?” Ora Simone non sapeva cosa fosse successo: un gesto di noia e di rassegnazione e aveva gettato con gli altri la rete a destra, secondo l’indicazione di quell’uomo sulla riva. Era l’alba: un giorno nuovo. Ma non riuscivano più a ritirare la rete... Ma questo era già successo un’altra volta...! “E’ il Signore!” gli aveva gridato quello che Gesù amava. E lui, Simone la Roccia era già in acqua; giunto prima degli altri sulla riva, lo osservava; quasi non lo riconosceva più; possibile che fosse così cambiato, in pochi giorni, o era cambiato lui, Simone o era la sua fede che, nell’ora delle tenebre aveva perso lo smalto? Intanto Gesù aveva preparato la colazione, li serviva; oh, allora se li serviva, allora era proprio lui! Mi ami tu? Ed ecco che lo chiamò in disparte: il cuore di Simone sussultò; era l’ora della verità, dopo la tragedia del rinnegamento. “Simone di Giovanni, mi ami tu più di costoro?”. “No, non è possibile che mi rivolga una domanda così, proprio a me!” Ora le parole facevano fatica a uscire dal cuore e dalla bocca di Simone; sarebbe stato più facile rispondere ad un rimprovero... E invece Lui, il Maestro crocifisso e risorto era venuto lì, all’alba, a rivolgergli una richiesta di amore, ma di quello totale! “Certo, Signore, tu lo sai che ti voglio bene”. Ma Gesù aveva insistito ancora, fino a tre volte e Simone aveva avuto l’impressione dolorosa che Gesù stesse tentando di aprirgli il cuore, così come la lancia aveva aperto il suo. E allora Simone si consegnò totalmente, in un abbandono e una fiducia irreversibili: “Signore, tu sai tutto. Tu sai che ti voglio bene”. Doveva, però, anche comprendere che Gesù non gli chiedeva un amore pieno solo per Sé; glielo chiedeva per l’umanità, quella umanità peccatrice, così uguale a Simone, che Egli, Gesù, aveva amato fino a morire. Simone la Roccia, dopo aver fatto l’esperienza drammatica della debolezza e del peccato, inseguito e raggiunto da un amore totale che lo rivestiva di perdono, riceveva in eredità un’umanità da amare, da perdonare, da servire, fino alla morte. Non si ama il Maestro senza ricevere una innumerevole schiera di fratelli e sorelle da amare, per i quali offrire la vita. “Quando sarai vecchio tenderai le tue mani, e un altro ti cingerà la veste e ti porterà dove tu non vuoi” E aggiunse: “Seguimi”. E Simone la Roccia, da quel momento, definitivamente, lasciò tutto e sacrificò la vita, sulle orme del Maestro, testimone coraggioso e fedele della gioia, della vita, dell’amore, insieme con il discepolo che Gesù amava e con tutti gli altri. “Ciò che era fin dal principio, ciò che noi abbiamo udito, ciò che noi abbiamo veduto con i nostri occhi e ciò che le nostre mani hanno toccato... noi lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo. Queste cose vi annunciamo, perché la nostra gioia sia perfetta” (1 Gv. 1, 1-4).
il volto dell'amore
 
C’è uno stupore quasi incredulo e tuttavia inevitabilmente ammirato che percorre tutta l'esperienza religiosa di Israele. Si manifesta ripetutamente in un interrogativo: davvero Dio può prendersi cura dell'uomo? Cos'è mai un figlio d'uomo, perché Dio se ne preoccupi? La risposta Israele la trova nella tangibile esperienza dell'agire di Dio nella sua storia. Anzi, è cosciente che questa storia, quindi la sua stessa vita, ha inizio quando l’Altissimo comincia ad aver cura di lui. E lo stupore, anziché risolversi, può solo accrescersi ed esplodere in lode, benedizione, ringraziamento, in annuncio gioioso: Dio regna, consola il suo popolo e lo salva (cf. Is. 52,7-10). E tuttavia resta uno stupore segnato e ferito dall'incredulità. Dio ha un cuore È l'antico Dio dei padri, di Abramo, di Isacco, di Giacobbe, che ha ancora orecchi per ascoltare i lamenti degli schiavi ebrei in Egitto. È l'Invisibile e l'Inimmaginabile che si nasconde e si manifesta in una fiamma che non consuma, è l'Inaccessibile di fronte al quale bisogna togliersi i sandali, è l'Ineffabile che si sottrae all'empio tentativo umano di dargli un nome. È l'Onnipotente che getterà in mare il faraone e il suo esercito, ma non è impassibile. Egli è il Dio che «conosce» la sofferenza del suo popolo. È il Dio «geloso» che difende la sua eredità, che non permette sia calunniato il suo amico Mosé, con cui parla «bocca a bocca» (Nm. 12,8). Ma quando il suo servo esprime l'appassionato desiderio di contemplarne il volto, come l'amato quello dell'amante, il Dio terribile che sparge terrore attorno all'intangibile monte della rivelazione, non può che mostrare le spalle: a nessuno è dato di guardare il suo volto e rimanere in vita. Pure, questo Dio che ha il trono nei cieli e di cui la terra è sgabello per i piedi, di cui a nessuno è dato pronunciare il nome né vedere il volto, di questo Dio tre volte santo alla cui luce si rivela l'orribile schiacciante verità del peccato umano, di questo Dio Mosè, come già Abramo, quindi l'Israele del deserto, della terra promessa, dell’esilio, ha conosciuto, attraverso il velo della storia, il cuore. Fedeltà oltre il tradimento E tutti i libri sacri di Israele manifestano questo stupore. Anche quando pecca e si allontana da Dio, sembra quasi che questo popolo lo faccia perché, nonostante l'evidenza di una storia continuamente donata come pegno di amore e di fedeltà, non riesce a convincersi che l'Altissimo sia proprio innamorato di lui. Con un atto di amore assolutamente gratuito, inaspettato perché impensabile, per questo spesso incompreso, addirittura tradito, Colui che abita i cieli scende a cercare un popolo umiliato sofferente perseguitato. Abbandonato insanguinato ansante come una neonata esposta sulla strada, curato allevato impreziosito come fanciulla desiderata dal re, Israele viene sposato da Dio con una alleanza d'amore che non verrà meno in nessun caso. Già al tempo del fidanzamento, dei primi incontri amorosi, nel deserto, la sposa non comprende questo incredibile amore e spesso se ne fa fedifraga. Ma anche quando il re la conduce nelle sue dimore, là dove scorrono latte e miele, ella continua a correre dietro i suoi amanti. Israele non poté mai farsi un'immagine scolpita del suo Dio che era anche il suo sposo: avrebbe dovuto scolpire la storia. Proprio in essa, al di là di ogni desiderio, Egli a lui si rivela ricolmandolo ogni volta di più di rinnovata e accresciuta meraviglia. Si può scolpire l'immagine di un idolo che ha mani inoperose, occhi ciechi, orecchi sordi, narici prive di respiro, ma non di un Dio che si china a guardare dai cieli sulla terra, che ascolta il grido del povero e del sofferente, che distende il suo braccio a difendere l'amato, che ha un cuore che freme ed è colmo di compassione anche per la sposa che lo tradisce. Il sogno dell’Onnipotente Un Dio che si rivela come Colui-che-è immancabilmente accanto e dentro la vita del suo popolo, che può instancabilmente innamorarsi di esso, senza lasciarsi sconfiggere dall'infedeltà, è un Dio a cui, nella sua onniscienza e onnipotenza, è dato di sognare. Al di là dei segni vistosi della prostituzione, Egli crede nel cuore della sposa. «Ecco, la attirerò a me, la condurrò nel deserto e parlerò al suo cuore... E avverrà in quel giorno oracolo del Signore - mi chiamerai: Marito mio, e non mi chiamerai più: mio padrone... Ti farò mia sposa per sempre, ti farò mia sposa nella giustizia e nel diritto, nella benevolenza e nell'amore, ti fidanzerò con me nella fedeltà e tu conoscerai il Signore» (Os. 2,16.18.21-22). Ma un progetto così appare incredibile alla stessa sposa, che crede possibile solo un amore meritato, in qualche modo comprato, quindi misurato, circoscritto, posseduto. L'amore di un idolo che può essere temuto, obbedito, davanti al quale ci si può solo coprire il volto e sprofondare nella polvere, la cui benevolenza può essere pagata con sacrifici. Mentre Israele è amato dal Dio vivente, per questo capace di un amore geloso eppure gratuito e liberante. «Il mio popolo è duro a convertirsi: chiamato a guardare in alto, nessuno sa sollevare lo sguardo» (Os 11,7). Il suo amore è azione irriducibilmente vitale e creatrice. Creatura nuova rigenerata Alla fine, al compiersi del poema d'amore scritto nella storia, la sposa conoscerà il suo sposo e potrà cantare: «Le grandi acque non possono spegnere l'amore, né i fiumi travolgerlo. Se uno desse tutte le ricchezze della sua casa in cambio dell'amore, non ne avrebbe che dispregio» (Ct 8,7). Questa sposa finalmente docile, capace di essere amata e di rispondere all'amore, è creatura nuova, rigenerata, nata essa stessa dall'amore dello sposo. La prima sposa, genitrice di un popolo irrimediabilmente infedele, era nata dalla carne e dalle ossa, dalla costola del suo sposo. Pure desiderosa di incontrare l’azione potente e salvatrice del suo Dio, l'umanità nata da essa è stata incapace di comprenderne e quindi di accoglierne l'amore. Avrebbe accolto di più un Dio esterno alla sua vita, capace di cacciarla dai guai, di liberarla dalla schiavitù ogniqualvolta non avesse potuto farlo da sola o con la potente alleanza di qualche re della terra. Non ha compreso come solo l'amore di Lui avrebbe potuto renderle la vita, la gioia, la libertà feconda. La croce talamo nuziale È mai possibile che la gioia di Dio sia stare con i figli degli uomini, che l'umanità in un ineffabile rapporto sponsale, diventi consanguinea di Dio, una sola carne con Lui, ammesso che Egli abbia carne e sangue? Lo stupore incredulo di secoli ha dovuto entrare, denudato di ogni pensiero, desiderio, attesa, ornamento di prostituzione anche inconsapevole, nel tunnel dell'ora delle tenebre, per poter contemplare l'assurdo e unicamente possibile talamo nuziale su cui si compie l'incontro eternamente sponsale tra Dio e l'umanità: la croce. Il mistero di un amore incredibile si è finalmente manifestato non più attraverso teofanie terribili, pallidi preludi della sua inaccessibile luce, ma in tutto il suo accecante splendore... e «si fece buio su tutta la terra» (Mc 15,33). Consegnato al Padre e all’umanità La Parola eterna che in principio era presso Dio ed era Dio, si è fatta carne ed ha preso dimora in mezzo a noi. Dio ha tanto amato il mondo da dare suo Figlio in una carne di peccato, perché ogni carne schiava del peccato fosse liberata, rigenerata, in un incontro sponsale finalmente definitivo con Colui che ha amato l'umanità di un amore eterno. Quel volto di Dio che neppure Mosè, né alcuno dei profeti ha potuto vedere, «noi lo abbiamo contemplato, veduto, toccato», testimonia la comunità dei primi credenti. La Vita si è fatta visibile. Dio è sceso tra i suoi. Egli ha il volto umano di Gesù di Nazaret, il Figlio nel quale il Padre si compiace e a immagine del quale siamo stati creati. E abbiamo finalmente compreso la prima rivelazione: «Dio creò l'uomo a sua immagine, a immagine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gn. 1,27). «...a immagine del suo Figlio diletto secondo il corpo e a sua similitudine secondo lo spirito», commenta Francesco di Assisi (Ammonizione V). Ora che Dio ha carne e sangue, l'umanità non può più evitare l'incontro con Lui, ma l'appuntamento definitivo del più grande amore, tra il più perfetto Amante e il più indegno amato, avviene nel segno del più grande dolore. L'ultimo e più tragico «no» dell'umanità al suo Dio si esprime in una croce piantata sul Golgota, nel più buio venerdì della storia, sotto Ponzio Pilato. Il definitivo «sì» dell'Amore di Dio ai peccatori si rivela ineffabilmente e inequivocabilmente nell'Uomo di Nazaret crocifisso, Figlio dal Padre eternamente amato, che al Padre si consegna in un eterno «eccomi» confidente e totale, per essere da Lui consegnato, unica fonte di vita e di salvezza, all'umanità-sposa rigenerata nel sangue, finalmente accogliente dell'Amore. «Chinato il capo, rese lo Spirito... Venuti da Gesù... uno dei soldati gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue ed acqua» (Gv 19,30.33-34). Il velo del tempio si è squarciato (cf Mt 27,51), come il velo della storia ed è vinta la penombra delle profezie. La nuova umanità, pur sempre peccatrice, stando ai piedi della croce, può volgere lo sguardo a Colui che hanno trafitto e contemplare non solo il volto, ma il cuore di Dio. Dalla contemplazione all’annuncio, dalla fede alla comunione «Noi abbiamo contemplato la sua gloria come di unigenito dal Padre, pieno di grazia e di verità» (Gv 1,14). Il Cristo crocifisso, dal cuore trafitto sgorgante sangue ed acqua, rigenerazione della sua sposa, è la vera gloria del Padre, icona unica ed insuperabile di Lui, fonte dell'Amore. Lo Spirito, aleggiante sulle acque nella prima creazione, è il Dono che sgorga con l'acqua, dal cuore del Figlio; è l'Amore rigenerante che finalmente celebra le nozze dell'Agnello con la sua sposa rigenerata, vivificata, lavata e fecondata dal sangue di Lui. Indissolubilmente legata al suo Sposo, con Lui la comunità dei credenti può rispondere all'amore del Padre, consegnando il suo «sì», nella certezza di vincere il «no» di un mondo che sulla croce è già stato vinto, mentre una folla innumerevole di uomini e donne attende ancora salvezza, quella salvezza che viene dalla fede. La comunità credente che ha contemplato il volto e il cuore di Dio nel volto e nel cuore trafitto del Crocifisso, non potrà mai più tacere la sua testimonianza, il suo sconvolgente e gioioso annuncio: «Chi ha visto ne dà testimonianza e la sua testimonianza è vera ed egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate» (Gv 19,35); «Lo annunziamo anche a voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è con il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo» (lGv 1,3). Ed è una comunione eterna, perché il Crocifisso è il Risorto, il Vivente, il Testimone fedele di un Amore che ha vinto la morte.
il segreto e il tesoro
 
"Guarderanno colui che hanno trafitto”. Era la preparazione della Pasqua e sul Golgota, fuori dalle mura della Città Santa, la Madre e l'amico contemplavano l'Agnello sacrificato sulla croce, a cui i soldati pagani, ignari e obbedienti all'antico comando, non spezzavano alcun osso. «Uno dei soldati» però «gli colpì il fianco con la lancia e subito ne uscì sangue e acqua» (Gv 19,34). La Madre contemplava e viveva nella sua carne il dolore e la morte del Figlio e l'amico discepolo, nelle tenebre di quell'ora, sentiva risuonare, finalmente comprensibili, le parole misteriose del profeta: «Guarderanno colui che hanno trafitto» (Zc 12,10). La Madre, il discepolo, i soldati pagani che lo avevano ucciso, i giudei che lo avevano condannato, le donne che lo avevano seguito, i discepoli che erano fuggiti, il popolo che scuoteva il capo, le moltitudini nel corso dei secoli, lo avrebbero guardato trafitto: chi avesse accolto quell'acqua e quel sangue che sgorgavano dal Suo Costato aperto ne avrebbe penetrato il misterioso abisso. Fu la Madre la prima che poté immergersi in esso: nel Cuore aperto di suo Figlio. Il Figlio Nelle tenebre di quell'ora, la sua vita, conquistata da Dio e condotta da Lui per i sentieri meravigliosi e terribili della fede, le apparve in un istante e, nella carne trafitta del Figlio, trovò la risposta alle domande che per anni avevano riempito i suoi giorni. Ricordò lo stupore e l'attesa, la trepidazione e la gioia di quando il piccolo cuore di Lui batteva vicino al suo che ripensava ogni giorno le parole di Gabriele: «Sarà chiamato Figlio dell'Altissimo… regnerà sulla casa di Giacobbe». E si interrogava sul significato di quelle parole: «Ma chi è e chi sarà questo figlio che mi è stato dato senza cercarlo, che è mia carne e per il quale non ho scelto neanche il nome; questo figlio che viene dal mistero?». Per lunghi anni, fino a quell'ora di dolore e di morte, aveva portato in cuore, senza comprenderne a pieno il significato, le parole dolorose del vecchio Simeone. Le giovani mamme come lei, in quel giorno lontano, si erano sentite rivolgere parole beneauguranti, cariche di sogni e forse di illusorie speranze. Lei aveva ascoltato parole misteriose che sapevano di lotta e di sofferenza: «Egli è segno di contraddizione... e anche a te una spada trafiggerà l'anima». E sempre - in certi momenti con trafiggente insistenza - aveva continuato a chiedersi: «Chi è questo mio figlio? Perché attorno a lui buio e luce, rifiuto e generosa accoglienza, odio e persecuzione e sangue, povertà e fatica e esilio…?». Poi, quando gli aveva insegnato a camminare, a parlare, a pregare, quando rientrava affamato dopo la scuola e il gioco, quando si entusiasmava nell'aiutare Giuseppe tra legni e colla e martelli, a volte aveva immaginato di conoscerlo: anche lei lo aveva per un momento considerato figlio del falegname. E quando andava al mercato, tenendo stretta nella sua la piccola mano fiduciosa di Lui, quando balbettando le prime preghiere si addormentava sul suo seno, quando giocava ad accarezzarle gli occhi e la baciava sulla guancia lasciandole godere il suo profumo di latte, lei aveva immaginato che quel figlio fosse suo; si era illusa di poterlo trattenere e, come le altre mamme del villaggio, aveva sognato progetti per lui. Ma questi pensieri erano durati sempre solo un istante; le tranquille illusioni di Nazaret erano vinte dai ricordi di Betlemme, di Gerusalemme, della stalla e del tempio, del deserto, dell'Egitto... Le vie della fede Il tempio... proprio là lo aveva ritrovato dopo tre giorni di spasimante ricerca. Non era più un bambino: aveva dodici anni; dialogava con i maestri della Torah. Quante domande angosciose si era fatta in quei giorni terribili: quelle che ogni madre si rivolge. «In che cosa abbiamo sbagliato? Perché ci ha fatto questo? Quali motivazioni ha in cuore per comportarsi cosi?». E sempre ritornava il dubbio lancinante di non conoscere veramente suo figlio, di non riuscire a cogliere la misteriosa realtà che lo abitava. Era un adolescente come tutti, eppure... Lo aveva trovato nel tempio, a dialogare, lui adolescente, con i dottori della legge. E la piena delle domande che soffocava il cuore si era formulata in una: «Perché ci hai fatto questo?». Dopo, aveva desiderato di non averla mai fatta, per non ascoltare una risposta di cui lei aveva percepito solo la trafittura e non il significato: «Non sapevate che debbo occuparmi delle cose del Padre mio?». Non sapeva lei? E Giuseppe non sapeva? Non sapevano che era stata l'ombra di Dio a coprirla e ciò che era germogliato in lei era opera dell'Altissimo? Ancora una volta, senza comprendere, nella solitudine silenziosa del suo cuore di vergine, poté solo ripetere: «Sono la serva...». E tornarono a casa e lui viveva come ogni figlio, più di ogni figlio obbediente e sottomesso. E allora, per tanti anni, fu ancora più difficile comprendere, mentre lui imparava il mestiere di Giuseppe per guadagnarsi il pane e poi lo sostituiva nella responsabilità della famiglia. «Egli salverà il suo popolo dai suoi peccati». Forse i pensieri di Dio sono cosi luminosi che ci abbagliano e sui sentieri della fede spesso è notte. E lei non fece più domande ma, mentre lui diventava uomo e poi sempre ogni giorno, un'attesa piena di timore la saziava costringendola a scrutare gli occhi di lui e ogni gesto e ad ascoltarne ogni silenzio, per penetrarne i pensieri del cuore. Secondo le Scritture Al sorgere e al tramontare di ogni giorno, insieme pregavano i salmi e tante volte la voce solenne e profonda di lui si era fatta grave, ripetendo: «Annunzierò il decreto del Signore. Egli mi ha detto: Tu sei mio figlio; io oggi ti ho generato». «Sacrificio e offerta non gradisci, gli orecchi mi hai aperto. Allora ho detto: Ecco, io vengo. Sul rotolo del libro di me è scritto che io faccia il tuo volere. Mio Dio, questo io desidero. Ho annunziato la tua giustizia nella grande assemblea». E il cuore di lei aveva sussultato. Di tanto in tanto, il sabato, nella sinagoga lui proclamava la parola dei profeti, davanti all'assemblea, e la sua voce penetrava le fibre più intime della madre: «Lo Spirito del Signore Dio è su di me; mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri...a promulgare l'anno di misericordia del Signore». Come? Quando? E ancora la voce di lui proclamava Isaia: «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire... Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità... per l'iniquità del mio popolo fu percosso a morte...». Allora un dolore lancinante la trafiggeva - e solo ora, là sul Golgota, comprendeva perché - e una domanda angosciosa esplodeva in lei: «Di chi parla il profeta, di se stesso o di un altro?». Solo il ricordo di una parola le impediva - come ora, là sul Golgota - di gridare o di fuggire: «Sarà grande e santo e chiamato Figlio di Dio». La spada Quante volte lo aveva accarezzato con gli occhi contemplandolo come il più bello tra i figli dell'uomo! Ora lo aveva davanti a sé, inchiodato al legno maledetto; ora non aveva «né apparenza né bellezza per attirare gli sguardi», ma lei non finiva di saziarsi in uno sguardo appassionato al varco che la lancia del soldato aveva aperto nel cuore di lui. Si era fatto buio su tutta la terra, ma dalle sue trafitture pioveva su di lei la luce: una luce più misteriosa delle tenebre che l'avvolgevano; una luce che la trafiggeva più intimamente e più profondamente della tenebrosa spada del dolore: era la Parola di lui che per tanti anni lei aveva conservato e meditato nella solitudine silenziosa del suo cuore di vergine. «Mio cibo è fare la volontà del Padre… Chi fa la volontà del Padre mio è per me fratello, sorella e madre . Ti benedico, o Padre, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Cosi è piaciuto a te, Padre... Nessuno conosce il Figlio se non il Padre... Il Padre che mi ha mandato è con me e non mi ha lasciato solo, perché io faccio sempre le cose che gli sono gradite. Il Padre che è in me compie le sue opere... Io sono nel Padre e il Padre è in me... Bisogna che il mondo sappia che io amo il Padre e faccio quello che il Padre mi ha comandato». L'amore Il Padre… Il Padre... Un giorno, dicendo la vacuità delle ricchezze della terra, Gesù aveva affermato: «Là dov'è il tuo tesoro sarà anche il tuo cuore». E Lui, quel Figlio che ora pendeva nudo dalla croce, dopo che l'aveva lasciata sola nella casa di Nazaret, non aveva più avuto un tetto né una pietra dove posare il capo. Ma un tesoro infinito abitava nel suo cuore, una sorgente inesauribile: «Chi ha sete venga a me e beva… Sono venuto perché abbiano la vita in abbondanza…». Con gli occhi incollati a quel cuore squarciato, il suo cuore di madre e di vergine credente e fedele si inebriava dell'acqua e del sangue che ne sgorgavano. Il Padre era stato dunque il segreto, la verità, l'amore ardente del cuore di lui: il segreto che l'aveva condotto sulle strade dell'umanità con la carne di lei e consegnato alle mani dei peccatori, sui quali ora, con l'acqua e con il sangue, pioveva la misericordia sorprendente e insperata del Padre. Il Padre, che per amore lo genera nell'eternità, lo aveva inviato, nel tempo, a salvare i peccatori, perché «Dio ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio perché il mondo si salvi per mezzo di Lui». E dunque, «come il Padre ha amato me, io ho amato voi». Quel figlio che aveva vissuto con amore obbediente a lei e a Giuseppe, in realtà era l'innamorato obbediente del Padre e, quindi, l'innamorato dei peccatori che il Padre ama. Per essi, per renderli suoi fratelli, aveva spogliato se stesso, donato la sua vita e il suo Spirito. Lei, la madre, là nelle tenebre del Golgota, ne aveva raccolto l'eredità e l'estrema dichiarazione d'amore: «Donna, ecco tuo figlio... Padre, perdona loro, perché non sanno quello che fanno... Dio mio, perché mi hai abbandonato? Padre, nelle tue mani consegno la mia vita». Allora le tenebre non poterono vincere la luce che era la vita degli uomini.
uno che cerca
 
Aveva sicuramente avuto esperienza profonda dell’amore di sua madre, il profeta Isaia – Dio salva era il suo nome - ; lei non avrebbe mai potuto abbandonarlo e dimenticarlo: anche dopo averlo messo al mondo, continuava a portarlo nella profondità del suo cuore. Era forse questa l’esperienza che gli aveva fatto comprendere l’amore sempre presente, attento e carico di tenerezza di quel Dio d’Israele che aveva conquistato la sua vita e al quale si era consegnato, nella fede. Per questo non poteva accettare la sfiducia, lo sconforto che serpeggiavano in mezzo al popolo, di fronte alle contrarietà, ai pericoli, alle aggressioni dei nemici. La memoria di Dio “Sion ha detto: «Il Signore mi ha abbandonato, il Signore mi ha dimenticato». Si dimentica forse una donna del suo bambino, così da non commuoversi per il figlio delle sue viscere? Anche se queste donne si dimenticassero, io invece non ti dimenticherò mai. Ecco, ti ho disegnato sulle palme delle mie mani” (Is 49, 14-16). Abbandonare e dimenticare non sono verbi che entrano nel vocabolario di Dio, quel Dio che crea e che cerca per salvare coloro che ha creato per amore. «Dove sei?» Fin dal principio il Creatore ha cercato nell’infinita ricchezza della sua fantasia creatrice un volto filiale, che gli somigliasse, come ogni figlio e ogni figlia portano i segni amati di un’appartenenza familiare. Ma presto il frutto del grembo fecondo di Dio-Amore credette, come molti adolescenti, di trovare vita e libertà lontano dall’amore che lo aveva generato. Mistero di gelosia e di sfiducia, di incomprensione e di rifiuto verso un amore non chiesto e gratuitamente offerto. E Dio cominciò a cercare l’umanità sottrattasi al suo sguardo, in un tragico gioco a nascondino. «L’uomo con sua moglie si nascosero dal Signore Dio… Ma il Signore Dio chiamò l’uomo e gli disse: “Dove sei?”» (Gn 3, 8.9) «Dove sei?»: la prima domanda, carica dell’amore angosciato di Dio in cerca di ogni figlio fuggito, nascosto, perduto. La domanda dell’innamorato, mai stanco di cercare l’amata... E poiché la creazione tutta è opera e manifestazione dello Spirito di Dio, non c’è luogo dove Egli non possa andare a cercare l’umanità: in Egitto, nel deserto e nel mare, a Babilonia, nelle regge e nei tuguri, nel grembo materno e nei talami nuziali, nelle tende militari e nel tempio, lungo i fiumi e sui monti; non c’è luogo che gli sia precluso per cercare il cuore umano. Ma è proprio nel cuore della carne umana – adescato dalla menzogna, invaghito di se stesso, soffocato dall’odio, prigioniero del rifiuto, rapito dalla morte – l’abisso del peccato, fecondo di dolore e di morte, non creati dallo Spirito di Dio. Cercare per salvare Allora, nella debolezza di una carne simile alla nostra, il Figlio di Dio, l’Unigenito eternamente unito al Padre in un abbraccio d’Amore inimmaginabile, è venuto con lo stesso Amore del Padre a cercare e a salvare ciò che era perduto: i fratelli e le sorelle della sua stessa carne, per renderli fratelli e sorelle nel suo stesso Spirito, quello dei figli del Padre. Venne, e ci è dato di vederlo nell’esperienza dei testimoni che lo annunciano e nella nostra stessa storia personale. Venne e ci raccontò di una pecora, che si era perduta lontano dai recinti della vita, e del pastore che, lasciando al sicuro tutte le altre nell’ovile, era andato a cercarla e, trovatala, aveva fatto una grande festa… E l’abbiamo visto andare a cercare Simone, Andrea, Giovanni, Giacomo… sulla riva del mare, dentro le barche del loro lavoro quotidiano. Stupiti, l’abbiamo visto cercare e raggiungere Natanaele seduto sotto un fico, compreso nella sua ricerca di verità. Scandalizzati, l’abbiamo visto cercare e chiamare alla vita gli strozzini Matteo e Zaccheo, la straniera di Samaria, l’indemoniata Maria di Magdala, il posseduto dalla legione di demoni… Stanchi e sfiduciati, l’abbiamo visto cercare con dolorosa collera gli idolatri del denaro e del potere, i farisei e gli scribi adoratori della loro stessa scienza, gli stessi ipocriti infine. Commossi, l’abbiamo visto cercare il riflesso di Dio nel volto e nel cuore dei bambini, la luce santa di Dio nell’umile ascolto obbediente di sua Madre. L’abbiamo visto piangere, cercando un segno di pentimento nella città santa divenuta tana di serpenti… L’abbiamo visto cercare tutti i nostri peccati nell’abisso dei nostri cuori, per caricarsene e liberare dal peso le nostre spalle. L’Agnello di Dio Non era una la pecora che si era perduta: eravamo tutti. L’unico Agnello amante e obbediente del Pastore era Lui, il Figlio, Gesù, Dio sceso nella carne umana, venuto ad abitare nella debolezza della nostra tenda di nomadi perduti. Lui, l’Unico Vivente nell’Amore del Padre, è venuto a cercare tutti noi, mortalmente feriti nell’umiliazione della schiavitù, dall’accusatore che giorno e notte ci rinfaccia disperatamente il peccato di cui ci nutre. L’Agnello è venuto a cercare e salvare il gregge, affrontando una lotta mortale. Ne è uscito trafitto e vittorioso: rivestito del suo stesso sangue, bevanda di vita della quale nutre coloro che ha redento. Abbiamo sentito la sua stessa voce chiamarci per nome; non ci ha chiesto olocausti e sacrifici che pagassero le nostre colpe; di quelle stesse colpe si è fatto mendicante. Anche quelle di coloro che orgogliosamente vogliono trattenerle ha preso su di sé, davanti al Padre e all’umanità, lui che non aveva commesso peccato. «Disprezzato e reietto dagli uomini, uomo dei dolori che ben conosce il patire, come uno davanti al quale ci si copre la faccia, era disprezzato e non ne avevamo alcuna stima. Eppure egli si è caricato delle nostre sofferenze, si è addossato i nostri dolori e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato. Egli è stato trafitto per i nostri delitti, schiacciato per le nostre iniquità». (Is 53, 3-5) La casa dell’incontro Era uscito dalla casa del Padre per venire a cercarci nella tenebrosa valle della morte. L’ultima sera con i suoi discepoli, prima di essere arrestato, «…cominciò a sentire paura e angoscia… disse: “L’anima mia è triste fino alla morte”… andato un po’ innanzi si gettò a terra e pregava che, se fosse possibile, passasse da lui quell’ora. E diceva: “Abbà, Padre! Tutto è possibile a te, allontana da me questo calice! Però non ciò che io voglio, ma ciò che vuoi tu”» (Mc 14, 33-36) Umiliato fino a confondersi con la stessa polvere della terra - destino dell’umanità peccatrice -, schiacciato nel terrore dell’ingiustizia e della morte, solidale con i peccatori fino a cercarli nell’atroce lontananza da Dio, Gesù diventa l’uomo che cerca la volontà d’amore e di salvezza del Creatore. Egli porta su di sé le spaventose ferite del peccato: il NO dell’umanità a Dio. Egli è l’Uomo nuovo che grida la fame di Dio che abita ogni cuore umano e offre il SÌ dell’amore fiducioso a Colui che solo può dare vita, perché è Amore. In Gesù, Dio cerca l’uomo e la donna fin nell’abisso della perdizione, dove sono capaci di ogni più orribile rifiuto. In Gesù, ogni uomo e ogni donna, sprofondati in quell’abisso, possono ancora rivolgersi a Dio, cercare il suo volto, la comunione con Lui, il Padre. «Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?» (Mc 15,34). «Padre, nelle tue mani consegno la mia vita» (Lc 23, 46). Nel suo cuore di uomo, l’amore di Dio per l’umanità e il desiderio irriducibile che l’umanità ha di Dio, finalmente, si sono incontrati e, poiché «forte come la morte è l’amore» (Ct 8,6), quel cuore umano è stato squarciato: si è aperto a rivelare il Cuore di Dio, unico ovile dove ogni “perduto cercato” è ricondotto a vivere nella gioia ineffabile dell’abbraccio del Padre.
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